[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
L'ambizione criminale e fuor di misura degli Stati Uniti: controllare militarmente il pianeta
- Subject: L'ambizione criminale e fuor di misura degli Stati Uniti: controllare militarmente il pianeta
- From: "associazione culturale punto rosso" <puntorosso at puntorosso.it>
- Date: Fri, 25 Apr 2003 00:31:41 +0200
Samir AMIN L'ambizione criminale e fuor di misura degli Stati Uniti: controllare militarmente il pianeta 1. Negli anni 80, quando già si annunciava il crollo del sistema sovietico, si profila un'opzione e-gemonica che conquista l'insieme della classe dirigente degli Stati Uniti, sia democratica che re-pubblicana. Trascinati dalla vertigine della loro potenza armata, ormai priva di concorrenti capaci di tenerne a freno i fantasmi, gli Stati Uniti scelgono di affermare il loro dominio applicando in primo luogo una strategia strettamente militare di "controllo del pianeta.". Una prima serie di interventi - Golfo, Jugoslavia, Asia centrale, Palestina, Iraq - inaugura negli anni 90 l'attuazione di quel piano di guerre "made in Usa", che non avranno fine, pianificate e decise unilateralmente da Washington. La strategia politica che accompagna il progetto ne prepara i pretesti, che si tratti del terrorismo, della lotta contro il narcotraffico o dell'accusa di produrre armi di distruzione di massa. Solo ed e-videntemente pretesti, se si conoscono le complicità che hanno permesso alla Cia di fabbricare un avversario "terrorista" su misura (i talebani, Bin Laden - non è mai stata fatta piena luce sull'11 settembre) o di sviluppare il Piano Colombia diretto di fatto contro il Brasile. Quanto alle accuse di eventuale produzione di armi pericolose, lanciate contro l'Iraq, la Corea del nord o qualsiasi altro Stato, fanno una misera figura di fronte all'uso effettivo di queste armi da parte degli Stati Uniti (le bombe di Hiroscima e Nagasaki, l'impiego di armi chimiche nel Vietnam, la minaccia di utilizzare armi nucleari nelle guerre futureŠ) Si tratta di mezzi che sono di fatto pura propaganda, nel senso che Goebbels dava al termine, efficaci forse per convincere l'opinione pubblica sprovveduta degli Stati Uniti, ma sempre meno credibili altrove. La "guerra preventiva", formulata ormai come un "diritto" che Washington si arroga, abolisce di fatto ogni traccia di diritto internazionale. La Carta delle Nazioni Unite vieta il ricorso alla guerra, eccetto i casi di legittima difesa; e subordina un proprio eventuale intervento militare a condizioni rigorose, dovendo limitarsi a una risposta misurata e provvisoria. Tutti i giuristi sanno che le guerre iniziate dopo il 1990 sono perfettamente illegittime e che dunque in via di principio coloro che se ne sono assunti la responsabilità sono dei criminali di guerra. Gli Stati Uniti - con la complicità di altri - stanno trattando l'Onu esattamente come nel passato gli Stati fascisti trattarono la Società delle Nazioni. 2. L'abolizione del diritto dei popoli, già consumata, sostituisce al principio della loro uguaglianza quello della distinzione fra un "Herrenvolk" (il popolo degli Stati Uniti e in secondo luogo quello di Israele) che ha il diritto di conquistare lo "spazio vitale" che giudica necessario e gli altri, la cui esi-stenza è tollerabile solo se non costituisce una "minaccia" per i progetti di coloro che sono chiamati a essere i "padroni del mondo". Quali sono dunque gli "interessi nazionali" che la classe dirigente degli Stati Uniti si riserva il diritto di invocare quando le pare? Per dire la verità tale classe si riconosce in un unico obiettivo - il denaro. Lo Stato americano si è messo apertamente al servizio prioritario della soddisfazione delle esigenze del segmento dominante del capitale, rappresentato dalle transnazionali degli Stati Uniti. Agli occhi dell'establishment di Washington, siamo diventati tutti quanti dei pellirosse, cioè dei po-poli che hanno diritto di esistere solo nella misura in cui non disturbano l'espansione del capitale transnazionale degli Stati Uniti. Ogni resistenza sarà ridotta con ogni mezzo, fino allo sterminio se necessario, ci promettono. Quindici milioni di dollari di profitti supplementari per le transnazionali americane contro trecento milioni di vittime: nessuna esitazione. Lo Stato "canaglia" per eccellenza, per riprendere il linguaggio dei presidenti Bush padre, Clinton e Bush figlio, è proprio quello degli Stati Uniti. Tale progetto è certamente imperialista nel senso più brutale del termine, ma non è "imperiale" nel senso che Negri attribuisce a questo termine, giacché non si tratta di gestire l'insieme delle società del pianeta per integrarle in un piano capitalista coerente, ma soltanto di rapinare le loro risorse. La riduzione del pensiero sociale agli assiomi di base dell'economia volgare, l'attenzione unilaterale focalizzata sulla massimizzazione della redditività finanziaria a breve termine del capitale dominante, rafforzata dalla presenza a tutela di esso dei mezzi militari che si conoscono, sono responsabili di questa deriva barbara che il capitalismo porta con sé, quando abbandona ogni sistema di valori umani per sostituirvi le esigenze esclusive della soggezione alle pretese leggi del mercato. Il capitalismo nordamericano con la sua storia si prestava a questa riduzione meglio di quello delle società europee. Di fatto lo Stato americano e la sua concezione politica sono stati modellati per servire l'economia e niente altro, abolendo il rapporto contraddittorio e dialettico fra economia e politica. Il genocidio degli Indiani, la schiavitù dei Neri, la successione di ondate migratorie che ha sostituito il confronto fra i gruppi che condividevano pretese identità comunitarie (manipolate dalla classe dirigente) alla maturazione di una coscienza di classe, hanno prodotto una gestione politica della società guidata da un partito unico del capitale, i cui due segmenti condividono le stesse concezioni strategiche globali, pur con retoriche diverse dirette ad ognuna delle "constituencies" della metà della società che crede al sistema quel tanto che basta per darsi la pena di andare a votare. Privata della tradizione con cui i partiti operai socialdemocratici e comunisti hanno segnato la formazione della cultura politica europea moderna, la società americana non dispone di strumenti ideologici che le permetterebbero di resistere alla dittatura senza contrappesi del capitale. Al contrario, il capitale modella unilateralmente il modo di pensare della società in tutte le sue dimensioni, e in particolare riproduce rafforzandolo il suo razzismo fondamentale che le permette di assumersi come "Herrenvolk". "Play boy Clinton, cow-boy Bush, same policy": questo slogan ascoltato in India accentua giustamente la natura del partito unico che gestisce la pretesa democrazia americana. Il progetto americano non è perciò un progetto egemonico banale che condividerebbe con altri che si sono succeduti nella storia moderna e antica le virtù di una concezione generale dei problemi che permetta di dar loro risposte coerenti e stabilizzanti, ancorché fondate sullo sfruttamento economico e la disuguaglianza politica. Esso è infinitamente più brutale con la sua concezione unilaterale e-stremamente semplicistica e da questo punto di vista è più prossimo al progetto nazista, pure fon-dato sul principio esclusivo dello "Herrenvolk". Tale progetto statunitense non ha nulla a che vedere con ciò che dicono gli universitari liberali americani, che qualificano tale egemonia come "benign", cioè indolore. Se riuscirà a svilupparsi ancora per un po' di tempo, tale progetto potrà generare solo un caos sem-pre maggiore, con una gestione sempre più brutale di colpo su colpo, senza alcuna concezione stra-tegica a lungo termine. Al limite, Washington non cercherà più di rafforzare delle vere alleanze, il che implica sempre delle concessioni. Sono più utili i governi fantocci come quello di Karzai in Af-ghanistan finché il delirio di potenza militare permette di credere all'invincibilità degli Stati Uniti. Hitler non la pensava diversamente. 3. L'analisi dei rapporti fra questo progetto criminale e le realtà del capitalismo dominante costituito dall'insieme dei paesi della triade (Stati Uniti, Europa, Giappone) permette di misurarne i punti di forza e di debolezza. Secondo l'opinione generale più diffusa, veicolata dai media che non invitano a riflettere, la potenza militare degli Stati Uniti sarebbe solo la punta dell'iceberg che prolunga una superiorità del paese in tutti i settori, in particolare quello economico, nonché quello politico e culturale. Sarebbe quindi i-nevitabile inchinarsi alla sua egemonia, come esso pretende. L'analisi della realtà economica inficia peraltro questa opinione. Il sistema produttivo degli Stati U-niti è ben lontano dall'essere "il più efficiente del mondo". Al contrario, quasi nessuno dei suoi segmenti sarebbe in grado di competere vittoriosamente con i suoi concorrenti su un mercato vera-mente aperto come lo immaginano gli economisti liberali. Ne è testimonianza il deficit commerciale degli Stati Uniti, che si aggrava di anno in anno, e che è passato da 100 miliardi di dollari nel 1989 a 450 miliardi nel 2000. Per di più tale deficit riguarda praticamente tutti i segmenti del sistema produttivo. Anche l'eccedente di cui beneficiavano gli Stati Uniti nel settore dei beni di alta tecno-logia, che era di 35 miliardi nel 1990, ha ormai lasciato il posto a un deficit. La concorrenza fra A-riane e i missili della Nasa, fra Airbus e Boeing, testimonia la vulnerabilità del vantaggio americano. Di fronte all'Europa e al Giappone per le produzioni di alta tecnologia, alla Cina, la Corea e altri paesi industrializzati dell'Asia e dell'America Latina per i prodotti manifatturieri più banali, all'Europa e all'America Latina per l'agricoltura, gli Stati Uniti probabilmente non la vincerebbero senza ricorrere a mezzi extra-economici che violano i principi del liberismo imposti ai concorrenti. Di fatto gli Stati Uniti beneficiano di vantaggi comparativi stabili solo nel settore degli armamenti, precisamente perché questo sfugge ampiamente alle regole del mercato e gode del sostegno statale. Tale vantaggio ha indubbiamente qualche ricaduta per il settore civile (Internet ne costituisce l'esempio più noto) ma è anche all'origine di serie distorsioni che costituiscono un handicap per molti settori produttivi. L'economia americana vive da parassita a danno dei suoi partner nel sistema mondiale. "Gli Stati Uniti dipendono per il 10% dei loro consumi industriali da beni la cui im-portazione non è coperta da esportazioni di prodotti nazionali" (E. Todd, Après l'Empire, p. 80) La crescita del periodo clintoniano, vantata come prodotto del "liberismo" cui l'Europa aveva di-sgraziatamente anche troppo resistito, è di fatto ampiamente fittizia e in ogni caso non generalizza-bile, perché si basa su trasferimenti di capitali che implicano la stagnazione dei partner. Per tutti i segmenti del sistema produttivo reale, la crescita degli Stati Uniti non è stata migliore di quella eu-ropea. Il "miracolo americano" si è alimentato esclusivamente della crescita delle spese prodotte dall'aggravarsi delle disuguaglianze sociali (servizi finanziari e personali: legioni di avvocati e guardie private ecc.). In questo senso, il liberismo di Clinton ha di fatto preparato le condizioni che hanno permesso la ripresa reazionaria e la vittoria successiva di Bush figlio. Inoltre, come sostiene Todd (p. 84) "gonfiato in maniera fraudolenta, il Pil americano comincia a somigliare, per l'affidabilità statistica, a quello dell'Unione Sovietica". Il mondo produce, gli Stati Uniti (con un risparmio nazionale praticamente nullo) consumano. Il "vantaggio" degli Stati Uniti è quello di un predatore il cui deficit è coperto dall'apporto degli altri, consensuale o forzato. I mezzi usati da Washington per compensare le sue deficienze sono di natura diversa: violazioni unilaterali e ripetute dei principi del liberismo, esportazione di armi (60% del mercato mondiale) largamente imposte ad alleati subalternizzati (che per di più - come i paesi del Golfo - non le useranno mai), ricerca di superprofitti petroliferi (che suppongono la regolamenta-zione dei produttori, motivo reale delle guerre in Asia centrale e in Iraq). Ma di fatto il deficit ame-ricano è coperto essenzialmente dagli apporti di capitale proveniente dall'Europa e dal Giappone, dal Sud (paesi petroliferi ricchi e classi compradoras di tutti i paesi del terzo mondo, compresi i più poveri), ai quali va aggiunto il prelievo a titolo di servizio del debito imposto alla quasi totalità dei paesi della periferia del sistema mondiale. La ragioni del persistere del flusso di capitali che alimenta il parassitismo dell'economia e della so-cietà americana e permette alla superpotenza di vivere giorno per giorno sono certamente complesse. Ma non sono affatto le pretese "leggi del mercato", aventi caratteristiche di razionalità e inevitabilità. La solidarietà dei segmenti dominanti del capitale transnazionale di tutti i partner della triade è reale, e si esprime nella loro adesione al neoliberismo globalizzato. In questa prospettiva gli Stati Uniti sono visti come i difensori (militari, se necessario) di questi "interessi comuni". Ma resta il fatto che Washington non intende condividere equamente i profitti della sua leadership. Gli Stati Uniti si sforzano invece di trasformare gli alleati in vassalli, e in questo senso sono pronti ad accordare agli alleati subalterni della triade solo concessioni di poco conto. Questo conflitto di interessi del capitale dominante è destinato ad acutizzarsi al punto di portare a una rottura nell'alleanza atlantica? Non è impossibile, ma è poco probabile. Il conflitto più promettente si apre su un altro terreno. Quello delle culture politiche. In Europa resta sempre possibile un'alternativa di sinistra. Essa imporrebbe contemporaneamente una rottura con il neoliberismo (e l'abbandono della vana speranza di sottomettere gli Stati Uniti alle sue esigenze, permettendo al capitale europeo di sferrare battaglia sul terreno non minato della concorrenza economica) e con l'allineamento sulle strategie politiche degli Stati Uniti. Il surplus di capitali che l'Europa si rassegna a "piazzare" negli Stati Uniti potrebbe allora venir investito per un rilancio economico e sociale, impossibile senza quello. Ma se l'Europa scegliesse di dare priorità al proprio slancio economico e sociale, minerebbe la salute artificiale dell'economia degli Stati Uniti e la classe dirigente americana dovrebbe affrontare i propri problemi sociali. Questo è il senso che io presto alla mia conclusione "l'Europa o sarà di sinistra o non sarà". Per arrivarci bisogna abbandonare l'illusione che tutti giochino lealmente la carta del liberismo e che in questo caso tutto andrebbe meglio. Gli Stati Uniti non possono rinunciare alla loro opzione in favore di una pratica asimmetrica del liberismo perché essa è il solo mezzo per compensare le loro deficienze. La "prosperità" americana ha per prezzo la stagnazione degli altri. Perché dunque prosegue il flusso di capitali a beneficio degli Stati Uniti, malgrado questi fatti evi-denti? Indubbiamente per molti il motivo è semplicemente che gli Stati Uniti sono "lo Stato dei ric-chi", il rifugio più sicuro. E' questo il caso per le borghesie compradoras del terzo mondo. Ma per gli europei? Il virus liberistico - e la convinzione ingenua che gli Stati Uniti finiranno per accettare "il gioco del mercato" - opera qui con potenza sicura presso grandi opinioni pubbliche. In questo spirito, il principio della "libera circolazione dei capitali" è stato reso sacro dal Fmi. Di fatto, serve agli Stati Uniti per coprire il proprio deficit pompando i surplus finanziari generati altrove con le politiche neoliberiste, cui essi peraltro si sottopongono in maniera molto selettiva. Tuttavia per il grande capitale dominante i vantaggi del sistema superano gli inconvenienti: i tributi che bisogna pagare a Washington per assicurarne la permanenza. Ci sono paesi qualificati come "paesi poveri indebitati" che sono costretti a pagare. Ma c'è anche un "paese potente indebitato" di cui bisogna sapere che non rimborserà mai i suoi debiti. Questo au-tentico tributo imposto dal ricatto politico degli Stati Uniti ne risulta pertanto molto fragile. 4. La scelta militarista dell'establishment degli Stati Uniti si situa in questa prospettiva. Non è altro che l'ammissione da parte degli Stati Uniti di non avere altri mezzi a disposizione per imporre la lo-ro egemonia economica. Le cause che stanno all'origine dell'indebolimento del sistema produttivo statunitense sono com-plesse. Non sono certo congiunturali, e quindi correggibili con l'adozione - per esempio - di un tas-so di cambio corretto, o con la costruzione di un rapporto più favorevole fra salari e produttività. Le cause sono strutturali. La mediocrità del sistema educativo generale e della formazione - prodotto di un pregiudizio tenace che favorisce sistematicamente il privato rispetto al servizio pubblico - è una delle ragioni principali della crisi profonda attraversata dalla società degli Stati Uniti. Ci si dovrebbe stupire quindi che gli europei, invece di trarre le conclusioni imposte dalla constata-zione dell'insufficienza economica degli Stati Uniti, si attivino al contrario a imitarli. Anche qui il virus liberistico non spiega tutto, anche se svolge una funzione utile per il sistema, paralizzando la sinistra. La privatizzazione a oltranza, lo smantellamento dei servizi pubblici non potranno che ri-durre i vantaggi comparativi di cui beneficia ancora la "vecchia Europa" (come la chiama Bush). Ma quali che siano i danni che provocheranno a lungo termine, tali misure offrono al capitale dominante - che vive sul breve termine - l'occasione di ulteriori profitti. La scelta militarista degli Stati Uniti minaccia tutti i popoli. Deriva dalla stessa logica applicata a suo tempo da Adolf Hitler: usare la violenza militare per modificare i rapporti economici e sociali a favore dello "Herrenvolk" del momento. Tale scelta, imponendosi in primo piano, determina tutte le congiunture politiche, giacché rende estremamente fragile ogni progresso che i popoli potrebbero ottenere con le loro lotte sociali e democratiche. Mettere in scacco il progetto militarista degli Stati Uniti diventa allora il compito principale, la responsabilità primaria per tutti. L'aggressione militare non si fermerà ai paesi che ne sono oggi le vittime dirette. Il controllo militare del pianeta punta direttamente alla Russia, alla Cina, all'India e all'Iran, assoggettando questi paesi al ricatto permanente di interventi militari condotti a partire dalle basi militari permanenti che gli Stati Uniti installano in Medio Oriente e in Asia centrale, mentre l'Europa viene subalternizzata mediante il controllo esclusivo che Washington esercita sulle risorse petrolifere più importanti del pianeta. Nello stesso modo il Piano Colombia costituisce una minaccia permanente di intervento diretta principalmente contro il Brasile. L'establishment di Washington non cela le sue intenzioni: ha orrore dei "paesi grandi" che un giorno o l'altro potrebbero resistergli, ed è deciso ad impedire con ogni mezzo - inclusi quelli militari - che quelli arrivino a svilupparsi abbastanza da sfidarlo. La lotta per mettere in scacco il progetto degli Stati Uniti è certamente multiforme. Assume aspetti diplomatici (difendere il diritto internazionale), militari (si impone il riarmo di tutti i paesi del mondo per fronteggiare le aggressioni di Washington - senza dimenticare che gli Stati Uniti hanno utilizzato le armi nucleari quando ne avevano il monopolio e vi hanno rinunciato solo quando non lo avevano più) e politici (in particolare per quanto riguarda la costruzione dell'Europa e la ricostruzione di un fronte di paesi non allineati). Il successo di questa lotta dipenderà dalla capacità di liberarsi delle illusioni liberistiche. Non ci sarà mai un'economia globalizzata autenticamente liberistica. Eppure si tenta e si continuerà a tentare con ogni mezzo di farlo credere. I discorsi della Banca mondiale operano come una specie di Ministero della propaganda di Washington, parlano di "democrazia" e di "buona governance" o di "riduzione della povertà", e non hanno altra funzione che il rumore mediatico, come quello organizzato intorno a Joseph Stiglitz, che ha detto qualche verità elementare, affermandola con arrogante autorità, senza peraltro trarne la minima conclusione che rimetta in discussione i tenaci pregiudizi dell'economia volgare. La ricostruzione di un fronte del Sud, capace di dare alla solidarietà dei popoli d'Asia, d'Africa e della Tricontinentale una capacità di agire sul piano mondiale, passa anch'essa per la liberazione dalle illusioni di un sistema liberistico mondializzato "non asimmetrico", che permetterebbe alle nazioni del terzo mondo di superare i loro "ritardi". Non è ridicolo vedere alcuni paesi del Sud che reclamano "l'attuazione dei principi del liberismo, ma senza discriminazioni", meritandosi gli applausi della Banca mondiale? Da quando la Banca mondiale difende il terzo mondo contro gli Stati Uniti? La lotta contro l'imperialismo e la scelta militare degli Stati Uniti è compito di tutti i popoli, delle sue vittime principali in Asia, Africa e America Latina, dei popoli europei e giapponesi condannati alla subordinazione, ma anche del popolo statunitense. Rendiamo omaggio qui al coraggio di tutti coloro che "nel cuore della bestia" rifiutano di abbassare la testa, come i loro predecessori hanno ri-fiutato di arrendersi al maccartismo degli anni cinquanta. Come coloro che hanno osato resistere a Hitler, essi hanno conquistato tutti i titoli di nobiltà che la storia può accordare. La classe dirigente degli Stati Uniti sarà capace di abbandonare il progetto criminale cui si è alleata? Una domanda cui non è facile rispondere. Poco o niente nella formazione storica della società degli Stati Uniti lo fa-vorisce. Il partito unico del capitale, di cui nessuno negli Usa contesta il potere, non ha rinunciato all'avventura militare. In questo senso la responsabilità di tale classe nel suo insieme non ne è certo attenuata. Il potere di Bush junior non è quello di una "cricca" - i petrolieri e l'industria bellica. Come in tutta la storia moderna degli Usa il potere dominante non è mai stato altro che quello in particolare di una coalizione di interessi di segmenti del capitale (mal definiti come "lobbies"). Ma questa coalizione può governare solo se gli altri segmenti lo accettano. In mancanza di tale consenso può succedere tutto in questo paese così poco rispettoso del diritto. Evidentemente, qualche in-successo sul piano politico, diplomatico e forse anche militare potrebbe incoraggiare le minoranze che entro l'establishment degli Stati Uniti accetterebbero di rinunciare alle avventure militari in cui il loro paese è impegnato. Sperare di più mi sembra ingenuo, come lo erano a suo tempo le speranze che Hitler finisse per moderarsi. Se avessero reagito nel 1935 o nel 1937, gli europei sarebbero riusciti a fermare il delirio hitleriano. Reagendo soltanto nel settembre del 1939, si sono inflitti le decine di milioni di vittime della seconda guerra mondiale. Facciamo in modo che di fronte ai neo-nazisti di Washington la risposta sia più tempestiva. Traduzione di Nunzia Augeri
- Prev by Date: Fw: Convegno "don Tonino Vescovo secondo il Concilio" CS/1
- Next by Date: Impressioni d'aprile: Note sulla situazione politica italiana
- Previous by thread: Fw: Convegno "don Tonino Vescovo secondo il Concilio" CS/1
- Next by thread: Impressioni d'aprile: Note sulla situazione politica italiana
- Indice: