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Chi ha pianificato il saccheggio dei musei nazionali iracheni?
- Subject: Chi ha pianificato il saccheggio dei musei nazionali iracheni?
- From: "José F. Padova" <jospadov at tin.it>
- Date: Thu, 24 Apr 2003 09:09:52 +0200
Traffici coloniali Traffici coloniali Chi ha pianificato il saccheggio dei musei nazionali iracheni? R. N. per il Réseau Voltaire, 17 avril 2003 (http://www.reseauvoltaire.net/article9534.html) (traduzione dal francese di José F. Padova) In una settimana i sette più grandi musei nazionali iracheni sono stati messi a sacco e la Biblioteca nazionale è stata incendiata. Il più antico Stato del mondo è stato spossessato dell'essenza dei suoi tesori archeologici e artistici sotto lo sguardo impassibile delle Forze della Coalizione. Tuttavia, quando questi avvenimenti sono stati presentati dalle agenzie di stampa statunitensi come una conseguenza del del caso nel quale il Paese è piombato, personalità internazionali non hanno tardato a denunciare una vasta operazione di spoliazione organizzata da un gruppo di mercanti d'arte occidentali. L'UNESCO ha richiamato il divieto di commercializzare le opere rubate. Il presidente Chirac ha definito queste ruberie «crimini contro l'umanità», facendo capire che avrebbero potuto essere organizzati da un governo. Per evitare che lo scandalo si ripercuota sulla Casa Bianca il Consigliere agli Affari culturali del presidente Bush ha presentato le sue dimissioni. I saccheggi hanno avuto luogo nelle città «liberate» dalla Coalizione. Asif Mohammed, conservatore del museo di Mossul, che fa parte delle istituzioni culturali messe a sacco, ha confermato ai nostri colleghi del Guardian la presenza in città delle truppe statunitensi quando il saccheggio ha avuto luogo. Ciononostante nessun provvedimento è stato preso per proteggere il museo. Stessa scena durante la depredazione del Museo Nazionale di Bagdad, dove l'80% dei circa 150.000 pezzi sono stati rubati, secondo Moayyed Saïd al-Damergi, consigliere dell'ex ministro della Cultura. «I carri armati americani erano stazionati davanti all'entrata principale del Museo quando i predatori l'hanno svaligiato sotto il naso dei soldati», afferma il signor Damergi, professore di Archeologia all'Università di Bagdad, riferisce un dispaccio dell'AFP, «abbiamo chiesto aiuto ai soldati per fermare i saccheggiatori, ma ci hanno risposto che non avevano istruzioni di intervenire». I più eminenti archeologi avevano avvertito la Coalizione dei rischi di ruberie dalle disastrose conseguenze. Specialisti statunitensi si erano fatti ricevere al Pentagono molto prima dell'inizio dei combattimenti con lo scopo di rendere attenti i militari sulla «probabilità di saccheggi dei siti storici», e avevano consegnato elenchi dei siti da proteggere: «Erano stati informati. Tutto ciò si sarebbe potuto evitare», denuncia Jeremy Black, specialista di Iraq antico all'Università di Oxford. Ma paradossalmente, malgrado la messa in guardia da parte degli esperti internazionali, nulla è stato fatto per impedire l' hold-up dei musei. La Coalizione in un primo tempo ha argomentato affermando che questa missione non era di sua competenza, ma poi, di fronte all'emozione internazionale, pone ora sé stessa come prode difensore del patrimonio culturale iracheno. Il Segretario di Stato USA, Colin Powell, ha dichiarato a Washington il 14 aprile che «gli Stati Uniti chiedono alla popolazione di restituire ogni oggetto rubato e danno le istruzioni relative a come fare. L'Ufficio della ricostruzione e degli Affari umanitari aiuterà gli Iracheni e gli esperti internazionali per la restituzione degli oggetti e per la ricostituzione dei cataloghi danneggiati dai saccheggiatori». Sciaguratamente troppo tardi. Non si può che deplorare come l'esercito statunitense non abbia avuto il medesimo zelo nel proteggere i musei che ha invece applicato a salvaguardare i pozzi di petrolio. A Bagdad il solo edificio ufficiale protetto dalle forze coalizzate durante i saccheggi era il ministero del Petrolio. E' ordinariamente ammesso che il petrolio iracheno è appetito dagli statunitensi. Ma altri fatti fanno pensare che le loro brame non si fermino lì. La professionalità dei saccheggi prova che non possono essere opera della sola popolazione irachena. Se normali cittadini vi hanno senza dubbio preso parte, tutto sembra indicare che vi abbiano ugualmente partecipato dei professionisti del mercato d'arte antica. Donny George, direttore delle ricerche e degli studi del Museo Nazionale Iracheno di Bagdad è convinto che i ladri erano professionisti. In una dichiarazione all'AFP afferma «che [i predatori] non hanno toccato le copie, hanno rubato gli originali. Si tratta di un'operazione di furto organizzato». Il direttore del Museo medesimo parla di complicità interne, perché i ladri hanno messo le mani sulle opere più preziose quando queste erano state messe in cassaforte all'inizio dei bombardamenti. Secondo The Independent i computer del Museo Nazionale di Bagdad, che contenevano l'inventario delle collezioni, sono stati vandalizzati al punto che si ignora tutt'ora se le informazioni registrate sui dischi fissi si possono ricuperare o no. La sparizione di questi cataloghi intralcerebbe in particolare le disposizioni rivolte ad impedire la rivendita delle opere sul mercato internazionale. In altre parole, i professionisti non avrebbero potuto fare meglio. In una lettera indirizzata agli Stati membri della Coalizione, pubblicata sul Guardian, nove eminenti archeologi invocano la protezione delle istituzioni culturali e la vigilanza internazionale per impedire la vendiat di oggetti d'arte iracheni rubati. Questi esperti denunciano ugualmente con indignazione un gruppo creato nel 1994, l'American Council for Cultural Policy (ACCP), che secondo il New York Times ha negoziato con il Dipartimento di Stato e con il Dipartimento della Difesa degli USA, prima dello scoppio del conflitto, perché fosse ammorbidita la legislazione che protegge l'Iraq dalla spoliazione del suo patrimonio storico. Lo scopo sarebbe quello di poter esportare dall'Iraq le antichità, commercio vietato, dalla fine del mandato britannico nel 1924 in poi, da una legge resa più severa nel 1975. Questi archeologi temono che gli Stati Uniti approfittino del governo di amministrazione fiduciaria che installano ora in Iraq per modificare e rendere più blanda la legislazione locale sulle esportazione delle opere d'arte e delle antichità e acconsentire così alle richieste dell'ACCP. L'eredità culturale irachena è minacciata? La Coalizione ostenta ufficialmente una certa preoccupazione di risparmiare i siti storici dai bombardamenti. Non manca anche di far sapere di aver messo in piedi una sezione incaricata «della protezione del patrimonio iracheno», diretta da un ufficiale della riserva, antropologo nella vita civile, e fa sfoggio di grandi cure per non provocare catastrofi archeologiche. Ma le trattative della Coalizione con l'ACCP e il non intervento dei soldati accrediatno la tesi di un sacheggio organizzato nella più pura tradizione coloniale. Lo scopo principale riconosciuto dal presidente dell' ACCP, Ashton Hawkins, avvocato specializzato nel commercio d'arte, è quello di unire i suoi membri influenti come contrappeso alle legislazioni «intralcianti» dei Paesi ricchi di patrimoni archeologici. L' ACCP auspica ugualmente la revisione del Cultural Property Implementation Act (Convenzione statunitense del 1983 destinata a frenare il saccheggio culturale e storico), per ridurre a zero gli sforzi fatti dalle nazioni straniere per bloccare l'importazione negli Stati Uniti delle loro antichità. La terza battaglia ufficiale dell' ACCP è rivolta a scoraggiare il ricorso alla giurisprudenza acquisita, conosciuta sotto il nome di1977 US v McClain, che si appoggia sul National Stolen Property Act (legge USA che punisce tanto il ladro quanto il ricettatore. Nel febbraio 2002 ha permesso la condanna di Frederick Schultz, grande commerciante americano di antichità, già presidente della National Association of Dealers in Ancient, Oriental and Primitive Art, per aver ricevuto consapevolmente da un negoziante inglese alcune antichità egiziane rubate). Convinto sostenitore della dottrina liberale dell'amministrazione Bush, Ashton Hawkins ci tiene a precisare che, per l' ACCP, «la dispersione del materiale culturale attraverso il mercato è uno dei mezzi migliori per proteggerlo».Da quando l'ambiente archeologico denuncia sulla stampa i suoi maneggi, l' ACCP smentisce ogni accusa di voler fare modificare la legislazione irachena sulle antichità e al contrario avanza l'offerta che avrebbe fatto al Pentagono di portare un aiuto finanziario e materiale per la conservazione delle opere e per la ricostruzione degli istituti culturali iracheni. Nondimeno le trattative indirizzate alla liberalizzazione del mercato dell'arte antica, avviate con il governo degli Stati Uniti, erano state giudicate «incoraggianti» prima dell'inizio delle razzie. Su istruzioni del segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, il direttore generale dell'UNESCO, Koïchiro Matsuura, ha moltiplicato le iniziative. Con l'aiuto del British Museum ha inviato sul posto una missione per valutare l'ampiezza dei furti. Questa mattina, 17 aprile, ha organizzato a Parigi un consulto di esperti per definire una strategia adeguata. All'uscita da questa riunione uno dei partecipanti, McGuire Gibson, professore all'Università di Chcago, ci ha dichiarato : «I saccheggi sono stati pianificati dall'esterno dell'Iraq». Koïchiro Matsuura ha annunciato la creazione di un fondo speciale per il patrimonio culturale iracheno e poi ha lanciato un appello per statuire un embargo internazionale sugli oggetti d'arte iracheni. Soprattutto ha reclamato l'adozione di una risoluzione ad hoc da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, facendo così sapere che la responsabilità dei saccheggi ricade su degli Stati. Senza atendere oltre Martin Sullivan, presidente del Comitato consultivo degli Affari culturali USA, ha presentato al presidente Bush le sue dimissioni affinché lo scandalo non ricada sulla Casa Bianca. Testo originale: Trafics coloniaux Qui a planifié le pillage des musées nationaux irakiens ? R. N. pour le Réseau Voltaire 17 avril 2003 http://www.reseauvoltaire.net/article9534.html En une semaine, les sept plus grands musées nationaux irakiens ont été pillés et la Bibliothèque nationale a été incendiée. Le plus vieil État du monde a été dépossédé de l'essentiel de ses trésors archéologiques et artistiques sous le regard impassible des forces de la Coalition. Cependant, alors que ces événements ont été présentés par les agences de presse états-uniennes comme une conséquence du chaos dans lequel le pays est plongé, des personnalités internationales n'ont pas tardé à dénoncer une vaste opération de spoliation organisée par un groupe de marchands d'art occidentaux. L'UNESCO a appelé à l'interdiction de commercialisation des œuvres volées. Le président Chirac a qualifié ces cambriolages de « crimes contre l'humanité » insinuant qu'ils auraient pu être ordonnés par un gouvernement. Pour éviter que le scandale ne rejaillisse sur la Maison-Blanche, le conseiller aux Affaires culturelles du président Bush a présenté sa démission. Les pillages ont eu lieu dans des villes « libérées » par la Coalition. Asif Mohammed, conservateur du musée de Mosul, qui fait partie de la liste des institutions culturelles pillées, a attesté à nos confrères du Guardian de la présence des troupes états-uniennes dans la ville lorsque le pillage a eu lieu. Pourtant, aucune action n'a été entreprise pour protéger le musée. Même scénario lors du saccage du Musée National de Bagdad, dont 80 % des quelques 150 000 pièces ont été dérobées, selon Moayyed Saïd al-Damergi, conseiller de l'ancien ministre de la Culture. « Les chars américains étaient stationnés devant l'entrée principale du musée, lorsque les pillards l'ont mis à sac sous le nez des soldats », affirme M. Damergi, professeur d'Archéologie à l'université de Bagdad, rapporte une dépêche AFP, « nous avons demandé de l'aide aux soldats pour s'opposer aux pillards, mais ils nous ont répondu qu'ils n'avaient pas d'instructions pour intervenir ». Les plus éminents archéologues avaient prévenu la Coalition des risques de vols aux conséquences désastreuses. Des spécialistes états-uniens avaient été reçus au Pentagone bien avant le début des combats afin de sensibiliser les militaires à « la probabilité des pillages de sites historiques », identifiant les sites sensibles à protéger. « Ils étaient informés. Tout ça aurait pu être évité » dénonce Jeremy Black, spécialiste de l'Irak antique à l'université d'Oxford. Mais de manière paradoxale, malgré les mises en gardes adressés par des experts internationaux, rien n'a été entrepris pour empêcher le hold-up de musées. La Coalition a argué dans un premier temps que cette mission n'était pas de son ressort, puis, devant l'émoi international, elle se pose aujourd'hui en preux défenseur du patrimoine culturel irakien. Le secrétaire d'État états-unien, Colin Powell, a déclaré, le 14 avril à Washington, que « les États-Unis appellent la population à rendre tout objet volé et lui donnent des instructions sur la façon de procéder. Le Bureau de la reconstruction et des affaires humanitaires aidera les Irakiens et les experts internationaux à restaurer les objets et à reconstituer les catalogues endommagés par les pilleurs ». Malheureusement trop tard. On ne peut que déplorer que l'armée états-unienne n'ait pas eu le même empressement à protéger les musées qu'à sécuriser les puits de pétrole. À Bagdad, le seul bâtiment officiel protégé par les forces coalisées durant les pillages était le ministère du Pétrole. Il est communément admis que le pétrole irakien est convoité par les états-uniens. Mais d'autres faits laissent penser que leur convoitise ne s'arrête pas là. Le professionnalisme des pillages prouve qu'ils ne peuvent être le fait de la seule population irakienne. Si des citoyens ordinaires y ont sans doute pris part, tout semble indiquer que des professionnels du marché de l'art antique y ont également participé. Donny George, directeur de recherche et d'études au Musée National Irakien de Bagdad, est convaincu que les voleurs étaient des professionnels. Dans une déclaration à l'AFP, il affirme « que [les pillards] n'ont pas touché aux copies, ils ont volé les originaux. C'est une opération de vol organisé ». Le directeur de ce même musée parle, lui, de complicités internes, les pillards ayant mis la main sur les œuvres les plus précieuses alors que celles-ci avaient été placées en chambre forte au début des bombardements sur Bagdad. Selon The Independent, les ordinateurs du Musée National de Bagdad, qui contenaient le recensement des collections, ont été vandalisés au point que l'on ignore encore à l'heure actuelle si les informations stockées sur les disques durs sont récupérables ou non. La disparition de ce recensement compliquerait singulièrement les dispositifs visant à empêcher la revente des œuvres sur le marché international. Autrement dit, des professionnels n'auraient pu mieux faire. Dans une lettre adressée aux États-membres de la Coalition, publiée dans le Guardian, neuf éminents archéologues appellent à une protection des institutions culturelles et à une vigilance internationale pour empêcher la revente d'objets d'art irakiens volés. Ces experts dénoncent également avec indignation un groupement créé en 1994, l'American Council for Cultural Policy (ACCP), qui, selon le New York Times, a négocié avec le département d'État et le département de la Défense états-uniens avant le début du conflit pour assouplir la législation qui protège l'Irak de la spoliation de son patrimoine historique. Le but serait de pouvoir exporter d'Irak des antiquités, commerce interdit depuis la fin du mandat britannique, en 1924, par une loi, renforcée en 1975. La crainte de ces archéologues est que les États-Unis profitent du gouvernement de tutelle qu'ils installent en Irak pour modifier et assouplir la législation locale sur l'exportation des œuvres d'art et d'antiquités, et ainsi accéder à la requête de l'ACCP. L'héritage culturel irakien est-il menacé ? La Coalition affiche officiellement un souci d'épargner les sites historiques de tout bombardement. Elle ne manque pas de faire savoir qu'elle a mis en place une section chargée « de la protection du patrimoine irakien », dirigée par un officier réserviste, anthropologue dans le civil , et affiche un grand souci de ne pas provoquer de catastrophe archéologique. Mais les tractations de la Coalition avec l'ACCP et la non-intervention de ses soldats accréditent la thèse d'un pillage organisé dans la plus pure tradition coloniale. Le principal but avoué par le président de l'ACCP, Ashton Hawkins, avocat spécialisé dans le commerce d'art, est d'unir ses membres influents comme un contrepoids aux législations « rétentionnaires » des pays riches en patrimoine archéologique. L'ACCP souhaite également la révision du Cultural Property Implementation Act (Convention états-unienne de 1983 destinée à freiner le pillage culturel et historique), pour réduire à néant les efforts faits par des nations étrangères pour bloquer l'importation de leurs antiquités aux États-Unis. Le troisième combat officiel de l'ACCP est de décourager le recours à la jurisprudence connue sous le nom de 1977 US v McClain, qui s'appuie sur le National Stolen Property Act (loi états-unienne qui punit tant le voleur que le receleur. Elle a permis, en février 2002, la condamnation de Frederick Schultz, grand marchand d'antiquités américain, ancien président de la National Association of Dealers in Ancient, Oriental and Primitive Art, pour avoir reçu en connaissance de cause d'un négociant anglais des antiquités égyptiennes volées.) Convaincu par la doctrine libérale de l'administration Bush, Ashton Hawkins tient à préciser que, pour l'ACCP, « la dispersion du matériel culturel à travers le marché est l'un des meilleurs moyens pour le protéger ». Depuis que le monde archéologique dénonce dans la presse ses agissements, l'ACCP dément toute accusation de vouloir faire modifier la législation irakienne sur les antiquités et met au contraire en avant l'offre qu'elle aurait faite au Pentagone d'apporter une aide financière et matérielle pour la conservation des œuvres ainsi que pour la reconstruction des institutions culturelles irakiennes. Les tractations en vue de libéraliser le marché de l'art antique avec le gouvernement états-unien avaient pourtant été jugées « encourageantes », avant le début des pillages. Sur instructions du secrétaire général de l'ONU, Kofi Annan, le directeur général de l'UNESCO, Koïchiro Matsuura, a multiplié les initiatives. Il a envoyé, avec l'aide du British Museum, une mission sur place pour évaluer l'ampleur des vols. Il a organisé ce matin, à Paris, une consultation d'experts pour définir une stratégie adaptée. Au sortir de cette réunion, l'un des participants, McGuire Gibson, professeur à l'université de Chicago, nous a déclaré : « les pillages ont été planifiés de l'extérieur de l'Irak ». Koïchiro Matsuura a annoncé la création d'un fonds spécial pour le patrimoine culturel irakien, puis, il a appelé à prononcer un embargo international sur les objets d'art irakiens. Surtout, il a réclamé l'adoption d'une résolution ad hoc par le Conseil de sécurité des Nations Unies, signifiant ainsi que la responsabilité des pillages incombe à des États. Sans attendre, Martin Sullivan président du Comité consultatif des Affaires culturelles, a présenté sa démission au président Bush pour que le scandale ne rejaillisse pas sur la Maison-Blanche. R. N. pour le Réseau Voltaire
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