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nuovo numero del bollettino
- Subject: nuovo numero del bollettino
- From: "Ufficio d'Informazione del Kurdistan in Italia" <uiki.onlus at tin.it>
- Date: Wed, 23 Apr 2003 20:26:37 +0200
Del mondo kurdo n. 18 A cura dell'Ufficio d'Informazione del Kurdistan in Italia - Via Quintino Sella 41, 00187 Roma Tel 0642013576 / Fax. 0642013799 / uiki.onlus at tin.it / http://www.kurdistan.it C/C bancario n. 12257 intestato a UIKI-Onlus, Banca Popolare di Milano, ag. 252 Democrazia per la Turchia, libertà per il Kurdistan! di Abdullah Ocalan - KurdishObserver, 14 aprile 2003 Il Presidente del Kadek, Abdullah Ocalan, citando come esempio l'esperienza del regime di Saddam Hussein, ha ribadito come il vecchio modello dello stato nazionale è completamente fallito e ha sottolineato che per risolvere la questione kurda è necessario applicare la linea democratica: "Per quanto riguarda la questione kurda bisogna muoversi sulla linea democratica e non su quella nazionalista. I kurdi devono sviluppare tutte le alleanze e tutte le relazioni possibili anche con i loro vicini. Devono sviluppare una linea unitaria". Ocalan ha rilevato il pericolo che si venga a creare un nuovo scontro tra nazionalismi (quello kurdo e quello turco), che potrebbe finire per ripetere la situazione che si aveva all'epoca del primo PKK e che è tutt'ora presente tra Israele e Palestina: "Chiedo agli intelettuali kurdi e a quelli turchi di non essere nazionalisti. Bisogna essere uniti per la pace e la democrazia. Uniti con le popolazioni del Medio Oriente." Ocalan ha anche detto che il motto: "Democrazia per la Turchia, libertà per il Kurdistan" non è contro l'unità. Egli ha evidenziato come l'unità e l'integrità della Turchia passa attraverso la libertà e la democratizzazione della popolazione kurda: "Il benessere nel Medio Oriente ed in Asia Centrale può essere raggiunto solo in una Turchia moderna e democratica. Solo un'allenza strategica tra kurdi e turchi può rendere l'unità possible e permettere lo sviluppo della regione". Ocalan ha anche ricordato come il primo kemalismo era contro l'imperialismo ma che, oramai, non è più attuale e che il cambiamento delle condizioni generali hanno spinto la Turchia ad un punto morto. Secondo il Presidente Ocalan la guerra statunitense in Iraq è una guerra imperialista che punta a superare il sistema degli stati nazionali ed è tesa a porre in essere una "costaricarizzazione" globale (Il Costarica è spesso definito il 51° Stato dei 50 che compongono gli USA, con una sovranità fortemente limitata dalle scelte del governo di Washington). I principi strategici: 1. L'attacco all'Iraq ha creato una nuova situazione Ø Gli Usa lottano per essere un impero. Vogliono essere l'unico impero centrale. Hanno sconfitto l'URSS negli anni '90 e adesso tentano di fare lo stesso con l'Unione Europea. E' importante ribadire il superamento del concetto dello Stato Nazionale e lo sviluppo della "Costaricarizzazione". Ø Gli Stati nazionali, basati sull'idea di vecchia emancipazione nazionale, sull'esempio dell'Iraq di Saddam Hussein, sono falliti completamente. Ø La democrazia globale è l'unica soluzione a tutti i problemi di genere, classe, ai problemi etnici ed ambientali. La legittima difesa deve essere sviluppata non solo nel campo militare ma anche in quello politico e deve comprendere la politica, le amministrazioni locale e le ONGs. 2. I regimi nazionalisti siano essi islamici, real socialisti o razzisti saranno presto liquidati. La democrazia si deve preparare a rimpiazzarli. 3. Il popolo kurdo ha davanti solo due vie: quella del nazionalismo (di destra o di sinistra ma che non offre soluzione alcuna) e quella della soluzione democratica. Il fine non è quello di creare uno Stato ma di trovare una soluzione democratica alla questione kurda. 4. La linea nazionalista, imposta nel Kurdistan del sud, è sostenuta dagli Usa dalla Ue. Il KADEK deve tendere verso la democrazia e l'unità. I principi tattici: 1. per quanto riguarda la questione kurda è necessario mobilitare la linea democratica contro quella nazionalista. I kurdi, a questo proposito, debbono sviluppare il maggior dialogo possibile e tessere un'importante rete di relazioni. 2. lo sviluppo del nazionalismo potrebbe portare allo scoppio di un nuovo conflitto etnico. Bisogna evitarlo. Chiedo agli intellettuali kurdi e a quelli turchi di non essere nazionalisti. Bisogna essere uniti contro tutti i mercanti e gli usurpatori interni ed esterni. Uniti per i popoli del Medio Oriente. Concludendo il Presidente del KADEK ha affermato di sostenere l'idea del DEHAP di promuovere una Conferenza, ma attraverso la previa creazione di un Coordinameto della società democratica formato da un centinaio di intellettuali, democratrici e uomini di sinistra. La "Dichiarazione" è pronta per la discussione KurdishObserver, 7 aprile 2003 Lo scorso 2 aprile il Partito Democratico del Popolo (DEHAP) ha presentato una sua Dichiarzione che, tra le altre, contiene le seguenti istanze: "La Turchia non deve inviare truppe nel Kurdistan meridionale, il KADEK (Congresso per la Libertà e la Democrazia del Kurdistan) dovrebbe essere legalizzato, le parti dovrebbero trovare l'accordo si di una soluzione in grado di dissipare le preoccupazioni sulla questione kurda, l'identità e la cultura kurda dovrebbero essere riconosciute, le leggi che permetterebbero un allineamento ai parametri legislativi europei dovrebbero essere approvate, una amnistia generale dovrebbe essere concessa e dovrebbe essere organizzata una conferenza alla quale dovrebbero prendere parte tutte le organizzazioni e istituzioni in grado di risolvere la questione kurda". La Dichiarazione è stata presentata da Osman Ozcelik, membro del Comitato del Dehap per la Ricostruzione, ricordando che lo scopo del documento è quello di avviare una discussione sulla questione kurda, soprattutto attraverso la convocazione di una grande Conferenza: "Crediamo che gli intellettuali, gli accademici, gli artisti, tutti coloro che sono interessati alla questione kurda dovrebbero assumersi delle responsabilità a riguardo e dare il loro contributo. Per questo proponiamo una Conferenza". Presentando l'iniziativa del Dehap, Ozcelik ha ricordato che è interesse pure della Turchia essere di nuovo in armonia con i kurdi anche per evitare possibili speculazioni esterne. Sul problema della possibile creazione di uno Stato kurdo nell'Iraq del nord e sul rischio che questo Stato possa diventare un centro di attrazione per i kurdi, Ozcelik ha detto che se la Turchia cambiasse la sua politica potrebbe, a sua volta, diventare un centro di attrazione per la popolazione kurda: "La soluzione è all'interno dei nostri confini". Kadek: La partecipazione democratica è necessaria KurdishObserver, 8 aprile 2003 Gulizar Tural, del Consiglio di Presidenza del Kadek, intervenendo telefonicamente al programma televisivo "Acilim" di Mediya Tv, ha detto che le attuali evoluzioni nel Centro Oriente potrebbero avere anche degli sviluppi positivi, a patto che venga messo al centro il protagonismo dei popoli: "E' possibile trarre importanti lezioni dal passato. Se i kurdi lo ricordano potranno essere una forza importante e dinamica per la trasformazione della regione. Noi kurdi abbiamo bisogno della democrazia più che del pane e dell'acqua. E' un processo critico e pericoloso. C'è il rischio che i kurdi potrebbero essere usati contro il loro stesso popolo per partecipare a dei massacri. I kurdi devono evitare di divenire degli strumenti." Intervenendo sulla questione del possibile assetto futuro della regione, Tural ha detto che potrebbe essere giunto il momento di discutere di un nuovo assetto geopolitico della zona e che tutte le ipotesi che abbiano degli elementi di federalismo democratico e libertà per i popoli dovrebbero essere ampiamente dibattute. Commentando la posizione turca Tural ha affermato che la Turchia, anche rispetto alla questione del Kurdistan irakeno, si trova ad avere ora due alternative: ripensare la sua politica verso i kurdi o ridurre il sud ad una colonia. Lo stesso varrebbe per l'Iran e la Siria. L'esponente del Consiglio di Presidenza del Kadek ha chiuso il suo intervento insistendo sull'importanza della pratica democratica: "I kurdi devono insistere sulla soluzione democratica. Devono rafforzare le loro organizzazioni per rafforzare la pace nella regione". Costole e piedi rotti a causa delle torture Kurdish Observer, 8 aprile 2003 Emin Aladag fu arrestato nel 1995 con l'accusa di essere un membro del PKK, incarcerato nella prigione speciale di Erzurum, e condannato a 12 anni di prigione per violazione dell'articolo 168/1 del Codice penale turco senza che, tra l'altro, la condanna fosse mai stata ratificata dalla Corte Suprema. Dopo questo primo, e lungo, periodo di carcere, Aladag recentemente è stato arrestato ancora una volta dalla Squadra Antiterrorismo di Ankara che ha continuato a considerarlo ricercato. Trattenuto dal Dipartimento Antiterrorismo per la Sicurezza di Ankara, è stato poi trasferito ad Igdir, con l'accusa di essere un membro del Kadek, per 2 giorni. L'avvocato difensore di Aladag, Haydar Mizrak, ha denunciato le violenze subite dal suo assistito in questo ultimo periodo di detenzione: "Lo sono andato a trovare il 4 aprile ed era stato torturato talmente pesantemente da non poter camminare. Ha delle fratture alle costole e ai piedi. All'ospedale di Igdir hanno detto che era in buone condizioni. Non riesco a capireŠ". Divieto di chiamarsi "Rojhat" KurdishObserver, 7 aprile 2003 Sebbene la Corte Suprema avesse stabilito di eliminare il bando sui nomi kurdi, la Corte di Prima Istanza di Ayvalik ha deciso che il nome "Rojhat" non possa essere utilizzato per registrare i nati all'Anagrafe locale. Rojhat è la figlia di Abdullah Aric, abitante del distretto di Ayvalik, che aveva deciso di chiamare così la sua bambina nata il 13 Maggio del 2002. Dopo un anno di battaglie legali la sentenza definitiva, di condanna del signor Aric, è stata emessa il 12 Marzo scorso per violazione dell'articolo 16 della Legge sul Censimento. La Corte ha quindi deciso di cancellare il nome Rojhat dalla Carta di Identità della piccola. Quindi, il vecchio pronunciamento della Corte Suprema, che aboliva il bando è oramai divenuta carta straccia. I fantasmi dimenticati di Mahmura Il manifesto 20/4 pag.4 di Dino Frisullo Oltre ottomila fantasmi, di cui mille bambini e quattromila minori. Sono i profughi kurdi del campo di Mahmura, al centro del triangolo fra Erbil, Musul e Kirkuk, nel pieno del pietroso deserto infestato dagli scorpioni a cavallo del 36.mo parallelo. Le ultime a visitarli furono, nello scorso settembre, sei donne della Free Women's Foundation olandese. Già pendeva la guerra, e il messaggio che riportarono al mondo dalle donne kurde, due terzi della popolazione del campo, fu "Non dimenticateci!". Il 25 marzo le stesse donne riuscirono a collegarsi con il campo. Scoppi di artiglierie, e la conferma delle peggiori previsioni. Alla prima intimazione Usa i pochi funzionari e medici dell'Onu avevano abbandonato il campo senza preavviso lasciandolo privo di tutela e delle forniture Unhcr di cibo e medicinali, esposto alla guerra, alla carestia e alle epidemie. Da allora, silenzio. Un telefono satellitare inviato dall'Europa s'è arenato in Giordania. (Š) Sembra sia destino dei profughi di Mahmura incontrare la guerra. A differenza dei kurdi scacciati che ora tornano a Kirkuk e Mosul, questi hanno i ponti tagliati alle spalle. Fuggirono in diciassettemila dalle province turche di Hakkari, Sirnak e Yuksekova, dai villaggi rasi al suolo dai proiettili all'uranio e bruciati dal napalm. In quel rigido marzo del '94 morirono in trecento e seicento rimasero feriti o invalidi scavalcando a piedi sulle mine i crinali montani. Era la pulizia etnica: prosciugare il mare per prendere la guerriglia. Oltre confine l'Onu concesse una precaria tutela, revocata quando le loro tende, in quella ridente valle di Atrush da cui si vorrebbero provenienti gli Etruschi, furono assediate per mesi dalle truppe turche e dalle milizie allora alleate del Pdk. Morirono di stenti quaranta bambini e molti anziani. Appena la stretta s'allentò i profughi avviarono un lungo esodo verso sud, lontano dal confine turco, fermandosi a Ninowa, l'antica Ninive, e infine uscendo dalla no-fly zone e accampandosi a Mahmura. Meglio la padella irakena che la brace turca. Ci vollero tre giorni d'assedio per passare il confine. Da Baghdad non venne poi che un po' di materiale da costruzione, usato dai profughi per trasformare la tendopoli in una piccola Khan Younis. Riuscirono anche a canalizzare le acque, comunque contaminate, del fiume Zap. Nel '99 chiesero invano alle autorità turche di ritornare. Ad alcune condizioni: garanzie internazionali, ricostruzione, amnistia, fine dell'emergenza, insegnamento in kurdo. La più irrinunciabile, dicono con orgoglio, era l'ultima. Prima delle abitazioni si sono costruite infatti le scuole. (Š) Dimezzati dalle traversie, i superstiti si sono organizzati. Il consiglio di campo comprende trentasei eletti di cui sedici donne: una novità per la cultura tradizionale, assieme alla scolarizzazione delle bambine. (Š) "Per Turchia e USA i kurdi rappresentano il momento della verità", il trattamento che le due nazioni riserveranno a questa minoranza scontenta giocherà un grande ruolo nel futuro della regione. Di Graham E. Fuller, The Los Angeles Times - 21 aprile 2003 Le tensioni irrisolte fra Turchia e kurdi iracheni spingono Washington a scegliere fra Ankara l'alleato strategico di vitale importanza e l'obbligo morale di antica data a proteggere i kurdi d'Iraq. Dietro questa disputa giace una questione ancora più consistente: che tipo di diritti le minoranze etniche dovrebbero godere nel mondo moderno? Da una parte i kurdi iracheni furono collocati all'interno del nuovo stato iracheno dopo la Prima Guerra Mondiale, separati dai fratelli kurdi di Turchia, Iran e Siria. Furono brutalmente tagliati fuori dal governo di Baghdad e vorrebbero finalmente dichiararsi indipendenti benché loro stessi riconoscano che probabilmente non è realistico in tale congiuntura. Dall'altra parte, c'è la Turchia che, nonostante la sua straordinaria odissea per diventare uno stato moderno, democratico e occidentalizzato ancora riversa nelle antiche ansie e paure non appena guarda a sud verso l'Iraq, una volta parte del suo impero. (Š) per quanto riguarda i kurdi di sua competenza, la Turchia già a cominciare dal XIX secolo ha applicato la nozione per cui gli "stati-nazione" devono assicurare un'omogeneità nazionale imponendo a livello nazionale appunto l'assimilazione. Lo stato ignorò e negò l'esistenza dei kurdi turchi, mettendo al bando dall'uso pubblico la lingua, i vestiti tradizionali con l'intento di creare uno stato "turco puro". (Š) oggi, Ankara guardando verso il confine con l'Iraq, vede un altro gruppo di kurdi che tenta di radicare un'autonomia kurda nell'ambito della costituzione del nuovo Iraq e di posizionarsi per mantenere il benessere che frutta del petrolio di Kirkuk a fondamento delle ambizioni nazionaliste kurde. Tutto ciò ha una grande eco in Turchia. (Š) ma le paure della Turchia nei confronti della popolazione kurda sono fuori luogo e tradiscono una certa mancanza di autostima. In realtà, i kurdi di Turchia cercano soltanto il riconoscimento della propria esistenza come popolo e di alcuni diritti culturali, linguistici e delle amministrazioni locali. Per dar credito alla Turchia, negli ultimi decenni sono stati fatti alcuni modesti progressi per il riconoscimento di alcune di queste aspirazioni nell'intento di allinearsi alla Unione Europea. Il governo di Ankara affronta adesso un vero e proprio momento della verità. (Š) gli Stati Uniti e la Turchia stanno ormai trattando con l'affare infinito dell'eredità coloniale del Medioriente. I kurdi di Iraq accetteranno il matrimonio forzato che la Gran Bretagna gli ha imposto con gli arabi del sud? L'Iraq potrà mai funzionare in maniera conforme ad uno stato moderno, multietnico e multireligioso senza che un altro Saddam Hussein prenda piede? Sono queste le grandi questioni che Washington ha ereditato. (Graham E. Fuller è l'ex vice segretario del Consiglio d'Intelligence Nazionale della CIA ed autore di "Il futuro dell'Islam politico"). Un'altra donna muore saltando su una mina a Sirnak MHA, 21 aprile 2003 Zehra Bari, 22 anni, madre di tre figli nei dintorni del suo villaggio, Kasrik, in provincia di Sirnak è saltata su una mina mentre raccoglieva delle erbe, nei dintorni della gendarmeria dell'area. La donna è stata subito ricoverata all'ospedale della facoltà di medicina dell'Università Dicle di Diyarbakir. Alla donna con un'operazione è stata amputata di un braccio, aveva bisogno anche di un'operazione all'occhio dopo essere stata dichiarata fuori pericolo. Ma il 20 aprile è deceduta in circostanze dubbiose proprio mentre doveva essere operata all'occhio, come ha dichiarato il segretario della sede dell'Associazione dei diritti umani, Selahattin Demirtas. Secondo le dichiarazioni dei famigliari, dopo 30 minuti che la donna era stata portata in sala operatoria, i medici sono usciti dicendo che se volevano la donna poteva essere operata successivamente. Intanto, visto che era stata anestetizzata, potevano però prendersi la responsabilità dell'intervento. I famigliari dubbiosi hanno alla fine ceduto a quanto proposto dai medici e hanno firmato le carte. Appena rientrati i medici hanno restituito il corpo della donna dicendo che era deceduta. Non si è risvegliata dall'anastesia. Demitas ha dichiarato che non appena arriveranno la cartella clinica e il risultato dell'autopsia si procederà ad aprire un'inchiesta. Intanto la donna il giorno precedente aveva già dichiarato che si trovavano a cercare delle erbe in quella zona che non era indicata come militare e che nessuno li aveva avvertiti che si trattava di un'area militarizzata. Negli ultimi mesi a Sirnak ben tre persone hanno perso la vita saltando sulle mine. Gli USA chiamati a restare fuori dalle discussioni fra UE e Turchia The Financial Times, 22 aprile 2003 di gorge Parker and Judy Dempsey Le speranze della Turchia di entrare presto a far parte dell'Unione Europea rischiano di essere danneggiate dall'interferenza degli Stati Uniti, secondo Gunter Verheugen, il Commissario dell'UE per l'allargamento. Verheugen ha detto che la pressione statunitense è contro producente alla causa turca ed ha insistito che sarebbe meglio per l'UE condurre i negoziati con Ankara in sordina. Con la tensione fra alcuni stati europei e gli USA, che resta ancora alta, dopo la guerra in Iraq, Verheugen ha sollecitato Washington a restare fuori da quelle che si prospettano delle trattative difficili. (Š) Ha aggiunto che la pressione di Washington per portare la Turchia nell'UE alla prima opportunità ha già disturbato molti paesi europei nel corso del Vertice europeo di Copenhagen, quando si discuteva appunto dell'adesione di Ankara. L'opinione pubblica in alcuni stati europei, fra questi la Germania, ancora risulta divisa in merito all'adesione della Turchia ed altri temono l'interferenza della lobby americana. (Š) Alcuni ad Ankara hanno sostenuto che la crisi sull'Iraq abbia portato la Turchia più vicina all'UE. Verheugen ha aggiunto che vorrebbe che Ankara continuasse sulla via delle riforme, portandola a compimento il prima possibile e di cominciare a dimostrare a Brussel che se ne sta occupando seriamente "credo che il processo non è ancora stato portato a termine - ha detto - ancora c'è molto da fare prima che si possa parlare di applicazione delle riforme". PCDK (Partito per la soluzione democratica del Kurdistan): In Iraq c'è bisongo di un blocco democratico Kurdish Observer, 23 aprile 2003 Il partito per la soluzione democratica del Kurdistan (PCDK) ha richiamato l'attenzione sul fatto che facendo seguito alla caduta di Saddam Hussein in Iraq c'è finalmente una possibilità per instaurare la democrazia e una vita basata sulla fratellanza, proponendo la costituzione di "un blocco democratico" che comprenda tutte le forze democratiche. Il PCDK ha divulgato le decisioni prese in sede di una sua riunione straordinaria che si è svolta tra il 14 e il 17 aprile scorsi. Richiamando l'attenzione al punto critico in cui si trova il processo in atto, il partito kurdo chiama la popolazione della regione a battersi per la pace, la democrazia e la libertà. La risoluzione che è scaturita dall'incontro tenutosi per discutere circa la ricostruzione dell'Iraq vivendo liberamente e basandosi sulla fratellanza. Il PDCK ha detto che essersi sbarazzati del regime di Saddam è stato l'ultimo fallimento dello sciovinismo religioso e delle classiche politiche nazionaliste, non sottovalutando che le minacce non sono ancora state eliminate del tutto. Il partito kurdo chiama a che i kurdi, i turcomanni, gli arabi e gli assiri credano nella fratellanza dei popoli e si battano per questo. Il PCDK ha dichiarato di aver progettato una dichiarazione per la soluzione della questione irachena che al più presto renderà nota. Il PCDK ha sottolineato come anche altri regimi della regione debbano dare la priorità alla trasformazione e al cambiamento. Nella risoluzione del PDCK si indica trovandosi ora di fronte ad una nuova opportunità per i popoli della regione, ci sono le basi per instaurare la democrazia, i diritti umani, la pace e la fratellanza. Il partito kurdo fa appello affinché si costituisca un blocco democratico al quale possano prendere parte kurdi, turcomanni, assiri e arabi, insieme a tutte le forze democratiche in quanto sarebbe l'unica soluzione praticabile. Sono bambini le vittime delle mine Ozgur Politika, 23 aprile 2003 Secondo un rapporto della sede dell'Associazione per i diritti umani di Diyarbakir, sono 69 le vittime delle mine nell'area tra il 2002 e l'inizio del 2003. queste, 45 feriti e 24 hanno perso la vita, sono i maggioranza bambini. Selahattin Demirtas, segretario della sede IHD di Diyarbakir, dichiara che non esiste né il numero preciso, né tantomeno la collocazione delle mine che le forze dello stato hanno seminato nell'area durante il conflitto. Per questo possono trovarsi ovunque e i bambini che giocano nei campi sono i primi a cadere vittime delle esplosioni. Nonostante che siano state firmate numerose convenzioni internazionali non si vede alcuna volontà da parte dello stato a voler bonificare il territorio.
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