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ALTRA GEOGRAFIA - La Torre di Babele: tra il maquillage ed il gabinetto
- Subject: ALTRA GEOGRAFIA - La Torre di Babele: tra il maquillage ed il gabinetto
- From: "diego.mail" <diegooroma at libero.it>
- Date: Sun, 13 Apr 2003 17:16:38 +0200
Vi invio l'ultimo scritto del Subcomandante Marcos, come sempre lucido e presente. Diego ALTRA GEOGRAFIA La Torre di Babele: tra il maquillage ed il gabinetto XXI° Secolo. Il nuovo secolo ripete dall'alto, la vocazione dei suoi predecessori: le proposte politiche si basano sulla dominazione o sull'esclusione dell'altro. Che cosa c'è di nuovo? Come allora, oggi si ricorre alla guerra, alla menzogna, alla simulazione, alla morte. Il potere ripete la storia cercando di convincere che adesso sì che sistemerà le cose. Il progetto di mondo del neoliberismo non è altro che una riedizione della Torre di Babele. Secondo la Genesi, impegnati ad arrivare sempre più in alto, gli uomini concordano un progetto inaudito: costruire una torre talmente alta fino a raggiungere il cielo. Il dio dei cristiani punisce la loro superbia con la diversità. Parlando lingue diverse, gli uomini non possono continuare la costruzione della torre e si disperdono. Il neoliberismo tenta di costruire la stessa opera ma non per raggiungere un improbabile cielo, ma per liberarsi una volta per tutte della diversità, che considera una maledizione, e per assicurare al potere un potere eterno. L'aspirazione all'eternità in coloro che sono il potere, nasce agli inizi della storia scritta. Ma la Torre di Babele neoliberista non è intesa solo nel senso di conseguire l'omogeneità necessaria per la sua costruzione. L'uguaglianza che distrugge l'eterogeneità è uguaglianza secondo un modello. "Dobbiamo essere uguali a questo modello", ci dice la nuova religione del denaro. Gli uomini non si somigliamo l'uno all'altro, ma somigliano ad uno schema imposto da chi egemonizza, chi comanda, chi sta in alto sulla torre che è il mondo moderno. Sotto, ci sono tutti i diversi. L'unica uguaglianza esistente ai piani inferiori è la rinuncia ad essere diversi oppure optare ad esserlo in modo vergognoso. Il nuovo dio del denaro ripete la maledizione primigenia ma al contrario: sia condannato il diverso, l'altro. Al posto dell'inferno: il carcere ed il camposanto. Il boom dei guadagni delle grandi imprese multinazionali, è accompagnato dalla proliferazione di prigioni e cimiteri. Nella nuova Torre di Babele, l'attività comune è la sottomissione a chi comanda. E chi comanda lo fa solo perché supplisce alla mancanza di ragione ed eccesso di forza. L'ordine è che tutti i colori si trucchino e mostrino il fosco colore del denaro, o che vestano la loro policromia solo nell'oscurità della vergogna. Il maquillage o il gabinetto. E così per omosessuali, lesbiche, immigrati, mussulmani, indigeni, gente "di colore", uomini, donne, giovani, handicappati e tutti i nomi che definiscono gli altri in qualsiasi parte del mondo. Questo è il progetto della globalizzazione: fare del pianeta una nuova Torre di babele. In tutti i sensi. Omogenea nella forma di pensare, nella cultura, nel suo padrone. Egemonizzata da chi non possiede la ragione ma la forza. Se nella Torre di Babele della preistoria l'unanimità era possibile grazie alla parola comune (la stessa lingua), nella storia neoliberista il consenso si ottiene con gli argomenti della forza, delle minacce, delle arbitrarietà, della guerra. Premesso che vivere nel mondo è farlo in contiguità con il diverso, le opzioni che abbiamo sono tra essere dominante o dominato. Per il primo, la lista è completa e il titolo è ereditario. Al contrario, per essere dominato ci sono sempre posti vacanti e l'unico requisito è di rinnegare la differenza o nasconderla. Ma ci sono diversi che rifiutano di non essere tali. Per coloro che vivono nella torre e non sono nella cuspide, ci sono vari modi di affrontare questi "disadattati": la condanna o l'indifferenza, il cinismo o l'ipocrisia. Nelle leggi della torre neoliberista, la possibilità di accettare la differenza è penalizzata. L'unica via ammissibile è la sottomissione di questa differenza. Nell'epoca moderna lo Stato nazionale è un castello di carte esposto al vento neoliberista. Le classi politiche locali giocano al ruolo di sovrani nella decisione della forma ed altezza della costruzione, ma il potere economico da molto tempo ha smesso di interessarsi a questo gioco e lascia che i politici locali ed i loro seguaci si divertanoŠ con una carta che non appartiene loro. Dopo tutto, ciò che interessa è la costruzione della nuova Torre di Babele e, mentre non mancano le materie prima per la sua costruzione (cioè, territori distrutti e ripopolati con la morte), i capoccia ed i commissari delle politiche nazionali possono continuare con lo spettacolo (sicuramente il più costoso del mondo e con il minor pubblico). Nella nuova torre, l'architettura è la guerra al diverso, le pietre sono le nostre ossa e la malta è il nostro sangue. Il grande assassino si nasconde dietro il grande architetto (che se non si autodefinisce "Dio" è perché non vuole peccare di falsa modestia). Nel racconto biblico, il dio cristiano punisce la superbia degli uomini con la diversità. Nella storia moderna del potere, dio non è altro che l'agente per le pubbliche relazioni di guerra (che può essere definita moderna solo per il numero di morti e la quantità di distruzione che compie al minuto). II.- La geografia delle parole Che la preistoria sia terminata tre anni fa o 20 secoli fa non sembra essere importante. Là in alto, colo che sono potere e destino, sono impegnati a convincerci che la storia si ripete, nonostante quanto dimostrino i calendari. L'annichilimento del diverso è sempre una moda attuale. Essenzialmente, non c'è niente di diverso dalle catapulte dell'Impero romano e le "bombe intelligenti" di Bush, adesso il progresso tecnologico funziona come il nuovo cappellano delle truppe di occupazione (dipinge di bontà ciò che non cessa di essere un crimine a distanza) e la scenografia spettacolare (i bombardamenti in televisione diventano un intrattenimento pirotecnico "affascinante" - CNN dixit - ). Senza badare se ce ne rendiamo conto o no, il potere costruisce ed impone una nuova geografia delle parole. I nomi sono gli stessi, ma è cambiato il nominato. Quindi, l'errore è la dottrina politica mentre il senno è eresia. Il diverso adesso è il contrario, l'altro è il nemico. La democrazia è l'unanimità nell'obbedienza. La libertà è solo la libertà di scegliere il modo di nascondere la nostra differenza. La pace è la sottomissione passiva. La guerra, adesso, è un sistema pedagogico per insegnare la geografia. Dove mancano le ragioni, pullulano i dogmi. Il dogma primo sostiene la causa, poi la deforma e la trasforma in destino. Nella prospettiva del potere, l'orizzonte è sempre lo stesso, immutabile ed eterno. La lente del potere è uno specchio. Il diverso sarà sempre inaspettato, e all'inaspettato si opporrà sempre la paura. E la paura si farà sempre forte del dogma per schiacciare l'inaspettato. Nella prospettiva del potere, il mondo è piatto, sbiadito e sudicio. Se uno statista non può essere ricordato per la sua opera umanitaria, allora che sia ricordato per la sua opera criminale. Così, la storia del potere si ripete: le "eminenze" di ieri oggi indossano tutte le loro bassezze e rancori. Gli "illuminati da Dio" di oggi, saranno gli eretici di domani. Le parole cambiano ed anche le immagini. Prima, nella geografia delle statue, il dogma si faceva pietra ad onore dei suoi fanatici. Oggi, è sulle copertine delle riviste, dei periodici e nei notiziari televisivi e radiofonici che il dogma conserva la memoria di se stesso nelle emeroteche e si assicura di servire da alibi ai continuatori degli incubi fondamentalisti. Nella moderna teoria dello Stato, gli esseri umani nascono diversi. Il loro inglobamento nella società avviene attraverso un processo di educazione che farebbe l'invidia del riformatorio più crudele. Lo sforzo di tutto l'apparato dello Stato è rivolto ad "ugualizzare" quegli esseri umani, cioè, ad egemonizzarli sotto un'egemonia: quella di chi comanda. Il grado di successo sociale, quindi, si misura in base a quanto si avvicina o allontana da un modello. L'omogeneità non è il fatto che tutti siamo uguali, ma che tutti si cerchi di essere uguali a quel modello. Ed il modello è quello che costruisce chi è al potere. L'egemonia non è solo il fatto che uno comandi, ma, soprattutto, che tutti si sforzino di obbedirgli. Questa è l'omogeneità, non tutti possediamo le stesse ricchezze (senza parlare poi del fatto che solo pochi ne posseggono a costo di molti altri) né le stesse opportunità, ma abbiamo lo stesso padrone e la stessa volontà di obbedirgli (un altro modo per dire "servirlo). Quando ci si rende simili in società con la famiglia e ci si dice che ci devono essere regole per la convivenza, si "dimentica" che il problema sono "quelle" determinate regole. Così, le parole cambiano la geografia, non dicono più quello che significano, ma quello che vuole che significhino chi è al potere. In qualche momento della storia moderna, la legalità supplisce la legittimità e quando la legalità viene infranta da chi sta in alto, le leggi si devono adeguare. Quando viene infranta da chi sta in basso, invece, si devono applicare le leggiŠ. per punire la sua mancata osservanza. III.- La geografia del potere Nella geografia del potere, non si nasce in qualche parte del mondo, ma con la possibilità o meno di dominare qualsiasi parte del pianeta. Se prima il pretesto della superiorità era l'appartenenza alla razza, ora è la geografia. Chi abita al nord non è inteso nel nord geografico, ma nel nord sociale, cioè, sta in alto. Chi vive al sud, sta in basso. La geografia si è semplificata: c'è un sopra ed un sotto. Lo spazio in alto è angusto e ci stanno in pochi. Lo spazio sotto è talmente ampio che contiene qualsiasi luogo del pianeta e c'è posto per tutta l'umanità. Nella moderna Torre di babele, una società si definisce superiore se ne conquista altre, non se presenta maggiori progressi scientifici, culturali, artistici, migliori condizioni di vita, migliore convivenza. Nell'epoca moderna, il potere conduce guerre multiple di conquista. E non dico "multiple" nel senso di "molte", ma nel senso di "in molte parti ed in molti modi". Quindi, le guerre mondiali oggi sono più mondiali che mai. Per cui, se il vincitore continua ad essere uno solo, i vinti sono molti e dappertutto. Con l'argomento delle bombe si aggiudicano gli spazi: chi le sgancia sta al nord, "sopra" sulla torre: chi le riceve sta sotto, al sud. Ma, non sono le bombe che modificano la geografia. Le bombe cambiano la distribuzione della geografia, il suo dominio. Così, in questo spazio delimitato da punti e linee, ora domina uno, domani un altro. E' quello che si chiama "geopolitica". In realtà le cartine geografiche non indicano ricchezze naturali, persone, culture, storie, ma indicano chi sono i padroni di quelle mappe. Per il potente, l'umanità intera è un bambino che può solo essere o docile o ribelle. Le bombe ricordano all'infante umano la convenienza di essere uno e l'inconveniente di essere altro. Oggi, i civili in Iraq, uomini, bambini, donne ed anziani, improvvisamente hanno qualcosa in comune con il prospero impresario americano. Lui fabbrica i missili cruise, loro li ricevono. Gli eserciti di Stati Uniti e Gran Bretagna sono solo gli amabili postini che uniscono due punti tanto lontani geograficamente. Quindi, dobbiamo solo ringraziare persone come Bush, Blair e Aznar di essersi presi il disturbo di essere nati nella nostra epoca. Senza persone come loro sarebbe impensabile la geografia moderna. Ma questa guerra non è contro l'Iraq, o non solo contro l'Iraq. E' contro tutti i tentativi, presenti o futuri, di disobbedire. E' una guerra contro la ribellione, cioè, contro l'umanità. Nei suoi effetti è una guerra mondiale e, soprattutto, nel NO che questi effetti suscitano. IV. Il destino di Polifemo La guerra dell'asse tragicomico Bush-Blair-Aznar e dei loro azzeccagarbugli nelle "democrazie" occidentali, ha già subito il primo fallimento. Ha tentato di convincerci che l'Iraq è in Medio Oriente, ma no. Come dice qualsiasi libro di geografia che si rispetti, l'Iraq è in Europa, nell'Unione Americana, in Oceania, in America Latina, nelle montagne del sudest messicano e in quel "NO" mondiale e ribelle che traccia una nuova mappa in cui la dignità e la vergogna sono casa e bandiera. Le mobilitazioni in tutto il pianeta sono la dimostrazione, tra le altre cose, che questa è una guerra contro l'umanità. Se c'è qualcuno che oggi ha capito bene che l'Iraq è in qualsiasi parte del pianeta, sono i giovani. Mentre altri guardano una mappa e si consolano misurando le migliaia di chilometri che li separano da Bagdad, i giovani hanno capito che quelle bombe (quelle esplosive e quelle della disinformazione) non solo vogliono distruggere il territorio iracheno, ma il diritto di essere diversi. E quando un giovane dipinge un "NO" su un cartello, un graffito, su un quaderno, lo grida, non sta dicendo solo "No alla guerra in Iraq", ma sta anche dicendo "No alla nuova Torre di Babele", "No all'omogeneità", "No all'egemonia". Perché i giovani ribelli usano il "NO" come pennello e con questo in mano e nello sguardo, tracciano ed intuiscono un'altra geografia. Come Polifemo, il ciclope della letteratura greca, il potere fa dell'odio verso il diverso il suo unico occhio. Veramente è molto forte e pare invincibile. Ma, come a Polifemo, un fantasma chiamato "Nessuno" lancia una sfida al potere. Perché quando il potere si riferisce agli altri con disprezzo, li chiama "nessuno". E "nessuno" è la maggioranza di questo pianeta. Se il denaro vuole ricostruire il mondo come una torre che soddisfi la sua superbia, anche il "nessuno" che fa girare la ruota della storia vuole un altro mondo, ma uno rotondo, che includa tutte le differenze con dignità, cioè, con rispetto. L'umanità non aspira al cielo, ma alla terra. In questo modo "nessuno" erode la nuova Torre di Babele. La terra è rotonda perché possa ruotare. Nel mondo che sta per nascere, a differenza di questo e dei precedenti la cui realizzazione è attribuita a dei diversi, quando qualcuno domanderà: "chi ha fatto questo mondo?", la risposta sarà: "nessuno". E per intuire quel mondo e cominciare a costruirlo, è necessario guardare molto lontano nella geografia del tempo. Chi sta in alto è di vista corta e si sbaglia quando confonde uno specchio con un cannocchiale. Chi sta sotto, "nessuno", non deve mettersi nemmeno in punta di piedi per indovinare il seguito. Perché il cannocchiale del ribelle non serve neppure per vedere qualche passo avanti. Non è che un caleidoscopio in cui le figure ed i colori, in complicità con la luce, non sono strumento da profeta, ma sono un'intuizione: il mondo, la storia, la vita, avranno forme e modi che non conosciamo ancora, ma che desideriamo. Con il suo caleidoscopio, il ribelle vede più lontano che il potente con il suo cannocchiale digitale: vede il domani. I ribelli percorrono la notte della storia, è vero, ma per raggiungere il domani. Le ombre non li inibiscono nel fare qualche cosa adesso qui, nella loro geografia. I ribelli non cercano di emendare l'opera o riscrivere la storia perché cambiano le parole e la ripartizione della geografia, cercano semplicemente una mappa nuova in cui ci sia spazio per tutte le parole. Una mappa in cui la differenza tra i modi di dire "vita" non sia nella bocca di chi li pronuncia, ma nella totalità con cui si pronunciano questi modi. Perché la musica non è composta di una sola nota, ma di molte note, ed il ballo non è fatto di un solo passo ripetuto fino alla noia. Quindi, la pace sarà un concerto aperto di parole e molti sguardi su un'altra geografiaŠ Dall'Iraq delle montagne del sudest messicano e guardando il cielo oscurarsi di aerei ed elicotteri militari dell'Operazione Sentinella. Subcomandante Insurgente Marcos Messico, marzo 2003 * Questo testo sarà pubblicato nel prossimo numero del settimanale Rebeldia, in circolazione la settimana prossima. (traduzione Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)
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