Trasmissione 'Lettera ad ogni cittadino che cerca onestamente la pace, anche con la guerra'



'Lettera ad ogni cittadino che cerca onestamente la pace, anche con la guerra',

a cui stiamo dando larga diffusione via stampa, internet ed e-mail.

Si tratta di un lettera pubblica con cui Anna Ippolito e Carlo Giacomini
(di Venezia-Mestre) intendono proporre un proprio contributo di riflessione
critica in particolare ad ogni singolo cittadino che onestamente, proprio
per sacrosanti fini di libertà (del popolo irakeno dal suo attuale
sanguinario dittatore) e di pace (dell'intera area e del mondo), ha
ritenuto opportuno e necessario l'intervento delle forze armate
statunitensi e britanniche nel territorio irakeno.

La riflessione che propongono, non ideologica e non di schieramento
pregiudiziale, si sofferma sulla relazione tra tali fini (apprezzabili e
condivisi) e i mezzi concretamente adottati, e quindi sulla concreta
(im)possibilità di conseguire, in quella situazione, quei fini con i mezzi
bellici prescelti, così come appare chiaro soprattutto alla luce degli
effetti (materiali e morali) che sta di fatto producendo quel tipo di
intervento. E quindi conclude con un invito a ripensare la convenienza di
moltiplicare ancor più i danni che quell'intervento, se protratto, può
provocare, sia a breve che a lungo termine, proprio rispetto a quei fini
democratici che, alla fin-fine, l'avevano motivato. Suggerendo quindi, che
a conti fatti, ora e proprio ora, ovvero a ragion veduta, sarebbe più
opportuno che l'intervento si fermasse subito, cominciando intanto col
fermare immediatamente i bombardamenti (ovviamen! te dal cielo e dalla
terra).

All'appello si accompagna il "digiuno di pace" degli estensori della
lettera, digiuno avviato all'inizio della guerra e che stanno ancora
proseguendo, come segno di compartecipazione con le tragedie in corso (al
cui rimedio destinano quanto risparmiato con il digiuno), come
testimonianza di coinvolgimento integrale della propria persona in un nuovo
stile di vita quotidiana nonviolenta, come stimolo pubblico continuo a non
cadere nella distrazione o nella rassegnazione.

Chi vuole unirsi all'appello e al digiuno anche a staffetta (ma almeno per
48 continue), come già sta succedendo per altre iniziative simili ad
esempio in Campania, Sicilia ed Emilia Romagna, può trovarne il testo e
ulteriori informazioni in: http://iodigiunoperlapace.supereva.it, e può
prendere contatti con iodigiunoperlapace at libero.it



Con preghiera di ulteriore diffusione, grazie





Lettera ad ogni cittadino che cerca onestamente la pace, anche con la guerra




Fra strumento e fine c'è la stessa relazione che tra il seme e l'albero.
Come ciascun seme produce solo il suo tipo d'albero
così ciascuno strumento può produrre solo il suo corrispondente risultato.
Non si può ottenere una rosa piantando un'erbaccia nociva.
M.K.Gandhi
(citato a memoria)



Caro concittadino,

l'attacco bellico inevitabilmente violento,
portato dagli eserciti statunitensi e britannico allo stato ed al
territorio iraqeno,
è stato giustificato, alla fin-fine, solo per portare a quel popolo la
libertà. Ma non è poco.

Molti infatti pensano che, distruggendo con la guerra lo stato oppressivo
del dittatore violento,
si possa portare la libertà e democrazia a quel popolo (e serenità a quelli
attaccati dal terrorismo).
Un'azione giusta ed anzi doverosa, a fine del bene dell'umanità. Una guerra
per fini buoni.
Una guerra umanitaria. Un atto concreto, estremo ma utile verso una
popolazione a lungo sofferente.

Molti tra i soldati che stanno ora operando pensano veramente questo,
e rischiano onestamente anche la loro vita per quel fine, quasi con eroismo.
Operatori di guerra, per essere, anche con questo estremo mezzo,
benefattori dell'umanità.
Costruttori della pace attraverso la guerra agli oppressori ed agli stati
non democratici e criminali.

Forse anche tu pensi questo, in tutta responsabilità e con alto senso morale;
e su questo, da te, forse dobbiamo imparare.

Il fine è sacro, ma non basta a giustificare

Il concetto di una guerra giusta, a priori, potrebbe anche convincere; ci
pare addirittura nobile.

Se però guardiamo i fatti anche recenti, ci pare che la realtà contraddica
sempre quest'idea.

Anche in Bosnia, Serbia, Kossovo, Afghanistan
la tempesta dell'intervento forte risolutore dall'esterno, dopo la morte e
la distruzione,
ha portato un'apparente tranquillità, ma nessuna vera libertà e nessuna
vera pace.
Contrapposizioni radicali, conflitti economici profondi, aspirazioni di
vendetta,
risentimenti e contrasti tra etnie, gruppi, organizzazioni, sono solo stati
sopiti, sotto la cenere.
La guerra 'risolutrice' li ha soltanto coperti. In qualche caso li ha
addirittura sporcati un po' di più.

Nei popoli investiti da oppressioni e da poteri violenti generati al
proprio intestino,
solo un altro tipo di cambiamento e di evoluzione, più profondo e dall'interno,
nei sentimenti e movimenti religiosi, nelle coscienze e nei valori
personali e sociali,
nelle idee e nelle organizzazioni politiche, nelle relazioni internazionali
e nell'attenzione planetaria,
può far riprendere lo sviluppo umano, sociale, politico, anche lì dove è
stato fermato.

A questo fine la guerra di liberazione forzosa portata da altri e
dall'esterno non serve a niente.
E' un'illusoria semplificazione, un'azione magari moralmente in buona fede,
ma nei fatti imperiosa,
credere di poter portare ad un altro popolo libertà ed istituzioni
democratiche con i cannoni,
imponendogliele, indipendentemente dalla sua identità, cultura, storia
politica e istituzionale.

Non è possibile esportare forzosamente la democrazia. Ed è un controsenso
imporla.
In Iraq cannoni e aerei non stanno sparando alcuna libertà né idea
comprensibile agli iraqeni,
seminano solo proiettili e bombe, che sanno solo seminare sangue e
disgrazie, orrore e rovina.

E le idee 'buone' di chi sta dietro il cannone o dentro l'aereo,
quando sono estranee ed anzi imposte ai destinatari,
per chi sta davanti il cannone o sotto l'aereo significano solo arroganza e
morte,
specialmente se la differenza di culture, lingue, religioni e valori è
abissale come in questo caso.

La guerra inebria, fa credere a chi appare più forte di essere in grado di
risolvere il mondo;
invece, a malapena, riuscirà forse a cacciare un dittatore ed alcuni suoi
seguaci,
ma certo non a cambiare idee e strutture sociali ed economiche di fondo che
li hanno prodotti,
e che hanno consentito e determinato quelle ingiustizie ed oppressioni di
etnie, clan, gruppi religiosi.
Non basterà parvenza esteriore o forma di democrazia per garantire vera
libertà a quel popolo.
Ben altri 'aiuti' e strumenti gli serviranno per individuare percorsi di
superamento delle proprie oppressioni interne e per costruire forme
politiche ed istituzionali di libertà a lui congegnali.

Anche in Iraq, temiamo, le perdite umane e materiali, l'ulteriore
impoverimento, l'umiliazione, e la semplificazione brutale rischieranno di
ricacciare molti in uno stato di risentimento, rabbia, vendetta, di
moltiplicare, sotto la cenere, idee ed organizzazioni di rivalsa, lotta
violenta, terrorismo.
Alla fine, sia le condizioni materiali che il morale della moltitudine
saranno peggiori di prima.

Anche con la migliore buona volontà e moralità da parte di chi la promuove,
ogni guerra di imposizione, e in particolare questa guerra, può solo
peggiorare la situazione.
Lo conferma la gran parte degli stessi oppositori, anche di quelli in
esilio, del regime di S. Hussein.

L'attacco bellico sta solo moltiplicando sofferenze, torti, ingiustizie in
modo rapido a vasta scala.
Sta aggiungendo a piene mani morte, stragi, fame e sete, ad un decennio di
povertà e  malattie.
E quando le armi verran fermate, si scoprirà che, a fronte di un grave
degrado delle condizioni di vita, quelle popolazioni non avranno ricevuto
nulla da loro così apprezzato che compensi una simile moltiplicandone di
torti ed umiliazioni. E non vi sarà nessuna gratitudine per nessun
liberatore.

Certo, non ci sarà più il feroce dittatore e il suo ristretto gruppo di
ministri e generali più fidati.
Forse molto verrà ricostruito (per la coscienza dei 'vincitori') e
arriveranno da fuori molti soldi, ma alla fine torneranno a scorrere in
vene simili a quelle di prima. E nonostante un nuovo potere dalle parvenze
liberali, le cause strutturali di quella situazione di potere, ingiustizia,
rapporti di oppressione rimarranno integre. Si sarà solo perso tempo, con
molto sangue versato e grandi rovine.

Ben altro sarà il cammino di liberazione strutturale e culturale che quel
popolo dovrà cercarsi e percorrere, con la propria intelligenza, senza
possibilità di violente forzature o semplificazioni.
E ben altri aiuti, sostegni e collaborazioni potran risultare utili, anche
dall'esterno, per quel cammino.

Le 'buone intenzioni' non trasformano le azioni imperiose e di violenza in
frutti di libertà e giustizia.
E la guerra è la massima delle violenze, la violenza eretta a legge
dall'aggressore, a sua misura.


Fermare le bombe, fermare questa guerra; e ogni guerra simile, e i suoi
prepativi e strumenti

Nonostante la buona fede e l'impegno generoso, le bombe sono sempre una
tragedia, e uno 'strumento' dagli effetti quanto meno dubbi. Ma in questo
caso è già subito evidente che non potranno in alcun modo aiutare a
risolvere i problemi veri. E potranno solo moltiplicare l'orrore.
Fermate la guerra!   fermiamo la guerra !
Fermate i bombardamenti ora!   fermiamo i bombardamenti ora!
Fermare un'inutile tragedia non fa perder nulla e potrà darci qualche
possibilità in più di essere forse un po' apprezzati, o almeno ascoltati,
dai bombardati; se non proprio subito, almeno poco dopo.

Lo diciamo senza opposizione a nessuno, senza urla rabbiose, senza
pretenderlo con altra arroganza.
Con la massima stima delle motivazioni e della generosità di chi si è
impegnato, con sacrificio e spirito di servizio, anche con le armi,
pensando veramente al bene di un altro popolo e dell'umanità.
Ma dobbiamo dirlo: giunti a questo punto, per quanto l'intenzione fosse la
migliore e per quanto buona fosse e sia ancora la nostra causa, è ormai
evidente che questa guerra è il peggiore dei mali.

Lo diciamo con semplicità e con la sola forza della nostra persona, senza
farne motivo di rivalsa, condanna o schieramento, e col massimo
apprezzamento per lo spirito generoso dei popoli britannici e statunitense,
di cui tutti, giornalmente, apprezziamo i frutti dell'ingegno tecnico,
l'arte e la musica, e dai cui campioni culturali e morali abbiamo imparato
anche valori umani e democratici.

Vogliamo dire solo che con queste guerre, in Iraq come ormai ovunque, si
sta facendo un errore tragico, e che grande è la responsabilità di ciascuno
di noi nel consentirle, o nel cercare di fermarle.

Più urgentemente verso le popolazioni iraqene, che proprio ora sono nel
sangue, sotto le bombe, a rischio di sete e epidemie; ma questo ormai vale
per tutte queste guerre, verso ogni popolo e paese.

E vale non solo nel momento della battaglia verso chi queste guerre va a
farla con le proprie mani,
ma anche verso chi queste guerre le prepara producendo, fornendo e
spacciando armi, e le sostiene offrendo appoggio logistico di retrovia
(basi, infrastrutture, forniture) a chi va in prima linea.

Perché l'albero è sempre lo stesso, e non c'è distinzione di identità e di
responsabilità tra le diverse parti che lo costituiscono. E non salva la
coscienza dire che non si fa la guerra, se poi vi si partecipa con i
rifornimenti dalle retrovie; per quanto lontani e nascosti, se ne sarà
sempre corresponsabili.


	Una parola semplice ma accompagnata da un gesto autentico e concreto

Non crediamo d'aver motivi in più per sperare di convincere della tragedia
di questa guerra e tutte queste guerre e dell'opportunità di fermarle
subito assieme ad ogni attività che le prepara e rifornisce.
Però lo diciamo con la vibrazione non solo della voce ma di tutto il nostro
essere, dopo aver provato, con alcuni giorni di digiuno (che intendiamo
continuare, anche con altri), a rendere pulito e vivo quello che diciamo,
anche attraverso la nostra pancia; perché le idee importanti devono essere
un po' 'vissute', provocando così anche un cambiamento, pur modesto, di
comportamento e stile di vita. Ed anche per essere fisicamente (e con
quanto risparmiato) un po' solidali verso tanta rovina.

Nella speranza che anche questo gesto possa mostrare quanto è drammatica la
situazione, e spingervi a riconsiderare onestamente la vostra posizione,
dicendo a voi stessi e attorno a voi:
'Questa guerra, per come ormai si è rivelata, non può produrre alcun bene,
forse è stato un errore;
vediamo di fermarla, subito, fermandone immediatamente quanto meno i
bombardamenti'.

Semplicemente.
29.03.03
Anna Ippolito (Venezia-Mestre), al 3° giorno di digiuno
					Carlo Giacomini (Venezia-Mestre),
al 10° giorno di digiuno

Allegato

Se condividi il messaggio di questa lettera, e lo vuoi diffondere e
rilanciare (per e-mail o a mano, su carta) così come sta, va benissimo e ti
ringraziamo; ti chiediamo, ovviamente, di non modificarlo in alcun modo.
Se ti sembra opportuno farlo tuo e riproporlo anche con il tuo nome ai tuoi
conoscenti, amici e parenti, ai tuoi amministratori di quartiere o
regionali, ai tuoi parlamentari , Š ,
ti chiediamo di farlo solo DOPO AVER GIÀ COMINCIATO UN PERIODO DI DIGIUNO
(sei sei nelle condizioni di farlo; sentiti comunque libero di fare come ti
pare opportuno).
Noi suggeriamo un digiuno di almeno due giorni (48 ore integrali),
concedendoti solo liquidi;
ma ovviamente ciascuno è libero di decidere (ovviamente con attenzione e
consiglio del medico).

Se lo fai, informane tutte le persone che ti incontrano, senza falsa
pubblicità ma come testimonianza e gesto di condivisione con le vittime e
di impegno profondo affinché venga fermata questa guerra.
Meglio ancora se lo fai sapere ai giornali almeno locali, al lavoro, nelle
tue associazioni, nella tua chiesa, Š .
Se non ti senti le parole per spiegarlo a voce, basterà avere addosso la
spilletta 'digiuno di pace',
(vedi più avanti) e pronta in tasca qualche copia di questa o di analoga
'lettera' che potrà spiegare per te.
E se, mentri digiuni, hai occasione di partecipare a incontri o iniziative
(di qualsiasi tipo) sul tema della pace e per fermare la guerra, fatti
coraggio ed informa della tua iniziativa gli organizzatori, così potrà
esserne data notizia pubblica. Se poi volessi prendere tu stesso
l'iniziativa (con qualche amico) organizzando qualcosa di pubblico a
partire dalla lettera (e dal tuo digiuno), ancora meglio Š

Se fai il "digiuno di pace", per favore, danne notizia, facendo arrivare
una semplice e-mail, con il tuo nome e cognome, la data in cui cominci il
digiuno, e il numero di giorni che ti proponi di digiunare, all'indirizzo:
iodigiunoperlapace at libero.it (che è seguito dai primi estensori di questa
lettera: Anna Ippolito e Carlo Giacomini); comunque, solo se vuoi. Se lo
chiedi, il tuo nome e cognome non finirà in nessuno schedario, verrà
raccolto solo l'indirizzo e-mail, per poter farti avere qualche notizia o
proposta; altrimenti, se (come speriamo) sei disponibile a rendere pubblica
la notizia del tuo digiuno, potremo aggiungerti nella lista dei
partecipanti al digiuno, che pubblicheremo nel sito (solo con nome e luogo
di residenza, senza indirizzi).
Ricordati inoltre, se sei d'accordo, di sostenere con i soldi risparmiati
col digiuno le vittime di questa guerra, versandoli, ad esempio, alle ONG
impegnate in territorio Irakeno (e anche di questo dà pubblica notizia).

Se rilanci esattamente questa lettera (senza alcun cambiamento, taglio o
aggiunta), potrai lasciarci le firme di quelli che te l'hanno spedita o
consegnata; altrimenti, se volessi modificarla (anche solo con un piccolo
taglio), fai pure, ma per correttezza ti chiediamo di togliere quei nomi e
di firmarla solo tu (con chi vuoi).
Il tuo nome (con o senza quelli di prima), mettilo completo a mo' di firma,
precisa anche la data in cui tu la firmi (ev. in aggiunta e distinta dalla
data precedente) e il tuo luogo di residenza, e specifica del tuo digiuno.

Se digiuni per la pace, ed hai amici e conoscenti di lingua inglese, è
molto opportuno che questa (o analoga) lettera venga fatta avere anche a
loro. A tal fine, è disponibile anche in lingua inglese.

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... e a chi si trova, forse anche involontariamente, a collaborare, anche
con un solo gesto,
all'attività di retrovia (nei trasporti, nelle forniture, ...) per questa
guerra, diciamo:
questa guerra, e i suoi disastri, stanno passando un po' anche nelle tue mani,
ed anche tu ne sei responsabile, e in modo forse anche un po' più intenso;
e puoi decidere di collaborare a questa guerra ma puoi anche incidere un
po' più di altri per fermarla.

Infatti, se condividi che questa guerra è appunto ormai solo il modo
peggiore e più dannoso
per non risolvere alcun vero problema, allora puoi fare qualcosa in più:
anche solo parlarne con qualche collega più vicino o con i rappresentanti
sindacali
(che forse potranno sollevare il problema per te, dentro o fuori il posto
di lavoro);
e se te la senti, magari con qualche collega, potrai anche scrivere il tuo
dissenso personale,
ai tuoi dirigenti o datori di lavoro, e magari anche ai giornali,
e se ritieni che quello che ti è chiesto di fare, data la situazione, non
rispetti le legge e la costituzione italiana né la Carta delle Nazioni
Unite, puoi chiedere almeno che te lo ri-ordinino per iscritto,
oppure perfino puoi fare forse obiezione di coscienza al lavoro per questa
guerra, come altri hanno fatto.
Sta a te valutare e decidere, di fronte alla tua coscienza.

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Anche di tutto ciò, se ti va, facci sapere: iodigiunoperlapace at libero.it
Per scaricare copia della lettera (anche in inglese), il necessario per la
spilletta, qualche suggerimento per il digiuno, informazioni sulle ONG
attive in Iraq, altre informazioni: http://iodigiunoperlapace.supereva.it