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intervento in aula di E. Deiana-guerra in Iraq
- Subject: intervento in aula di E. Deiana-guerra in Iraq
- From: "Forum delle Donne" <forumdonne.prc at rifondazione.it>
- Date: Mon, 24 Mar 2003 14:14:03 +0100
Resoconto stenografico dell'Assemblea Seduta n. 283 del 19/3/2003 PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà. ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa guerra, come hanno già ricordato altri colleghi, non ha nulla a che vedere con le ragioni che sono state accampate da Bush per giustificarla e che il Governo Berlusconi ripete pedissequamente contro ogni logica ed evidenza. Non c'entrano le armi di distruzione di massa, che forse ci sono o, molto probabilmente, non ci sono. Non c'entra l'efferatezza del regime, che sicuramente c'è. Non c'entra nulla comunque! Non c'entra nulla il terrorismo internazionale. L'idea neocoloniale e sopraffattrice di mettere ordine nel mondo, di esportare la democrazia sulla punta delle baionette moderne all'uranio impoverito rappresenta, in realtà, l'involucro ideologico di un piano politico-militare molto preciso: l'Iraq deve diventare un protettorato americano, lo ha ripetuto anche ieri il portavoce della Casa Bianca, Fleischer, dicendo ai giornalisti che, se anche il raìs se ne andasse in esilio, le truppe americane dovrebbero ugualmente intervenire in Iraq per rimettere in ordine le cose e garantire la pace e la sicurezza. Siamo di fronte ad una gigantesca operazione di penetrazione statunitense nel continente asiatico, ad un processo di destabilizzazione e disgregazione degli assetti statuali dell'Asia centrale, che è il vero grande tema di politica internazionale attorno al quale dovremmo discutere. Si discute, invece, delle fandonie di Bush e delle fandonie di Berlusconi, dimenticando di fare i conti con quanto è già successo in quell'area del mondo, a cominciare dall'Afghanistan, prima tappa di questo processo che ha permesso di mettere sotto occupazione militare statunitense larga parte dell'Asia centrale. Questa guerra va ben oltre la stessa questione - peraltro non irrilevante - dei pozzi petroliferi: mira al dominio unilaterale del mondo attraverso la superiorità militare assoluta di cui godono gli Stati Uniti d'America. È il progetto americano del nuovo ordine mondiale, lungamente dibattuto in tutte le salse negli ambienti militari statunitensi, che oggi si manifesta in tutta la sua portata e violenza. Un progetto incubato lungamente negli anni novanta, interpretato diversamente a seconda di chi occupasse la Casa Bianca. Le guerre del decennio degli anni novanta sono figlie di questa incubazione. Oggi, Bush ha reso radicale e inequivocabile quel progetto e, come tutti i personaggi animati da forte vocazione fondamentalistica, come è lui, lo ha esplicitato, sottraendogli l'involucro di ogni ipocrisia, appalesandolo in tutta la sua devastante violenza. Con la guerra di Bush contro l'Iraq è diventato evidente che l'idea della guerra preventiva e duratura, della supremazia militare permanente, del potere di decisione unilaterale costituisce la bussola strategica della politica estera statunitense del nuovo secolo. Gli interessi immediati della superpotenza, il controllo diretto delle risorse energetiche e quelli di lunga durata - appunto il nuovo ordine mondiale - sono stati posti al mondo con brutale evidenza. È per questa ragione che l'Europa è andata in crisi, perché qualcuno, in Europa, ha cominciato a preoccuparsi di una dinamica politica che, se non verrà contrastata, ridurrà l'Europa al ruolo di giullare dell'imperatore, a quel ruolo che già oggi Blair, Aznar e Berlusconi in vario modo hanno giocato sulla scena pubblica. Così si spiega la crisi della stessa NATO e dell'ONU e si spiegano le resistenze di governi di paesi con grandi difficoltà economiche che, tuttavia, non si sono voluti piegare all'indegna «campagna di acquisti» organizzata da Bush per assicurarsi la maggioranza nel Consiglio di Sicurezza. L'ONU, la NATO, l'Europa entrano in fibrillazione perché la pretesa degli Stati Uniti di dettare legge, di fare ordine, di giudicare e punire mette in allarme il mondo. Ed è per questa ragione che si è registrata una così vasta insorgenza dell'opinione pubblica contraria alla guerra e si sono mescolati movimenti, soggetti, culture, storie diverse di donne e di uomini accomunati da un «no» alla guerra che non ha precedenti nella storia per vastità, ostinazione, intensità. Che cosa desta preoccupazione, che cosa inquieta le coscienze oggi? I bombardamenti sulle città irachene? I terribili cosiddetti effetti collaterali? La sofferenza degli inermi? Certamente tutto questo, ma anche lo scombussolamento di ogni riferimento internazionale, la percezione del rischio che un baratro si è aperto di fronte a noi. Questa guerra, infatti, per la sua intrinseca natura di laboratorio della nuova dottrina militare americana, di prova generale della guerra preventiva di lunga durata che l'Amministrazione Bush ha promesso al mondo per i prossimi trent'anni, comporta la deflagrazione e l'azzeramento di quell'ordine internazionale faticosamente costruito dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale. Ordine certamente imperfetto, deficitario, contraddittorio quanto vogliamo, ma ancorato ad un'idea grande che la guerra fosse un disastro da non ripetere più, che la costruzione del diritto internazionale fosse un bene da difendere ed irrobustire, che l'ONU fosse uno strumento di mediazione essenziale e necessaria per garantire la convivenza tra i popoli del mondo. Tutto questo, oggi, costituisce, invece, per l'amministrazione Bush, un inutile ingombro, lacci e lacciuoli da spezzare, come sta facendo George W. Bush. Guerra criminale, dunque, questa, cari signori del Governo, come giustamente l'ha definita addirittura il Papa, guerra criminale perché massacra i corpi inermi di donne e uomini, uccide ogni legalità e mina alle radici la convivenza tra i popoli; un aspetto che non è stato sottolineato sufficientemente. Essa, infatti, rischia di aprire un solco enorme tra l'occidente ed il mondo islamico, di fomentare quella terribile dinamica di scontro tra civiltà che sta diventando o rischia di diventare sempre più l'elemento sovraordinatore del contesto internazionale. Voi, signori del Governo, avete certamente i numeri per assicurarvi, in questa sede, l'appoggio al vostro sì alla guerra, al vostro sì al coinvolgimento diretto dell'Italia in questa infame avventura internazionale, all'assenza all'uso delle basi e dei cieli da parte degli Stati Uniti. D'altra parte, lo avete già fatto mettendo a disposizione l'intero nostro paese per i traffici di morte degli Stati Uniti d'America. Ma sarà un voto di cui noi non riconosceremo la legittimità, perché non basta la maggioranza per prendere questo tipo di decisioni. Bisogna stare alla Costituzione che conferisce legittimazione ad ogni decisione che parli della pace e della guerra! La violazione dell'articolo 11 non potrebbe essere più evidente di fronte ad una relazione come quella del Presidente del Consiglio. E più evidente non potrebbe essere la pretestuosità del richiamo alla volontà popolare di cui si nutre tradizionalmente la propaganda mediatica del Presidente del Consiglio. Non è forse di dominio pubblico, confermato dai sondaggi, dalle mobilitazioni costanti, da due milioni e mezzo di bandiere per la pace che sventolano in ogni dove, che la stragrande maggioranza della popolazione di questo paese, la guerra proprio non la vuole? Volontà popolare e spirito costituzionale vanno, su questo punto, insieme, in maniera straordinaria, e forse al premier Berlusconi, questo, fa proprio paura, e della volontà popolare ha deciso di infischiarsene o di ingannarla grottescamente, continuando a raccontare... PRESIDENTE. Onorevole Deiana... ELETTRA DEIANA. Sto per concludere, signor Presidente... la favola del suo impegno per la pace, mentre il Segretario di Stato americano rende pubblica la lista dei volenterosi e gli Stati Uniti d'America ci annoverano tra i paesi amici. Per questo, continueremo a chiedere conto di ogni vostra azione di guerra, di ogni vostro atto di guerra e a batterci in Parlamento e nel paese contro la vostra cortigianeria bellicistica che coinvolge l'Italia in un'avventura moralmente indegna e politicamente squalificata (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
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