NEWROZ DI GUERRA - Nuovo sequestro di osservatori italiani - Milioni di kurdi in piazza in Turchia contro la guerra e la repressione



21 MARZO 2003
NEWROZ DI GUERRA IN KURDISTAN, DENTRO E CONTRO LA GUERRA
Notizie e resoconti dalla delegazione di osservatori italiani in Turchia

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OLTRE MEZZO MILIONE A DIYARBAKIR PER LA PACE E I DIRITTI DEI KURDI

In forse fino all'ultimo momento, allontanata dalla metropoli kurda di 15
km, circondata da posti di blocco nei quali si sequestravano bandiere e
colori kurdi anche ai bambini, la grande manifestaione del Newroz si è
tenuta a Diyarbakir. Sicuramente 500.000 persone, forse di più... Decine di
osservatori italiani ed europei hanno partecipato, aprendo anche (con
qualche tensione con la polizia turca) una bandiera della pace sul palco.
Da ricordare che Diyarbakir è anche avamposto ed aeroporto di guerra
proteso verso l'Iraq... Accenni di cariche di polizia anche quando sono
state innalzate davanti al palco le bandiere della Dehap, la coalizione
politica, peraltro legale, di cui fa parte il disciolto partito filokurdo
Hadep: la gente ha risposto con le pietre, poi la tensione è rientrata. I
colori sequestrati naturalmente si sono ricomposti in mille modi in piazza,
è stata anche issata ad un certo punto la vietatissima bandiera del Kadek
(ex Pkk) con slogan per il presidente Ocalan, isolato ad Imrali. Intorno
alle 15.30 la selva di blindati che circondava l'enorme piazzza,
all'estrema periferia di Diyarbakir, s'è mossa minacciosamente, ma la gente
è rifluita con ordine evitando ogni provocazione.

ITALIANI SEQUESTRATI E ARRESTI DI MASSA A BINGOL

Dopo il fermo e il successivo rilascio di otto italiani il 20 marzo a
Nusaybin, "colpevoli" di aver fotografato la rete artificiosa che delimita
il Kurdistan siriano e quello turco, il giorno dopo nove osservatori
italiani (sette sardi e due pisani) sono stati sequestrati insieme al loro
accompagnatore kurdo, sotto la minaccia di armi spianate, nel loro albergo
nella città di Bingol. Il governatore ha vietato nella città ogni
manifestazione per il Newroz: si segnalano 170 arrestati fra coloro che
hanno cercato di scendere ugualmente in piazza, fra cui il responsabile
locale del Dehap, Korkut Ata. Gli italiani hanno avviato, nell'albergo, uno
sciopero della fame di protesta. Arresti e cariche di polizia si segnalano
anche nelle città di Siirt e Beyazit, mentre in altre città il Newroz è
stato autorizzato e si è svolto pacificamente: così a Sirnak, Adiyaman,
Kiziltepe e Nusaybin, nella metropoli di Adana con 50.000 profughi kurdi in
piazza, ed a Batman (anch'essa sede di aeroporto militare appaltato agli
Usa) dove hanno manifestato in 150.000.

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DIYARBAKIR - INCONTRO CON L'IHD - Associazione per i diritti umani in
Turchia (Resoconto di Emilio)

La delegazione italiana e spagnola é stata ricevuta dal presidente di IHD
di Diyarbakir, avvocato Selahattin Demirtas. La sede di Diyarbakir é la
sede principale di IHD in questa regione e coordina il lavoro di altre
dieci sedi, da cui giungono mensilmente a Diyarbakir i rapporti sulla
situazione dei diritti umani per compilare poi i rapporti per l'intera
regione.

Negli ultimi quattro anni si erano realizzati alcuni cambiamenti
importanti: abolizione della pena di morte, permesso di usare la lingua
kurda, abrogazione dello stato di emergenza durato per 23 anni. Tuttavia
l'imminenza della guerra, giá da tre mesi a questa parte, é pretesto per il
governo turco per reprimere i diritti del popolo kurdo. I kurdi possono
usare la loro lingua in televisione ma non avere un proprio canale; ancora:
se il parlamento aveva votato l'abolizione della pena di morte, é stato
inasprito l'isolamento di Ocalan che da novembre non puó piú vedere i sui
familiari e i suoi legali. Complessivamente si é verificata una riduzione
delle libertá personali.

Nella zona occidentale della Turchia si puó manifestare liberamente contro
la guerra, qui no. A Diyarbakir non è stata autorizzata nessuna
manifestazione contro la guerra. La popolazione ha capito questa nuova
situazione: ci sono molte proteste spontanee contro la guerra e contro il
carcere duro riservato a Ocalan. Queste manifestazioni vengono represse con
la forza. Ci sono giá segnali che fanno pensare ad una possibile ripresa di
guerra interna: il persistere dell'isolamento di Ocalan, la recente
uccisione in questa regione di dodici guerriglieri, la guerra che diventa
motivo per la Turchia per attaccare i militante e i dirigente del Kadek (ex
Pkk) che si trovano nel Nord Iraq.

Negli ultimi due mesi sono state arrestate 938  persone di cui 74 sono
ancora in carcere. Degli arrestati 98 hanno dichiarato, una volta
rilasciati, di essere stati torturati. Se si fa una comparazione tra questi
dati e quelli degli ultimi dieci mesi, si capisce come il governo turco
stia usando in modo strumentale la guerra in Iraq per tornare indietro in
materia di diritti umani e specificamente di diritti dei kurdi.

Un diritto umano fondamentale é quello di poter essere accolti in un altro
paese quando si debba fuggire dal proprio per persecuzione o guerra. In
questi giorni 40.000 soldati turchi sono giá in Iraq dove hanno giá
allestito quindici campi profughi. Questi campi hanno la funzione di
impedire ai kurdi che vengono dall'Iraq di entrare in Turchia e di poter
esercitare il diritto di asilo. é contrario alle leggi internazionali che
sia  un singolo stato, e non le Nazioni Unite, a costruire campi profughi
fuori del proprio territorio. Inoltre questi campi sono costruiti vicino
alla linea del fonte, ove non puó essere garantita la sicurezza delle
persone; ció é ancora contrario alle leggi internazionali. I turchi
prevedono di recludervi 200 000 persone, con i problemi che si potrebbero
produrre nell'evoluzione dei rapporti tra Turchia e kurdi del Nord Iraq.
Infatti i militari turchi hanno il  compito di costringere dentro i campi
profughi i kurdi fuggitivi, in attesa di attaccare militarmente ogni
ipotesi di entità autonoma kurda nel dopoguerra, come gli stati maggiori
turchi hanno giá fatto dichiarato.

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DIYARBAKIR - INCONTRO CON IL DEHAP - Partito Democratico del Popolo
(Resoconto di Valerio)

(Il Dehap è una coalizione democratica formata per le ultime elezioni
politiche fra il partito filokurdo Hadep, disciolto d'autorità pochi giorni
fa, e due piccoli partiti della sinistra turca)

La delegazione italiana é stata  ricevuta da un membro dell'Assemblea
generale del partito, l'avvocato Firat  Anli. Svolge il suo lavoro ad
Ankara e si trova a Dyarbakir per l'organizzazione del Newroz.

L'incontro si é aperto con una panoramica sulla situazione dei kurdi in
Turchia con vari focus sulla cittá di Diyarbakir e la sua provincia. Siamo
stati informati della guerra che per quindici anni ha contrapposto i kurdi
al governo turco, interrotta unilateralmente nel 1999 con il cessate il
fuoco proclamato da Ocalan. Nei quattro anni successivi si sono aperti
degli spiragli legati ad una situazione di maggiore distensione:
l'eliminazione delle leggi di emergenza, della pena di morte e la
tolleranza della lingua kurda. Il governo turco tuttavia ha perso  un'
occasione storica per risolvere democráticamente la questione kurda.

La volontà del popolo di risolvere questo nodo é stata confermata dai dati
delle ultime elezioni. Il  numero dei votanti é aumentato notevolmente. Su
scala nazionale il DEHAP ha ottenuto il 6,2% dei voti non superando lo
sbarramento imposto del 10%; ben diversi i risultati a Diyarbakir dove ha
ottenuto il 57% dei voti.

Uno dei problemi a cui il DEHAP cerca di dare risposta é l'aumento
sproporzionato della popolazione, dovuto all'assorbimento dei profughi
provenienti dai villaggi distrutti dall'esercito. In pochi anni la
popolazione ha superato il milione di persone, con enormi problemi
occupazionali, di povertá ed un rallentamento generale dello sviluppo. A
questa situazione di disagio si sommano alcuni ostacoli posti dal governo
centrale di Ankara che riserva a questa regione un "trattamento speciale":
per esempio i fondi destinati allo sviluppo sono solo  l'1%, si vogliono
costruire qui le dighe che daranno energia elettrica al paese mentre per
contro i prezzi della fornitura elettrica sono i piú alti dei tutta la
Turchia, cosí come per la benzina. Vengono minate alla base le attivitá di
sostentamento primario del popolo kurdo che abita da secoli la parte piú
ricca del Medioriente: il governo sta imponendo ai contadini di cessare la
coltura del tabacco e l'allevamento del bestiame. Anche il turismo,
attivitá marginale ma comunque importante, viene limitato dalla mancanza di
sovvenzioni per i restauri e dalla non valorizzazione dei siti presenti.

Il futuro del DEHAP dipende da ció che accadrá nel Medio oriente in questa
guerra. L'eventuale creazione di una federazione di stati indipendenti in
Iraq porterebbe ad una dura repressione della popolazione kurda che vive in
Turchia. Con la sentenza della Corte europea dei diritti umani riguardo al
processo di Ocalan, la fobia del governo turco é che i kurdi possano essere
sostenuti dai governi europei nella costituzione di un loro stato autonomo.
La volontá di isolare la zona é una delle principali cause della
titubanze del governo turco a concedere agli Usa il passaggio di truppe di
terra. L'aumento dei diritti per una qualsiasi delle comunitá kurde
presenti tra Iran, Iraq,Turchia e Siria significherebbe repressione totale
per le altre. I kurdi sono in contatto tra di loro tramite le loro
associazioni e i partiti e aspirano alll'eliminazione delle barriere e ad
una maggiore libertá di movimento, in quest'ottica si puó comprendere il
significado della festa del Newroz.

Negli ultimi tre anni nella cittá di Diyarbakir l'autorizzazione per i
festeggiamenti è sempre stata concessa, ma oggi le autoritá chiedono che la
festa si svolga a 15 km da Diyarbakir, in un sito diverso da quello dello
scorso anno, che  non vi partecipino minerenni e che non vengano esposti
dalle donne i colori del Kurdistan. Per i kurdi é  impensabile sottostare
a queste imposizioni, la festa riguarda tutti i membri delle famiglie.
Volendone mantenere l'independenza i kurdi sarebbero disposti a
festeggiarlo ognuno nel proprio quartiere. I permessi sono stati comunque
concessi definitivamente soltanto il 20 marzo nel pomeriggio, alla vigilia
del Newroz.

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DIYARBAKIR - INCONTRO CON LE "MADRI PER LA PACE" (Resoconto di Roberta)

La delegazione italiana é stata ricevuta da una rappresentanza di sei donne
dell'associazione "Madri per la pace". La sede di Diyarbakir esiste da due
anni, é costituita ufficialmente da una responsabile e due aiutanti, ma in
realtá ne fanno parte venti donne. Questo perché é considerata illegale
l'esistenza autonoma  dell'asociazione, cui é consentito di esistere solo
come "filiale"  di quella di Istanbul. Non vi sono legami con gruppi o
partiti politici e tutta l'attivitá é autofinanziata.

Le Madri per la pace della sede centrale sono in contatto con altre
asociazióni di donne, per quanto riguarda l'italia con le Donne in nero, e
partecipano ad incontri e conferenze in Europa, come sta accadendo proprio
in questi giorni. Pubblicano un giornale dove riportano i contatti
intrapresi e l'attivitá di denuncia dell'associazione, promuovono
conferenze stampa sulla mancanza del rispetto dei diritti umani. L'incontro
ha avuto un grande impatto emotivo sulla nostra delegazione: le storie di
donne che hanno perso figli, mariti e in genere sono vissute vedendo i loro
familiari uccisi e torturati, costrette a scappare dai villaggi di origine
perché bruciati dall'esercito turco, eppure proprio per questo drammático
vissuto determinate a cercare di contribuire ad un futuro di pace. Cosí
come i loro figli erano in passato decisi nel portare avanti la loro lotta,
cosí queste madri sono oggi determinate nel perseguire il progetto di un
mondo di pace: "Come nessuno ha potuto fermare i nostri figli, ora nessuno
puó fermare noi".

Dopo quarant'anni passati sotto la repressione, lo stato di emergenza non é
piú in vigore da novembre 2002 in tutta la regione di Diyarbakir; ció
nonostante esse denunciano che nulla é cambiato nella raltá e anzi la
situazione sta peggiorando: vi é sempre un regime da incubo, carrarmati
(visti da tutti noi) per la cittá, sparizioni di persone, uccisioni,
pressióni di ogni tipo da parte della poliz&iacutea, isolamento del
presidente Ocalan.

Il fazzoletto bianco che tutte portano sul capo, e che indica nella
tradizione del popolo kurdo l'aver subito un lutto in famiglia, é
l'emblema scelto dalle Madri per la pace, s&iacutembolo di colore bianco
come la nitidezza del loro impegno. Alla fine dell'incontro a tutte le
donne della delegazione é stato regalato questo s&iacutembolo con una sola
accorata richiesta: parlare al mondo di quello che le Madri per la pace di
Diyarbakir fanno continuamente per denunciare le quotidiane violenze di uno
stato turco sempre ugualmente oppressivo. Si deve denunciare al mondo ció
che sucede in Kurdistan per rompere l'isolamento.

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RESOCONTI DAL QUOTIDIANO "LIBERAZIONE" (http://www.liberazione.it)

GIOVEDI' 20 MARZO: "A ISTANBUL CON I KURDI CHE RESISTONO" di Michele De Palma

I primi incontri della delegazione italiana ad Istanbul. La "Coalition
against war", già presente a Firenze, insediata in una sorta di Casa del
popolo e protagonista dell'impegno pacifista dei giovani, e il Forum
Sociale di Istanbul, con un minuto di silenzio all'inizio dell'incontro in
memoria di Carlo Giuliani. La visita alla redazione di "Azadiya Welat"
(Patria libera), la perseguitatissima rivista kurda in kurdo che ospita
anche il supplemento satirico kurdo "Pine" premiato a Forte dei Marmi, e
l'impatto con il dramma delle carceri e della tortura nell'incontro con
l'IHD, l'Associazione turca per i diritti umani...

VENERDI' 21 MARZO: "CAPODANNO BLINDATO PER I KURDI" di Michele De Palma

Intervista da Nusaybin, dopo l'arresto e il rilascio dello stesso Michele e
di altri sette italiani per aver scattato foto vietate. La situazione di
estrema militarizzazione, la tensione palpabile, l presenza visibile anche
dei soldati Usa...

VENERDI' 21 MARZO: "NEL GRIGIO DI BATMAN" di Angela Bellei e Stefania
Ceccarelli

Servizio degli osservatori italiani a Batman, città di 260.000 abitanti di
cui moltissimi profughi dai villaggi devastati dalla guerra, con altissime
percentuali di disoccupazione e suicidi ma anche con una grande speranza
nell'amministrazione gestita dal Dehap e nella società civile organizzata
all'opposizione. L'incontro con l'associazione dei familiari dei detenuti,
la Thay-Der, e la realtà del carcere di Batman, con 524 prigionieri
politici di cui il 15% donne e con una condizione carceraria che, ben lungi
dall'amnistia, precipita verso l'isolamento e l'atomizzazione dei detenuti.

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IL CONTESTO: "L'ATTESA DISPERATA DEI KURDI" di Dino Frisullo (da
Liberazione 19.3.03)

Diyarbakir, Batman, Mardin, Mus, Antep. Sono, insieme alla grande base di
Incirlik, gli aeroporti nel Kurdistan turco ristrutturati dall'Us Air Force
per rovesciare nei prossimi giorni tonnellate di bombe in territorio
irakeno e kurdo. Sono anche, con l'aggiunta dei capoluoghi Sirnak, Siirt e
Hakkari, le province in cui per motivi di "ordine pubblico" i militari
hanno reintrodotto lo stato d'emergenza abrogato da appena un mese.

Lo stato d'emergenza in turco ha una sigla: "Ohal". Un nome sinistro.
Significa pieni poteri ai militari, sparizioni, arresti, tortura. Due
settimane fa Amnesty International denunciava la persistenza della tortura
sessuale negli uffici di polizia e l'Associazione diritti umani di
Diyarbakir conta, solo nei primi giorni di mobilitazioni contro la guerra,
quarantadue denunce di tortura su quattrocento arresti. Ma il colpo mortale
alle speranze di democrazia l'ha assestato il procuratore Vural Savas (un
nome e un programma: "Bastone Guerra"), ottenendo la messa fuorilegge del
partito democratico Hadep, maggioritario in tutte le province kurde, e
l'interdizione dei suoi dirigenti.

E' in questo clima che il 21 marzo, Newroz (Nuovo giorno) di primavera e di
libertà ma anche probabile data d'inizio del massacro in Iraq, centinaia di
migliaia di kurdi e kurde manifesteranno per la libertà e la pace, che
giunga o no l'autorizzazione del governo e dei governatori locali. Con
loro, duecento osservatori europei fra cui ottanta italiani: sindacalisti
come Benzi della Cgil, giovani comunisti e disobbedienti, pacifisti e
"donne in nero", militanti di Azad e di altre reti, amministratori locali.
Partiti domenica da Roma e Milano, hanno incontrato a Istanbul i pacifisti,
il Social Forum, le associazioni delle donne, dei profughi e della nuova
cultura kurda. Da oggi si distribuiranno in zona di guerra: a Diyarbakir e
Batman, con i loro aeroporti militari, e poi a Bingol e Nusaybin, sul lembo
di confine invaso da colonne di blindati diretti a sud. Forse il tanfo di
guerra risparmierà le nevi dell'Ararat dove, a Dogubeyazit, i cooperatori
marchigiani stanno edificando la Casa delle donne.

Dall'altra parte del confine è iniziato il grande esodo. Colonne di
profughi si spostano dalle aree di Mosul e Kirkuk verso Duhok e il confine
turco e da Suleymanye verso i villaggi di montagna sul confine iraniano, a
precedere le bombe angloamericane e la temuta rappresaglia irakena. Presso
Mosul restano indifesi i diecimila profughi del campo di Mahmura, per metà
bambini, reduci da dieci anni di fughe dalla Turchia e dal Kurdistan
irakeno.

I kurdi d'Iraq temono non solo le bombe ma la prospettiva di un'invasione
turca. I loro leader Barzani e Talabani da ieri sono ad Ankara a colloquio
con i generali turchi, i turcomanni e l'emissario Usa Khalilzad. Powell ha
diffidato la Turchia da "atti unilaterali" nei confronti dei kurdi,
assicurando minacciosamente che ai guerriglieri del Kadek (ex Pkk) "ci
penseranno gli Usa", ma è tutta sceneggiata. Il protettorato turco in Nord
Iraq e la violenta compressione di ogni velleità autonomistica dei kurdi è
il prezzo pattuito da Washington per l'apertura del Fronte Nord, riproposta
ieri in parlamento da un governo Erdogan ripulito da tutti i ministri non
bellicisti.

Del resto per i kurdi si moltiplicano i segnali preoccupanti sui futuri
assetti irakeni. Ad Ankara che chiede il loro disarmo fa eco l'ex ministro
irakeno Pakaki, oggi "dissidente", che delegittima il vertice kurdo di
Salahuddin. E ieri il fulmine a ciel sereno: serebbe ad Ankara, fuggito
dalla residenza coatta in Danimarca, l'ex capo di Stato maggiore irakeno
Al-Kahazraji, massacratore di kurdi, sciiti e comunisti. L'avrebbero fatto
fuggire gli Usa (come paventava da mesi l'opposizione danese) per metterlo
alla testa del dopo-Saddam.

Se la paura della guerra e del dopoguerra e il rigetto dell'invasione turca
da parte dei kurdo-irakeni si saldasse con il rifiuto della guerra e della
repressione turca nel Kurdistan turco, si aprirebbe la strada all'unità
nazionale invocata dal Kadek, ex Pkk. Finalmente incontrato dai suoi
avvocati dopo oltre tre mesi d'isolamento totale, teso e con problemi
respiratori, Abdullah Ocalan ha predetto amaramente "cent'anni di guerra"
se i turchi varcheranno in forze il confine e se i kurdi non sapranno
unirsi. Nei prossimi giorni i suoi avvocati turchi saranno in Italia.
Potrebbe essere l'occasione per riproporre al Viminale, sulla scorta delle
sentenze della magistratura romana ed ora della Corte di Strasburgo, il
quesito sull'asilo politico al leader kurdo "accantonato" quattro anni fa
con il pretesto del suo allontanamento forzoso.