su guerra del Kossovo e guerra in Iraq



Salve a tutt*,

Associazione Culturale Mediterraneo, Giovedì, 27 febbraio 2003 ore 22:31:47
+0100
ha scritto a tutt* in "Re: sui "treni delle armi""
 >Signor Federico Razzoli,
 >parli per se. Nessuno l'ha mai autorizzato a parlare a nome dei pacifisti.
 >Tutti. Lei lavora per la divisione del movimento pacifista tra appartenenti
 >ai DS e non. Una simile azione serve a questo governo di centro-destra e
 >non va bene.
 >Se i compagni DS sono contro questa guerra di Bush, non si deve ricordare
 >loro il passato, ma si deve lavorare per il futuro. Altrimenti cerchiamo
 >soltanto la divisione.- Se Lei lo vuole fare è liberissimo, ma non lo
 >faccia a nome mio e di molti altri pacifisti che non la pensano come Lei.
 >Ciascuno si assuma le sue responsabilità, invece di sparare nel mucchio
 >trincerandosi dietro termini generici oppure etichette inesistenti.
 >Anch'io ho criticato la posizione del governo D'Alema sul Kossovo. Ma in
 >questo momento dobbiamo lavorare per rendere forte l'opposizione alla
 >guerra. Altrimenti portiamo acqua al mulino di chi vuole trascinare
 >l'Italia nella sporca guerra del petrolio.
 >Ad ogni caso, Lei non è autorizzato a parlare a nome dei pacifisti. Si
 >limiti ad esprimere le sue posizioni senza arrogarsi diritti e
 >rappresentanze che non ha.
 >Cordialmente.
 >Farid Adly
 >
 >PS. Non sono mai stato iscritto ai DS.

Sono d'accordo su:
- bisogna rendere forte l'opposizione alla guerra
- non bisogna concedere favori al partito della guerra e della mafia che ha
  un degno rappresentante a palazzo chigi

Non sono d'accordo sul tuo "come".

Prima di tutto: mettiamoci d'accordo su due termini fondamentali
- cosa significa e chi rappresenta socialmente, oggi, la parola "pacifisti"
- cosa intendiamo per DS (ma io parlerei di tutto l'Ulivo)

Se i pacifisti, oggi, sono rappresentati socialmente da quelli che dicono
"no alla guerra, senza se e senza ma, con o senza l'ONU", il problema per
Fassino&co. non si pone. Fassino l'ha già fatto sapere che lui non è "un
pacifista alla Gino Strada", mentre su D'Alema ed il suo foglio
"Ri(tras)formista" il discorso è ancora più chiaro in termini di critica
per certi versi cerchio bottista tanto al movimento quanto al governo,
salvo il fatto poi di sentire, dal deputato di Gallipoli che "se ci fosse
stato lui al governo in Afghanistan sarebbe già stato issato il tricolore".
Ne consegue che Fassino e D'Alema (come Violante) non sono pacifisti e sono
tutt'altro che nonviolenti. Il 15 erano in coda al corteo e sono stati
doppiati dal movimento ogni volta che hanno indetto manifestazioni loro
sulla pace.
Questo vuol dire anche che il movimento pacifista, nei termini rigorosi che
ho segnalato, sa bene anche chi sono costoro e cosa vogliono.

Per DS, a questo punto, sarebbe corretto intendere la dirigenza politica di
un partito che fa fatica ad organizzare a Bologna, quindi non certo
"giocando fuori casa", una fiaccolata per la pace degna di questo nome dopo
anni di distruzione sistematica di ogni radicamento del territorio a
partire dalle sezioni. Ne consegue che chi oggi scende in piazza per la
pace con la tessera dei DS, o mette bandiere alle finestre, o fa blocchi
dei treni, o si impegna nei social forum e nei movimenti per la pace, lo fa
*indipendentemente* da una linea di partito sancita dalla dirigenza. E'
giusto? Certo che è giusto. Come è giusto chiedere a questa gente di non
rinunciare alla propria identità. Soprattutto se questo significa un adagio
logoro e fuorviante come "lo sciogliersi in un movimento" dove, con buona
pace dei cultori dei parallelismi con gli anni '60 e '70, delle masse
"indifferenziate" in movimento, sono proprio le differenze ad essere
ascoltate e rispettate.

Vista così, allora, la domanda è un'altra: qual'è la convinzione sociale
che porta tante persone a Roma il 15, a Firenze al Forum Sociale Europeo, a
Porto Alegre, alla Marcia Perugia-Assisi? Non certo le strutture
organizzate, confessionali, laiche, della sinistra più o meno moderata.
Basta guardare i numeri: vi sembra che li avremmo potuti raggiungere
sommando, da ragionieri di una politica che sposta pedine, aree e numeri di
tessere? Neanche per sogno.
La mia interpretazione dei fatti è che c'è un'intera società civile, nata
agli inizi, protagonista e figlia del secono breve, del tragico novecento,
che dalle lotte sociali e dai sistemi ideologici, nei cicli lunghi di una
scolarizzazione di massa, dalla capacità sociale di riappropriazione
dell'innovazione tecnologica (quella che ci fa comunicare indipendentemente
da "Raiset", Repubblica, Corsera, Panorama, Espresso, ecc.), ha tratto
almeno due convinzioni:
1) che le contraddizioni di questo modello sociale, economico e politico
non sono riformabili
2) che è la partecipazione, la capacità di contarsi e non farsi contare, di
chiamarsi in piazza e non farsi chiamare, di interpretare le forme di
piazza e non farsele apiccicare addosso, a rendere possibile l'impegno
sociale e la convinzione politica che possiamo davvero arrivare ad un altro
mondo possibile

Le due convinzioni sono state suffragate nel tempo dalle tante
contraddizioni e delusioni che si sono sommate. L'esperienza del
centro-sinistra al governo è stata fondamentale a far capire a tutt*, che
se una classe dirigente, ex figlia dei fiori e contestataria nel '68,
poteva concepire un proprio progetto di vita identificato con "l'andare al
potere" per poi essere obbligata al suicidio di una avventura bellica come
forma di accreditamento nei confronti dell'Alleato atlantico, quella strada
non avrebbe più convinto nessuno. E fu il funerale della "Terza Via",
infatti, che dalla tomba sta facendo nascere mostri di cinismo politico
come gli accordi e le vedute condivise tra D'Alema, Blair, Berlusconi e
Putin. Nella nascente costituzione europeo, chi si sta opponendo ad
introdurre articoli simili al nostro "ripudio della guerra" costituzionale
o a sancire il princpio della legittimità degli scioperi è un asse che va
da Blair, ad Aznar e D'Alema.
Da tutto questo ne consegue che l'attuale movimento pacifista, sempre nei
termini rigorosi scritti sopra, non solo ha prodotto un rifiuto sociale di
queste dinamiche, ma ha nutrito le proprie convinzioni e le proprie
proposte dell'idea che indietro non si sarebbe tornati. Mai più guerre
"umanitarie", che piaccia o meno al signor Adriano Sofri.
Deve essere un tabù parlare di Kossovo, allora? Tutt'altro!. I miei amici
di rete lilliput bologna, il 15 a Roma, passando sotto le finestre di un
Fassino modello "Papa benedicente" in via Nazionale, gli hanno ricordato
"Kos-so-vo, Kos-so-vo", costringendolo ad una ritirata strategica nelle
stanze del palazzo.
Io credo che noi dovremmo tenere a mente queste considerazioni proprio
perché, chi ha oggi la possibilità di rilanciare idee a pezzi ampi della
società, ha una responsabilità ed un problema da affrontare

1) La responsabilità è quella di sapere che questo patrimonio di
consapevolezza ed impegno forse non si potrà arrestare, ma di certo rischia
di essere oltremodo ostacolato dagli oltranzisti delle semplificazioni e
delle opportunità politiche "basta-che-stiamo-tutt*-sullo-stesso-carro" e
scordiamoci il passato.

2) Il problema è capire come poter investire e progettare con questo
pratrimonio sociale costituente, quali respiri auspicare, come consolidare
gli sforzi fattivamente propositivi prima che contro la sua carica
rivoluzionaria si abbatta l'ultima carta che questa classe mediocre e
cinica di politicanti potrebbe giocarsi: la scelta rischiosa di una guerra
"senza se e senza ma" pur di mantenere gli attuali equilibri di potere
mondiali. Prima che, per farlo, usino la violenza delle menzogne, dei
tranelli, del panico generalizzato.

Io credo, allora, che dobbiamo tutt* auspicare che il movimento d'opinione
che sta portando alla generalizzazione delle forme di diserzione ai
meccanismi di consenso alla guerra (quelli che promuovi, volente o nolente,
informato o meno, con il tuo onesto lavoro di ferroviere, scaricatore di
porto, operaio, impiegato, ma anche disoccupato, lavoratore in nero,
cognitario, ecc.) cresca a tal punto da rendere davvero impossibile
arrivare a sganciare la prima bomba. Dobbiamo farlo pensando che sia così,
alzando il prezzo politico che dovranno pagare il più possibile, perché
altrimenti non cadranno solo sulla popolazione civile in Iraq e ci
troveremo ad affrontare una fase che oggi è difficile prevedere e che passa
attraverso i pensieri più inconfessabili e drammatici di ciascun* di noi.
Per questo nessun*, singolo o gruppo, può pensare di bastare a se stess* e,
allo stesso modo, non si può pensare di nascondere la consapevolezza
diffusa ed inequivocabile che la guerra sui Balcani nel '99 è stata un
errore perché illeggittima, illegale, ignobile ed inutile. Ma anche perché
ha preparato politicamente la stagione che abbiamo vissuto successivamente.
Certamente non deve diventare un pretesto politicante, la retorica di chi
non riesce a nascondere la propria vocazione al minoritarismo, ma allo
stesso modo deve e può alimentare ragionamenti, nella capacità sociale fin
qui manifestata, che hanno molto a che fare con il presente.

Un esempio? In questi giorni "Striscia la notizia" sta facendo vedere le
testimonianze di famiglie i cui figli, partiti volontari per la Bosnia,
sono in seguito deceduti per tumori maligni di diversa natura. Ci sarebbe
molto da dire sul trattamento mediatico di simili questioni - con una certa
cautela Greggio e soci hanno detto "forse dovuti all'uranio impoverito e
forse a vaccini sbagliati" - ma il dato importante è un altro. Lo vogliamo
dire o no che è, invece, noto che i soldati italiani in Bosnia hanno fatto
brillare materiale e munizioni all'uranio impoverito in modi che dire
"incauti" sarebbe ancora un eufemismo? Lo vogliamo dire che questo pericolo
esiste per i "nostri" Carabinieri dislocati in Kossovo?  Lo vogliamo dire
che i "nostri" Alpini sono andati in Afghanistan a sostituire il contigente
Inglese - che è un modo subdolo di partecipare alla guerra in Iraq - nelle
zone delle caverne dove, per stanare Bin Laden con bombe ad altro
potenziale perforante è molto probabile che si siano usati armi all'uranio
impoverito i cui effetti potrebbero essere ancora più pericolosi? E
soprattutto: lo vogliamo dire che se fanno male ai "nostri" figuriamoci ai
civili che lì ci vivono e alle nuove generazioni che nasceranno?
Personalmente non ho intenzione di sacrificare queste analisi sull'altare
di nessuna cautela "preventiva" per fare in modo che i dirigenti politici
dell'Ulivo vengano in piazza con il resto della società civile che
vorrebbero (e dicono di) rappresentare.
Contro la guerra, senza se e senza ma, con o senza l'Onu, con o senza Fassino.

Marco Trotta.


PS: una curiosità, ma sei quel Farid Adly corrispondente di Radio Popolare?