[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
CAMPAGNA DI INTERPOSIZIONE CIVILE IN PALESTINA
- Subject: CAMPAGNA DI INTERPOSIZIONE CIVILE IN PALESTINA
- From: "Palestina Libera" <palestina_libera at libero.it>
- Date: Fri, 28 Feb 2003 16:17:38 +0100
UNO. CAMPAGNA DI INTERPOSIZIONE CIVILE IN PALESTINA DUE. Il diritto allo studio in Palestina TRE. DONNE di JENIN - Progetto QUATTRO. WebAggiornamenti CINQUE. Progetti di solidarieta' per la Palestina SEI. Gerusalemme sotto la neve SETTE. PALESTINA: UN NUOVO APARTHEID (Intervista a Jeff Halper ) OTTO. Viaggio di solidarieta' in Israele (!!!) Chi fosse interessato a ricevere la seguente foto puo' richiederla a palestina_libera at libero.it: * Foto (Loay Aby Haykel/Reuters) di un palestinese ferito ad un occhio (Hebron, 11 maggio): e' pratica dei militari israeliani utilizzare proiettili di gomma per non uccidere ma rendere invalidi i palestinesi. In questo caso i militari hanno reso cieco il palestinese. UNO. CAMPAGNA DI INTERPOSIZIONE CIVILE IN PALESTINA "LE TENDE DI RAFAH", Striscia di Gaza 13 - 27 aprile 2003 Il Servizio Civile Internazionale sostiene da quasi un anno le campagne di interposizione civile dell' International Solidarity Movement e continua ad organizzare campi di lavoro nei territori occupati facilitando la formazione e l'invio di gruppi di attivisti e volontari. Dopo l'esperienza di alcuni attivisti italiani, lo SCI ha scelto di focalizzare la prossima missione su Rafah, nella striscia di Gaza. Rafah si trova al confine con l'Egitto, proprio dove l'esercito israeliano sta costruendo un muro di separazione distruggendo tutto nel raggio di 100-150 metri comprese case e campi coltivati che si trovano lungo questa "striscia di sicurezza". Inoltre la zona e' circondata da chek points che impediscono il movimento ai civili palestinesi aumentando ogni giorno la poverta' e l'oppressione. L'idea di piantare delle Tende di pace e' nata dalla volonta' dei palestinesi e degli attivisti italiani che hanno partecipato alla missione di dicembre di dare visibilita' e tangibilita' alla loro presenza in quell'area, adottando uno strumento concreto di interposizione per proteggere la popolazione, le abitazioni, la terra e le infrastrutture. Gli attivisti affiancheranno i pale ola, i dottori e le ambulanze affinche' svolgano il loro lavoro, collaboreranno ai lavori di ricostruzione e riparazione, organizzeranno sit-in e manifestazioni di protesta. La presenza internazionale, se coordinata e numerosa, puo' ridurre l'aggressivita' e puo' evitare le demolizioni delle infrastrutture. Inoltre e' importantissima per rompere l'isolamento al quale i Palestinesi sono costretti e per costruire un'informazione alternativa. Le partenze per la campagna sono le seguenti: - 13 aprile per il training I.S.M. in Palestina del 15-16 aprile; - 20 aprile per il training I.S.M. in Palestina del 22-23 aprile. Per i volontari in partenza, il Servizio Civile Internazionale organizza un incontro di formazione il 29 e 30 marzo a Roma (scadenza iscrizioni il 23 marzo). Si consiglia una permanenza minima in Palestina di 10 giorni. Per maggiori informazioni contattare Caterina o Raffaella presso: Servizio Civile Internazionale Tel.: 06.5580661/44 Fax.: 06.5585268 E-mail: info at sci-italia.it www.sci-italia.it Per chi volesse partire in altri periodi, anche gia' a marzo o dopo il periodo di Pasqua, o per chi non potesse raggiungere Roma, abbiamo organizzato 3 ulteriori incontri di formazione pre-Palestina : - dalla sera del 7 al 9 marzo 2003 a Zonca (Domodossola), adesioni entro la sera del 5 marzo. Nicola:340.6774683 - wakancrist at libero.it. Stefano: 349.7115462(Venezia) - mustafa2912 at yahoo.it - stefano.orlando29 at libero.it - dalla sera del 14 al 16 marzo 2003 presso villaggio di Avalon (Pistoia), adesioni entro 10 marzo a Mario: 339.1260175. - dal 15 al 16 marzo 2003 a Bari, per adesioni contattare Andrea: 333.7033589 o 080.629789 - andreaerdna at libero.it DUE. Il diritto allo studio in Palestina [il 28 marzo 2003 si terra' una giornata di studio all'Universita' "La Sapienza" su "Stato della ricerca e del diritto allo studio nelle universita' palestinesi"] Un appello per il "diritto allo studio" in Palestina Ci siamo recati in Palestina nella prima settimana di ottobre it, Al-Quds, Betlemme, Al-Azhar in risposta all´appello, che, di fronte alla crescente gravita' del conflitto israelo-palestinese, alcuni docenti della Facolta' di Scienze Umanistiche dell´Universita' di Roma "La Sapienza" hanno promosso e che e' stato sottoscritto da piu' di 150 colleghi di diverse discipline e universita' italiane. La comunita' universitaria, con questo appello, ha inteso unire la sua voce a quella di quanti si esprimono per la fine dell´occupazione e delle azioni militari israeliane in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est, per l´avvio del processo di decolonizzazione, per la ripresa dei negoziati e la realizzazione di una pace fondata sulla giustizia e il rispetto dei diritti di tutti (profughi palestinesi inclusi), per la formazione di uno Stato Palestinese indipendente e sovrano accanto allo Stato d´Israele, ritenendo che compito delle autorita' accademiche e delle forze politiche sia contribuire e sostenere iniziative culturali volte al dialogo, alla conoscenza della questione israelo-palestinese, alla promozione di una cultura di pace. Siamo convinti che il nostro contributo di docenti alla realizzazione di questo processo possa costruirsi sulla partecipazione e collaborazione con universitari palestinesi e israeliani. Partire, con una prima delegazione, poteva essere un inizio, un modo di testimoniare solidarieta' a studenti e a docenti, ai quali e' impedito il diritto allo studio e alla ricerca. L'Universita' di Birzeit, vicino Ramallah, e', con 5000 iscritti, una delle piu' prestigiose istituzioni universitarie palestinesi. Tra le offerte dell´Universita': un corso di studi arabo-palestinese, rivolto agli studenti stranieri e un Istituto di Salute Pubblica che intreccia elaborazione scientifica e intervento politico. L´ubicazione particolare dell´Universita', vicino alla sede dell´Autorita' Palestinese, la vede oggetto di continui controlli e restrizioni, che contribuiscono a renderne difficile l´accesso al punto di rischiare di trasform cale o fruibile solo da chi puo' permettersi un alloggio in citta'. Il problema della mobilita' negata coinvolge studenti e docenti: check-points, coprifuoco, occupazione militare non permettono il normale svolgimento della vita universitaria. Lo scorso semestre e' stato concentrato in sole 5 settimane. A causa della crisi economica determinata dall'occupazione israeliana, le famiglie spesso non sono in grado di pagare le tasse d´iscrizione. D´altra parte, un budget universitario non puo' reggersi solo sulle entrate delle tasse, e i finanziamenti dati alle universita' dall´Autorita' Palestinese con il contributo della Comunita' Europea, di singole nazioni e della Lega Araba sono oggi fortemente ridotti a causa delle emergenze del conflitto. Malgrado questi gravi problemi, i docenti palestinesi si impegnano per preservare la qualita' dell´istruzione e della ricerca, e per arginare il fenomeno della dispersione degli studenti, che si e' verificato durante la prima Intifada. La situazione non e' diversa in altre universita', come emerge dall'incontro con i docenti dell'Universita' di Betlemme e dell'Universita' di Al-Quds. Quest´ultima, nel villaggio di Abu Dis, vicino a Gerusalemme, dove sorge un tratto del "muro" che il governo israeliano sta edificando con un progetto che porta il nome surreale di "Avvolgere Gerusalemme", ha avuto una grande espansione negli ultimi dieci anni, ma adesso, con l'inasprirsi della stretta politica e militare, si trova a fronteggiare analoghe difficolta'. L'Universita' Al-Azhar nella Striscia di Gaza, e' la piu' grande della Palestina. (14.000 studenti, il 40% studentesse). Anche a Gaza, blocchi stradali, check-points e continue incursioni militari colpiscono duramente studenti e docenti che provengono da diverse citta' e villaggi. e' quanto denunciano le studentesse che incontriamo, raccontando di spostamenti anche per brevi tragitti che durano fino a sette o otto ore, di notti passate ai check-points, di giornate perdute perche' si miliazioni, minacce e violenze psicologiche di ogni tipo. Come salvaguardare la qualita' dell'esperienza formativa in questa situazione e' la questione centrale per gli universitari palestinesi. Le soluzioni di emergenza che le universita' stanno fornendo - corsi a distanza, ripetizione delle lezioni, slittamento dei semestri, affitto di locali - non possono che essere temporanee e inadeguate. Il controllo sulla mobilita' e sulla vita dei palestinesi e' lo strumento di cui Israele si serve nella sua strategia di occupazione e di espansione. La negazione del diritto allo studio, dalle elementari all´universita' costituisce una grave violazione della dignita' e dei diritti fondamentali dell´essere umano. Per questo la priorita' e' fare tornare gli studenti nei campus e in questa direzione va il progetto "Right to Education" di Birzeit che chiede il sostegno della comunita' accademica internazionale. Maria d´Erme (Univ. "La Sapienza", Roma), Armando Gnisci (Univ. "La Sapienza", Roma), Giulia Fanara (Univ. "La Sapienza", Roma), Federico Lastaria (Politecnico, Univ. di Milano), Donata Meneghelli (Univ. di Bologna), Gabriella Rossetti (Univ. di Ferrara), Patrizia Violi (Univ. di Bologna). Si ringrazia l´on.le Luisa Morgantini - Assopace, le Donne in Nero per l´organizzazione del viaggio. (E´ possibile richiedere a Palestina_libera at libero.it la versione completa dell´articolo) TRE. DONNE di JENIN le DONNE IN NERO con PALESTINIAN WOMEN'S UNIONPALESTINIAN MEDICAL RELIEF COMMITTEESWOMEN'S STUDIES CENTER chiedono il tuo sostegno DONNE di JENIN Campagna di raccolta fondi per le donne dei campo profughi le studentesse universitarie e l´imprenditoria femminile "A Jenin (Palestina) non ci sono i resti delle case, ma polvere, tutto e' stato distrutto dopo essere stato abbattuto, camminiamo su vestiti ammucchiati, resti di pavimenti, frammenti di tazzine, giocattoli: calpestiamo i ricordi e la vita stessa. Donne si aggirano lente tra le macerie, riconoscono i loro oggetti n vanno via. Costruiscono tende con coperte lacere, stendono a terra un materasso e li' dormono." Da Elvira, Teresa, Maria Teresa Campo profughi di Jenin, maggio 2002 "Grazie per il vostro aiuto, e' vero non ho piu' niente, ma non e' solo l´acqua di cui ho bisogno, puoi fare qualcosa per restituirmi mio padre? Puoi darmi un po´ di giustizia? Giustizia, ne abbiamo tanto bisogno e diritto" Najwa, 13 anni a Luisa, Campo profughi di Jenin, aprile 2002 Il 3 aprile 2002 l´esercito israeliano e' entrato nel campo profughi di Jenin per compiere la sua missione di rastrellamento dei sospetti terroristi isolando cosi' l´intera area con carri armati, bulldozer e aerei da guerra. L´Human Rights Watch denuncia le seguenti violazioni dei diritti umani: 140 case di-strutte e altre 200 rese inabitabili; 52 morti di cui 22 civili; civili usati come scudi umani, 8 giorni di totale chiusura del campo all´accesso di medici, ambulanze e della Croce Rossa Internazionale. Moltissime donne del campo sono rimaste senza casa e senza fonte di reddito e devono far fronte ai bisogni immediati delle loro famiglie. Tutto questo quando gia' da due anni la citta' e' sotto occupazione militare e di conseguenza vive una situazione di gravissima crisi economica che impedisce alle ragazze di continuare i loro studi e toglie alle donne qualsiasi risorsa da investire in progetti per il futuro. Le Donne in Nero sono una rete internazionale di donne che ripudiano ogni forma di guerra, di terrorismo, di fondamentalismi e di violazione dei diritti umani e civili, ricercano pratiche non violente per la risoluzione dei conflitti, promuovono la diplomazia dal basso e la partecipazione attiva della donne ai tavoli delle trattative tra le parti, dove la loro presenza ed esperienza e' necessaria e preziosa. A muoverle e' la relazione diretta con le donne dei luoghi difficili, Palestinesi, Israeliane, dei Balcani, Afghane, Kurde,Turche, Algerine, con tutte coloro che lavorano per l'affermazione di una politica i le donne libere da guerre, violenze e poverta' per tutte e tutti. Questa campagna nasce dalla rete di relazioni gia' esistente tra le Donne in Nero italiane e le donne palestinesi. Le radici di questo progetto risalgono al 1988 quando con un gruppo di donne ci recammo a Gerusalemme per costruire relazioni con donne palestinesi e israeliane, per superare il conflitto e l´occupazione militare israeliana, nel riconoscimento reciproco del diritto alla sovranita', alla liberta', per due popoli e due stati. In questi anni molti sono stati i progetti e le iniziative che abbiamo fatto in comune. in quest´ultima Intifadah a partire dal dicembre 2000, con "Io donna vado in Palestina" molte donne, in Nero e non solo, sono state testimoni delle violazioni dei diritti, cercando con la loro presenza di essere un argine alla violenza e alle umiliazioni subite dai palestinesi e intessere relazioni con le forze pacifiste israeliane e il movimento sociale palestinese. Il Women's Studies Center e' una ong palestinese di donne fondata nel 1989 per garantire uguali diritti e pari opportunita' in campo economico, sociale e politico alle donne. Il Women's Studies Center coordina un comitato di donne per il sostegno a studentesse universitarie palestinesi costrette ad abbandonare l `universita' a causa dell´'occupazione militare israeliana che ha fatto crescere i costi degli studi superiori. La Women's Union e' un´organizzazione politica di donne palestinesi. Nate alla fine degli anni '70, il loro obiettivo e' la cre-scita politica delle donne per il loro pieno coinvolgimento nella vita pubblica e nella lotta di resistenza nazionale. Sviluppano programmi specifici per favorire l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro e per far loro conoscere i loro diritti. Nel campo profughi di Jenin si sono mobilitate in aiuto delle donne che hanno perso assolutamente tutto sul piano materiale ma soprattutto sono state private di qualsiasi sogno per il loro futuro e per quello delle loro famiglie. lief Committees (PMRC) sono dei comitati locali di assistenza socio-sanitaria che organizzano piu' di 3000 volontari in tutti i territori palestinesi. Operano accanto alle strutture istituzionali dell'ANP per far fronte all'attuale situazione di emergenza. La loro filosofia si incentra sul-l'idea di societa' civile, quale soggetto ricco di valori ed energie da mobilitare e valorizzare per garantire la crescita democratica del paese. Nell'area di Jenin, malgrado le difficolta' economiche e di movimento indotte dall´occupazione militare, esistono 13 gruppi di donne gia' attivi, dotati di una propria progettualita' e di un minimo di capacita' finanziaria. DAI UNA MANO ANCHE TU alle donne palestinesi che non vogliono essere un´altra volta profughe, che vogliono giustizia e ricostruire cio' che e' stato distrutto dall´esercito israeliano che continua a occupare illegalmente la loro terra: aiutiamole a progettare un futuro di convivenza e di pace per se' e per i loro figli. NON AVERE TIMORI, SERVIRa' o con 100 euro si garantisce ad un nucleo familiare del campo profughi di Jenin (5 persone) il cibo necessario per un mese o con 250 euro si garantisce ad una studentessa di Jenin un semestre di iscrizione in una universita' palestinese o con 750 euro si garantisce alle donne di un villaggio di Jenin un anno di affitto dei locali necessari per attuare i loro progetti PUOI VERSARE: o bonifico bancario su c/c n. 106500 intestato a Donne in Nero, ABI 5018, CAB 12100, presso Banca Popolare Etica Padova o versamento sul c/c postale n. 12182317, intestato a Donne in Nero - Banca Etica, indicando nella causale "c/c n. 106500" Puoi scegliere a chi dare il tuo aiuto specificando una causale tra le seguenti: o "Donne di Jenin/Donne del Campo" o "Donne di Jenin/Studentesse" o "Donne di Jenin/Donne dei Villaggi" Campagna Donne di Jenin - Palestina Donne in Nero Via IV Novembre, 149 - 00197 ROMA tel. (+39) 06 69950217 06 69200975 fax (+39) 06 69950200 e-mail: dinperjenin@yahoo.i ime da Indymedia Israel http://www.indymedia.org.il/imc/israel/webcast/front.php3 IL sito di Gush-Shalom e' sempre ricco di informazioni, foto, aggiornamenti ed approfondimenti http://www.gush-shalom.org/english/index.html CINQUE. Progetti di solidarieta' per la Palestina http://www.tmcrew.org/int/palestina/progetti.htm SEI. Gerusalemme sotto la neve http://electronicintifada.net/v2/article1205.shtml SETTE. PALESTINA: UN NUOVO APARTHEID Intervista a Jeff Halper a cura di ALESSANDRA GARUSI Jeff Halper, urbanista israeliano e docente di antropologia all'Universita' Ben Gurion del Negev, coordina il Comitato israeliano contro la demolizione delle case palestinesi (Icahd). MO lo ha intervistato. "Che diavolo sta succedendo qui?" Chi urla queste parole in mezzo al rumore assordante delle ruspe e ai calcinacci che cadono tutt'intorno, e' Jeff Halper. Ogni volta che un bulldozer israeliano comincia a radere al suolo un gruppo di case, un villaggio palestinese, il suo telefonino (+972-50-651425) immancabilmente squilla. Qualsiasi sia l'ora del giorno o della notte, lui si precipita. Barba corta, 56 anni ben portati, occhiali e una valigia strapiena di case. Si direbbe il classico professore. Di fatto, lo e': insegna antropologia all'Universita' "Ben Gurion" del Negev. Ma e' anche il coordinatore del Comitato israeliano contro la demolizione delle case palestinesi (Icahd). Cresciuto negli anni 60, in un'America molto politicizzata, da 30 vive in Israele, dove lavora come "antropologo impegnato". Quand'e' sulle barricate, pensa ai libri che vorrebbe scrivere; quando sale in cattedra, lo fa con l'esperienza dell'uomo della strada. La professione, la vita privata, l'impegno sociale s'intersecano. Sono tutt'uno. Ecco, dunque, l'analisi di un israeliano che ama il suo paese e, proprio per questo, lo critica senza riserve. Una vita di sicuro non bastera' a raggiungere la fine dell'occupazione, lo smantellamento delle colonie e la creazione di uno stato palestinese indipendente e sov e' fermamente convinto di lavorare in un solco. E di poter poi passare il testimone alle generazioni future. Lo abbiamo incontrato alla "Casa della Cultura" di Milano, a margine di una conferenza organizzata dal mensile Una Citta'. Attentati palestinesi da una parte, rappresaglie israeliane dall'altra. Il sangue continua a scorrere in Medio Oriente. Ma qualcosa sta cambiando? Siamo in una situazione completamente diversa, rispetto ad un anno fa. Dopo la rioccupazione di parte della Cisgiordania, il massacro di Jenin e la rappresaglia su Nablus, il premier Sharon ritiene di essere ad una svolta: alla fine della guerra, alla sconfitta finale dei palestinesi. Adesso tutto e' piu' difficile. E l'ipotesi stessa che possa esserci un giorno uno stato palestinese indipendente, appare piu' remota. Da marzo 2002 ad oggi, che cos'e' successo nella West Bank e a Gaza? La West Bank e' stata totalmente distrutta: dalle infrastrutture (le banche, le anagrafi, ecc.) ai campi coltivati, alle case. Mentre Gaza resta intatta. Il governo israeliano vorrebbe spostare qui il "cuore" della Palestina; Sharon l'ha chiamata "il cestino dell'Amministrazione palestinese". Di fatto, sara' la prigione dell'Olp. Nel frattempo, Gaza e' stata suddivisa in tre cantoni; e la West Bank in otto, che possono essere pero' raggruppati fra loro in tre: il cantone nord sara' attorno a Nablus, circondato da un muro lungo 300 km, cioe' tre volte quello di Berlino, il cui costo si aggira attorno ai 500 milioni di Euro; al centro ci sara' il cantone di Ramallah; il terzo, a sud, e' quello Hebron (pure isolato). Oltretutto, dato che il Muro e' stato costruito al di la' della "linea verde" (ex linea armistiziale pre-67), 100mila palestinesi saranno condannati a vivere nella terra di nessuno, fra il Muro e la linea verde. Ripeto: sia il Likud che il partito laburista ritengono che il conflitto sia finito, e che a Jenin sia stato piegato lo spirito di resistenza palestinese. Grazie all'appoggio incondizionato del Congresso ameri grazie alla neutralizzazione delle Nazioni Unite e alla passivita' dell'Unione Europea - Israele e' quindi riuscita nel suo intento: chiudere in isole i palestinesi. Si tratta di un processo del tutto irreversibile? Tre fattori possono fare la differenza: la "strada palestinese" che e' stanca e non sa quanto ancora potra' resistere, eppure non ha rinunciato alla lotta; il movimento pacifista israeliano, che e' piccolo, ma determinato e lavora gomito a gomito con la controparte palestinese; ci siete voi, la societa' civile internazionale. Se la lotta dei palestinesi, diventa la vostra lotta - come la lotta dei neri sudafricani contro il regime bianco del presidente Botha smise, ad un certo punto, di essere una "questione locale" - allora un'inversione di tendenza diventera' possibile. Veniamo al suo impegno nell'Icahd. Perche' la demolizione delle case e' sempre stata (ed e' tuttora) al centro del conflitto israelo-palestinese? La demolizione delle case e' una questione politica di fondamentale importanza. Come Icahd, stiamo lavorando su questo tema da almeno 6-7 anni; ma ogni volta che tentiamo di spostare la nostra attenzione altrove, ecco che - boom - un'altra demolizione ci fa tornare sui nostri passi. L'attacco al campo rifugiati di Jenin, con 9-10 bulldozer del tipo "D-9" (enormi, disegnati in modo che quando abbattono una casa, il conducente resta illeso), e' stato esemplare: l'"eroe", premiato con una medaglia dall'esercito israeliano, e' appunto uno degli autisti, che per 75 ore ha guidato attraverso una zona densamente abitata, abbattendo tutto cio' che gli si presentava di fronte. Intervistato, ha detto di "non aver mai provato una felicita' di quel genere"... Ora la politica e' poi quella di demolire le case di persone accusate di terrorismo, o dei loro famigliari, quando non si tratta di lontani parenti. E ci si chiede appunto perche'. Allora si comprende che tutto non inizio' nel '67 con l'abbattimento di 9mila case, ma nel '48, quando Israele demoli' 418 villaggi pales ta non puo' essere soltanto politica, cioe' finalizzata a confinare i palestinesi in alcune aree. Non puo' essere solo una punizione, o un deterrente nei confronti di attentati terroristici. Penso che la ragione profonda - ed e' per questo che e' cosi' ricorrente - sta qui: Israele e' impegnata in un processo di spostamento generale. Vuole dislocare tutti la popolazione palestinese e assicurarsi l'intero territorio, cosa che del resto ha gia' fatto. Vuole una situazione che sia irreversibile. Qual e' il messaggio del bulldozer? Il messaggio e': non c'e' posto per te nell'intero paese. Se sei un rifugiato (e la maggior parte dei palestinesi nei Territori lo e') e se non puoi tornartene a casa perche' la tua casa non esiste piu', non ti consentiremo di trovare un altro luogo. Ecco perche' la demolizione delle case continua ad essere al centro del conflitto: e' il simbolo e, insieme, lo strumento della dislocazione dei palestinesi. Lei ha scritto che il bulldozer e il carro armato esprimono perfettamente la relazione di Israele con i palestinesi. Ci puo' spiegare meglio? Sono complementari. Il carro armato e' il simbolo della conquista: mira a sconfiggere i palestinesi in senso militare. Il bulldozer e' cio' che viene dopo. Mentre il carro armato crea una situazione in cui l'altro e' sconfitto, ma resta presente: puo' rialzarsi ancora; ci possono essere negoziazioni politiche... Nel caso del bulldozer, l'altro viene eliminato. La casa, il villaggio scompare. La possibilita' di un ritorno scompare. Alla sconfitta rappresentata dal carro armato, dunque, segue sempre la dislocazione rappresentata dal bulldozer. David Grossman ci ha recentemente dichiarato: "Cerco di decodificare i segni di autodistruzione. Perche' e' questo che stiamo facendo: il nostro e' un suicidio collettivo". A suo giudizio, c'e' qualcosa di irrisolto nella psiche collettiva israeliana? e' una domanda difficile. Ci sono centinaia di risposte possibili. Innanzitutto va ricordato che il sionismo inizio' nel XIX se l'insorgere del nazionalismo. Esso adotto' un tipo di nazionalismo tribale dell'Europa dell'Est che, a differenza di quello occidentale, era esclusivo. Aveva un orientamento maggiormente statalista. Cio' che ha intrappolato Israele nella condizione odierna, e' il fatto stesso di aver avanzato una richiesta esclusiva. Hanno detto: il paese e' nostro. Nessun altro popolo ha il diritto di rivendicarlo. Gran parte di questa dinamica era dunque iniziata ben prima che gli ebrei mettessero piede in Israele. Secondariamente, gli israeliani non vedono se stessi come prigionieri di un meccanismo che li portera' all'autodistruzione. Se si guarda agli ultimi cent'anni di storia, sono andati di successo in successo. Da un'economia di villaggio e un territorio in mano agli arabi, si e' passati ad uno stato ebraico, dove gli ebrei controllano il 94% delle terre, mentre gli arabi sono stati spinti nell'angolo. E in questo Israele non e' solo: ha l'appoggio delle superpotenze, in primo luogo dell'Amministrazione americana. Non c'e' niente che lo possa toccare: l'Europa di sicuro non avviera' azioni proprie, discordanti dalla linea statunitense. L'economia israeliana e' tuttora fortissima: e' tre volte quella dell'Egitto, Siria, Giordania, Palestina e Libano messe insieme. Certo, mi e' difficile credere che l'occupazione possa avere la meglio. Che un popolo possa mantenerne un altro sottomesso per sempre. Non si puo' avere una societa' normale, sana, etica e, contemporaneamente, un'occupazione. Israele, in parte, crede di essere vittima; e, in parte, utilizza cinicamente questo concetto. In che senso? Nel momento in cui gli ebrei si sentono "le vittime" per eccellenza, si pongono al di fuori di qualsiasi responsabilita'. Il lato positivo dell'essere vittima, e' infatti che uno puo' agire come gli pare. Perche' "si sta solo difendendo". Quando il campo rifugiati di Jenin e' stato invaso, la lotta era impari fra uno degli eserciti piu' forti del mondo e dei poveracci. Eppure Israele ha visto se' stessa terrorismo palestinese. Una delle logiche conseguenze di questo e' che la gente non riflette. E non puo' riflettere. Perche' se lo facesse, vedrebbe tutta una serie di cose che non vuole vedere: il torto e la ragione non stanno al 100% da una parte sola. Se si apre una crepa ammettendo, ad esempio, che nel '48 gli israeliani ebbero un ruolo nel sorgere della "questione rifugiati", l'intero castello di sabbia crollerebbe. Come prevede che andranno le elezioni previste per il 28 gennaio? Sharon succedera' molto probabilmente a se stesso. Hanno voluto rompere il governo di unita' nazionale per andare ad elezioni anticipate. Ma entrambi, il Likud come il partito laburista, hanno promesso di ritornare ad un governo di unita' nazionale dopo le elezioni. Quindi, vedremo un governo molto simile a quello appena caduto. Anche se due terzi degli israeliani vogliono il Muro, la separazione, vogliono disfarsi dell'occupazione - la sentono come un Albatros attorno al proprio collo - nessuno glielo dara'. E nell'assenza totale di leadership, di una soluzione politica ("perche' i palestinesi non vogliono la pace"), la sola via e' resistere, finche' qualcosa, qualcuno irrompera' sulla scena. Chiunque sia. C'e' molto poco spazio anche solo per il dibattito in Israele. Non vogliono parlare di elezioni. Vogliono solo poter salire sul pullman la mattina, scendere la sera, andare al supermercato, comprarsi la cena e tornare a casa sani e salvi. Questo e' tutto. Da una nazione che nel '48 aspirava ad essere "una luce per gli altri", ci siamo ridotti in questo stato. Che e' molto triste, ma e' qui che ci ha condotti l'occupazione: al minimo delle nostre aspettative. E il nuovo leader dei laburisti, Amram Mizna? e' esattamente quello che vogliono gli israeliani. Quando ha annunciato la sua candidatura, c'e' stato un grande entusiasmo. E lui si e' assunto l'incarico dicendo: "Usciremo da questa dannata occupazione. Vi portero' alla pace. Ci sbarazzeremo degli insediamenti...". La gente lo avrebbe seguito oi si e' rivelato un politico laburista grigio. Non ha un carisma, un programma. Certo, almeno e' una faccia nuova. Ma non c'e' alcuna possibilita' che possa diventare premier. Ha mai pensato di lasciare Israele? Venni in questo paese come parte di una ricerca identitaria. Ho lasciato per sempre gli Stati Uniti: davvero, non sento alcun senso di attaccamento. Vivo in Israele da trent'anni, ho una moglie, dei figli, ho un'intera vita qui. Anche se politicamente non sono contento, e' comunque l'esistenza che ho costruito. E poi sarebbe il colmo che, proprio quando la lotta si fa piu' dura, decidessi di andarmene. L'impegno della mia vita perderebbe senso. Nel movimento dei diritti civili, uno e' perfettamente consapevole che un'esistenza non basta: si lotta contro potentissime forze culturali, economiche e politiche. Si continua a lavorare, facendo il possibile. E poi si passa il testimone alla generazione futura. e' questa la prospettiva che ho. A cura di ALESSANDRA GARUSI Fonte: Missione Oggi OTTO. Viaggio di solidarieta' in Israele Oltre ai viaggi Assopace, DIN, Action For Peace, etc esistono anche quelli a sostegno della sola Israele; puo' essere interessante un confronto. Eccone un esempio: EL AL E MIN VIAGGI PRESENTANO viaggio di solidarieta' in Israele 02-09 MARZO 2003 In collaborazione con il KKL di Roma la Federazione Associazione Italia Israele Domenica 2: Arrivo e trasferimento a Gerusalemme Partenza da Roma Fiumicino, con volo EL AL, h 11:00 arrivo a Tel Aviv h15:15. Partenza da Malpensa, con volo EL AL h 12:30 arrivo a Tel Aviv h 17:20 Possibilita' di partenza da altri aeroporti italiani Lunedi' 3: Incontro al Ministero degli Esteri con Ilan Shtulman Visita alla Corte Suprema Giro panoramico di Gerusalemme Monte Herzl e Yad V chia, attraverso i quartieri che la caratterizzano, arabo, cristiano ed ebraico con il Tunnel Possibilita' di tempo libero al mercato arabo Cena e pernottamento in albergo ( Park Plaza Hotel) dopo la cena, incontro in albergo con alcune vittime del terrorismo. Martedi' 4: Tempio Italiano e Visita del Museo. Incontro con rappresentanti della Comunita' ebraica italiane incontro e dibattito con la giornalista Fiamma Nirenstein Visita alla Torre di David Tempo libero Trasferimento ad Arad Mercoledi' 5: Visita di Tel Arad Visita al museo dell'Aviazione israeliana Beer Sheva e pranzo libero al centro commerciale della citta'. Visita al Kibbutz di Revivim per conoscere la storia del
- Prev by Date: Una bandiera di pace per Is Componidoris - COMUNICATO STAMPA
- Next by Date: su guerra del Kossovo e guerra in Iraq
- Previous by thread: Una bandiera di pace per Is Componidoris - COMUNICATO STAMPA
- Indice: