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Social Watch 2002: un'istantanea del mondo globalizzato. Intervista a Mario Mansuelli della redazione EMI
- Subject: Social Watch 2002: un'istantanea del mondo globalizzato. Intervista a Mario Mansuelli della redazione EMI
- From: Daniele Barbieri <barbieri at carta.org>
- Date: Sat, 22 Feb 2003 11:10:47 +0100
Social Watch 2002: un'istantanea del mondo globalizzato. Intervista a Mario Mansuelli della redazione EMI E' stato pubblicato il rapporto annuale Social Watch - 2002, che come ogni anno fornisce un quadro dettagliato sulla condizione di vita dei vari Paesi del mondo: quelli ricchi, quelli in via di sviluppo e quelli così detti poveri. Il tema di quest'anno è "l'impatto sociale della globalizzazione nel mondo". A chi si rivolge Social Watch e con quale intento? Il Rapporto Social Watch offre ogni anno un'informazione ampia, approfondita e aggiornata sulle condizioni di vita dei popoli nei vari Paesi del mondo. Si rivolge quindi a un pubblico molto vasto, dalle persone impegnate nella cooperazione internazionale, nelle associazioni umanitarie, nei sindacati, agli studenti delle superiori e dell'università. Chiunque ragioni in termini anche socioeconomici e cerchi informazioni aggiornate trova nel Rapporto Social Watch uno strumento indispensabile. L'intento specifico del Rapporto è monitorare ciï che fanno i governi dei vari paesi del mondo per onorare l'impegno di sradicare la povertà (impegno che hanno assunto nel 1995 al Vertice di Copenhagen sullo sviluppo sociale). L'impegno si articola in un insieme di obiettivi (accesso all'acqua, all'assistenza sanitaria, all'istruzione ecc.) che si avvicina in maniera soddisfacente a definire la qualità della vita, almeno per quanto riguarda il piano materiale, secondo i principi del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Umano (UNDP). Perché si è scelta una forma soprattutto quantitativa, molto dettagliata, di pubblicazione dei dati? Il Rapporto Social Watch è prima di tutto un controllo di risultati, e la forma quantitativa è essenziale per poter misurare con precisione i progressi o i regressi compiuti. Ma la maggior parte del testo è di scorrevole lettura: alle tabelle iniziali seguono i Rapporti tematici e i Rapporti sui paesi con le interpretazioni discorsive dei dati numerici. Uno dei fenomeni che sembrano caratterizzare gli ultimi anni è la regressione economica e sociale di molti paesi africani, alcuni dei quali già in condizioni critiche e altri che, perï, avevano dato segni di miglioramento. Dove vanno ricercate le cause di questa crisi? All'inizio degli anni Settanta i paesi in via di sviluppo cominciarono a indebitarsi perché in seguito alla prima crisi petrolifera l'abbondanza di petrodollari faceva sì che le banche offrissero prestiti con tassi d'interesse molto bassi. Nel 1979 ci fu una seconda crisi petrolifera, ma allora i leader dei principali paesi capitalisti erano Reagan e la Thatcher che scelsero una politica economica differente: per combattere l'inflazione ridussero la quantità di moneta e questo portï a un'impennata dei tassi d'interesse. Un altro effetto della politica statunitense fu un grossa crescita di valore del dollaro rispetto alle altre valute. Questi due fattori misero in crisi i paesi indebitati - tra i quali molti paesi africani -, che nel giro di pochi anni si trovarono nell'impossibilità di onorare il servizio del debito. Inoltre, la concessione dei prestiti da parte delle istituzioni finanziarie internazionali è legata all'adozione di misure di politica economica neoliberiste che richiedono tagli alle spese sociali e finalizzano la produzione al mercato globale, dove perï la posizione di molti paesi africani rimane assai debole: offrono per lo più materie prime non lavorate, rischiando il collasso delle loro economie nella concorrenza con altre nazioni produttrici che possono vendere a prezzi più bassi. Le strategie tradizionali di sopravvivenza sono abbandonate, lo sviluppo umano viene sacrificato per una crescita economica che non si verifica, e ci si ritrova sempre più impoveriti non solo materialmente, ma anche sul piano umano. Infine, anche dove ci sono buone possibilità, spesso i profitti sono monopolizzati da piccole élite locali che impediscono o rallentano enormemente la ridistribuzione della ricchezza. Questi gruppi dirigenti locali sono normalmente legati ai traffici delle risorse più preziose, intorno alle quali si svolgono conflitti brutali, per cui si spendono somme enormi per acquistare armi. L'economia mondiale sembra non tener conto delle donne e di una prospettiva femminile nella gestione della spesa pubblica, della politica, dell'apparato statale. La globalizzazione è solo maschile e la povertà solo femminile? Dal rapporto emerge che la globalizzazione crea un divario sempre maggiore tra poveri e ricchi, e che i poveri sono soprattutto donne (70%): dove sta il problema e di che genere è? La percentuale che lei cita è una stima. Parecchie associazioni di donne hanno chiesto ai loro governi di elaborare indicatori di povertà da reddito disaggregati per genere, perché si constata empiricamente che la situazione delle donne è svantaggiata. Come lavoratrici dipendenti ricevono salari più bassi degli uomini e sono più esposte ai licenziamenti. Come imprenditrici sono legate alla dimensione della piccolissima impresa che non attira investimenti. Nelle concrete situazioni di vita dei paesi impoveriti, molte donne si ritrovano da sole a dover amministrare la famiglia, perché i loro uomini sono assenti in via temporanea o definitiva. Queste donne non hanno facile accesso a un lavoro riconosciuto socialmente e ai servizi di base. Ecco perché sono le più povere tra i poveri. Per richiedere il libro: www.emi.it Per informazioni: www.socialwatch.org - socwatch at socwatch.org (fonte "Bandiera gialla"........ CREDO: era omessa nel messaggio che mi hanno girato)
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