Social Watch 2002: un'istantanea del mondo globalizzato. Intervista a Mario Mansuelli della redazione EMI



Social Watch 2002: un'istantanea del mondo globalizzato. Intervista a Mario
Mansuelli della redazione EMI

E' stato pubblicato il rapporto annuale Social Watch - 2002, che come ogni
anno fornisce un quadro dettagliato sulla condizione di
vita dei vari Paesi del mondo: quelli ricchi, quelli in via di sviluppo e
quelli così detti poveri. Il tema di quest'anno è "l'impatto
sociale della globalizzazione nel mondo".
A chi si rivolge Social Watch e con quale intento?
Il Rapporto Social Watch offre ogni anno un'informazione ampia, approfondita
e aggiornata sulle condizioni di vita dei popoli nei
vari Paesi del mondo. Si rivolge quindi a un pubblico molto vasto, dalle
persone impegnate nella cooperazione internazionale, nelle
associazioni umanitarie, nei sindacati, agli studenti delle superiori e
dell'università. Chiunque ragioni in termini anche
socioeconomici e cerchi informazioni aggiornate trova nel Rapporto Social
Watch uno strumento indispensabile. L'intento specifico
del Rapporto è monitorare ciï che fanno i governi dei vari paesi del mondo
per onorare l'impegno di sradicare la povertà (impegno
che hanno assunto nel 1995 al Vertice di Copenhagen sullo sviluppo sociale).
L'impegno si articola in un insieme di obiettivi
(accesso all'acqua, all'assistenza sanitaria, all'istruzione ecc.) che si
avvicina in maniera soddisfacente a definire la qualità della vita,
almeno per quanto riguarda il piano materiale, secondo i principi del
Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Umano
(UNDP).
Perché si è scelta una forma soprattutto quantitativa, molto dettagliata, di
pubblicazione dei dati?
Il Rapporto Social Watch è prima di tutto un controllo di risultati, e la
forma quantitativa è essenziale per poter misurare con
precisione i progressi o i regressi compiuti. Ma la maggior parte del testo
è di scorrevole lettura: alle tabelle iniziali seguono i
Rapporti tematici e i Rapporti sui paesi con le interpretazioni discorsive
dei dati numerici.
Uno dei fenomeni che sembrano caratterizzare gli ultimi anni è la
regressione economica e sociale di molti paesi africani, alcuni dei
quali già in condizioni critiche e altri che, perï, avevano dato segni di
miglioramento. Dove vanno ricercate le cause di questa crisi?
All'inizio degli anni Settanta i paesi in via di sviluppo cominciarono a
indebitarsi perché in seguito alla prima crisi petrolifera
l'abbondanza di petrodollari faceva sì che le banche offrissero prestiti con
tassi d'interesse molto bassi. Nel 1979 ci fu una seconda
crisi petrolifera, ma allora i leader dei principali paesi capitalisti erano
Reagan e la Thatcher che scelsero una politica economica
differente: per combattere l'inflazione ridussero la quantità di moneta e
questo portï a un'impennata dei tassi d'interesse. Un altro
effetto della politica statunitense fu un grossa crescita di valore del
dollaro rispetto alle altre valute. Questi due fattori misero in crisi i
paesi indebitati - tra i quali molti paesi africani -, che nel giro di pochi
anni si trovarono nell'impossibilità di onorare il servizio del
debito.
Inoltre, la concessione dei prestiti da parte delle istituzioni finanziarie
internazionali è legata all'adozione di misure di politica
economica neoliberiste che richiedono tagli alle spese sociali e finalizzano
la produzione al mercato globale, dove perï la posizione
di molti paesi africani rimane assai debole: offrono per lo più materie
prime non lavorate, rischiando il collasso delle loro economie
nella concorrenza con altre nazioni produttrici che possono vendere a prezzi
più bassi. Le strategie tradizionali di sopravvivenza sono
abbandonate, lo sviluppo umano viene sacrificato per una crescita economica
che non si verifica, e ci si ritrova sempre più impoveriti
non solo materialmente, ma anche sul piano umano.
Infine, anche dove ci sono buone possibilità, spesso i profitti sono
monopolizzati da piccole élite locali che impediscono o rallentano
enormemente la ridistribuzione della ricchezza. Questi gruppi dirigenti
locali sono normalmente legati ai traffici delle risorse più
preziose, intorno alle quali si svolgono conflitti brutali, per cui si
spendono somme enormi per acquistare armi.
L'economia mondiale sembra non tener conto delle donne e di una prospettiva
femminile nella gestione della spesa pubblica, della
politica, dell'apparato statale. La globalizzazione è solo maschile e la
povertà solo femminile? Dal rapporto emerge che la
globalizzazione crea un divario sempre maggiore tra poveri e ricchi, e che i
poveri sono soprattutto donne (70%): dove sta il
problema e di che genere è?
La percentuale che lei cita è una stima. Parecchie associazioni di donne
hanno chiesto ai loro governi di elaborare indicatori di
povertà da reddito disaggregati per genere, perché si constata empiricamente
che la situazione delle donne è svantaggiata. Come
lavoratrici dipendenti ricevono salari più bassi degli uomini e sono più
esposte ai licenziamenti. Come imprenditrici sono legate alla
dimensione della piccolissima impresa che non attira investimenti. Nelle
concrete situazioni di vita dei paesi impoveriti, molte donne
si ritrovano da sole a dover amministrare la famiglia, perché i loro uomini
sono assenti in via temporanea o definitiva. Queste donne
non hanno facile accesso a un lavoro riconosciuto socialmente e ai servizi
di base. Ecco perché sono le più povere tra i poveri.

Per richiedere il libro: www.emi.it
Per informazioni: www.socialwatch.org - socwatch at socwatch.org

(fonte "Bandiera gialla"........ CREDO: era omessa nel messaggio che mi
hanno girato)