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-----------ANTEPRIMA GIANO 42-------------
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- From: "Giano (redazione)" <redazionegiano at libero.it>
- Date: Sun, 16 Feb 2003 14:29:20 +0100
Il Settimo Sigillo Editoriale. Luigi Cortesi, Imperialismo americano e crisi di civiltà Massimo Pivetti, Vanno oltre il petrolio le ragioni della guerra Fabio Marcelli, Gli Usa contro il diritto internazionale: illiceità della guerra preventiva Salvatore Minolfi, La Superpotenza "hobbesiana" e la disarticolazione dell'Occidente Angelo Michele Imbriani, "Minaccia universale" e "guerra permanente" nella National Security Strategy 2002 Enzo Modugno, Nota sul keynesismo in versione neoliberistica Gregorio Piccin, Il Pentagono contro tutti, verso lo spazio e la supremazia Michele Paolini, L'"asse del male" come concetto etico-geostrategico Sa-adi Yusuf, Due componimenti poetici: Fucili e America America a cura di Francesca Corrao Giancarlo Lannutti, La guerra parallela di Sharon Lessico. Antonietta Vurchio: Sionismo Enrico Maria Massucci, L'Europa del liberismo e della guerra e l'Europa dei movimenti alternativi Claudio Del Bello, Fuori dall'Europa: il capitalismo italiano va alla guerra Michelangelo Guida, La Turchia tra integralismo islamico e pragmatismo politico Luigi Biondi, Esigenze di cambiamento e fragili equilibri in Brasile Note critiche Vittorio Sartogo, Ecologia e "coscienza" nell'opera di Giorgio Nebbia Libri Recensioni Dominique Lorentz, Affaires nucléaires (Angelo Baracca) Gaetano Arfè, Storia dell'"Avanti"; Gianni Bosio, I conti con i fatti (Luigi Cortesi) Segnalazioni a cura di Daniele Archibugi, Luigi Cortesi, Guido Cosenza, Sergio Dalmasso, Diego Giachetti, Sergio Licuti, Enrico Maria Massucci, Maria Grazia Meriggi, Michele Nani, Mario Ronchi, Valeria Russo, Silvio Silvestri, Ireneo Vladimiri. La segreteria di redazione -------------------------------------------------------------------------- GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI Rivista quadrimestrale interdisciplinare via Fregene, 10 - 00183 Roma - Tel-fax 06/70491513 redazionegiano at libero.it - http://www.odradek.it/giano -------------------------------------------------------------------------- Giacomo Cortesi, Claudio Del Bello, Pier Giovanni Donini, Alexander Höbel, Sergio Licuti, Enzo Modugno, Sarah Nicholson, Vincenzo Pugliano, Silvio Silvestri, Ireneo Vladimiri. SOMMARI DEL N. 42 DI "GIANO", settembre-dicembre 2002 IL SETTIMO SIGILLO Una partita storicamente decisiva si compie nella preparazione dell'attacco all'Iraq da parte di Bush e Blair (due "aspiranti criminali" cui si affianca il "cinico mercante" di provincia S. Berlusconi). Da un lato c'è la logica dell'imperialismo e della sua crisi, che determina l'esigenza della guerra e il controllo delle fonti petrolifere; dall'altro si schierano i movimenti pacifisti e "no-global", che si sviluppano per prevenire (alla loro volta) la "guerra preventiva". Essi minacciano i poteri statuali di espropriazione del loro diritto di guerra, e tendono a fondare una nuova politica, la cui essenza è da porre in relazione con l'incombente "crisi di civiltà" e col rischio di una catastrofe planetaria. L'autore segnala l'insufficienza dell'opposizione franco-tedesca e di quella della Russia e della Cina, in quanto esse si svolge all'interno della medesima logica di sistema. L'unico dato positivo su questo piano è l'obsolescenza e forse la fine della Nato, e l'incoraggiamento che dovrebbe trarne l'Unione europea. Luigi Cortesi, Imperialismo americano e crisi di civiltà L'a. definisce la guerra contro l'Iraq come "inevitabile" in quanto "fortemente voluta" dall'Amministrazione Bush e non decisamente avversata dalle Potenze europee. Quanto alle ragioni reali dell'intervento Usa e della crisi nel suo complesso, Pivetti non nega l'importanza del petrolio e del suo controllo, ma sposta l'accento sulla crisi economica in atto e sui "fallimenti del mercato" e delle politiche monetaristiche. La guerra appare così chiaramente da intendersi come rimedio alla crisi economica, acuta specialmente negli Usa, e al disagio sociale da essa provocata. L'integrazione dei sindacati e dei partiti della sinistra è infatti "il maggior successo del capitalismo dai tempi di Adam Smith"; e ad essa il capitalismo non può rinunciare. Massimo Pivetti, Vanno oltre il petrolio le ragioni della guerra La strategia statunitense della guerra preventiva - quale è esposta nei recenti documenti ufficiali e negli interventi dello stesso presidente Bush - appare in flagrante e grave contrasto con il diritto internazionale in tutte le sue varianti, comprese quelle che, nel passato, avevano ritenuto la legittimità della difesa preventiva. La dottrina giuridica indipendente è, in questo giudizio, praticamente unanime. Si tratta in effetti del tentativo di instaurare un ordine mondiale basato non più, come quello previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, sulla composizione pacifica delle controversie e l'eccezionalità del ricorso alla forza armata, ma viceversa sulla legittimazione piena di quest'ultima e quindi del dominio imperiale degli Stati Uniti. Contro questo tentativoe i rischi che esso comporta per il mondo occorre volgere ogni forza possibile, dalla elaborazione teorico-giuridica democratica alla più ampia mobilitazione civile. Fabio Marcelli, Gli Usa contro il diritto internazionale: illiceità della guerra preventiva La vicenda della guerra all'Irak ha sollevato profondi dissensi nella comunità internazionale e tra alcuni importanti alleati europei degli Stati Uniti. Ma le critiche ai recenti indirizzi dell'Amministrazione Bush sottovalutano la sostanziale continuità della politica estera americana, che appare guidata da una ricerca della preponderanza e che mira sia a riorganizzare un controllo neo-imperiale sulla periferia, sia a ristabilire una chiara gerarchia di potenza nel rapporto con gli altri centri del potere politico ed economico internazionale. L'intera vicenda internazionale successiva alla fine della guerra fredda mostra che, a dispetto della retorica liberale, questo progetto può essere tenuto in vita solo esaltando le caratteristiche "hobbesiane" della statualità e ristabilendo un primato della "ragione strategica" nella gestione del potere economico e delle relazioni Salvatore Minolfi, La Superpotenza "hobbesiana" e la disarticolazione dell'Occidente internazionali. Le ragioni profonde della guerra e del progetto neo-imperiale erodono il tessuto connettivo dell'Occidente e costringono le sue diverse componenti - in primo luogo quella europea - a fare i conti con una crisi che minaccia di riscrivere la struttura e le regole dell'ordine internazionale. La National Security Strategy 2002, principale documento programmatico dell'Amministrazione Bush, segnala una svolta storica nella politica estera americana e compromette la possibilità stessa di un diritto internazionale. L'analisi del documento e del dibattito che ne è scaturito conferma come l'11 settembre non segni una cesura, ma abbia aperto una "finestra di opportunità" per la realizzazione di progetti maturati subito dopo il 1989 negli ambienti della destra americana. Nelle palesi contraddizioni della nuova strategia e dietro lo schermo del "terrorismo internazionale", degli "stati-canaglia", dell'"asse del male", della dottrina dell'"attacco preventivo", si legge infatti il proposito di codificare un nuovo sistema internazionale "della minaccia universale e della guerra permanente" e di sperimentare il relativo progetto.. Un tale sistema è funzionale alla supremazia americana, ma è sintomo, nel contempo, di una drammatica crisi di egemonia e del fallimento, economico, sociale ed ecologico, del modello di globalizzazione neoliberista. Angelo Michele Imbriani, National Security Strategy 2002 "Minaccia universale" e "guerra permanente" nella Nell'interpretazione dell'a., dal 1941 (Pearl Harbour) gli Usa sono sempre in guerra. Anche la lunga "guerra fredda" non ostacolò, ed anzi alimentò poderosamente, la corsa agli armamenti, i quali del resto furono usati in molte guerre e\o repressioni periferiche. La scomparsa dell'Unione Sovietica sarebbe stata per il sistema americano un "disastro sociale" (G. Hallgarten) se i governi Usa non avessero inventato nuove minacce e nuovi nemici. La proposta interpretativa di Modugno - che è debitrice dell'analisi fondamentale di P.A. Baran e P.M. Sweezy - si aggancia all'insegnamento principale che il capitalismo trasse dalla crisi del 1929: per superare la quale non bastarono gli investimenti nella spesa civile, per cui furono necessari appunto la seconda guerra mondiale e il diretto intervento in essa della Potenza americana. Enzo Modugno, Nota sul keynesismo in versione neoliberistica Per l'anno fiscale 2003, il nuovo segretario della difesa Donald Rumsfeld ha già presentato un conto di 379,3 miliardi di dollari. Soltanto nei primi dieci giorni del 2003 gli Stati Uniti bruceranno quello che oggi l'Italia spende per la difesa in un anno. Gli Usa devono sostenere annualmente la loro guerra mondiale in ogni angolo del pianeta, essendo tutto il mondo, secondo la loro stessa teorizzazione, una enorme area di interesse. Il sig. Rumsfeld, e in generale l'Amministrazione Bush, non hanno introdotto particolari novità in campo geostrategico e bellico. Hanno raccolto il lavoro della precedente Amministrazione e lo hanno sviluppato. Quando l'ex-ministro Cohen parlava di un generico "programma" che avrebbe garantito la supremazia militare agli Usa nel XXI secolo probabilmente si riferiva al corposo "Joint Vision 2010". Secondo gli strateghi militari l'obiettivo del programma JV 2010 é quello di "stimolare le varie forze armate a ragionare in termini di dominio globale dallo spazio agli abissi del mare". E' così che nel quadro del JV 2010 Esercito, Marina ed Aviazione stanno approntando o già realizzando i loro rispettivi sotto-programmi con piani massicci di ricerca e riarmo spinti sino al 2025, nonchè la creazione di una quarta forza armata spaziale. Gregorio Piccin, Il Pentagono contro tutti verso lo spazio e la supremazia L'a. prende in esame l'evoluzione della politica estera statunitense dalla fase di contrapposizione ai rogue states a quella di attacco all'axis of evil. Il passaggio segna, anche sul piano semantico, una radicalizzazione dei rapporti, ma anche una riduzione degli Stati percepiti come avversari da un gruppo di cinque ad uno di tre (Iran, Iraq, Corea del Nord). Mancava fin dall'inizio l'Afghanistan, per ragioni che fanno emergere con chiarezza sia lo schema generale sia le contraddizioni della politica asiatica perseguita dalla Casa Bianca. Vengono ora estrapolati dal gruppo degli avversari la Siria e la Libia, che potrebbero rientrare in una strategia di decongestione politica ed economica del Golfo, di rilancio del negoziato sulla questione palestinese e costruzione di una struttura economico-strategica allargata dal Golfo a un polo mediterraneo più a Ovest e a un polo centrasiatico più a Est. Conditio sine qua non, la "liberazione" dell'Iraq. Michele Paolini, L'"axis of evil" come concetto etico-geostrategico "Per la Palestina e il suo popolo - scrive l'autore - si delinea un futuro immediato ancor più carico di difficoltà e di tragedie". L'equazione "Arafat = Bin Laden", già annunciata e duramente applicata da Israele nelle sue offensive repressive, ci preavvisa delle gravi ripercussioni che avrà nella regione la guerra americana contro l'Iraq. Ciò avverrà non tanto per la minaccia rappresentata da quest'ultimo, ma per la possibilità - che Sharon non si lascerà sfuggire - di liquidare definitivamente la partita con i palestinesi. Il parallelismo con Bush è dunque ideologico, ma anche strategico e pratico; e le sue conseguenze sono destinate ad incidere sul piano internazionale, anche al di là del teatro mediorientale. Giancarlo Lannutti, La guerra parallela di Sharon Il sionismo, movimento di rinascita nazionale ebraica, si sviluppa alla fine del XIX secolo in risposta al crescente antisemitismo nell'Europa centro-orientale, dove viveva il maggior numero di ebrei, ma anche in Occidente. Fu dapprima osteggiato anche dai settori ebraici ortodossi; ma dopo le guerre mondiali l'emigrazione in Palestina - dove dal 1917 la Gran Bretagna si era impegnata a riconoscere un "focolare nazionale ebraico" (dichiarazione Balfour) - divenne una via di scampo alla crisi europea e poi al genocidio tedesco-nazista. Alla fine della guerra, nonostante che la rivendicazione di uno Stato ebraico si opponesse ad un pari diritto della popolazione arabo-palestinese, alle Potenze occidentali (na anche all'Urss) sembrò opportuno accedere alla creazione dello Stato ebraico teorizzato da Herzl 50 anni prima. Il sionismo divenne allora l'ideologia del nuovo Stato; un'ideologia fortemente nazionalista e alla sua volta razzista nei confronti dei palestinesi, scacciati nel 1948 dalla loro stessa terra, oppure confinati in ristretti territori. Fino al 1977 la maggioranza sionista al potere è stata essenzialmente di sinistra, socialdemocratica e laburista; ma fu poi sostituita dalla più agguerrita destra di Begin, che ha portato Israele alla politica di occupazione e repressione antiaraba ancor oggi perseguita dai governi israeliani di entrambi gli schieramenti. Antonietta Vurchio, Sionismo L'a. rileva le inadempienze e le inadeguatezze dei gruppi dirigenti europei, allineati alla politica statunitense al di là degli elementi oggettivi di contrasto. Le manchevolezze dell'Unione europea frustrano le aspettative circa un automatico ruolo planetario progressivo del vecchio continente nel panorama mondiale. Ma la storia e la cultura del continente europeo contengono in sé significati e potenzialità profondamente alternativi rispetto sia al modello americano, sia al capitalismo: in primo luogo le tradizioni del movimento operaio e socialista. Ed esse contribuiscono a caricare il "movimento dei movimenti" e le sinistre radicali di nuovi compiti di proposta e di lotta contro liberismo e guerra, in nome della tradizione democratica dell'Europa. Enrico Maria Massucci, Europa del liberismo e della guerra e Europa dei movimenti alternativi Nel contesto della guerra infinita dichiarata dagli USA contro un nemico da definire in corso d'opera, si va delineando l'assetto istituzionale e costituzionale del "Superstato" europeo, che di fatto - per il suo solo delinearsi - si contrappone alla potenza d'oltreoceano. Nell'Occidente nel suo complesso la natura dello Stato è oggetto di una grave ridefinizione che ne va mettendo in discussione le caratteristiche fondamentali assulte dalla Rivoluzione Francese in poi. L'Europa in costruzione è in ritardo e divisa nella definizione del nuovo quadro "costituzionale" su cui costruire l'identità europea. C'è lotta aperta, ma le varie "sinistre" quasi non vi partecipano, disponendosi su un arco di comportamenti che vanno dall'accettazione passiva alla denuncia "esterna". Né il "movimento dei movimenti" ha ancora fatto suo quest'ordine di problemi, che costituisce però lo scenario entro cui si svolge la sua azione politica e sociale e in cui si gioca la sua sopravvivenza-espansione. Peggio di tutti sta l'Italia, con un capitalismo familiare in agonia da cui non è sorto - al contrario che in altri paesi continentali - un sistema di imprese fondato almeno sul riconoscimento della "legalità capitalistica": società per azioni e trasparenza dei bilanci. Claudio del Bello, Fuori dall'Europa: il capitalismo italiano va alla guerra La vittoria alle elezioni turche del 3 novembre 2002 del partito d'ispirazione musulmana Adalet ve Kalkðnma Partisi è stato seguito con grande attenzione e stupore dai media italiani ed europei. La vittoria non è stata invece una sorpresa per gli osservatori, anche perché il partito si è presentato all'elettorato con una formula sempre vincente della destra conservatrice, quella della: conciliazione tra liberismo e solidarietà sociale, laicismo e Islam. Il nuovo governo, però, si trova davanti a difficili decisioni sul piano internazionale: da un lato il governo Gül riconosce enorme importanza all'alleanza con gli Stati Uniti e capisce che una guerra contro l'Iraq potrebbe essere un buon trampolino di lancio per una nuova politica internazionale, dall'altro la guerra presenta seri rischi e altissimi costi, che potrebbero ricadere pesantemente sulla situazione interna. Michelangelo Guida, La Turchia tra islamismo e pragmatismo politico Dal contributo del nostro corrispondente, che scrive a commento della vittoria elettorale di Lula da Silva, si evince la lacerante contraddizione fra il "turbinio di bandiere rosse" che ha portato "la speranza al potere" e la realtà geopolitica del paese.Il Brasile è infatti inevitabilmente condizionato dagli Usa e dal loro vecchio "diritto" imperialistico sul subcontinente. L'incontro postelettorale Lula - Bush si è svolto in piena diplomatica cordialità; Lula ha fatto dichiarazioni di estraneità alla questione irachena e ha formato un governo di coalizione comprendente esponenti moderati. Le sue alleanze interclassiste interne sembrano solide. Ma contemporaneamente egli ha dirottato finanziamenti dal militare al civile e ha concretamente appoggiato il presidente venezuelano Chavez. Sembra difficile che, proprio per i nuovi fermenti che percorrono l'America latina, gli Usa di Bush tollerino una egemonia regionale del nuovo governo brasiliano e del suo leader "rosso". Luigi Biondi, Esigenze di cambiamento e fragili equilibri in Brasile Alla figura e all'opera di Nebbiam sono stati dedicati due volumi che testimoniano la sua intensa attività di studio e i risultati cui egli giunge nell'analisi del nostro sistema produttivo di merci, di disuguaglianze sociali, di degrado irreversibile delle risorse naturali. Nebbia, che pure fu tra i partecipanti dell'Assemblea delle Nazioni Unite di Stoccolma, critica severamente il concetto di sviluppo sostenibile. Egli sostiene infatti che non è fisicamente possibile produrre beni utilizzando risorse naturali, senza comprometterne la disponibilità per le generazioni future, come invece vorrebbe l'ideologia corrente della compatibilità. Si tratta di scegliere tra crescita e sviluppo e di lavorare per un nuovo sistema di rapporti sociali e politici; il che comporta inevitabilmente la contrazione dei consumi dei paesi ricchi. Vittorio Sartogo, Ecologia e "coscienza" nell'opera di Giorgio Nebbia Nebbia auspica la nascita di un movimento di liberazione contro le ingiustizie fra gli esseri umani e nel loro rapporto con la natura; e indica alcuni passi concreti e possibili in questa direzione. Nel giudizio di Sartogo, l'opera di Nebbia è indispensabile per orientarsi sul problema del rapporto uomo-natura e per affrontare il cambiamento necessario a fermare i processi catastrofici in corso.
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