scheda su libro di NANDO SIGONA - "FIGLI DEL GHETTO" ( Non luoghi Libere Edizioni )



Oggetto: NANDO SIGONA -  "Figli del ghetto. Gli italiani, i campi nomadi e
l'invenzione degli zingari" (Nonluoghi Libere Edizioni).

            UNA NOTA SUL LIBRO

L'idea centrale del libro è mostrare come il sistema esistente in Italia
di gestione del 'problema zingari' può fare completamente a meno dei
Rom, delle persone in carne ed
ossa. Quello che serve perché questo sistema funzioni sono solo dei
radicati stereotipi, i campi nomadi e qualcuno -i rappresentanti, i
volontari - che si prenda la briga di
parlare al loro posto.

I campi, fenomeno tipicamente italiano, non esistono dappertutto. Non
sono l'unica, e naturale, scelta abitativa per i Rom. Nel libro sono
citati una serie di documenti e
articoli risalenti agli anni '70 in cui per la prima volta dal
dopoguerra si inizia a parlare di campi di sosta per i 'nomadi'.
Se allora, a causa delle diverse necessità di Sinti e Rom italiani,
certe scelte potevano essere giustificate (i divieti di sosta per i
gruppi itineranti erano molto diffusi ed
impedivano ai viaggianti di sostare e li costringevano ad un errare
continuo), non lo è affatto che in seguito si sia applicata la ricetta
campo a tutti, viaggianti e sedentari,
profughi di guerra, Rom immigrati e italiani per il solo fatto di
appartenere alla comunità Rom (nell'accezione generica del termine).

Questo trend è stato sostenuto e legittimato dalle le leggi regionali a
'tutela' dei Rom, approvate a partire dal 1984 da 11 consigli regionali
e dalla provincia autonoma di
Trento. Le cosiddette 'leggi fotocopia' sono basate su un canovaccio
elaborato dall'Opera Nomadi. Ci sono elementi importanti e di valore in
questi testi, ma c'è soprattutto
il binomio 'tutela del nomadismo' e 'costruzione dei campi'. Negli
articoli iniziali di quasi tutti i provvedimenti si parla di campi per i
Rom: campi di sosta e campi di transito. I
primi per gli stanziali, i secondi per i nomadi. Questi campi sono
diventati il modello di riferimento per tutte le amministrazioni che
sono state costrette ad intervenire, quasi
nessuna l'ha fatto per spirito di carità, a causa delle gravi condizioni
di vita dei Rom e l'emergenza sociale che ne derivava.

I campi li facciamo noi, i nostri architetti, ingegneri, geometri,
assessori, e sono una rappresentazione architettonica di come noi
vediamo loro, gli zingari.
Rappresentazione, certo, ma non priva di conseguenze per chi la subisce
e vi cresce dentro. Parlare di campi non ha senso se non in rapporto al
territorio in cui esistono. I
campi non sono fuori dal mondo, come non lo sono i Rom. Nei campi entra
la camorra, entra la droga, entra la guerra, entrano volon-tari e
funzionari comunali, qualche
volta anche un cardinale o un sindaco. Ma tutto è filtrato. Tutto passa
attraverso i cancelli e le recinzioni. Evadere è possibile? Ma da che
cosa? Dai campi, dalle etichette
imposte, dalla qualifica di "zingaro"? Immediatamente altre domande
saltano fuori. Chi dovrebbe evadere? E poi perché? Quali sono le
alternative che il nostro paese offre?
Forse trovare un lavoro come "mediatore culturale", sentirsi fare tante
promesse, non ricevere un quattrino per un anno e alla fine trovarsi su
una pagina di giornale,
descritto come uno degli zingari ubriachi che si sparano a vicenda come
succede nei Balcani?