Nella difficile valutazione delle conseguenze economiche di un conflitto armato (vedi Bottazzi) e' necessario considerare anche i costi di lungo periodo: costi che possono essere di notevole entita' e persistenza e a cui si dovrebbe far riferimento quando si discute sull’opportunita' di una guerra in Iraq.
In un lavoro in corso di pubblicazione sul Journal of Labor Economics (http://http://www.iue.it/Personal/Ichino/war45.pdf), scritto con Rudolf Winter-Ebmer (University of Linz), abbiamo provato a calcolare l'entita' della perdita di istruzione subita dalla popolazione tedesca e austriaca in eta' scolare primaria (ossia nata negli anni '30) durante il secondo conflitto mondiale. Questa perdita ammonta, in media, a circa un quinto di un anno di istruzione. Data una media di circa 10 anni di istruzione nella popolazione di riferimento e considerando gli anni di istruzione come una misura del capitale umano, la perdita ammonta a circa il 2 per cento del capitale umano di questi paesi ascrivibile alla popolazione nata durante gli anni ‘30.
Abbiamo poi misurato il costo della perdita di istruzione in termini di salario percepito dalla stessa popolazione negli anni '80. Da questa stima, e' possibile concludere che 40 anni dopo la fine del conflitto e solo per effetto della minore istruzione media della popolazione nata durante gli anni ‘30, il prodotto interno lordo di Germania e Austria era inferiore dello 0,8 per cento in ciascun anno rispetto al livello che, coeteris paribus, avrebbe potuto raggiungere. Cio' implica una elasticita' pari a circa 0.4 del prodotto interno lordo rispetto allo stock di capitale umano.
Non troviamo invece alcun effetto comparabile per le stesse coorti di popolazione in Svezia e Svizzera, paesi relativamente simili ma non coinvolti dal conflitto.
Inutile dire che questa e' probabilmente una stima per difetto dei possibili costi di lungo periodo del secondo conflitto mondiale in questi paesi, non solo perche' omette la considerazione di canali diversi da quello dell'istruzione, ma anche perche' limita l'analisi degli effetti di lungo periodo dell'istruzione ad una fascia molto ristretta di popolazione.
Tuttavia, nonostante i suoi limiti, questa stima suggerisce ulteriori motivi per riflettere sui costi che la popolazione irachena sta da molti anni accumulando e rende ancora piu' valide le considerazioni espresse da Michael Walzer (Institute of Advanced Studies, Princeton University) sul Corriere della Sera di venerdi' 31 gennaio. E' triste pensare che la comunita' internazionale si sia ridotta a dover valutare se per limitare questi costi sia preferibile una guerra breve (forse...) ma intensa o un inasprimento a tempo indeterminato delle sanzioni e delle ispezioni che certo non gioverebbe alla popolazione.
In ogni caso, se e quando la crisi sara' risolta, la comunita' internazionale non dovra' dimenticare di farsi carico delle conseguenze negative di lungo periodo dello stato di guerra esplicita o latente subito dalla popolazione irachena per oltre 20 anni. Ad esempio, ma non solo, in termini di ricostruzione del capitale umano distrutto.
E, come giustamente ci ricorda Laura Bottazzi, cio' vale anche per i
numerosi altri conflitti che purtroppo coinvolgono popolazioni del nostro
pianeta con costi di lungo periodo non meno
pesanti.