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a cura di Alessandra Garusi e della Redazione di «Missione Oggi», mensile
dei Missionari Saveriani. «Missione Oggi» è una delle riviste maggiormente
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USA-IRAQ, LA PRIMA GUERRA DI DOMINIO

Il 17 settembre 2002 è una data che gli storici annoteranno. Quel giorno è
stato infatti reso pubblico The National Security Strategy of United
States: il primo documento dove l'America esprime la propria intenzione,
senza falsi pudori. Quella di governare il mondo. È un giro di boa. Eppure
in Italia nessuno se ne è accorto. Soltanto L'Unità e Il Manifesto hanno
pubblicato brevi commenti a riguardo; mentre il quotidiano francese Le
Monde lo ha tradotto e vi ha dedicato un ampio servizio, cogliendone il
carattere sovversivo. Esso rivela infatti un'antropologia e una visione
delle cose che bisogna comprendere, se non si vuole assistere impotenti
alla prossima guerra: la prima del nuovo Impero - l'America di George W.
Bush - contro il nemico di sempre, l'Iraq di Saddam Hussein. Chi, se non il
gruppo d'intellettuali e giuristi che fa capo a "Vasti", la scuola di
ricerca e critica delle antropologie di Roma, poteva raccogliere questa
sfida? L'analisi inizia dunque come un dialogo a due voci fra Raniero La
Valle e il magistrato Domenico Gallo. E prosegue con un'intervista a
Giulietto Chiesa, che ha recentemente pubblicato La guerra infinita. Un
libro che in sei mesi ha venduto 55mila copie, pur non essendo stato
recensito da nessuna delle grandi testate. Il giornalista cerca di svelare
le vere intenzioni dell'America e dei petrolieri che oggi sono sul ponte di
comando. (Alessandra Garusi)

STATI UNITI: IL MANIFESTO DELL'IMPERO. INTERVISTA A RANIERO LA VALLE E
DOMENICO GALLO - The National Security Strategy of United States, reso
pubblico lo scorso 17 settembre, si può definire il "Manifesto
dell'Impero". È il primo testo, dove l'America esprime apertamente la
propria intenzione: quella di governare il mondo.

Dalla strategia dell'Impero al manifesto dell'Impero". Questo il tema del
primo seminario di Vasti - scuola di ricerca e critica delle antropologie -
per l'anno 2002/2003. Si è tenuto, come di consueto, nella sede di via dei
Mille 6, a Roma, il 17 novembre. L'obiettivo era quello di cominciare ad
analizzare, dal punto di vista antropologico, il documento sulla sicurezza
nazionale americana reso pubblico lo scorso 17 settembre. Ciò che
riproduciamo qui di seguito, è solo una parte del dialogo a due voci fra
Raniero La Valle e il magistrato Domenico Gallo.

Da soli alla guida del mondo

Raniero La Valle. Nel 1989, con la rimozione del Muro di Berlino, gli Stati
Uniti iniziarono a pensare la propria candidatura alla leadership del
mondo: dalla Guerra del Golfo in avanti, questo è diventato evidente. P.
Balducci si allarmò. E nella premessa al libro La strategia dell'Impero:
dalle direttive del Pentagono al nuovo modello di Difesa (di Umberto
Allegretti, Domenico Gallo e Manlio Dinucci, Ed. Cultura della Pace, 1992,
pp 256) manifestò tale preoccupazione. The National Security Strategy of
United States, questo documento reso pubblico il 17 settembre 2002, è in sé
innovativo. Si può definire il Manifesto dell'Impero. È il primo testo,
dove l'America esprime apertamente la propria intenzione, senza falsi
pudori. Quella di governare il mondo. I criteri enunciati sono sovversivi;
rivelano un'antropologia e una visione delle cose. All'inizio si afferma
che, dalle grandi lotte del XX secolo, è uscito un solo modello fondato su
tre pilastri: libertà, democrazia e libera impresa. Ma si può davvero
parlare di un solo modello? E chi non lo adotta, diventa automaticamente
uno "stato canaglia"? Ciò che sta accadendo, è una cosa del tutto nuova.
Siamo nella fase iniziale della formazione di un Impero. Nel documento, c'è
appunto una sorta di atto formativo. E la guerra contro l'Iraq sarà la
prima guerra dell'Impero. Quest'azione militare si farà. E l'America è già
lì, pronta ad insediarsi. Dopo l'11 settembre, è dunque cambiato
vertiginosamente il concetto di identità che l'America ha di sé.

Il liberismo armato

Domenico Gallo - L'89 è stato interpretato come una vittoria della Guerra
Fredda. In altre parole, "abbiamo vinto perché la forza paga". Un
intervento di Colin Powell del '92 - allora capo di Stato maggiore di Bush
padre - è in questo senso illuminante. Cito testualmente: "Siamo l'ultima
speranza di bene per la Terra. Siamo l'unica superpotenza rimasta. Siamo
una nazione destinata ad essere leader. Dunque dobbiamo condurre le vicende
del mondo". E più avanti: "Le Forze armate sono una parte importante della
fabbrica dei nostri valori". Nell'agosto '90, Bush padre lanciò l'idea del
"nuovo ordine mondiale". Esattamente un anno dopo, venne emanata una
direttiva che anticipava i contenuti del documento odierno: già lì si
ribadiva il ruolo dell'America come unica leader. Nel '92, venne pubblicata
una guida alla pianificazione della Difesa. Era redatta da Paul Wolfovitz,
sottosegretario alla Difesa. Il New York Times anticipò questo testo. Fra
l'altro si diceva che gli Stati Uniti intendevano scoraggiare la Difesa
europea, potenziale agente che avrebbe offuscato la Nato. Lo scompiglio che
questo testo provocò fu tale, che venne riscritto in termini più morbidi da
Dick Cheney (attuale vicepresidente, ndr). Tuttavia alcuni principi
restarono chiari, fra cui l'indivisibilità tra la forza del mercato e la
Difesa; l'intercambiabilità di valori e interessi americani. La Guerra del
Golfo del '92 costituisce la prima messa in atto di questa teoria. Così
arriviamo a questo testo, alla nuova dottrina Bush, presentata il 17
settembre 2002. Il gran salto, nella sua formulazione, s'è registrato a
partire dall'11 settembre 2001. È un testo di dottrina politica. In
particolare, è il Manifesto della nuova destra. E diventa la strategia
ufficiale del governo che lo applica. Che mondo immagina George W. Bush? Un
mondo unico, governato dagli Usa.

Nazioni Unite addio

Domenico Gallo - Il documento si compone di un preambolo e 9 capitoli. Il 3
e il 5 riguardano il terrorismo, mentre il 6 e il 7 la teoria economica e
dello sviluppo. Si teorizza il liberismo armato: gli Stati Uniti dichiarano
d'essere disponibili ad agire anche da soli, con azioni preventive. Delle
Nazioni Unite si parla, assimilandole alle Ong che soccorrono i profughi.
Nel capitolo 5, c'è il cuore della strategia militare e politica. Viene
detto che l'epoca della deterrenza è finita: non è praticabile contro i
leader degli stati canaglia. La Difesa dev'essere preventiva; un principio,
questo, che gli altri stati non possono applicare. Si sta cercando una
giustificazione ideologica all'attacco contro l'Iraq. La teoria è simile a
quella che stette alla base del bombardamento del reattore nucleare civile
iracheno da parte di Israele nel 1981. Questa teoria indica comunque un
cambiamento eversivo della Carta delle Nazioni Unite: si passa, in
sostanza, ad un ordinamento dove la guerra è insita nel sistema. Il
capitolo 6 è invece il cuore della teoria economica e resta forse il più
interessante. Si dice che esiste un unico modello economico e che questo
dev'essere esteso a tutto il mondo. Tale modello viene assunto come un dato
morale. E in questo c'è una buona dose di fondamentalismo. Si raccomanda
all'Europa di rimuovere le barriere strutturali; mentre il riferimento al
G7 è in questi termini: gli alleati vengono consultati per dare loro
istruzioni sulle politiche che "devono" mettere in atto. Si parla anche
dell'Africa; si cita l'Accordo quadro, Africa Growth and Opportunity Act,
che Nelson Mandela ha definito "inaccettabile" tacciandolo di "nuovo
colonialismo", e che invece le multinazionali hanno comprensibilmente
salutato con grandi entusiasmi. Nel capitolo 7, si tocca la questione
ecologica con l'unico obiettivo di non creare allarmismi. Non si discute
nemmeno dell'insostenibilità di questo modello di sviluppo; nessun accenno
allo spreco delle risorse energetiche, né ai rifiuti. E ancora: non viene
posto il problema della distribuzione delle risorse. Qualsiasi investimento
nei paesi del Sud del mondo è vincolato all'attuazione, da parte di quei
governi, di riforme economiche. Delle biotecnologie si parla in termini di
"premi", che verranno dati ai paesi del Terzo Mondo in linea con le
aspettative americane. Mentre le Nazioni Unite scompaiono come centro di
potere, viene ribadito il ruolo della Nato, dell'Asean (Associazione delle
nazioni dell'Asia sud-orientale), della Cina e della Russia. Nell'ultimo
capitolo, gli Stati Uniti scoraggiano gli avversari che potrebbero voler
competere con la loro potenza militare. Di fatto, essi si sono sostituiti
alle Nazioni Unite. Ed è per questa ragione che non possono tollerare la
presenza e l'azione della Corte penale internazionale. Leggiamo
testualmente: "Prenderemo le misure necessarie per garantire che i nostri
sforzi per adempiere ai nostri impegni per la sicurezza globale e per la
protezione degli americani non siano ostacolati dalle potenzialità
investigative, da inchieste o da un rinvio a giudizio da parte della Corte
Penale Internazionale, la cui giurisdizione non riguarda gli americani e
che noi non accettiamo". E l'atto di nascita dell'Impero americano è
senz'ombra di dubbio la guerra ormai prossima contro l'Iraq.

Un ruolo per le chiese

Raniero La Valle - Al di là di come le cose andranno a finire, è importante
decifrare i segnali. Gli Usa non fanno neppure più parte della Nato; questa
non costituisce più la loro proiezione mondiale. Essi ormai giocano in
proprio. Con un orgoglio quasi luciferino, dopo l'11 settembre, si
presentano da soli. Dal tetto del mondo. È una potenza, quella americana,
solitaria e sovrana. Due questioni, a mio parere, restano fondamentali. La
prima riguarda l'assenza di una politica statunitense in materia ecologica.
Nella misura in cui essi non si pongono il problema, le chiese - custodi
del creato - devono porselo. La seconda è che di fronte alla tragedia della
fame e della sete di gran parte del pianeta, loro raccomandano il free
trade. Ma questo non risolve. Di nuovo, le chiese dovrebbero porsi il
problema. L'unicità del comando dà le dimensioni del problema.

DAL DOCUMENTO SULLA SICUREZZA NAZIONALE AMERICANA - Riportiamo alcuni brani
del testo commentato.

Valori e interessi. "Lavoreremo per tradurre questo momento di grande
influenza in decenni di pace, prosperità e libertà. La strategia
statunitense per la sicurezza nazionale sarà basata su di un
internazionalismo squisitamente americano che rifletta l'unione dei nostri
valori e dei nostri interessi nazionali. Lo scopo di questa strategia è
contribuire a rendere il mondo non soltanto più sicuro, ma anche migliore.
I nostri scopi sulla via del progresso sono chiari: libertà politica ed
economica, relazioni pacifiche con gli altri stati e rispetto della dignità
umana. E questa via non appartiene ai soli Stati Uniti, ma è aperta a
tutti".

Deterrenza addio. "I concetti tradizionali di deterrenza non funzioneranno
contro un nemico terrorista, le cui tattiche dichiarate sono la distruzione
sfrenata e l'uccisione di innocenti; i cui cosiddetti soldati, morendo,
perseguono il martirio e la cui più potente protezione è l'assenza dello
stato. La sovrapposizione tra stati che sostengono il terrorismo ed agenti
che cercano di procurarsi armi per la distruzione di massa ci chiama
all'azione".

Attacchi preventivi. "Gli Stati Uniti sostengono ormai da lungo tempo
l'opzione dell'attacco preventivo per contrastare una minaccia anche di
moderata entità alla nostra sicurezza nazionale. Maggiore è la minaccia,
maggiore è il rischio insito nell'inazione: e più è stringente la
motivazione per intraprendere un'azione preventiva di autodifesa, anche se
rimangono incerti il tempo ed il luogo dell'attacco nemico. Per precedere o
evitare tali atti di ostilità da parte degli avversari, gli Stati Uniti, se
necessario, agiranno preventivamente".

Corte penale internazionale. "Prenderemo le misure necessarie per garantire
che i nostri sforzi per adempiere ai nostri impegni per la sicurezza
globale e per la protezione degli americani non siano ostacolati dalle
potenzialità investigative, da inchieste o da un rinvio a giudizio da parte
della Corte penale internazionale, la cui giurisdizione non riguarda gli
americani e che noi non accettiamo. Collaboreremo con altre nazioni per
evitare complicazioni nelle nostre operazioni e cooperazioni militari,
attraverso meccanismi come accordi multilaterali e bilaterali, che tutelino
i cittadini statunitensi dal Tribunale penale internazionale. Renderemo
pienamente operativo l'American servicemembers protection act (legge per la
protezione dei soldati americani), le cui clausole servono a garantire e
migliorare la tutela dei soldati ed ufficiali statunitensi". (traduzione
curata da Sabrina Fusari)
LA GUERRA INFINITA SECONDO GIULIETTO CHIESA - "Prevenire non è curare: la
guerra in Iraq e la nuova dottrina Bush". Questo il titolo dell'incontro
con Giulietto Chiesa organizzato il 26 novembre, presso l'Università
Bocconi, da Lilliput e dal Coordinamento contro la guerra di sud Milano.

Il mio ultimo libro, La guerra infinita (Nuova Serie Feltrinelli), è stato
scritto fra il novembre 2001 e il gennaio 2002. Pur non essendo stato
recensito da nessuno dei grossi quotidiani italiani - né dal Corriere della
Sera, né da Repubblica, né dalla Stampa - ha venduto finora 55mila copie. È
già questo ne fa un caso. Esso contiene inoltre molte notizie che sono al
di fuori dalla corrente dei media. E che nessuno, in realtà, è in grado di
contestare. Una cosa è certa: dell'11 settembre, la verità, non la
conosceremo mai. Sappiamo tuttavia con certezza che la versione ufficiale è
falsa. Da lì è iniziata una spirale che ci porterà alla militarizzazione
del mondo e quindi alla fine della democrazia. Lo scopo dichiarato è il
dominio. Sto parlando di una svolta epocale. Precisazione n. 1: la
globalizzazione americana è andata in crisi da sola; non è stato certo
l'impatto del movimento di Seattle a farla traballare… A Washington, la
recessione era in atto già nel gennaio del 2001, ma questa notizia è stata
diffusa solo 10 mesi dopo, in novembre. Gli Stati Uniti sono comunque in
buona compagnia: il Giappone è fermo da 12 anni, mentre l'Europa arranca.
 In controtendenza, la Cina cresce otto volte più velocemente di noi; da
vent'anni mantiene questo ritmo. Soltanto che il Pianeta ha ormai raggiunto
il limite estremo dello sviluppo. Noi, abitanti dei paesi cosiddetti
"sviluppati", siamo meno di un miliardo. E non ci chiediamo nemmeno che
cosa succederebbe alla Terra se un miliardo e 200 milioni - ovvero la
popolazione cinese - accedesse al mercato mondiale con le nostre stesse
pretese… Siamo arrivati ai limiti dello sviluppo. Nell'arco di un decennio,
tra il 1992 e il 2002, abbiamo mangiato metà dei pesci di tutti gli oceani.
Del restante 50%, ne abbiamo compromesso il 20%. Che faremo nei prossimi
dieci anni? Mangeremo quel che resta? Queste non sono ipotesi, ma
statistiche. Il fatto è che il resto del mondo non si può e non si deve
sviluppare. Intanto ci stiamo preparando alla guerra con la Cina, nel 2017.
Nel dicembre 2000, un documento del Pentagono diceva a chiare lettere che
questo paese sarà presto in grado di minacciare gli Stati Uniti. Solo nel
2002, sono stati stanziati dall'Amministrazione americana 507 miliardi di
dollari per la Difesa. È pensabile che i nuovi sistemi d'arma servano
"solamente" per combattere il terrorismo internazionale? Molto più
probabilmente, gli Usa si stanno preparando ad una guerra di dominio. In
termini diretti, al governo americano c'è un gruppo di petrolieri. Esso,
oltretutto, è stato eletto da meno del 18% della popolazione. Va dato atto,
tuttavia, che quest'Amministrazione è sincera. Il vicepresidente Dick
Cheney ha detto che ci stiamo avviando ad una guerra destinata a durare 50
anni. Dunque, la minaccia rappresentata da Bin Laden e da Al Qaeda
continuerà per cinque decenni? È per questo che sospetto che l'11 settembre
sia successo qualcosa di diverso. Nel documento The National Security
Strategy of the United States of America del 17 settembre 2002 (v. pag. 9),
scritto da Cordoleeza Rice, si precisa fra l'altro questo: gli Stati Uniti
non possono accettare che alcun paese o coalizione di paesi si avvicini
alla loro superpotenza militare. Ritengo dunque che gli Usa vogliano
armarsi a tal punto da costringere la Cina a fermarsi sulla via dello
sviluppo. C'è naturalmente un "ma". I cinesi ne sono consapevoli e si
stanno preparando al momento della verità. Qualcuno, un domani, a Pechino
potrebbe dire: "No, un momento. Anche noi abbiamo diritto ad una fetta
consistente della torta". E allora sarà guerra, con milioni e milioni di
morti. Anche se questo scenario non dovesse realizzarsi, resta il problema
più grave: quello della Terra che stiamo distruggendo. Per la prima volta,
l'uomo riduce drasticamente le risorse. Questa non è nient'altro che la
nostra "civiltà". Oggi siamo ad un bivio. O proseguiamo su questa strada: e
allora sarà la guerra, tutte le libertà saranno azzerate e perderemo su
tutti i fronti. O l'alternativa è di sedersi ad un tavolo, togliersi la
pistola di dosso e cominciare a discutere. Certo, se optiamo per la scelta
della guerra, poi sarà impossibile fermarsi. Dopo l'Iraq, ci sarà l'Iran e
dopo ancora la Corea del Nord. La lista degli "stati canaglia" è infinita.
Per prima cosa, dobbiamo impedire al nostro governo di partecipare a questo
conflitto. Perché è ingiusto. Senza prospettive. (Giulietto Chiesa)

Un dibattito vivacissimo, quello che gli studenti della Bocconi hanno
intessuto con l'ex inviato de La Stampa. È durato quasi due ore in un'aula
stipata. Attenti, ironici, preparati, curiosi, essi hanno rivolto molte
domande. Qui ne riportiamo soltanto alcune.

Perché proprio adesso l'America ha deciso di chiudere il conto in sospeso
con l'Iraq?

Perché l'America è in crisi. Le cifre economiche di cui disponiamo, sono
edulcorate. La situazione è ben più grave di quanto traspare; e i segnali
sono numerosi. Tanto che gli stessi indici del Dow Jones, come i dati
forniti dal Fmi (Fondo monetario internazionale), sono stati ripetutamente
truccati. L'immensa bolla speculativa costruita in questi anni a Wall
Street è esplosa. Un'altra bolla è lì lì per esplodere: quella immobiliare,
che ha tenuto in piedi gli Stati Uniti in questi ultimi due anni. Per
pagare il debito, gli Usa hanno svalutato il dollaro. Mentre nel 2000 si
pensava ancora di poter far fare all'economia americana un "atterraggio
morbido", oggi sono in pochi a crederci. La recessione era già cominciata
nel gennaio 2001; eppure ne è stata data notizia solo in novembre. Tutto
dunque ora dipende dal mercato immobiliare: se i proprietari iniziano a
vendere in massa, l'America si troverà in una crisi peggiore di quella del
'29. Ecco allora la via d'uscita: se gli Usa si impadroniranno del petrolio
iracheno, dopo quello afgano, saranno nelle condizioni di dettare il prezzo
del greggio. Con ciò faranno un grosso regalo, oltre che a se stessi, ai
cinesi e agli europei. Pensano ad una guerra breve, di 48 ore, con
bombardamenti su tre punti e la rimozione di Saddam, sostituito da un
governo fantoccio. Di conseguenza, il prezzo del petrolio prima schizzerà a
30 dollari al barile, per poi scendere a 12. Hanno fretta di raggiungere
questa cifra. Ce la faranno? Secondo me, no. Tutti gli stati americani sono
sull'orlo della bancarotta, perché hanno investito in fondi pensione. Se
gli Stati Uniti vanno a rotoli, anche l'Europa comunque andrà a rotoli.
Siamo di fronte ad un paradosso: l'America è un gigante dai piedi d'argilla
militarmente potentissimo ed economicamente debole. Guardate che cosa è
successo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: persino la Siria ha
dato l'ok sulla risoluzione riguardante l'Iraq. L'Impero dispone di tali
mezzi di pressione, che non ci saranno più decisioni libere. Gli Usa sono
in grado di ostacolare qualsiasi paese. In merito al Teatro della Dubrovka
di Mosca, ho il sospetto che la vicenda non sia così limpida, non così
sotto il segno di Al Qaeda, come poteva sembrare. Il signor Putin forse
recalcitrava troppo... La Nato, a suo avviso, sta cambiando pelle? La Nato
sembrava essere diventata poco interessante, invece mi sbagliavo. È una
forza di subalterni. È più che mai la Nato americana, una "loro"
organizzazione. Serve dunque per controllare ogni mossa dell'Europa. E
l'Italia? Da tempo Silvio Berlusconi accarezza l'idea di diventare
presidente della Repubblica, eletto a suffragio universale. Per questo si
sta attivando nel modificare la Costituzione. È come se fra George Bush e
il premier italiano ci fosse un tacito accordo: "Tu mi lascerai mano libera
in Italia; e io ti lascerò scardinare il sistema di diritto dell'Europa".
Ho già visto questa scena. Ma gli italiani lasceranno fare? Mi auguro
proprio di no. Sono convinto che in Italia ci sia moltissima forza. Molta
gente non vuole la guerra, malgrado i media ci dicano da mesi che è
inevitabile. In quest'ultimo anno e mezzo, ho fatto almeno 160 conferenze
nel nostro paese e ovunque ho potuto constatare una forte eredità
democratica. Siamo figli di una Costituzione fra le più democratiche; siamo
sparsi, ma vivi. E inizia ad esserci un gran fermento anche nel mondo
cattolico. Serve però un ampio schieramento di tutti gli uomini e le donne
di buona volontà. Se aspettiamo che la classe operaia americana si
emancipi, addio. Il guasto intellettuale prodotto dalle tv commerciali è
devastante: 250 milioni di americani sono stati lobotomizzati; e non sono
dunque più in grado di reagire. Essi non sanno nulla del resto del mondo;
guardano la Fox Tv, che è propaganda bellicosa allo stato puro, quella con
la bava alla bocca. Queste immagini si sedimentano negli occhi della gente.
È pura istigazione al terrore che, anno dopo anno, produce i suoi effetti.
Ne risulta una società profondamente autoritaria. Ma l'Europa piegherà la
testa? L'Europa non può accettare un ruolo subalterno. Ha una sua storia,
una sua tradizione democratica. Ci sono, tuttavia, due Europe: quella delle
multinazionali che ragionano in termini americani; e quella della gente che
ragiona invece in termini europei. Gli elettori, nonostante tutto, contano.
Certo, per il momento l'Europa subisce. Ma la questione chiave resta la
Cina, che non è riconducibile a questo modello. E che per ora non ha
bisogno di chiedere: cresce; non ha reso convertibile la propria moneta;
decide senza telefonare a Washington. Finché esiste la Cina, gli Usa non
saranno "l'Impero". In realtà l'Europa, la Russia e la Cina potrebbero
allearsi. Ma gli Stati Uniti hanno già creato le condizioni perché il
governo russo dipenda dagli americani. A Mosca, il potere è ancora
saldamente in mano alla famiglia Eltsin; il presidente Putin ha tentato di
emanciparsi, senza riuscirci. E il Teatro della Dubrovka è una pugnalata,
un avvertimento, a Putin: "O fai quello che vogliamo noi. O ti spacchiamo
le ossa". A suo avviso, chi c'è dietro l'11 settembre? C'è un'interessante
dichiarazione del presidente pakistano Mussharaf in proposito: "Non credo
che l'11 settembre sia stato congeniato da Osama Bin Laden. Chi lo ha
progettato, doveva conoscere alla perfezione i sistemi di difesa aerea
americani". Dunque non un fanatico, non un musulmano. Come mai i
cacciabombardieri ci hanno messo 25 minuti prima di alzarsi in volo? Per
questo penso che molti altri, oltre agli autori materiali, abbiamo preso
parte all'11 settembre: molto probabilmente cristiani, di lingua inglese.
Il 9 settembre, il presidente George Bush aveva sul suo tavolo un ordine di
attacco già pronto contro l'Afghanistan. Non lo firmò. Che cosa stava
aspettando? Quando Lei dice "molti altri", chi intende? Una cupola formata
da pezzi dei servizi segreti dell'Arabia Saudita, del Pakistan, degli Stati
Uniti, più alcune componenti della finanza internazionale. Tutto ha l'aria
di un colpo di stato, con una cospicua presenza di fanatici - manovalanza
(anche se loro credevano di condurre il gioco) - e con l'obiettivo di
cambiare il corso del mondo. Di fatto, l'11 settembre ha aperto la strada
alla conquista americana dell'Asia Centrale. Niente succede a caso.

IL COSTO DELLE GUERRE E DEL TERRORISMO

Mentre si susseguono sempre più numerose le discussioni sulle stime del
costo di una eventuale guerra in Iraq - stime che oscillano tra i 99 ed i
1929 miliardi di dollari a seconda della durata del conflitto - solo pochi
studiosi ci hanno raccontato quali sono i costi delle guerre dimenticate e
del terrorismo. La mancanza di stime precise è dovuta forse alla difficoltà
di quantificare gli eventi: come diceva Keynes " è meglio indicare cifre
vagamente esatte che offrire stime precise totalmente errate". O forse ci
siamo dimenticati delle numerose guerre che si sono consumate nel mondo
negli ultimi 12 anni, della dimensione del fenomeno del terrorismo e degli
effetti economici che ne sono derivati . A chiarirci le idee ci aiutano le
stime elaborate dallo Stockholm International Peace Research Institute
(SIPRI) e dal Fondo Monetario. Nel periodo compreso tra gli anni 1989 e
2000 quasi 4 milioni di persone sono morte in conflitti armati mentre 37
milioni di persone sono state dichiarate "rifugiati". Nell’anno 2000 dei 25
conflitti armati nel mondo 23 sono avvenuti tra cittadini appartenenti allo
stesso stato. Gli attacchi terroristici sono passati da 342 all’anno nel
periodo tra il 1995 ed il 1999 a 387 tra il 2000 ed il 2001. Molti degli
attacchi terroristici sono avvenuti in paesi a medio-basso reddito: più del
20% sono avvenuti in Asia e in Africa infliggendo perdite ingenti. Uno
degli esempi più lampanti è il conflitto armato in Sri Lanka, nel periodo
compreso tra il 1983 ed il 1996: il costo stimato della guerriglia è pari a
due volte il PIL dello stesso paese nel 1996. Molti sono i canali
attraverso cui le guerre e il terrorismo riescono ad influenzare le
economie: i conflitti limitano infatti la crescita sia direttamente che
indirettamente. Si pensi che l’esplodere del terrorismo nei paesi baschi ha
comportato una diminuzione del reddito pro capite dell’area del 10%
rispetto a quello che potenzialmente la stessa regione avrebbe potuto
raggiungere.Una maggiore spesa militare riduce la spesa in istruzione e
sanità così come quella per altre attività produttive. Il terrorismo porta
alla distruzione delle infrastrutture, all’interruzione dell’istruzione,
alla diminuzione del commercio, del turismo e riduce la fiducia dei
produttori e dei consumatori nell’economia. Ma non solo. La paura del
terrorismo agisce come una tassa sulle transazioni economiche. Il raddoppio
dei casi di terrorismo in un paese si stima che diminuisca i flussi
commerciali bilaterali del 6%. Inoltre misure volte a limitare la
possibilità di attacchi terroristici possono impedire il flusso di beni e
di servizi. I controlli per aumentare la sicurezza dopo l’attacco
terroristico dell’11 settembre si stima siano costati all’economia mondiale
circa 75 miliardi di dollari e si pensa raggiungeranno lo 0.75 del PIL
mondiale nel lungo periodo. I conflitti armati e il terrorismo influenzano
quindi negativamente l’attività economica, erodendo la base fiscale
imponibile ( distruggendo le imprese, per esempio) e distorcendo la
composizione della spesa pubblica. Mancano però stime precise che rilevino
l’entità del fenomeno. In parte ciò è dovuto alla mancanza di una
definizione univoca ed accettata universalmente di terrorismo. Solo dopo
l’11 settembre gli Stati Uniti hanno dato una definizione precisa del
fenomeno. La sconfitta del terrorismo libera risorse per l’economia. Le
stime che abbiamo comprendono quindi sia atti di terrorismo che guerre
civili. Utilizzando un campione di 45 paesi, due terzi dei quali non hanno
conosciuto il terrorismo nel periodo tra il 1980 ed il 1999, alcuni
studiosi del Fondo Monetario Internazionale hanno quantificato l’ aumento
della crescita economica subito dopo la cessazione della guerriglia, così
come l’accresciuto investimento, specialmente del settore privato. Durante
il conflitto invece i paesi vedono un drammatico aumento del tasso di
inflazione, fino a 6-7 volte quello precedente la guerra ed una caduta
delle entrate fiscali. Naturalmente i dati rilevano anche un aumento della
spesa pubblica, specialmente per la difesa, che poi crolla nel periodo
successivo il conflitto. Osservando l’andamento dell’economia di 45 paesi
osserviamo che i paesi che hanno combattuto e sconfitto il terrorismo sono
cresciuti maggiormente e godono di una maggiore stabilità macroeconomica:
ogni punto percentuale in meno di spesa per la difesa aumenta il tasso di
crescita del paese dello 0.25%. La conclusione dei conflitti e la sconfitta
del terrorismo libera risorse nella economia che possono essere utilizzate
per ridurre il deficit di bilancio, ridurre le tasse ed accrescere
l’allocazione in spesa produttiva. La presenza del terrorismo pone le
economie nella necessità di aumentare la spesa militare per aumentare la
sicurezza dei paesi. (Laura Bottazzi)

BUONABANDIERA - Pace da tutti i balconi: ecco dove trovare le bandiere


GLI ITALIANI SONO CONTRARI ALLA GUERRA: 200 MILA BANDIERE DI PACE
SVENTOLANO GIA' NEI BALCONI ITALIANI Oramai non c'è via, piazza o strada in
Italia che non esponga almeno una bandiera della pace. E' la conferma che
la maggioranza degli italiani non vuole la guerra all'Iraq. E' l'iniziativa
"Pace da tutti i balconi!", partita in sordina a metà ottobre e che sta
crescendo di giorno in giorno in modo esponenziale, inondando finestre e
balconi d'Italia di colorate bandiere arcobaleno con la scritta "Pace", per
esprimere con un gesto preciso il proprio NO alla guerra ed il proprio SI
alla pace e alla via del dialogo. Un gesto semplice ma molto esplicito, che
prevede di appendere alla finestra o a un balcone, o comunque in un luogo
ben visibile, la bandiera della pace e di tenerla esposta finché non sarà
scongiurato un attacco contro l'Iraq e l'intervento dell'Italia in guerra,
in qualsiasi forma essi avvengano. Quante. Dall'inizio della campagna la
rete di associazioni che ha promosso la campagna ne ha già distribuite
quasi 200 mila, in tutta la penisola, dalla Sicilia al Trentino, con picchi
in Veneto, Emilia Romagna, Lombardia. In questi ultime settimane sono state
distribuite dalle 25 alle 30 mila bandiere alla settimana (in allegato la
"mappa" regione per regione).
Adesioni. All'iniziativa hanno aderito molte associazioni (Associazione
Botteghe del Mondo, Associazione Obiettori Nonviolenti, Attac, Azione
Cattolica, Banca Etica, Beati i Costruttori di Pace, CEM Mondialità, Chiama
l'Africa, Comunità Papa Giovanni XXIII, Comunità Telematica Manipulite.it,
Coordinamento Comasco per la Pace, Emergency, Focsiv, Gi.Fra. Minori,
Libera, Manitese, Medici Senza Frontiere, Missione Oggi, Movimento
Nonviolento, Nigrizia, Pax Christi, Peacelink, Rete di Lilliput, Rete Radiè
Resch, Sermig, Tavola della Pace, Arci) e la bandiera è appesa, oltre che
al balcone di tante famiglie, anche nelle sedi di enti locali, coinvolgendo
trasversalmente sia giunte di centro-destra (come il Comune di Taranto e
Regione Puglia) che di centro-sinistra (come il Comune di Venezia), nonché
in scuole e luoghi di lavoro, conventi e persino all'esterno di qualche
Curia Vescovile, come quelle di Trento e Vittorio Veneto. Fra le
particolarità da segnalare, quella del paese di Pezzoli (Rovigo) nel quale
tutte le abitazioni, grazie all'intraprendenza del parroco, espongono la
bandiera arcobaleno. Nonostante la crescita esponenziale delle persone che
vogliono affermare attraverso la bandiera la loro contrarietà all'entrata
in guerra del nostro paese sia dovuta soprattutto alle persone semplici,
alla gente comune, non sono pochi i "vip" che hanno esposto la bandiera
fuori dalla loro casa, a partire da Jovanotti.
Una iniziativa "dal basso". Si tratta di un'iniziativa semplice, di un
gesto che proprio per questa sua caratteristica è stata fatta propria da
moltissime famiglie italiane. Una campagna che si è sviluppata dal basso,
fatta di tanta gente comune, di passaparola e di un grande utilizzo di
Internet attraverso il fornito sito http://www.bandieredipace.org (più di
4000 accessi giornalieri; vi si trova tutto per una diffusione capillare
sul territorio: volantini, documenti, elenco dei punti di distribuzione -
come le botteghe del commercio equo e solidale, gruppi di solidarietà,
gruppi sindacali locali, ecc. - e anche un sostegno di tipo legale nel caso
di condomini contrari all'affissione). Spesso l'invito ad esporre la
bandiera  è diventato fra colleghi, amici, vicini di casa, un'occasione per
avviare un dibattito su quanto sta accadendo a livello internazionale.
Come è nata la proposta. L'idea di manifestare il NO alla guerra in Iraq
con la bandiera della pace  esposta dalle abitazioni  nasce la sera del 15
settembre 2002, a conclusione del Giubileo degli oppressi a Bologna: un
gruppo di persone appartenenti a diverse associazioni insieme ad Alex
Zanotelli pensa un'iniziativa che possa attivare tutti i cittadini italiani
e che consiste appunto nell'appendere ai balconi di casa la bandiera della
pace per dichiarare il proprio no alla guerra. La richiesta di adesioni
viene inoltrata alle associazioni legate alla Rete di Lilliput e trova
un'immediata ed entusiasta risposta. Successivamente, l'iniziativa si è
affiancata alla campagna "Fuori l'Italia dalla guerra" promossa tra gli
altri da Emergency, Libera, Rete di Lilliput e Tavola della Pace. Da metà
ottobre è attivo il sito Internet.
Il simbolo. La bandiera della pace è stata importata alcuni decenni fa in
Italia da Aldo Capitini - il fondatore del Movimento Nonviolento, nonché
ideatore della prima Perugia-Assisi - che l'aveva vista utilizzata dai
pacifisti inglesi. Nel racconto del diluvio universale Dio pone
l'arcobaleno come sigillo della sua alleanza con gli uomini e con la
natura, promettendo che non ci sarà mai più un altro diluvio universale.
L'arcobaleno è diventato così il simbolo della pace tra terra e cielo e,
per estensione, tra tutti gli uomini. I colori dell'arcobaleno sono anche
utilizzati come segno della 'convivialità delle differenze' per la loro
caratteristica fisica di restituire la luce bianca se fatti roteare
velocemente. E' stata usata diffusamente a partire dagli anni '80 nelle
marce per la pace e in tutte le manifestazioni italiane, nonché nelle
iniziative di pace di volontari italiani all'estero (a Sarajevo, in Iraq,
in Kosovo, nella Repubblica Democratica del Congo). (Mariagrazia Bonollo)

DOVE ACQUISTARE LE BANDIERE

Invitiamo tutti i cittadini, tutte le associazioni, i movimenti, le
istituzioni, gli enti, siano essi pubblici o privati, religiosi o laici,
contrari alla guerra e favorevoli alla pace e alla via del dialogo a
esporre da subito la Bandiera della Pace o un pezzo di stoffa bianco con
scritto "no alla guerra", ai balconi delle case lasciandoli ben visibili
finché non sarà definitivamente scongiurata la minaccia di un conflitto
armato contro l'Iraq. Le bandiere possono essere richieste ai seguenti
recapiti: BOTTEGA DEL MONDO "LA TORTUGA" Indirizzo: Piazza dei Signori 1
Città: PADOVA Referente: Emanuela Schievano Telefono: 049 651865;
ASSOCIAZIONE "LABILANCIA" BOTTEGA DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE ESTE
Indirizzo: Piazza Trento, 5 Città: 35042 ESTE (Pd) Referente: M. Lucia
Andreose Telefono: 0429- 2608; COOPERATIVA PACE E SVILUPPO - BOTTEGA DI
CAMPOSAMPIERO Indirizzo: via tiso, 7 Città: CAMPOSAMPIERO (Pd) Referente:
Alessandro Franceschini Telefono: 0422-301424;  COOPERATIVA PACE E SVILUPPO
Indirizzo: via Montello 4 Città: TREVISO Referente: Alessandro Franceschini
Telefono: 0422-301424;  LIBRERIA MARCO POLO Indirizzo: CALLE TEATRO
MALIBRAN - CANNAREGIO 5886/A Città: VENEZIA Referente: Elisabetta Telefono:
041 5226343;  "LA TIENDA 2" – UNCOMONDO Indirizzo: Via L. Da Vinci 27
Città: ALTE DI MONTECCHIO MAGGIORE (Vi) Telefono: 0444 491862; CASA PER LA
PACE Indirizzo: Contra' Porta Nuova, 2 Città: VICENZA Telefono: 0444
327395; UN SEGNO DI PACE COOPERATIVA SOCIALE A R.L. Indirizzo: Via Campo
Marzio 11 Città: MAROSTICA (Vi) Referente: Emanuela o Elisa Telefono: 0424
77922 / 77925; LA MANNA – UNICOMONDO Indirizzo: Via dei Lotti 3 C/O
Parrocchia S.Cuore Città: BASSANO DEL GRAPPA (Vi); SAPORI & COLORI,
ALIMENTI BIOLOGICI Indirizzo: via Libertà 81 Città: PIOVENE ROCCHETTE (Vi)
Referente: Giordano Zordan Telefono: 0445/880565 - 0445/650005;
ASSOCIAZIONE CANALETE CTM (BOTTEGA DEL MONDO) Indirizzo: Galleria Dante n.
31 VALDAGNO (Vi) Referente: Roberta Telefono: 0445 480170 (Bottega);
EPICENTRO GIOVANI Indirizzo: Centro Giovanile Spazio Mattarello - C.so
Mazzini 22 Città: ARZIGNANO (Vi) Referente: Zorzanello Davide Telefono:
0444674473; BOTTEGA UNICOMONDO Indirizzo: Sala Sette Santi - Basilica Monte
Berico - viale X Giugno 87 Città: VICENZA; LA TIENDA Indirizzo: Contrà
Pedemuro S. Biagio 42 Città: VICENZA Telefono: 0444 545586; COOPERATIVA
SOCIALE INSIEME Indirizzo: via Olimpica Città: ARZIGNANO (Vi) Referente:
Emiliano Giulio Telefono: 0444/452676; FAEDO CASA Indirizzo: Via Bruno Dal
Maso, 65 Città: CHIAMPO (Vi) Referente: Luigi Faedo Telefono: 0444 421030;
CARTOLERIA STILE STUDIO Indirizzo: VIA ROMA, 38 Città: CASTELNOVO (Vi)
Referente: SONIA Telefono: 0444.975151; MACONDO Indirizzo: Via Dante 86
Città: THIENE (Vi) Telefono: 0445-364529; "L'ARCOLAIO" – UNICOMONDO
Indirizzo: Piazza Marconi 10 Città: ISOLA VICENTINA (Vi); "AMICI TERZO
MONDO" – UNICOMONDO Indirizzo: Via S.Gaetano 10 Città: SANDRIGO (Vi);
COOPERATIVA INSIEME Indirizzo: Via della Scola, 88 Città: VICENZA
Referente: Francesco Telefono: 0444 511562; ROBE DELL’ALTRO MONDO
Indirizzo: Via Pasubio 54 Città: SCHIO (Vi) Telefono: 0445-526854; "LA
TIENDA 3" – UNICOMONDO Indirizzo: Viale dei Martiri 25 Città: DUEVILLE
(Vi); "CENTRO ATTIVO AIUTO AL PROSSIMO" – UNICOMONDO Indirizzo: Via Roma 56
C/O Patronato S. Pio X Città: ZANÉ (Vi); BOTTEGA UNICOMONDO Indirizzo: Via
Gamba 40 Città: BASSANO DEL GRAPPA  (Vi) Telefono: 0424/219087;
 ASSOCIAZIONE CULTURALE LOCOMOTIVA FUMANTE Indirizzo: Via del Lavoro, 48
Città: SOMMACAMPAGNA (Vr) Referente: Lucio Telefono: 3356747325;  LA
RONDINE COOP. BOTTEGA DEL MONDO Indirizzo: VIA PALLONE 2 Città: VERONA
Referente: Maria Grazia - Annamaria Telefono: 045/8013504 (bottega);
MOVIMENTO NONVIOLENTO - CASA PER LA NONVIOLENZA Indirizzo: Via Spagna 8
Città: VERONA Telefono: 045 8009803; RETE LILLIPUT VERONA Indirizzo: c/o
Cristina Graziani Città: VERONA Referente: cristina graziani Telefono:
328/8535033 (a cura de «il GRILLO parlante», informazioni dedotte dal sito
http://www.bandieredipace.org <http://www.bandieredipace.org/>  )


BUONADICHIARAZIONE - 1) Opposizione civile; 2) Vescovi della Toscana contro
la guerra;  3) don Sacco scrive al ministro Martino


OPPOSIZIONE CIVILE: DOPO LA PRESA DI POSIZIONE EVERSIVA DI BERLUSCONI...
Dopo la presa di posizione eversiva di Silvio Berlusconi i nostri
concittadini debbono rendersi pienamente conto che l’Italia sta
attraversando un periodo drammatico. Berlusconi minaccia elezioni
anticipate perché è  in gravi difficoltà politiche ed economiche – i conti
pubblici sono allo sbando – e coloro che nel centrosinistra avallano la
permanenza a Palazzo Chigi di Berlusconi, anche se condannato, e mostrano
di temere le nuove elezioni commettono un errore madornale. L’opposizione
politica e civile deve superare i dissidi e concordare un calendario di
riunioni per definire in tempi brevi le linee programmatiche e discutere
una proposta politica: la Costituente dell'Ulivo, che non ha nulla che
vedere con un nuovo partito o un superpartito, ma che deve promuovere una
coalizione unificante di partiti, associazioni e movimenti. Per salvare lo
stato di diritto, la democrazia e la dignità dobbiamo opporci alla guerra
di Berlusconi e dei suoi soci contro i magistrati; dobbiamo opporci alla
guerra contro lo stato sociale; dobbiamo opporci al progetto dissennato di
partecipare alla guerra in Iraq. Per opposizione Civile: Alessandro Galante
Garrone, Enzo Marzo, Paolo Sylos Labini, Elio Veltri.


VESCOVI DELLLA TOSCANA PER LA PACE
Nella nostra precedente assemblea (1 ottobre 2002) prendemmo ferma
posizione in favore della pace in di fronte alla diffusione di conflitti e
violenze in varie parti del mondo. Adesso noi vescovi della Toscana per
fedeltà al Vangelo della pace, in comunione con il magistero del Papa e
condividendo il desiderio di pace del nostro popolo, constatando che gli
organismi deputati all'esercizio del diritto internazionale si trovano di
fatto esautorati e in particolare come l'ONU non sia posta in grado di
intervenire con pari efficacia nei confronti di tutte le violazioni dei
diritti umani, della libertà, della sicurezza e della democrazia, dovunque
e da chiunque vengano perpetrate, esprimiamo un chiaro, preoccupato e
deciso NO alla guerra, di fronte agli avanzati preparativi e al
dispiegamento di forze in atto, con la prospettiva di azioni militari che
potrebbero svilupparsi anche ignorando o forzando le norme del diritto
internazionale; chiediamo al Parlamento e al Governo italiani, chiamati a
prendere importanti e gravi decisioni di politica estera, di confrontarsi
con responsabilità e coraggio con gli accorati appelli alla pace del Santo
Padre Giovanni Paolo II - in particolare il messaggio per la Giornata della
pace 2003 e il discorso al corpo diplomatico accreditato presso la S. Sede
- volti a promuovere il dialogo, la mediazione e la riconciliazione tra le
parti in conflitto e quindi a scongiurare guerre sempre inutili e con
dannosissimi effetti in primo luogo sulle popolazioni inermi; invitiamo
tutte le comunità ecclesiali e ogni cristiano, insieme con tutti gli uomini
e le donne di buona volontà, a convertirsi alla pace, a coltivare e
diffondere pensieri e gesti di pace, a celebrare momenti comunitari di
riflessione e preghiera, a digiunare per la pace, a manifestare con
franchezza ai membri del Parlamento e del Governo il profondo desiderio di
pace, di giustizia e di democrazia del nostro popolo e di tutti i popoli
del mondo dicendo un fermo e chiaro NO all'ipotesi di partecipazione o
sostegno alla guerra all'Iraq da parte dell'Italia e chiedendo invece di
adoperarsi con ogni mezzo nonviolento perché in quel paese si affermino i
diritti umani e la democrazia; come pure di moltiplicare le attenzioni e
gli sforzi per la pace in Terrasanta e in tutte le altre situazioni di
guerre e conflitti dimenticati; riaffermiamo l'esigenza di maggiore
giustizia distributiva su base planetaria, come fonte di vita e di sviluppo
per tutte le aree del mondo da liberare dalla fame e dalla miseria.
Raccomandiamo a tutti i sacerdoti che questo messaggio sia letto in tutte
le chiese della Toscana, come pure a tutti i laici e alle associazioni e
movimenti cattolici di darne la massima diffusione in tutti gli ambienti e
realtà civili e sociali della nostra regione.


DON SACCO SCRIVE AL MINISTRO MARTINO: «NON BENEDICIAMO LE ARMI»
Non si può arruolare Dio. Con queste parole don Renato Sacco, parroco di
Cesara ed Arola, si è rivolto al ministro della Difesa Antonio Martino in
risposta alle affermazioni fatte da quest´ultimo che «un prelato, anche un
alto prelato, dovrebbe benedire una missione militare». Don Sacco, prete
pacifista, non è d´accordo ed ha espresso il proprio «disappunto ed
amarezza» scrivendo al ministro. Il documento, che è firmato anche da un
altro sacerdote, don Fabio Corazzina di Brescia, in poche ore ha fatto il
giro della Penisola ed è diventato lettera ufficiale di Pax Christi,
l´organizzazione cattolica che lotta per la Pace nel mondo e di cui don
Sacco è consigliere nazionale. «Certo è sorprendente che un ministro della
Difesa dica cosa debbano fare «prelati o alti prelati», soprattutto dica
che si devono benedire delle missioni militari - scrive don Sacco - come
preti siamo abituati a benedire: un bimbo appena nato, un uomo ed una donna
che dichiarano il loro amore e formano una famiglia, la scelta coraggiosa
di giovani impegnati nella vita; benediciamo una comunità nel suo dolore,
l´intimità di una fatica o di una gioia. Ma mai abbiamo benedetto un
contingente in partenza per la guerra, mai benedetto un´arma, un gesto di
violenza che può fare vittime. Non fa parte del nostro patrimonio
spirituale, culturale. Non fa parte del Vangelo». «Siamo pronti a benedire
ogni gesto di pace - conclude don Sacco - ed in quanto a Lei, signor
Ministro, si impegni ad essere fedele al principio della Costituzione
secondo il quale l´Italia ripudia la guerra: questa sarebbe davvero una
benedizione».