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- From: Daniele Barbieri <barbieri at carta.org>
- Date: Wed, 5 Feb 2003 15:17:17 +0100
a cura di Alessandra Garusi e della Redazione di «Missione Oggi», mensile dei Missionari Saveriani. «Missione Oggi» è una delle riviste maggiormente impegnate sul versante dell'informazione schietta e per la pace. Potete chiedere una copia saggio del periodico mensile a: missioneoggi at saveriani.bs.it Tel. 030 3772780. L'abbonamento annuale costa solo 23 euro. ------------------------------------------------------------------------------ USA-IRAQ, LA PRIMA GUERRA DI DOMINIO Il 17 settembre 2002 è una data che gli storici annoteranno. Quel giorno è stato infatti reso pubblico The National Security Strategy of United States: il primo documento dove l'America esprime la propria intenzione, senza falsi pudori. Quella di governare il mondo. È un giro di boa. Eppure in Italia nessuno se ne è accorto. Soltanto L'Unità e Il Manifesto hanno pubblicato brevi commenti a riguardo; mentre il quotidiano francese Le Monde lo ha tradotto e vi ha dedicato un ampio servizio, cogliendone il carattere sovversivo. Esso rivela infatti un'antropologia e una visione delle cose che bisogna comprendere, se non si vuole assistere impotenti alla prossima guerra: la prima del nuovo Impero - l'America di George W. Bush - contro il nemico di sempre, l'Iraq di Saddam Hussein. Chi, se non il gruppo d'intellettuali e giuristi che fa capo a "Vasti", la scuola di ricerca e critica delle antropologie di Roma, poteva raccogliere questa sfida? L'analisi inizia dunque come un dialogo a due voci fra Raniero La Valle e il magistrato Domenico Gallo. E prosegue con un'intervista a Giulietto Chiesa, che ha recentemente pubblicato La guerra infinita. Un libro che in sei mesi ha venduto 55mila copie, pur non essendo stato recensito da nessuna delle grandi testate. Il giornalista cerca di svelare le vere intenzioni dell'America e dei petrolieri che oggi sono sul ponte di comando. (Alessandra Garusi) STATI UNITI: IL MANIFESTO DELL'IMPERO. INTERVISTA A RANIERO LA VALLE E DOMENICO GALLO - The National Security Strategy of United States, reso pubblico lo scorso 17 settembre, si può definire il "Manifesto dell'Impero". È il primo testo, dove l'America esprime apertamente la propria intenzione: quella di governare il mondo. Dalla strategia dell'Impero al manifesto dell'Impero". Questo il tema del primo seminario di Vasti - scuola di ricerca e critica delle antropologie - per l'anno 2002/2003. Si è tenuto, come di consueto, nella sede di via dei Mille 6, a Roma, il 17 novembre. L'obiettivo era quello di cominciare ad analizzare, dal punto di vista antropologico, il documento sulla sicurezza nazionale americana reso pubblico lo scorso 17 settembre. Ciò che riproduciamo qui di seguito, è solo una parte del dialogo a due voci fra Raniero La Valle e il magistrato Domenico Gallo. Da soli alla guida del mondo Raniero La Valle. Nel 1989, con la rimozione del Muro di Berlino, gli Stati Uniti iniziarono a pensare la propria candidatura alla leadership del mondo: dalla Guerra del Golfo in avanti, questo è diventato evidente. P. Balducci si allarmò. E nella premessa al libro La strategia dell'Impero: dalle direttive del Pentagono al nuovo modello di Difesa (di Umberto Allegretti, Domenico Gallo e Manlio Dinucci, Ed. Cultura della Pace, 1992, pp 256) manifestò tale preoccupazione. The National Security Strategy of United States, questo documento reso pubblico il 17 settembre 2002, è in sé innovativo. Si può definire il Manifesto dell'Impero. È il primo testo, dove l'America esprime apertamente la propria intenzione, senza falsi pudori. Quella di governare il mondo. I criteri enunciati sono sovversivi; rivelano un'antropologia e una visione delle cose. All'inizio si afferma che, dalle grandi lotte del XX secolo, è uscito un solo modello fondato su tre pilastri: libertà, democrazia e libera impresa. Ma si può davvero parlare di un solo modello? E chi non lo adotta, diventa automaticamente uno "stato canaglia"? Ciò che sta accadendo, è una cosa del tutto nuova. Siamo nella fase iniziale della formazione di un Impero. Nel documento, c'è appunto una sorta di atto formativo. E la guerra contro l'Iraq sarà la prima guerra dell'Impero. Quest'azione militare si farà. E l'America è già lì, pronta ad insediarsi. Dopo l'11 settembre, è dunque cambiato vertiginosamente il concetto di identità che l'America ha di sé. Il liberismo armato Domenico Gallo - L'89 è stato interpretato come una vittoria della Guerra Fredda. In altre parole, "abbiamo vinto perché la forza paga". Un intervento di Colin Powell del '92 - allora capo di Stato maggiore di Bush padre - è in questo senso illuminante. Cito testualmente: "Siamo l'ultima speranza di bene per la Terra. Siamo l'unica superpotenza rimasta. Siamo una nazione destinata ad essere leader. Dunque dobbiamo condurre le vicende del mondo". E più avanti: "Le Forze armate sono una parte importante della fabbrica dei nostri valori". Nell'agosto '90, Bush padre lanciò l'idea del "nuovo ordine mondiale". Esattamente un anno dopo, venne emanata una direttiva che anticipava i contenuti del documento odierno: già lì si ribadiva il ruolo dell'America come unica leader. Nel '92, venne pubblicata una guida alla pianificazione della Difesa. Era redatta da Paul Wolfovitz, sottosegretario alla Difesa. Il New York Times anticipò questo testo. Fra l'altro si diceva che gli Stati Uniti intendevano scoraggiare la Difesa europea, potenziale agente che avrebbe offuscato la Nato. Lo scompiglio che questo testo provocò fu tale, che venne riscritto in termini più morbidi da Dick Cheney (attuale vicepresidente, ndr). Tuttavia alcuni principi restarono chiari, fra cui l'indivisibilità tra la forza del mercato e la Difesa; l'intercambiabilità di valori e interessi americani. La Guerra del Golfo del '92 costituisce la prima messa in atto di questa teoria. Così arriviamo a questo testo, alla nuova dottrina Bush, presentata il 17 settembre 2002. Il gran salto, nella sua formulazione, s'è registrato a partire dall'11 settembre 2001. È un testo di dottrina politica. In particolare, è il Manifesto della nuova destra. E diventa la strategia ufficiale del governo che lo applica. Che mondo immagina George W. Bush? Un mondo unico, governato dagli Usa. Nazioni Unite addio Domenico Gallo - Il documento si compone di un preambolo e 9 capitoli. Il 3 e il 5 riguardano il terrorismo, mentre il 6 e il 7 la teoria economica e dello sviluppo. Si teorizza il liberismo armato: gli Stati Uniti dichiarano d'essere disponibili ad agire anche da soli, con azioni preventive. Delle Nazioni Unite si parla, assimilandole alle Ong che soccorrono i profughi. Nel capitolo 5, c'è il cuore della strategia militare e politica. Viene detto che l'epoca della deterrenza è finita: non è praticabile contro i leader degli stati canaglia. La Difesa dev'essere preventiva; un principio, questo, che gli altri stati non possono applicare. Si sta cercando una giustificazione ideologica all'attacco contro l'Iraq. La teoria è simile a quella che stette alla base del bombardamento del reattore nucleare civile iracheno da parte di Israele nel 1981. Questa teoria indica comunque un cambiamento eversivo della Carta delle Nazioni Unite: si passa, in sostanza, ad un ordinamento dove la guerra è insita nel sistema. Il capitolo 6 è invece il cuore della teoria economica e resta forse il più interessante. Si dice che esiste un unico modello economico e che questo dev'essere esteso a tutto il mondo. Tale modello viene assunto come un dato morale. E in questo c'è una buona dose di fondamentalismo. Si raccomanda all'Europa di rimuovere le barriere strutturali; mentre il riferimento al G7 è in questi termini: gli alleati vengono consultati per dare loro istruzioni sulle politiche che "devono" mettere in atto. Si parla anche dell'Africa; si cita l'Accordo quadro, Africa Growth and Opportunity Act, che Nelson Mandela ha definito "inaccettabile" tacciandolo di "nuovo colonialismo", e che invece le multinazionali hanno comprensibilmente salutato con grandi entusiasmi. Nel capitolo 7, si tocca la questione ecologica con l'unico obiettivo di non creare allarmismi. Non si discute nemmeno dell'insostenibilità di questo modello di sviluppo; nessun accenno allo spreco delle risorse energetiche, né ai rifiuti. E ancora: non viene posto il problema della distribuzione delle risorse. Qualsiasi investimento nei paesi del Sud del mondo è vincolato all'attuazione, da parte di quei governi, di riforme economiche. Delle biotecnologie si parla in termini di "premi", che verranno dati ai paesi del Terzo Mondo in linea con le aspettative americane. Mentre le Nazioni Unite scompaiono come centro di potere, viene ribadito il ruolo della Nato, dell'Asean (Associazione delle nazioni dell'Asia sud-orientale), della Cina e della Russia. Nell'ultimo capitolo, gli Stati Uniti scoraggiano gli avversari che potrebbero voler competere con la loro potenza militare. Di fatto, essi si sono sostituiti alle Nazioni Unite. Ed è per questa ragione che non possono tollerare la presenza e l'azione della Corte penale internazionale. Leggiamo testualmente: "Prenderemo le misure necessarie per garantire che i nostri sforzi per adempiere ai nostri impegni per la sicurezza globale e per la protezione degli americani non siano ostacolati dalle potenzialità investigative, da inchieste o da un rinvio a giudizio da parte della Corte Penale Internazionale, la cui giurisdizione non riguarda gli americani e che noi non accettiamo". E l'atto di nascita dell'Impero americano è senz'ombra di dubbio la guerra ormai prossima contro l'Iraq. Un ruolo per le chiese Raniero La Valle - Al di là di come le cose andranno a finire, è importante decifrare i segnali. Gli Usa non fanno neppure più parte della Nato; questa non costituisce più la loro proiezione mondiale. Essi ormai giocano in proprio. Con un orgoglio quasi luciferino, dopo l'11 settembre, si presentano da soli. Dal tetto del mondo. È una potenza, quella americana, solitaria e sovrana. Due questioni, a mio parere, restano fondamentali. La prima riguarda l'assenza di una politica statunitense in materia ecologica. Nella misura in cui essi non si pongono il problema, le chiese - custodi del creato - devono porselo. La seconda è che di fronte alla tragedia della fame e della sete di gran parte del pianeta, loro raccomandano il free trade. Ma questo non risolve. Di nuovo, le chiese dovrebbero porsi il problema. L'unicità del comando dà le dimensioni del problema. DAL DOCUMENTO SULLA SICUREZZA NAZIONALE AMERICANA - Riportiamo alcuni brani del testo commentato. Valori e interessi. "Lavoreremo per tradurre questo momento di grande influenza in decenni di pace, prosperità e libertà. La strategia statunitense per la sicurezza nazionale sarà basata su di un internazionalismo squisitamente americano che rifletta l'unione dei nostri valori e dei nostri interessi nazionali. Lo scopo di questa strategia è contribuire a rendere il mondo non soltanto più sicuro, ma anche migliore. I nostri scopi sulla via del progresso sono chiari: libertà politica ed economica, relazioni pacifiche con gli altri stati e rispetto della dignità umana. E questa via non appartiene ai soli Stati Uniti, ma è aperta a tutti". Deterrenza addio. "I concetti tradizionali di deterrenza non funzioneranno contro un nemico terrorista, le cui tattiche dichiarate sono la distruzione sfrenata e l'uccisione di innocenti; i cui cosiddetti soldati, morendo, perseguono il martirio e la cui più potente protezione è l'assenza dello stato. La sovrapposizione tra stati che sostengono il terrorismo ed agenti che cercano di procurarsi armi per la distruzione di massa ci chiama all'azione". Attacchi preventivi. "Gli Stati Uniti sostengono ormai da lungo tempo l'opzione dell'attacco preventivo per contrastare una minaccia anche di moderata entità alla nostra sicurezza nazionale. Maggiore è la minaccia, maggiore è il rischio insito nell'inazione: e più è stringente la motivazione per intraprendere un'azione preventiva di autodifesa, anche se rimangono incerti il tempo ed il luogo dell'attacco nemico. Per precedere o evitare tali atti di ostilità da parte degli avversari, gli Stati Uniti, se necessario, agiranno preventivamente". Corte penale internazionale. "Prenderemo le misure necessarie per garantire che i nostri sforzi per adempiere ai nostri impegni per la sicurezza globale e per la protezione degli americani non siano ostacolati dalle potenzialità investigative, da inchieste o da un rinvio a giudizio da parte della Corte penale internazionale, la cui giurisdizione non riguarda gli americani e che noi non accettiamo. Collaboreremo con altre nazioni per evitare complicazioni nelle nostre operazioni e cooperazioni militari, attraverso meccanismi come accordi multilaterali e bilaterali, che tutelino i cittadini statunitensi dal Tribunale penale internazionale. Renderemo pienamente operativo l'American servicemembers protection act (legge per la protezione dei soldati americani), le cui clausole servono a garantire e migliorare la tutela dei soldati ed ufficiali statunitensi". (traduzione curata da Sabrina Fusari) LA GUERRA INFINITA SECONDO GIULIETTO CHIESA - "Prevenire non è curare: la guerra in Iraq e la nuova dottrina Bush". Questo il titolo dell'incontro con Giulietto Chiesa organizzato il 26 novembre, presso l'Università Bocconi, da Lilliput e dal Coordinamento contro la guerra di sud Milano. Il mio ultimo libro, La guerra infinita (Nuova Serie Feltrinelli), è stato scritto fra il novembre 2001 e il gennaio 2002. Pur non essendo stato recensito da nessuno dei grossi quotidiani italiani - né dal Corriere della Sera, né da Repubblica, né dalla Stampa - ha venduto finora 55mila copie. È già questo ne fa un caso. Esso contiene inoltre molte notizie che sono al di fuori dalla corrente dei media. E che nessuno, in realtà, è in grado di contestare. Una cosa è certa: dell'11 settembre, la verità, non la conosceremo mai. Sappiamo tuttavia con certezza che la versione ufficiale è falsa. Da lì è iniziata una spirale che ci porterà alla militarizzazione del mondo e quindi alla fine della democrazia. Lo scopo dichiarato è il dominio. Sto parlando di una svolta epocale. Precisazione n. 1: la globalizzazione americana è andata in crisi da sola; non è stato certo l'impatto del movimento di Seattle a farla traballare… A Washington, la recessione era in atto già nel gennaio del 2001, ma questa notizia è stata diffusa solo 10 mesi dopo, in novembre. Gli Stati Uniti sono comunque in buona compagnia: il Giappone è fermo da 12 anni, mentre l'Europa arranca. In controtendenza, la Cina cresce otto volte più velocemente di noi; da vent'anni mantiene questo ritmo. Soltanto che il Pianeta ha ormai raggiunto il limite estremo dello sviluppo. Noi, abitanti dei paesi cosiddetti "sviluppati", siamo meno di un miliardo. E non ci chiediamo nemmeno che cosa succederebbe alla Terra se un miliardo e 200 milioni - ovvero la popolazione cinese - accedesse al mercato mondiale con le nostre stesse pretese… Siamo arrivati ai limiti dello sviluppo. Nell'arco di un decennio, tra il 1992 e il 2002, abbiamo mangiato metà dei pesci di tutti gli oceani. Del restante 50%, ne abbiamo compromesso il 20%. Che faremo nei prossimi dieci anni? Mangeremo quel che resta? Queste non sono ipotesi, ma statistiche. Il fatto è che il resto del mondo non si può e non si deve sviluppare. Intanto ci stiamo preparando alla guerra con la Cina, nel 2017. Nel dicembre 2000, un documento del Pentagono diceva a chiare lettere che questo paese sarà presto in grado di minacciare gli Stati Uniti. Solo nel 2002, sono stati stanziati dall'Amministrazione americana 507 miliardi di dollari per la Difesa. È pensabile che i nuovi sistemi d'arma servano "solamente" per combattere il terrorismo internazionale? Molto più probabilmente, gli Usa si stanno preparando ad una guerra di dominio. In termini diretti, al governo americano c'è un gruppo di petrolieri. Esso, oltretutto, è stato eletto da meno del 18% della popolazione. Va dato atto, tuttavia, che quest'Amministrazione è sincera. Il vicepresidente Dick Cheney ha detto che ci stiamo avviando ad una guerra destinata a durare 50 anni. Dunque, la minaccia rappresentata da Bin Laden e da Al Qaeda continuerà per cinque decenni? È per questo che sospetto che l'11 settembre sia successo qualcosa di diverso. Nel documento The National Security Strategy of the United States of America del 17 settembre 2002 (v. pag. 9), scritto da Cordoleeza Rice, si precisa fra l'altro questo: gli Stati Uniti non possono accettare che alcun paese o coalizione di paesi si avvicini alla loro superpotenza militare. Ritengo dunque che gli Usa vogliano armarsi a tal punto da costringere la Cina a fermarsi sulla via dello sviluppo. C'è naturalmente un "ma". I cinesi ne sono consapevoli e si stanno preparando al momento della verità. Qualcuno, un domani, a Pechino potrebbe dire: "No, un momento. Anche noi abbiamo diritto ad una fetta consistente della torta". E allora sarà guerra, con milioni e milioni di morti. Anche se questo scenario non dovesse realizzarsi, resta il problema più grave: quello della Terra che stiamo distruggendo. Per la prima volta, l'uomo riduce drasticamente le risorse. Questa non è nient'altro che la nostra "civiltà". Oggi siamo ad un bivio. O proseguiamo su questa strada: e allora sarà la guerra, tutte le libertà saranno azzerate e perderemo su tutti i fronti. O l'alternativa è di sedersi ad un tavolo, togliersi la pistola di dosso e cominciare a discutere. Certo, se optiamo per la scelta della guerra, poi sarà impossibile fermarsi. Dopo l'Iraq, ci sarà l'Iran e dopo ancora la Corea del Nord. La lista degli "stati canaglia" è infinita. Per prima cosa, dobbiamo impedire al nostro governo di partecipare a questo conflitto. Perché è ingiusto. Senza prospettive. (Giulietto Chiesa) Un dibattito vivacissimo, quello che gli studenti della Bocconi hanno intessuto con l'ex inviato de La Stampa. È durato quasi due ore in un'aula stipata. Attenti, ironici, preparati, curiosi, essi hanno rivolto molte domande. Qui ne riportiamo soltanto alcune. Perché proprio adesso l'America ha deciso di chiudere il conto in sospeso con l'Iraq? Perché l'America è in crisi. Le cifre economiche di cui disponiamo, sono edulcorate. La situazione è ben più grave di quanto traspare; e i segnali sono numerosi. Tanto che gli stessi indici del Dow Jones, come i dati forniti dal Fmi (Fondo monetario internazionale), sono stati ripetutamente truccati. L'immensa bolla speculativa costruita in questi anni a Wall Street è esplosa. Un'altra bolla è lì lì per esplodere: quella immobiliare, che ha tenuto in piedi gli Stati Uniti in questi ultimi due anni. Per pagare il debito, gli Usa hanno svalutato il dollaro. Mentre nel 2000 si pensava ancora di poter far fare all'economia americana un "atterraggio morbido", oggi sono in pochi a crederci. La recessione era già cominciata nel gennaio 2001; eppure ne è stata data notizia solo in novembre. Tutto dunque ora dipende dal mercato immobiliare: se i proprietari iniziano a vendere in massa, l'America si troverà in una crisi peggiore di quella del '29. Ecco allora la via d'uscita: se gli Usa si impadroniranno del petrolio iracheno, dopo quello afgano, saranno nelle condizioni di dettare il prezzo del greggio. Con ciò faranno un grosso regalo, oltre che a se stessi, ai cinesi e agli europei. Pensano ad una guerra breve, di 48 ore, con bombardamenti su tre punti e la rimozione di Saddam, sostituito da un governo fantoccio. Di conseguenza, il prezzo del petrolio prima schizzerà a 30 dollari al barile, per poi scendere a 12. Hanno fretta di raggiungere questa cifra. Ce la faranno? Secondo me, no. Tutti gli stati americani sono sull'orlo della bancarotta, perché hanno investito in fondi pensione. Se gli Stati Uniti vanno a rotoli, anche l'Europa comunque andrà a rotoli. Siamo di fronte ad un paradosso: l'America è un gigante dai piedi d'argilla militarmente potentissimo ed economicamente debole. Guardate che cosa è successo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: persino la Siria ha dato l'ok sulla risoluzione riguardante l'Iraq. L'Impero dispone di tali mezzi di pressione, che non ci saranno più decisioni libere. Gli Usa sono in grado di ostacolare qualsiasi paese. In merito al Teatro della Dubrovka di Mosca, ho il sospetto che la vicenda non sia così limpida, non così sotto il segno di Al Qaeda, come poteva sembrare. Il signor Putin forse recalcitrava troppo... La Nato, a suo avviso, sta cambiando pelle? La Nato sembrava essere diventata poco interessante, invece mi sbagliavo. È una forza di subalterni. È più che mai la Nato americana, una "loro" organizzazione. Serve dunque per controllare ogni mossa dell'Europa. E l'Italia? Da tempo Silvio Berlusconi accarezza l'idea di diventare presidente della Repubblica, eletto a suffragio universale. Per questo si sta attivando nel modificare la Costituzione. È come se fra George Bush e il premier italiano ci fosse un tacito accordo: "Tu mi lascerai mano libera in Italia; e io ti lascerò scardinare il sistema di diritto dell'Europa". Ho già visto questa scena. Ma gli italiani lasceranno fare? Mi auguro proprio di no. Sono convinto che in Italia ci sia moltissima forza. Molta gente non vuole la guerra, malgrado i media ci dicano da mesi che è inevitabile. In quest'ultimo anno e mezzo, ho fatto almeno 160 conferenze nel nostro paese e ovunque ho potuto constatare una forte eredità democratica. Siamo figli di una Costituzione fra le più democratiche; siamo sparsi, ma vivi. E inizia ad esserci un gran fermento anche nel mondo cattolico. Serve però un ampio schieramento di tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Se aspettiamo che la classe operaia americana si emancipi, addio. Il guasto intellettuale prodotto dalle tv commerciali è devastante: 250 milioni di americani sono stati lobotomizzati; e non sono dunque più in grado di reagire. Essi non sanno nulla del resto del mondo; guardano la Fox Tv, che è propaganda bellicosa allo stato puro, quella con la bava alla bocca. Queste immagini si sedimentano negli occhi della gente. È pura istigazione al terrore che, anno dopo anno, produce i suoi effetti. Ne risulta una società profondamente autoritaria. Ma l'Europa piegherà la testa? L'Europa non può accettare un ruolo subalterno. Ha una sua storia, una sua tradizione democratica. Ci sono, tuttavia, due Europe: quella delle multinazionali che ragionano in termini americani; e quella della gente che ragiona invece in termini europei. Gli elettori, nonostante tutto, contano. Certo, per il momento l'Europa subisce. Ma la questione chiave resta la Cina, che non è riconducibile a questo modello. E che per ora non ha bisogno di chiedere: cresce; non ha reso convertibile la propria moneta; decide senza telefonare a Washington. Finché esiste la Cina, gli Usa non saranno "l'Impero". In realtà l'Europa, la Russia e la Cina potrebbero allearsi. Ma gli Stati Uniti hanno già creato le condizioni perché il governo russo dipenda dagli americani. A Mosca, il potere è ancora saldamente in mano alla famiglia Eltsin; il presidente Putin ha tentato di emanciparsi, senza riuscirci. E il Teatro della Dubrovka è una pugnalata, un avvertimento, a Putin: "O fai quello che vogliamo noi. O ti spacchiamo le ossa". A suo avviso, chi c'è dietro l'11 settembre? C'è un'interessante dichiarazione del presidente pakistano Mussharaf in proposito: "Non credo che l'11 settembre sia stato congeniato da Osama Bin Laden. Chi lo ha progettato, doveva conoscere alla perfezione i sistemi di difesa aerea americani". Dunque non un fanatico, non un musulmano. Come mai i cacciabombardieri ci hanno messo 25 minuti prima di alzarsi in volo? Per questo penso che molti altri, oltre agli autori materiali, abbiamo preso parte all'11 settembre: molto probabilmente cristiani, di lingua inglese. Il 9 settembre, il presidente George Bush aveva sul suo tavolo un ordine di attacco già pronto contro l'Afghanistan. Non lo firmò. Che cosa stava aspettando? Quando Lei dice "molti altri", chi intende? Una cupola formata da pezzi dei servizi segreti dell'Arabia Saudita, del Pakistan, degli Stati Uniti, più alcune componenti della finanza internazionale. Tutto ha l'aria di un colpo di stato, con una cospicua presenza di fanatici - manovalanza (anche se loro credevano di condurre il gioco) - e con l'obiettivo di cambiare il corso del mondo. Di fatto, l'11 settembre ha aperto la strada alla conquista americana dell'Asia Centrale. Niente succede a caso. IL COSTO DELLE GUERRE E DEL TERRORISMO Mentre si susseguono sempre più numerose le discussioni sulle stime del costo di una eventuale guerra in Iraq - stime che oscillano tra i 99 ed i 1929 miliardi di dollari a seconda della durata del conflitto - solo pochi studiosi ci hanno raccontato quali sono i costi delle guerre dimenticate e del terrorismo. La mancanza di stime precise è dovuta forse alla difficoltà di quantificare gli eventi: come diceva Keynes " è meglio indicare cifre vagamente esatte che offrire stime precise totalmente errate". O forse ci siamo dimenticati delle numerose guerre che si sono consumate nel mondo negli ultimi 12 anni, della dimensione del fenomeno del terrorismo e degli effetti economici che ne sono derivati . A chiarirci le idee ci aiutano le stime elaborate dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) e dal Fondo Monetario. Nel periodo compreso tra gli anni 1989 e 2000 quasi 4 milioni di persone sono morte in conflitti armati mentre 37 milioni di persone sono state dichiarate "rifugiati". Nell’anno 2000 dei 25 conflitti armati nel mondo 23 sono avvenuti tra cittadini appartenenti allo stesso stato. Gli attacchi terroristici sono passati da 342 all’anno nel periodo tra il 1995 ed il 1999 a 387 tra il 2000 ed il 2001. Molti degli attacchi terroristici sono avvenuti in paesi a medio-basso reddito: più del 20% sono avvenuti in Asia e in Africa infliggendo perdite ingenti. Uno degli esempi più lampanti è il conflitto armato in Sri Lanka, nel periodo compreso tra il 1983 ed il 1996: il costo stimato della guerriglia è pari a due volte il PIL dello stesso paese nel 1996. Molti sono i canali attraverso cui le guerre e il terrorismo riescono ad influenzare le economie: i conflitti limitano infatti la crescita sia direttamente che indirettamente. Si pensi che l’esplodere del terrorismo nei paesi baschi ha comportato una diminuzione del reddito pro capite dell’area del 10% rispetto a quello che potenzialmente la stessa regione avrebbe potuto raggiungere.Una maggiore spesa militare riduce la spesa in istruzione e sanità così come quella per altre attività produttive. Il terrorismo porta alla distruzione delle infrastrutture, all’interruzione dell’istruzione, alla diminuzione del commercio, del turismo e riduce la fiducia dei produttori e dei consumatori nell’economia. Ma non solo. La paura del terrorismo agisce come una tassa sulle transazioni economiche. Il raddoppio dei casi di terrorismo in un paese si stima che diminuisca i flussi commerciali bilaterali del 6%. Inoltre misure volte a limitare la possibilità di attacchi terroristici possono impedire il flusso di beni e di servizi. I controlli per aumentare la sicurezza dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre si stima siano costati all’economia mondiale circa 75 miliardi di dollari e si pensa raggiungeranno lo 0.75 del PIL mondiale nel lungo periodo. I conflitti armati e il terrorismo influenzano quindi negativamente l’attività economica, erodendo la base fiscale imponibile ( distruggendo le imprese, per esempio) e distorcendo la composizione della spesa pubblica. Mancano però stime precise che rilevino l’entità del fenomeno. In parte ciò è dovuto alla mancanza di una definizione univoca ed accettata universalmente di terrorismo. Solo dopo l’11 settembre gli Stati Uniti hanno dato una definizione precisa del fenomeno. La sconfitta del terrorismo libera risorse per l’economia. Le stime che abbiamo comprendono quindi sia atti di terrorismo che guerre civili. Utilizzando un campione di 45 paesi, due terzi dei quali non hanno conosciuto il terrorismo nel periodo tra il 1980 ed il 1999, alcuni studiosi del Fondo Monetario Internazionale hanno quantificato l’ aumento della crescita economica subito dopo la cessazione della guerriglia, così come l’accresciuto investimento, specialmente del settore privato. Durante il conflitto invece i paesi vedono un drammatico aumento del tasso di inflazione, fino a 6-7 volte quello precedente la guerra ed una caduta delle entrate fiscali. Naturalmente i dati rilevano anche un aumento della spesa pubblica, specialmente per la difesa, che poi crolla nel periodo successivo il conflitto. Osservando l’andamento dell’economia di 45 paesi osserviamo che i paesi che hanno combattuto e sconfitto il terrorismo sono cresciuti maggiormente e godono di una maggiore stabilità macroeconomica: ogni punto percentuale in meno di spesa per la difesa aumenta il tasso di crescita del paese dello 0.25%. La conclusione dei conflitti e la sconfitta del terrorismo libera risorse nella economia che possono essere utilizzate per ridurre il deficit di bilancio, ridurre le tasse ed accrescere l’allocazione in spesa produttiva. La presenza del terrorismo pone le economie nella necessità di aumentare la spesa militare per aumentare la sicurezza dei paesi. (Laura Bottazzi) BUONABANDIERA - Pace da tutti i balconi: ecco dove trovare le bandiere GLI ITALIANI SONO CONTRARI ALLA GUERRA: 200 MILA BANDIERE DI PACE SVENTOLANO GIA' NEI BALCONI ITALIANI Oramai non c'è via, piazza o strada in Italia che non esponga almeno una bandiera della pace. E' la conferma che la maggioranza degli italiani non vuole la guerra all'Iraq. E' l'iniziativa "Pace da tutti i balconi!", partita in sordina a metà ottobre e che sta crescendo di giorno in giorno in modo esponenziale, inondando finestre e balconi d'Italia di colorate bandiere arcobaleno con la scritta "Pace", per esprimere con un gesto preciso il proprio NO alla guerra ed il proprio SI alla pace e alla via del dialogo. Un gesto semplice ma molto esplicito, che prevede di appendere alla finestra o a un balcone, o comunque in un luogo ben visibile, la bandiera della pace e di tenerla esposta finché non sarà scongiurato un attacco contro l'Iraq e l'intervento dell'Italia in guerra, in qualsiasi forma essi avvengano. Quante. Dall'inizio della campagna la rete di associazioni che ha promosso la campagna ne ha già distribuite quasi 200 mila, in tutta la penisola, dalla Sicilia al Trentino, con picchi in Veneto, Emilia Romagna, Lombardia. In questi ultime settimane sono state distribuite dalle 25 alle 30 mila bandiere alla settimana (in allegato la "mappa" regione per regione). Adesioni. All'iniziativa hanno aderito molte associazioni (Associazione Botteghe del Mondo, Associazione Obiettori Nonviolenti, Attac, Azione Cattolica, Banca Etica, Beati i Costruttori di Pace, CEM Mondialità, Chiama l'Africa, Comunità Papa Giovanni XXIII, Comunità Telematica Manipulite.it, Coordinamento Comasco per la Pace, Emergency, Focsiv, Gi.Fra. Minori, Libera, Manitese, Medici Senza Frontiere, Missione Oggi, Movimento Nonviolento, Nigrizia, Pax Christi, Peacelink, Rete di Lilliput, Rete Radiè Resch, Sermig, Tavola della Pace, Arci) e la bandiera è appesa, oltre che al balcone di tante famiglie, anche nelle sedi di enti locali, coinvolgendo trasversalmente sia giunte di centro-destra (come il Comune di Taranto e Regione Puglia) che di centro-sinistra (come il Comune di Venezia), nonché in scuole e luoghi di lavoro, conventi e persino all'esterno di qualche Curia Vescovile, come quelle di Trento e Vittorio Veneto. Fra le particolarità da segnalare, quella del paese di Pezzoli (Rovigo) nel quale tutte le abitazioni, grazie all'intraprendenza del parroco, espongono la bandiera arcobaleno. Nonostante la crescita esponenziale delle persone che vogliono affermare attraverso la bandiera la loro contrarietà all'entrata in guerra del nostro paese sia dovuta soprattutto alle persone semplici, alla gente comune, non sono pochi i "vip" che hanno esposto la bandiera fuori dalla loro casa, a partire da Jovanotti. Una iniziativa "dal basso". Si tratta di un'iniziativa semplice, di un gesto che proprio per questa sua caratteristica è stata fatta propria da moltissime famiglie italiane. Una campagna che si è sviluppata dal basso, fatta di tanta gente comune, di passaparola e di un grande utilizzo di Internet attraverso il fornito sito http://www.bandieredipace.org (più di 4000 accessi giornalieri; vi si trova tutto per una diffusione capillare sul territorio: volantini, documenti, elenco dei punti di distribuzione - come le botteghe del commercio equo e solidale, gruppi di solidarietà, gruppi sindacali locali, ecc. - e anche un sostegno di tipo legale nel caso di condomini contrari all'affissione). Spesso l'invito ad esporre la bandiera è diventato fra colleghi, amici, vicini di casa, un'occasione per avviare un dibattito su quanto sta accadendo a livello internazionale. Come è nata la proposta. L'idea di manifestare il NO alla guerra in Iraq con la bandiera della pace esposta dalle abitazioni nasce la sera del 15 settembre 2002, a conclusione del Giubileo degli oppressi a Bologna: un gruppo di persone appartenenti a diverse associazioni insieme ad Alex Zanotelli pensa un'iniziativa che possa attivare tutti i cittadini italiani e che consiste appunto nell'appendere ai balconi di casa la bandiera della pace per dichiarare il proprio no alla guerra. La richiesta di adesioni viene inoltrata alle associazioni legate alla Rete di Lilliput e trova un'immediata ed entusiasta risposta. Successivamente, l'iniziativa si è affiancata alla campagna "Fuori l'Italia dalla guerra" promossa tra gli altri da Emergency, Libera, Rete di Lilliput e Tavola della Pace. Da metà ottobre è attivo il sito Internet. Il simbolo. La bandiera della pace è stata importata alcuni decenni fa in Italia da Aldo Capitini - il fondatore del Movimento Nonviolento, nonché ideatore della prima Perugia-Assisi - che l'aveva vista utilizzata dai pacifisti inglesi. Nel racconto del diluvio universale Dio pone l'arcobaleno come sigillo della sua alleanza con gli uomini e con la natura, promettendo che non ci sarà mai più un altro diluvio universale. L'arcobaleno è diventato così il simbolo della pace tra terra e cielo e, per estensione, tra tutti gli uomini. I colori dell'arcobaleno sono anche utilizzati come segno della 'convivialità delle differenze' per la loro caratteristica fisica di restituire la luce bianca se fatti roteare velocemente. E' stata usata diffusamente a partire dagli anni '80 nelle marce per la pace e in tutte le manifestazioni italiane, nonché nelle iniziative di pace di volontari italiani all'estero (a Sarajevo, in Iraq, in Kosovo, nella Repubblica Democratica del Congo). (Mariagrazia Bonollo) DOVE ACQUISTARE LE BANDIERE Invitiamo tutti i cittadini, tutte le associazioni, i movimenti, le istituzioni, gli enti, siano essi pubblici o privati, religiosi o laici, contrari alla guerra e favorevoli alla pace e alla via del dialogo a esporre da subito la Bandiera della Pace o un pezzo di stoffa bianco con scritto "no alla guerra", ai balconi delle case lasciandoli ben visibili finché non sarà definitivamente scongiurata la minaccia di un conflitto armato contro l'Iraq. Le bandiere possono essere richieste ai seguenti recapiti: BOTTEGA DEL MONDO "LA TORTUGA" Indirizzo: Piazza dei Signori 1 Città: PADOVA Referente: Emanuela Schievano Telefono: 049 651865; ASSOCIAZIONE "LABILANCIA" BOTTEGA DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE ESTE Indirizzo: Piazza Trento, 5 Città: 35042 ESTE (Pd) Referente: M. Lucia Andreose Telefono: 0429- 2608; COOPERATIVA PACE E SVILUPPO - BOTTEGA DI CAMPOSAMPIERO Indirizzo: via tiso, 7 Città: CAMPOSAMPIERO (Pd) Referente: Alessandro Franceschini Telefono: 0422-301424; COOPERATIVA PACE E SVILUPPO Indirizzo: via Montello 4 Città: TREVISO Referente: Alessandro Franceschini Telefono: 0422-301424; LIBRERIA MARCO POLO Indirizzo: CALLE TEATRO MALIBRAN - CANNAREGIO 5886/A Città: VENEZIA Referente: Elisabetta Telefono: 041 5226343; "LA TIENDA 2" – UNCOMONDO Indirizzo: Via L. Da Vinci 27 Città: ALTE DI MONTECCHIO MAGGIORE (Vi) Telefono: 0444 491862; CASA PER LA PACE Indirizzo: Contra' Porta Nuova, 2 Città: VICENZA Telefono: 0444 327395; UN SEGNO DI PACE COOPERATIVA SOCIALE A R.L. Indirizzo: Via Campo Marzio 11 Città: MAROSTICA (Vi) Referente: Emanuela o Elisa Telefono: 0424 77922 / 77925; LA MANNA – UNICOMONDO Indirizzo: Via dei Lotti 3 C/O Parrocchia S.Cuore Città: BASSANO DEL GRAPPA (Vi); SAPORI & COLORI, ALIMENTI BIOLOGICI Indirizzo: via Libertà 81 Città: PIOVENE ROCCHETTE (Vi) Referente: Giordano Zordan Telefono: 0445/880565 - 0445/650005; ASSOCIAZIONE CANALETE CTM (BOTTEGA DEL MONDO) Indirizzo: Galleria Dante n. 31 VALDAGNO (Vi) Referente: Roberta Telefono: 0445 480170 (Bottega); EPICENTRO GIOVANI Indirizzo: Centro Giovanile Spazio Mattarello - C.so Mazzini 22 Città: ARZIGNANO (Vi) Referente: Zorzanello Davide Telefono: 0444674473; BOTTEGA UNICOMONDO Indirizzo: Sala Sette Santi - Basilica Monte Berico - viale X Giugno 87 Città: VICENZA; LA TIENDA Indirizzo: Contrà Pedemuro S. Biagio 42 Città: VICENZA Telefono: 0444 545586; COOPERATIVA SOCIALE INSIEME Indirizzo: via Olimpica Città: ARZIGNANO (Vi) Referente: Emiliano Giulio Telefono: 0444/452676; FAEDO CASA Indirizzo: Via Bruno Dal Maso, 65 Città: CHIAMPO (Vi) Referente: Luigi Faedo Telefono: 0444 421030; CARTOLERIA STILE STUDIO Indirizzo: VIA ROMA, 38 Città: CASTELNOVO (Vi) Referente: SONIA Telefono: 0444.975151; MACONDO Indirizzo: Via Dante 86 Città: THIENE (Vi) Telefono: 0445-364529; "L'ARCOLAIO" – UNICOMONDO Indirizzo: Piazza Marconi 10 Città: ISOLA VICENTINA (Vi); "AMICI TERZO MONDO" – UNICOMONDO Indirizzo: Via S.Gaetano 10 Città: SANDRIGO (Vi); COOPERATIVA INSIEME Indirizzo: Via della Scola, 88 Città: VICENZA Referente: Francesco Telefono: 0444 511562; ROBE DELL’ALTRO MONDO Indirizzo: Via Pasubio 54 Città: SCHIO (Vi) Telefono: 0445-526854; "LA TIENDA 3" – UNICOMONDO Indirizzo: Viale dei Martiri 25 Città: DUEVILLE (Vi); "CENTRO ATTIVO AIUTO AL PROSSIMO" – UNICOMONDO Indirizzo: Via Roma 56 C/O Patronato S. Pio X Città: ZANÉ (Vi); BOTTEGA UNICOMONDO Indirizzo: Via Gamba 40 Città: BASSANO DEL GRAPPA (Vi) Telefono: 0424/219087; ASSOCIAZIONE CULTURALE LOCOMOTIVA FUMANTE Indirizzo: Via del Lavoro, 48 Città: SOMMACAMPAGNA (Vr) Referente: Lucio Telefono: 3356747325; LA RONDINE COOP. BOTTEGA DEL MONDO Indirizzo: VIA PALLONE 2 Città: VERONA Referente: Maria Grazia - Annamaria Telefono: 045/8013504 (bottega); MOVIMENTO NONVIOLENTO - CASA PER LA NONVIOLENZA Indirizzo: Via Spagna 8 Città: VERONA Telefono: 045 8009803; RETE LILLIPUT VERONA Indirizzo: c/o Cristina Graziani Città: VERONA Referente: cristina graziani Telefono: 328/8535033 (a cura de «il GRILLO parlante», informazioni dedotte dal sito http://www.bandieredipace.org <http://www.bandieredipace.org/> ) BUONADICHIARAZIONE - 1) Opposizione civile; 2) Vescovi della Toscana contro la guerra; 3) don Sacco scrive al ministro Martino OPPOSIZIONE CIVILE: DOPO LA PRESA DI POSIZIONE EVERSIVA DI BERLUSCONI... Dopo la presa di posizione eversiva di Silvio Berlusconi i nostri concittadini debbono rendersi pienamente conto che l’Italia sta attraversando un periodo drammatico. Berlusconi minaccia elezioni anticipate perché è in gravi difficoltà politiche ed economiche – i conti pubblici sono allo sbando – e coloro che nel centrosinistra avallano la permanenza a Palazzo Chigi di Berlusconi, anche se condannato, e mostrano di temere le nuove elezioni commettono un errore madornale. L’opposizione politica e civile deve superare i dissidi e concordare un calendario di riunioni per definire in tempi brevi le linee programmatiche e discutere una proposta politica: la Costituente dell'Ulivo, che non ha nulla che vedere con un nuovo partito o un superpartito, ma che deve promuovere una coalizione unificante di partiti, associazioni e movimenti. Per salvare lo stato di diritto, la democrazia e la dignità dobbiamo opporci alla guerra di Berlusconi e dei suoi soci contro i magistrati; dobbiamo opporci alla guerra contro lo stato sociale; dobbiamo opporci al progetto dissennato di partecipare alla guerra in Iraq. Per opposizione Civile: Alessandro Galante Garrone, Enzo Marzo, Paolo Sylos Labini, Elio Veltri. VESCOVI DELLLA TOSCANA PER LA PACE Nella nostra precedente assemblea (1 ottobre 2002) prendemmo ferma posizione in favore della pace in di fronte alla diffusione di conflitti e violenze in varie parti del mondo. Adesso noi vescovi della Toscana per fedeltà al Vangelo della pace, in comunione con il magistero del Papa e condividendo il desiderio di pace del nostro popolo, constatando che gli organismi deputati all'esercizio del diritto internazionale si trovano di fatto esautorati e in particolare come l'ONU non sia posta in grado di intervenire con pari efficacia nei confronti di tutte le violazioni dei diritti umani, della libertà, della sicurezza e della democrazia, dovunque e da chiunque vengano perpetrate, esprimiamo un chiaro, preoccupato e deciso NO alla guerra, di fronte agli avanzati preparativi e al dispiegamento di forze in atto, con la prospettiva di azioni militari che potrebbero svilupparsi anche ignorando o forzando le norme del diritto internazionale; chiediamo al Parlamento e al Governo italiani, chiamati a prendere importanti e gravi decisioni di politica estera, di confrontarsi con responsabilità e coraggio con gli accorati appelli alla pace del Santo Padre Giovanni Paolo II - in particolare il messaggio per la Giornata della pace 2003 e il discorso al corpo diplomatico accreditato presso la S. Sede - volti a promuovere il dialogo, la mediazione e la riconciliazione tra le parti in conflitto e quindi a scongiurare guerre sempre inutili e con dannosissimi effetti in primo luogo sulle popolazioni inermi; invitiamo tutte le comunità ecclesiali e ogni cristiano, insieme con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a convertirsi alla pace, a coltivare e diffondere pensieri e gesti di pace, a celebrare momenti comunitari di riflessione e preghiera, a digiunare per la pace, a manifestare con franchezza ai membri del Parlamento e del Governo il profondo desiderio di pace, di giustizia e di democrazia del nostro popolo e di tutti i popoli del mondo dicendo un fermo e chiaro NO all'ipotesi di partecipazione o sostegno alla guerra all'Iraq da parte dell'Italia e chiedendo invece di adoperarsi con ogni mezzo nonviolento perché in quel paese si affermino i diritti umani e la democrazia; come pure di moltiplicare le attenzioni e gli sforzi per la pace in Terrasanta e in tutte le altre situazioni di guerre e conflitti dimenticati; riaffermiamo l'esigenza di maggiore giustizia distributiva su base planetaria, come fonte di vita e di sviluppo per tutte le aree del mondo da liberare dalla fame e dalla miseria. Raccomandiamo a tutti i sacerdoti che questo messaggio sia letto in tutte le chiese della Toscana, come pure a tutti i laici e alle associazioni e movimenti cattolici di darne la massima diffusione in tutti gli ambienti e realtà civili e sociali della nostra regione. DON SACCO SCRIVE AL MINISTRO MARTINO: «NON BENEDICIAMO LE ARMI» Non si può arruolare Dio. Con queste parole don Renato Sacco, parroco di Cesara ed Arola, si è rivolto al ministro della Difesa Antonio Martino in risposta alle affermazioni fatte da quest´ultimo che «un prelato, anche un alto prelato, dovrebbe benedire una missione militare». Don Sacco, prete pacifista, non è d´accordo ed ha espresso il proprio «disappunto ed amarezza» scrivendo al ministro. Il documento, che è firmato anche da un altro sacerdote, don Fabio Corazzina di Brescia, in poche ore ha fatto il giro della Penisola ed è diventato lettera ufficiale di Pax Christi, l´organizzazione cattolica che lotta per la Pace nel mondo e di cui don Sacco è consigliere nazionale. «Certo è sorprendente che un ministro della Difesa dica cosa debbano fare «prelati o alti prelati», soprattutto dica che si devono benedire delle missioni militari - scrive don Sacco - come preti siamo abituati a benedire: un bimbo appena nato, un uomo ed una donna che dichiarano il loro amore e formano una famiglia, la scelta coraggiosa di giovani impegnati nella vita; benediciamo una comunità nel suo dolore, l´intimità di una fatica o di una gioia. Ma mai abbiamo benedetto un contingente in partenza per la guerra, mai benedetto un´arma, un gesto di violenza che può fare vittime. Non fa parte del nostro patrimonio spirituale, culturale. Non fa parte del Vangelo». «Siamo pronti a benedire ogni gesto di pace - conclude don Sacco - ed in quanto a Lei, signor Ministro, si impegni ad essere fedele al principio della Costituzione secondo il quale l´Italia ripudia la guerra: questa sarebbe davvero una benedizione».
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