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Chi pagherà il costo di un conflitto
- Subject: Chi pagherà il costo di un conflitto
- From: "Associazione Partenia" <partenia at libero.it>
- Date: Sun, 19 Jan 2003 20:00:39 +0100
chi desidera essere depennato da questa ML abbia la cortesia di firmarsi per esteso grazie associazione partenia http://utenti.tripod.it/partenia (dal Corriere della Sera del 17-1-03) l'analisi del premio Nobel per l'economia, Prof. Stiglitz Chi pagherà il costo di un conflitto di JOSEPH STIGLITZ * L'ANALISI DEL PREMIO NOBEL Si è sempre considerata la guerra particolarmente legata a momenti economici positivi. Si è spesso sostenuto che la seconda guerra mondiale sia riuscita a sollevare il mondo dalla Grande Depressione e da allora si è rafforzata la reputazione della guerra come stimolo alla crescita economica. Alcuni suggeriscono persino che il capitalismo abbia bisogno di guerre e che, senza di esse, la recessione sarebbe sempre in agguato. Oggi sappiamo che queste affermazioni sono un nonsenso. Il boom degli anni Novanta ha dimostrato che la pace è di gran lunga meglio. La guerra del Golfo del 1991 ha evidenziato che i conflitti possono essere realmente negativi per un'economia: proprio quello ha contribuito in modo particolare all'inizio della recessione (che, va ricordato, è stato l'elemento fondamentale per la mancata rielezione del primo presidente Bush nel 1992). La situazione attuale è molto simile. Solo che gli effetti economici di una seconda guerra contro l'Iraq saranno probabilmente molto più negativi. I costi diretti di un attacco militare al regime di Saddam Hussein saranno minimi in termini di spesa complessiva del governo statunitense. La maggior parte degli analisti ritiene che saranno meno dello 0,1% del Pil, al massimo dello 0,2%. In grande misura, inoltre, è incluso l'uso di munizioni già disponibili, con la conseguenza che lo stimolo all'economia odierna sarà scarso o nullo. L'impegno dell'amministrazione Bush (dichiaratamente titubante) alla prudenza fiscale significa che molti dei costi della guerra, se non la gran parte, saranno controbilanciati da tagli di spesa in qualche altra parte. Gli investimenti nell'istruzione, salute, ricerca e ambiente saranno inevitabilmente eliminati. Di conseguenza, la guerra inciderà inequivocabilmente in modo negativo su quello che realmente conta: lo standard di vita della gente comune. L'America sarà quindi più povera, ora e in futuro. Ovviamente se questa avventura militare è in realtà necessaria per mantenere la sicurezza o preservare la libertà, come proclamano i suoi fautori e i suoi promotori - e se avrà successo come sperano i suoi sostenitori - allora potrebbe valere il suo costo. Ma questa è un'altra questione. Io voglio sfatare la voce che sia possibile ottenere sia la fine della guerra sia un beneficio economico. Perderanno la vita innocenti - probabilmente molti di più di quelli morti l'11 settembre 2001. Ma l'attesa della guerra si aggiunge a incertezze che già pesano sull'economia americana e quella globale: incertezze derivanti dal deficit fiscale incombente sull'America, conseguente alla cattiva amministrazione macroeconomica e al taglio fiscale che il Paese non può permettersi; incertezze derivanti dall'interminabile «guerra al terrorismo»; incertezze associate ai grandi scandali bancari e societari e agli incerti sforzi di riforma dell'amministrazione Bush, con la conseguenza che nessuno sa quale sia il valore delle società americane; incertezze connesse all'imponente deficit commerciale americano, che ha raggiunto primati assoluti (dall'estero continueranno a essere concessi prestiti agli Usa, con tutti i suoi problemi, a un interesse in eccesso di un miliardo di dollari al giorno?); incertezze associate al patto di stabilità europea (sopravviverà? E questo costituirà un bene per l'Europa?); infine, le incertezze legate al Giappone: durerà a lungo la difficile situazione del suo sistema bancario? E, in caso questo avvenisse, quanto negativo sarà l'impatto a breve termine? Alcuni ipotizzano che gli Usa possono fare la guerra per mantenere stabili i rifornimenti di petrolio o per incrementare i loro interessi riguardo il petrolio. Sono pochi a dubitare dell'influsso che ha l'interesse per il petrolio sul Presidente Bush - ne è testimone la politica energetica dell'amministrazione, con il suo accento sull'espansione della produzione di petrolio invece che sulla conservazione. Ma, anche sotto la prospettiva degli interessi per il petrolio, la guerra contro l'Iraq rappresenta un'avventura rischiosa: non soltanto è estremamente incerto l'impatto sui prezzi e, quindi, sui prezzi delle compagnie petrolifere, ma non sarà facile ignorare gli interessi di altri produttori di petrolio, incluse Russia ed Europa. Certamente, in caso di guerra da parte degli Usa, nessuno può prevedere l'effetto sui rifornimenti di greggio. Potrebbe essere stabilito un regime iracheno democratico e pacifico. Disperatamente bisognoso di fondi per la ricostruzione, il regime potrebbe vendere a questo punto grandi quantità di petrolio, abbassando i prezzi globali. I produttori americani, così come quelli nei Paesi alleati, per esempio Messico e Russia, ne uscirebbero distrutti, anche se gli utilizzatori mondiali di petrolio ne trarrebbero benefici economici. Ancora, il risultato del tumulto nel mondo musulmano potrebbe essere lo sconvolgimento dei rifornimenti di petrolio con conseguenti prezzi elevati. Questo potrebbe piacere a produttori di petrolio in altre parti del mondo, ma avrebbe conseguenze estremamente negative per l'economia globale, simili a quelle dovute agli aumenti del prezzo del petrolio nel 1973. Sotto qualsiasi prospettiva, gli effetti economici della guerra con l'Iraq non saranno positivi. I mercati detestano l'incertezza e l'instabilità. La guerra e le sue previsioni portano entrambe. Dovremo prepararci per affrontarle. Joseph Stiglitz
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