Un check point per la vita - di Amira Hass



Un check point per la vita

di Amira Hass, giornalista israeliano

Ringraziamo Giuseppe Strazzullo per la traduzione

pubblicato sul quotidiano Ha'aretz in inglese

http://www.haaretzdaily.com/hasen/pages/ShArt.jhtml?itemNo=234962&contrassID=2&subContrassID=4&sbSubContrassID=0&listSrc=Y

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27.11.2002

Shabbat. ore 7 del mattino al check point all'ingresso settentrionale di
Ramallah. Quattro soldati controllano tutti gli autoveicoli. Questo posto
di controllo viene usato solamente da diplomatici, VIP palestinesi,
ambulanze, veicoli ONU e di varie organizzazioni umanitarie internazionali.

Il passaggio è impedito ai pedoni "ordinari" provenienti dai villaggi
vicini che circondano Ramallah. Nemmeno le persone che vivono nelle
immediate vicinanze possono attraversarlo. Due giovani donne sono ferme al
lato settentrionale del check point, di fronte all'ingresso di Ramallah.
Loro aspettano. Sul lato meridionale del posto di controllo, una donna
anziana è seduta su una sedia a rotelle. Accanto a lei v'è una giovane
dall'aria sconcertata. Da una breve conversazione con lei, apprendo che la
donna in sedia a rotelle riceve trattamenti di dialisi presso l'ospedale di
Ramallah. Una delle giovani donne che aspettano all'altro lato del check
point è sua figlia. La giovane accanto a sua figlia è nefropatica ed anche
lei è una "regolare" all'ospedale di Ramallah. La giovane donna sconcertata
è la sorella della donna anziana in sedia a rotelle. "I soldati non
capiscono l'arabo", lei spiega.

Le quattro donne provengono dallo stesso villaggio. È solo un caso che la
donna sana abbia spinto la sedia a rotelle della sua anziana sorella fino
al check point, sicchè i soldati l'hanno lasciata passare, mentre
impediscono alle altre due giovani donne di oltrepassare. "Noi non possiamo
lasciare che l'intero villaggio attraversi", ha detto uno dei soldati. Sono
rimasti sorpresi nel sentire che c'è un'altra donna malata. Hanno detto che
a tali "pedoni ordinari" non è consentito oltrepassare . Le giovani donne
raccontano che, munite di lettera dell'ospedale, attraversano a piedi il
posto di controllo con la donna anziana, una volta ogni due giorni

Si presenta, infine, un conducente di ambulanza e conferma che un giorno sì
ed uno no egli carica le donne in ambulanza. L'uomo negozia coi soldati e,
finalmente, questi lasciano passare la figlia della donna in sedia a
rotelle e l'altra paziente ma impediscono all'altra sorella di
accompagnarle.

Un ragazzo di 10 anni arriva sulla scena dalla direzione di Ramallah
portando un grande pacco sul dorso. La sua scuola, ha detto, si trova a
nord del check point, in Kafr Bitin. Le pressioni che il guidatore
dell'ambulanza sta esercitando sono inutili. I soldati non lasciano passare
il ragazzo che spaventato, retrocede.

Se le donne dell'organizzazione Makhsom Watch (Checkpoint Watch), un gruppo
di volontari che invia i propri attivisti come osservatori ai checkpoints,
fossero state presenti, sarebbero riuscite a persuadere i militari ed a far
oltrepassare il ragazzo e la donna? Di solito l'organizzazione non è a
questo posto di controllo. Presso altri checkpoints qualche volta riescono
con le loro argomentazioni ad infondere un po' di giudizio umano nelle
regole che cambiano di frequente e nella loro interpretazione. Talvolta la
loro mera presenza frena i soldati dal trattenere dozzine di persone ed
autoveicoli per lunghe ore senza nessuna ragione operativa.

Frequentemente, loro sono testimoni di decine di palestinesi che riescono a
"rubare" il passaggio attraverso i checkpoints. Solitamente si tratta di
giovani ed agili, ma tentano anche adulti disperati e bambini audaci. La
settimana scorsa, la sola telefonata fatta dagli attivisti di Makhsom Watch
ad un ospedale di Gerusalemme ha consentito che i soldati  lasciassero
passare una coppia di genitori attraverso un checkpoint per poter visitare
la loro figlia in ospedale a Gerusalemme. Qualche volta un appello fatto
dagli attivisti all'ufficiale di turno aiuta. Questi comanda ai suoi
militari di rendere i documenti alle dozzine di persone che loro stanno
trattenendo per nulla.

Molti degli attivisti di Makhsom Watch enfatizzano che il loro scopo non è
rendere l'occupazione militare più sopportabile, ma rendere gli israeliani
consapevoli del fatto che i checkpoints ed i blocchi non servono ad
impedire che gli attentatori suicidi arrivino a Gerusalemme e che essi
aumentino solo il senso di oltraggio e disgusto contro Israele tra
la popolazione palestinese. Ma spesso la loro presenza e qualche volta il
loro intervento serve a moderare le scene brutali ed accorcia le ore di
umiliazione. La loro azione, evidentemente, più che servire a raggiungere
gli altri israeliani, è tesa a mostrare ai Palestinesi che esistono "altri
israeliani." In tal senso, il loro contributo ad un futuro di sane
relazioni tra nazioni è maggiore di quello immediato necessario al
dibattito nella società israeliana su occupazione militare ed i pericoli ad
essa connessa. Come ha detto un palestinese, direttore di scuola del
villaggio vicino che è costretto quotidianamente ad umiliazioni e molestie
per attraversare il checkpoint "Sapere che vi sono israeliani che
sperimentano, anche se solo per alcune ore,  quello che noi sperimentiamo
rende meno pesante la mia sofferenza e mi dà qualche speranza per un futuro
diverso".

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