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UNA CITTÀ ALLA FINESTRA
- Subject: UNA CITTÀ ALLA FINESTRA
- From: "Mariacarla Castagna" <mariacarlacastagna at libero.it>
- Date: Mon, 25 Nov 2002 10:34:24 +0100
Firenze, 9 novembre 2002 UNA CITTÀ ALLA FINESTRA C'era tanta, tantissima gente a Firenze sabato. Cinquecentomila persone secondo la questura, un milione secondo gli organizzatori. Che cosa è successo? E' successo che di fronte a tutta quella gente che camminava, che ballava, che portava cartelli e aveva il viso colorato con i colori della pace, che portava bambini sulle spalle e telecamere nelle mani per rendere ragione di quel canto, di quella festa, la città si è scrollata di dosso la paura, la paura della vigilia, degli annunci dei commercianti e del governo, ha smesso il colore dell'assedio e delle barricate e ha aperto porte e finestre. Firenze sabato era una città alla finestra, con gente che sorrideva, e batteva le mani, e rispondeva al canto, gente immobilizzata, con una gamba rotta o chissà cosa altro, che sventolava stampelle, che offriva tè ai passanti, anzianissimi signori in piedi a salutare il corteo dai balconi e tu li guardavi e vedevi che un "groppo" li prendeva alla gola ma loro stavano lì, nel sole freddo di un pomeriggio d'autunno, a mangiare brividi d'emozione, a deglutire pertugi di futuro, parole di domani. Firenze sabato era un città in festa anche con i suoi negozi chiusi, negozi del centro e del corteo, perché una festa è contagiosa e dilaga e non l'arresti nemmeno con le misure precauzionali. E se i negozi erano chiusi il popolo dei manifestanti si è sparpagliato per i musei, le vie del centro, dentro le piazze, intorno ai monumenti. Sabato mattina il duomo era un abbraccio festoso di bandiere, un allegria di colori e di passi, di gente che arrotolava il rosso dei suoi stendardi, lo appoggiava negli anfratti per tema d'offesa e si inoltrava col naso all'insù sotto gli affreschi del Vasari, le vetrate del Ghiberti, la cupola di Brunelleschi. Gente che giravano intorno al David di Donatello e il Perseo di Cellini, che ammirava la fontana di Nettuno e tutto quello straripare d'arte e bellezza che poche come Firenze sanno dare. E poi i fiorentini, fiorentini in piazza, sulle biciclette, a circolare e dire che Firenze è città aperta, fiorentini a piedi a dirti grazie per essere lì, per aver fatto respirare la città, per aver messo passi là dove quotidianamente sono motori, per aver messo parole e idee nella palude opulenta del commercio e del fatturato, delle borsette con firma e vetrine d'oro. I fiorentini a fermarti, a parlarti, a dirti perché anche la loro voce fosse ascoltata la loro allegria ricordata la loro approvazione saputa. Ma Firenze sabato è stata soprattutto una città di passi. I passi di 7-800 mila persone, per dar retta al proverbio e al posto della virtù (che non è vero ma qui non importa, perché poco cambia sapere quanti se di certo eravamo migliaia e migliaia, centinai di migliaia) I passi di 7-800 mila persone... milioni di passi come tamburi che chiedevano pace, diritti, cittadinanza, fiato e terra per tutti. Passi che rullavano sull'asfalto, miliardi di passi come voci in festa. Passi di danza sopra la coltre dell'asfalto, passi e salti e oplà da bambini, con la polizia che da lontano stava a guardare e faceva tamburellare i caschi nelle mani, e si appoggiava ai muri e sorrideva e faceva il suo mestiere non altro: vigilava e vegliava. Passi innumerevoli, incalcolabili che straripavano da ogni dove. Passi come non ne avevo mai visti, come solo gli esodi ne sanno accendere memoria, come solo i gradini saliti dei treni di cinquanta anni fa mi occupano la testa, come solo alle traversate degli oceani a principio d'altro secolo riesco a rassomigliare. Passi e passi. Passi leggeri e veloci, passi lenti, affaticati, saltellanti e birbanti. Passi diversi com'era ognuno di noi lì, passi di scarto, di lato, dinnanzi o di retro. Passi dove c'era spazio per tutti, possibilità per ognuno. Per chi correva avanti a vedere e chi s'attardava per scorgere il dopo, i passi fermi di chi sostava per scorgere e quelli agili di chi s'affrettava per riferire e far sapere. Passi d'amici che incontri così per caso tra quella moltitudine immensa e passi che non conosci ma che senti rassomigliarti e appartenerti. Passi come i pesci del mare, l'allegria del vino, le parole da mille e una notte. Questa è stata Firenze per un pugno di giorni, di ore, di incontri: passi e parole, finestra e festa. O almeno questo e quel che ne resta a me. Non è passata nemmeno una settimana e la festa è stata punita, sanzionata, arrestata. Se rispondi alla violenza, se ti pari, ti schermi, ti copri dicono che sei un facinoroso violento, che vuoi lo scontro, la distruzione, o perlomeno sei complice e connivente con chi lo fa. Ma sei fai festa, se scendi in piazza ballando, alzando cartelli e parole di pace, se ti incontri a discutere, fai proposte avanzi un pensiero allora no. Allora sei un sovversivo associato per destabilizzare l'ordine costituito, la globalizzazione del capitale e del mercato. E il minimo che possono darti è un reato da codice fascista che prevede da 10 a 30 anni di carcere. La festa fa più paura dello scontro, la festa è più sovversiva, ribelle, disobbediente della paura e loro non possono tollerarlo. Per questo hanno arrestato, per questo arrestano. Ma una festa, la festa si può arrestare?
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