UNA CITTÀ ALLA FINESTRA



Firenze, 9 novembre 2002
UNA CITTÀ ALLA FINESTRA


C'era tanta, tantissima gente a Firenze sabato. Cinquecentomila persone
secondo la questura, un milione secondo gli organizzatori.

Che cosa è successo? E' successo che di fronte a tutta quella gente che
camminava, che ballava, che portava cartelli e aveva il viso colorato con i
colori della pace, che portava bambini sulle spalle e telecamere nelle mani
per rendere ragione di quel canto, di quella festa, la città si è scrollata
di dosso la paura, la paura della vigilia, degli annunci dei commercianti e
del governo, ha smesso il colore dell'assedio e delle barricate e ha aperto
porte e finestre.
Firenze sabato era una città alla finestra, con gente che sorrideva, e
batteva le mani, e rispondeva al canto, gente immobilizzata, con una gamba
rotta o chissà cosa altro, che sventolava stampelle, che offriva tè ai
passanti, anzianissimi signori in piedi a salutare il corteo dai balconi e
tu li guardavi e vedevi che un "groppo" li prendeva alla gola ma loro
stavano lì, nel sole freddo di un pomeriggio d'autunno, a mangiare brividi
d'emozione, a deglutire pertugi di futuro, parole di domani.

Firenze sabato era un città in festa anche con i suoi negozi chiusi, negozi
del centro e del corteo, perché una festa è contagiosa e dilaga e non
l'arresti nemmeno con le misure precauzionali. E se i negozi erano chiusi
il popolo dei manifestanti si è sparpagliato per i musei, le vie del
centro, dentro le piazze, intorno ai monumenti. Sabato mattina il duomo era
un abbraccio festoso di bandiere, un allegria di colori e di passi, di
gente che arrotolava il rosso dei suoi stendardi, lo appoggiava negli
anfratti per tema d'offesa e si inoltrava col naso all'insù sotto gli
affreschi del Vasari, le vetrate del Ghiberti, la cupola di Brunelleschi.
Gente che giravano intorno al David di Donatello e il Perseo di Cellini,
che ammirava la fontana di Nettuno e tutto quello straripare d'arte e
bellezza che poche come Firenze sanno dare.

E poi i fiorentini, fiorentini in piazza, sulle biciclette, a circolare e
dire che Firenze è città aperta, fiorentini a piedi a dirti grazie per
essere lì, per aver fatto respirare la città, per aver messo passi là dove
quotidianamente sono motori, per aver messo parole e idee nella palude
opulenta del commercio e del fatturato, delle borsette con firma e vetrine
d'oro. I fiorentini a fermarti, a parlarti, a dirti perché anche la loro
voce fosse ascoltata la loro allegria ricordata la loro approvazione saputa.

Ma Firenze sabato è stata soprattutto una città di passi. I passi di 7-800
mila persone, per dar retta al proverbio e al posto della virtù (che non è
vero ma qui non importa, perché poco cambia sapere quanti se di certo
eravamo migliaia e migliaia, centinai di migliaia)
I passi di 7-800 mila persone... milioni di passi come tamburi che
chiedevano pace, diritti, cittadinanza, fiato e terra per tutti. Passi che
rullavano sull'asfalto, miliardi di passi come voci in festa. Passi di
danza sopra la coltre dell'asfalto, passi e salti e oplà da bambini, con la
polizia che da lontano stava a guardare e faceva tamburellare i caschi
nelle mani, e si appoggiava ai muri e sorrideva e faceva il suo mestiere
non altro: vigilava e vegliava. Passi innumerevoli, incalcolabili che
straripavano da ogni dove. Passi come non ne avevo mai visti, come solo gli
esodi ne sanno accendere memoria, come solo i gradini saliti dei treni di
cinquanta anni fa mi occupano la testa, come solo alle traversate degli
oceani a principio d'altro secolo riesco a rassomigliare.

Passi e passi. Passi leggeri e veloci, passi lenti, affaticati, saltellanti
e birbanti. Passi diversi com'era ognuno di noi lì, passi di scarto, di
lato, dinnanzi o di retro.
Passi dove c'era spazio per tutti, possibilità per ognuno. Per chi correva
avanti a vedere e chi s'attardava per scorgere il dopo, i passi fermi di
chi sostava per scorgere e quelli agili di chi s'affrettava per riferire e
far sapere. Passi d'amici che incontri così per caso tra quella moltitudine
immensa e passi che non conosci ma che senti rassomigliarti e appartenerti.
Passi come i pesci del mare, l'allegria del vino, le parole da mille e una
notte.
Questa è stata Firenze per un pugno di giorni, di ore, di incontri: passi e
parole, finestra e festa. O almeno questo e quel che ne resta a me.





Non è passata nemmeno una settimana e la festa è stata punita, sanzionata,
arrestata. Se rispondi alla violenza, se ti pari, ti schermi, ti copri
dicono che sei un facinoroso violento, che vuoi lo scontro, la distruzione,
o perlomeno sei complice e connivente con chi lo fa. Ma sei fai festa, se
scendi in piazza ballando, alzando cartelli e parole di pace, se ti
incontri a discutere, fai proposte avanzi un pensiero allora no. Allora sei
un sovversivo associato per destabilizzare l'ordine costituito, la
globalizzazione del capitale e del mercato. E il minimo che possono darti è
un reato da codice fascista che prevede da 10 a 30 anni di carcere.
La festa fa più paura dello scontro, la festa è più sovversiva, ribelle,
disobbediente della paura e loro non possono tollerarlo. Per questo hanno
arrestato, per questo arrestano.
Ma una festa, la festa si può arrestare?