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L'espulsione, sotto denominazione di "transfer", è già in corso di Gadi Algazy e Azmi Bdeir
- Subject: L'espulsione, sotto denominazione di "transfer", è già in corso di Gadi Algazy e Azmi Bdeir
- From: "InfoPalestina" <info at infopalestina.it>
- Date: Thu, 21 Nov 2002 09:55:07 +0100
L'espulsione, sotto denominazione di "transfer", è già in corso di Gadi Algazy e Azmi Bdeir, membri del movimento Ta'ayush ringraziamo Susanne Scheidt per la traduzione Originale in inglese: http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=22&ItemID=2632 L'espulsione non è necessariamente una procedura drammatica che faccia vedere la gente cacciata ed in fuga dai loro paesi o villaggi. Non è necessariamente un atto programmato e ben organizzato, con autobus e camion carichi di persone, com'era successo a Qalqilyah nel 1967. L'espulsione è una procedura più profonda, una procedura strisciante che viene tenuta nascosta dai nostri occhi. Non viene registrata con videocamera e nemmeno lascia molti documenti, mentre si svolge direttamente sotto i nostri occhi. Chiunque stesse in attesa che succeda qualcosa di clamoroso, è destinato a farsi scappare gli eventi mentre si evolvono.] Mentre scriviamo queste parole, il villaggio di Khirbet Yanun esiste ancora. O forse non più: 15 delle 25 famiglie che abitavano in questo villaggio ci sono ancora. Non è un numero insignificante. Se il lettore si ricorda, il gorno 18 ottobre, soltanto due uomini anziani erano rimasti in paese, essendosi rifiutati di lasciarlo perché nemmeno dopo aver visto partire le ultime famiglie, erano rimasti determinati ad aggrapparsi con le loro mani al villaggio in barba agli abusi subiti dai coloni israeliani. Gli altri avevano deciso di raccogliere le loro cose e trasferirsi al villaggio vicino, Akrabah. L'esistenza di Khirbet Yanun è però, tuttora fragile ed incompleta. Manca ancora la corrente elettrica e l'acqua corrente, le case sono prive di mobili, i residenti sono ancora pochi e la loro sicurezza non viene garantita. All'inizio della scorsa settimana, volontari israeliani e stranieri - ebrei ed arabi appartenenti al movimento Ta'ayush - erano ancora presenti, ma la loro presenza qui è transitoria. Quando arriverà il prossimo assalto da parte dei coloni, il che è solo questione di tempo, Khirbet Yanun potrebbe svuotarsi per sempre dai suoi residenti. Molti Israeliani impegnati a vivere una vita di pace e giustizia in questo paese, ormai sembra che siano convinti che nonostante tutti gli orrori dell'occupazione ed il conflitto violento, ci sia ancora una linea rossa che non permetterebbero ad Ariel Sharon ed al suo governo di varcare. Cioè, pensano che l'espulsione dei palestinesi verrebbe impedita e caso mai si dovesse arrivare alla soglia di un tale evento, essi si sarebbero levati in piedi per fermare l'azione. Ma l'espulsione non si svolgerà necessariamente come un'azione drammatica, come un evento che faccia vedere la gente cacciata ed in fuga dai paesi o villaggi. Non è necessariamente un atto programmato e ben organizzato, con autobus e camion carichi di persone, com'era successo a Qalqilyah nel 1967. L'espulsione è una procedura più profonda, una procedura strisciante che viene tenuta nascosta dai nostri occhi. Non viene registrata con videocamera e nemmeno lascia molti documenti, mentre si svolge direttamente sotto i nostri occhi. Chiunque stesse in attesa che succeda qualcosa di clamoroso, è destinato a farsi scappare gli eventi mentre si evolvono. La componente principale di questo processo è il disfacimento graduale dell'infrastruttura della vita della popolazine palestinese civile nei Territori Occupati: la continua strangolamento dell'infrastruttura tramite i blocchi stradali, il coprifuoco e l'assedio militare che impediscono alla popolazione di recarsi al lavoro o frequentare la scuola, ricevere assistenza medica, fare entrare le autobotte con l'acqua potabile e le ambulanze, rimandando i palestinesi indietro all'età del mulo e del carro. Nel loro insieme, queste misure deprivano i palestinesi della presa che hanno sul loro territorio. Quando le autobotte non ce la fanno ad entrare nei villaggi, quando ogni spostamento verso il posto di lavoro si traduce in un'impresa avventurosa ad esito assolutamente imprevedibile, quando le scuole chiudono e gli ospedali, ubicati nel vicino centro urbano si allontanano sempre di più in termini di tempo, il tessuto della vita locale incomincia a disgregarsi. Alcuni dei giovani, che erano abituati a lavorare fuori dai rispettivi villaggi come pendolari giornalieri, adesso rimangono assenti dai loro paesi, perché non osano più imbarcarsi ogni mattina nell'odissea di attraversare una teoria di blocchi stradali. Le famiglie che ne hanno la possibilità, preferiscono trasferirsi in posti più sicuri, più vicini alle loro fonti di reddito, all'interno dei centri d'aggregazione. Ed i casi disperati si moltiplicano: il macellaio di Gerusalemme che ha perso la speranza di potere attraversare il blocco stradale di Qalandiyah ed ha deciso di chiudere il suo negozio, ubicato al nord di quel blocco; il tassista che ha abbandonato la sua casa di Gerusalemme nord per andare a vivere, stringendosi con il resto della famiglia, nella casa dei suoi genitori nella Città Vecchia, solo per non perdere la possiblità di recarsi al posto di lavoro; residenti dei Territori Occupati cui figlio era in attesa di cominciare i suoi studi nella vicina città di Nablus, che adesso è molto difficile raggiungere perfino con i mezzi pubblici, sicché hanno deciso di trasferirsi tutti a Nablus. Tutti questi casi mettono in luce come si sta allentando la presa della popolazione palestinese sulla sua terra. Non un caso isolato Ciò che i blocchi stradali e gli assedi dell'esercito non riescono a conseguire, lo fanno i coloni: ogni nuovo insediamento ed ogni estensione di quest'ultimo, chiamato "outpost", richiede garanzie di sicurezza, naturalmente, ed i coloni intendono per sicurezza l'espulsione dei palestinesi dalle terre che circondano i loro insediamenti e la trasformazione delle terre agricole in terra di nessuno, sicché chiunque entri queste aree per raccogliere olive o lavorare la terra, ha buone possibilità di pagare un tale atto di coraggio con la proprio vita. Per consentire ad un gruppuscolo di coloni di dominare quasi metà della superficie dei Territori Occupati, occorre un'azione organizzata, una conquista di territorio, uno spettacolo fatto di torri di guardia e palizzate. Armati, finanziati ed organizzati, i coloni sistematicamente danno l'assalto ai palestinesi, con metodi molto simili a quelli adoperati dalle squadre paramilitari impiegati dai latifondisti in America Latina per infliggere terrore ai contadini. Loro sono al di sopra della legge. La campagna contro i raccoglitori d'olive è perciò, stata una tappa importante nel tentativo dei coloni di strappare di mano ai contadini palestinesi quel poco che loro è rimasto. Inoltre, questa campagna era intesa a fare capire ai palestinesi che loro, i coloni, sono i veri titolari della terra, con il diritto di prendersi impunemente tutte le olive del villaggio tenendo al largo, con i fucili puntati, chiunque si mettesse loro di traverso. Khirbet Yanun non è un caso isolato. Dozzine di villaggi nelle aree di Tul Karm e Qalqilyah, Salfit e Nablus sono stati sottoposti a pressioni esistenziali intense per diversi mesi. Questa pratica non sortisce necessariamente incidenti drammatici con morti e feriti, ma si compie tramite l'abuso organizzato, il costante deterioramento delle condizioni di vita, lo stringersi della morsa, accompagnato dal crescente isolamento dai centri economici, culturali e politici della società palestinesi. Tutti questi processi strutturali a lungo termine, che mirano a fare perdere la presa sul proprio territorio alla popolazione palestinese, sono articolati chiaramente a Khirbet Yanun. Il paese è piccolo ed isolato e si trova a poche centinaia di metri da un "outpost" creato dai coloni dell'insediamento Itamar. Questi "outpost" sono stati costruiti negli anni 90 in cima alle colline che sovrastano Yanun, sotto gli auspici del "processo di pace."Akrabeh invece, è situata a distanza di 15 minuti di percorso in macchina, su un sentiero non asfaltato, mantenuto male e facile da bloccare. Usciamo di notte sulle strade di Yanun. Il piccolo villaggio è buio, il paessaggio pastorale. Ma perfino dentro il villaggio, i residenti non sono soli: sulla collina antestante, si vede da lontano la torre di guardia dei coloni. Qui, nella loro terra patria, la gente di Yanun si trova circondata, come in una specie di riserva che avesse i giorni contati. I coloni possono arrivare in qualsiasi momento, e lo fanno: i bambini si nascondono appena sentono il rumore dei loro fuoristrada. I residenti si fermano, pietrificati, nei loro uliveti qualora si affacciano i coloni. Anche questo caso non è un caso isolato: se vi trovate soli, nelle colline al sud di Hebron, ai bordi del deserto, a fianco di palestinesi residenti nelle loro tende a Susya, anche qui farete l'esperienza che non vi è posto per i residenti nativi locali. Alzate gli occhi e vedrete un cielo stellato, ma occorre solo voltare lo sguardo per capire che siete circondati - autovetture militari pattugliano la strada, che ai palestinesi nativi è proibito avvicinare. Dall'altra parte ci sono i coloni di Susya: guai a chiunque si avvicinasse troppo ai campi agricoli confinanti con l'insediamento ebraico. E Susya continua il proprio allargamento. Una strada di sicurezza, illuminata, passa alle vostre spalle, nella vallata, e volgendo lo sguardo a nord, vedrete le luci della vicina base militare ed udirete gli annunci gracchiati da un altoparlante. Questa realtà trasmette un messaggio inequivoco: residenti della riserva dei nativi - siete circondati, vi conviene arrendervi. E queste erano anche le parole esplicite pronunciate dai coloni ai residenti di Khirbet Yanun durante l'assalto al villaggio, quando dopo avere fatto irruzione nelle case, hanno picchiato Abd Al Latif Bani Jaber davanti alla sua famiglia: andatevene, andate ad Akrabeh ! Dalle denuncie fatte dai residenti di Yanun alla polizia, si ricava una documentazine della procedura impiegata per trasformare il loro villaggio in un villaggio spettrale, morto. Il villaggio è ubicato nell'area C, cioè, sotto esclusiva competenza israeliana per l'amministrativa civile e per l'ordine pubblico, ma secondo l'opinione dei residenti locali, tra l'esercito israeliano ed i coloni vigerebbe un tacito accordo. Ogni sviluppo nel villaggio è stato bloccato. In effetti, dal 1992, l'Amministrazione Civile israeliana aveva proibito qualsiasi costruzione. I campi agricoli sono diventati pericolosi per i coltivatori palestinesi. I coloni avevano preso l'abitudine di scendere dai loro insediamenti per entrare nel villaggio come se fosse di loro proprietà. Gli abitanti del villaggio raccontano di uno dei coloni di Itamar che loro avrebbe detto di essere lui stesso, e solo lui, l'unico comandante del posto. Rimarrò qui, egli avrebbe detto, quando la polizia e la stampa se ne saranno andate. Secondo i residenti, sarebbe stato lui a comandare gli assalti fatti al villaggio. Così, ancora prima di incendiare il generatore elettrico nell'aprile 2002, i coloni avevano messo sotto pressione crescente l'infrastruttura della vita di ogni giorno. I bambini di Khirbet Yanun una volta frequentavano la scuola elementare a Yanun Al Tahta (Yanun Inferiore), nelle vicinanze di Akrabeh. Quando gli assalti incominciarono a farsi più minnaciosi rendendo la strada pericolosa, una piccola scuola fu aperta nel villaggio, due anni fa. Questa scuola fu chiusa dopo che le ultime famiglie avevano lasciato il paese. La morsa si fece sempre più stretta sulla vita di ogni giorno dei residenti. La scuola superiore più vicina si trova ad Akrabeh, ma Akrabeh ormai è diventata lontana. Di conseguenza, chi volessero fare i propri figli continuare a frequentare la scuola, si trovano costretti ad abbandonare Yanun e trasferirsi in città. Ma anche in assenza di tale considerazione - chi potrebbe decidersi di restare in un villaggio nel quale i coloni vanno e vengono come vogliono, di giorno e di notte, calpestando i tetti delle case e facendo irruzione nelle case ? Giovedì, ottobre 17, il preside della piccola scuola di Khirbet Yanun si è congedato dai suoi ultimi alunni. Il giorno seguente, le ultime sei famiglie hanno lasciato il paese. Due giorni dopo, i volontari di Ta'ayush arrivarono per permettere ai residenti di fare ritorno al loro paese. La maggior parte dei residenti si trovano ancora lì. Segnali di pericolo imminente Khirbet Yanun ci manda un messaggio che non dovremmo ignorare: decine di migliaia di persone sono in pericolo di diventare sfollati e profughi. Inoltre, le "fonti della sicurezza" israeliane fanno continuamente trapelare articoli secondo le quali in tempi di guerra o in caso di un surriscaldamento del conflitto, il governo Sharon potrebbe essere tentato di espellere molti altri, nell'ambito di una mossa organizzata. Il dolore dell'espulsione non si placherà con il passare del tempo. Per molti anni a venire, la società israeliana dovrà confrontarsi con il costo violento di questa espulsione che si aggiungerà alle precedenti campagne d'espulsione. Yanun è un monito - non solo per gli israeliani, ma anche per i palestinesi. Il pericolo di un'espulsione è tangibile. Per scongiurare una tale sciagura, occorre un lavoro serio, sul campo, nonché un rafforzamento dell'economia locale. Innanzitutto, occorre mirare ad un ringiovanimento del tessuto sociale ed a un consolidamento della coesione interna della società palestinese. In assenza di questi requisiti, si affaccia il pericolo di una nuova ondata di profughi che si aggiungerebbe alle precedenti, affluendo ai vecchi campi profughi od ai centri urbani esistenti. La base sulla quale si fonda il zumud (la determinazione di restare aggrappati alla propria terra, prescindendo dall'occupazione militare) non si potrà costituire con le sole azioni simboliche, focalizzando su un'opinione pubblica internazionale a scapito della preoccupazione con le sofferenze in patria, o con le sole manifestazioni di potere, esibendo le armi. Per potere tenere testa allo strisciante processo di espulsione, la società palestinese deve raccogliere tutte le sue risorse umane lottando per ogni metro quadrato e per ogni capra. Potrà questo sforzo della popolazione civile per reggere una lotta contro l'esproprio, contare su alleati leali provenienti da Israele ? I volontari di Ta'ayush sono rimasti a Khirbet Yanun per due settimane per lottare con i residenti, per facilitare il loro ritorno nelle loro case e per svegliare l'opinione pubblica dal suo torpore. Quindici famiglie hanno fatto ritorno nelle loro case, seppur reluttanti e timorosi ed il ritorno non è ancora completo. Mentre noi eravamo presenti sulla scena, l'esercito era costretto a manifestare la sua presenza. Ma le esperienze del passato hanno insegnato ai residenti che le angherie non saranno interrotte dalle loro grida d'aiuto. Durante la nostra presenza sul posto, i coloni di Itamar erano riusciti a fare un'incursione nel villaggio ed a picchiare selvaggiamente due dei residenti nonché quattro dei volontari. Nessuno degli assalitori è stato arrestato. Un segno di ciò che è in agguato. La nostra presenza a Khirbet Yanun era temporanea. Non è possibile, e sarebbe anche sbagliato, che una presenza di cittadini israeliani diventi l'unica garanzia per la sopravvivenza e l'esistenza in vita di un villaggio palestinese. Finché l'opinione pubblica in Israele non si mobiliti contro l'ingiustizia ed in supporto alla gente dei villaggi, questi rimarranno alla mercé dei coloni. Quando faranno il prossimo assalto ? avrà luogo dopo che i residenti saranno partiti ? faranno saltare le case del villaggio ? o prenderanno possesso delle case ? e dov'è che si fermeranno ? Le scene viste tre settimane fa ci rimarranno impresse nella mente. Nella notte illuminata dalla luna, al nostro arrivo a Yanun, avevamo fatto il giro per il villaggio arabo abbandonnato. I residenti avevano avuto il tempo a prepararsi, a prendere le loro cose, a disattivare gli impianti elettrici. Non avevamo sentito nemmeno un solo cane abbaiare nel villaggio. Eppure, dovunque si guardi, si vedono porte spalancate, porte buttate giù, vuoti neri, sbadiglianti. E sulle colline circostanti, le torri di guardia dei coloni di Itamar. Più o meno così si erano presentati i villaggi palestinesi dopo il 1948. Cinquant'anni e passa dopo, ci siamo di nuovo, israeliani e palestinesi, prigionieri di una storia cui lezioni amare abbiamo dimenticato.
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