"Le bombe vi fanno bene", parola di "liberal"



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Le bombe vi fanno bene, parola di "liberal"

di Enrico Galoppini - Information Guerrilla

Niente da fare. La scusa delle scuse per attaccare l'Iraq non salta fuori.
Ci si spaccano la testa da mesi, ma non c'è verso di farsi venire in mente
un'idea originale e credibile. Pensate che scena: un esercito di psicologi,
di strateghi, di esperti di marketing, di creatori di scenari da Risiko, di
manipolatori dell'opinione pubblica che non cava un ragno da un buco. Ma
qualcuno, senza volerlo, gli ha mollato la simbolica spallata decisiva verso
il baratro della disoccupazione a vita. Vi sveleremo chi, non prima di aver
passato in rassegna la serie di fallimenti registrati dalla macchina
propagandistica dell'Anglosionamerica

Niente da fare. La scusa delle scuse per attaccare l'Iraq non salta fuori.
Ci si spaccano la testa da mesi, ma non c'è verso di farsi venire in mente
un'idea originale e credibile. Una situazione talmente imbarazzante da far
ammettere candidamente: "Stiamo studiando la scusa che ci permetterà di dare
il via all'attacco".
Pensate che scena: un esercito di psicologi, di strateghi, di esperti di
marketing, di creatori di scenari da Risiko, di manipolatori dell'opinione
pubblica che non cava un ragno da un buco.
Probabilmente avrete dedotto che tutti questi poveracci sono sull'orlo del
licenziamento (mica sono nell'Unione Sovietica dove si poteva campare a
sbafo), ma non sospettate minimamente chi, senza volerlo, gli ha mollato la
simbolica spallata decisiva verso il baratro della disoccupazione a vita. Ve
lo dirò alla fine, non prima di aver passato in rassegna la serie di
fallimenti registrati dalla macchina propagandistica dell'Anglosionamerica.
Delle armi di distruzione di massa pare a questo punto che in Europa non
freghi niente a nessuno, tanto sappiamo che anche se l'Iraq le avesse non le
utilizzerebbe contro di noi perché non ci considera - a ragione - suoi
nemici. Non sarebbe male anche sentire l'opinione dei serbi, degli afgani,
dei vietnamiti, dei panamensi e di altri che negli ultimi cinquant'anni
hanno fatto dei corsi accelerati in materia.
E allora si dice che c'è da combattere il "terrorismo". Ora, se ci poteva
stare che un Paese centrasiatico in mano alle bande potesse dare asilo a dei
"terroristi" (ma non a quelli che hanno programmato i dirottamenti
dell'11/9), è un po' dura da far credere che un intero Stato con un
presidente e un governo riconosciuti internazionalmente nonché dai suoi
cittadini sia un'organizzazione "terroristica". "Eh, ma Saddam Hussein ha
seminato il terrore tra le popolazioni curde del nord…": ma se è questo il
problema, ditelo subito che ha fatto come Clinton a Waco quando ha mandato
Fbi, Guardia nazionale e forze speciali ad arrostire in casa loro quei
mattacchioni dei davidiani! No, la storia del "terrorismo" non regge, e
neppure se si shakerano Saddam, i palestinesi, l'Isballa di Luttwak
(Hezbollah per i meno svegli), il fantasma di Khomeyni e ci si spruzza sopra
un po' di al-Qaida, ne viene fuori un cocktail bevibile.
Potrebbero sempre sfruttare meglio la carta immigrati, perché trovarsi il
nemico in casa sarebbe sempre meglio che averlo alle porte, ma gli iracheni
in Europa e negli Usa non sono moltissimi e, soprattutto, non danno adito a
dicerie o lamentele di sorta come altri, tipo certi albanesi. Ci starebbero
pure bene le prediche sui curdi "massacrati" e costretti a vita raminga, ma
il bello è che non si deve far capire chi li massacra davvero e perciò si
lascia perdere. Mi spiego con un esempio. Il TG3 delle 14.15 del 19 agosto
dava notizia di uno sbarco in Italia di circa 150 persone, e il curatore del
servizio affermava che trattavasi "in maggioranza di africani di origine
curda". Assicuro che ero sobrio. In quello delle 19.00 dello stesso giorno,
invece, si parlava solo di "africani senza documenti", ma le immagini, se
non erano di repertorio, confermavano che i 150 erano proprio curdi.
Si capisce bene perché neanche la carta curda può essere giocata: le
"carrette del mare" le spedisce la Turchia, la quale, forte del diktat
Usa-Israele imposto all'UE, sta facendo pulizia etnica in grande stile
sbarazzandosi dei curdi che abitano dentro i suoi confini.
Che fare dunque? Guerra al "dittatore" Saddam! Sì, ma a casa si chiedono di
quali credenziali disponga il "presidente" Musharraf, e, al colmo dello
sbalordimento, da quale curatore d'immagine sia passato Gheddafi che fino
all'altro giorno era un "dittatore" e ora esibisce un maquillage da perfetto
democratico. E poi il giochino è pericoloso, perché magari ti credi tanto
"amico" e "alleato" ma fai uno sgarro senza accorgertene e ti ritrovi
"dittatore" o giù di lì.
A quel punto, presa da un senso d'angoscia, all'Anglosionamerica non resta
che l'opzione Huntington, che a quel punto si mette a strillare: "Ma allora
non l'avete capito che c'è lo "scontro di civiltà"!". E' lì che Bush si è
ricordato delle palanche elargite a volontà al buon Samuel, lo sveglia in
piena notte e, al cospetto dei vassalli del G8, gli fa recitare la
filastrocca da mandare a memoria: "L'Iraq offende i principi sui quali si
fonda la nostra civiltà! Ha offeso l'Onu, il consesso delle nazioni, la
democrazia universale…". Ah, che affronto, bombardiamolo subito per lesa
Maestà!
Sì, è vero, l'Iraq ha offeso un sacro principio. Quello per cui i funzionari
dell'Onu possono lavorare per gli Stati Uniti e farla franca. L'australiano
Richard Butler, il capo dell'UNSCOM, la commissione dell'Onu sul disarmo,
pagato dall'Onu per lavorare per l'Onu (di cui l'Iraq è tra i Paesi
fondatori), passava le informazioni raccolte dagli ispettori agli americani
prima che all'Onu. L'Iraq, scoperta la tresca, espulse perciò nell'estate
del 1998 gli ispettori per manifesto spionaggio, Butler per ritorsione
tergiversò sui dati delle ispezioni ormai completate e pretese nuove
'verifiche' in loco e di persona: per la fine dell'anno l'Iraq era così
pronto, 'chiavi in mano', per i bombardamenti del 16-19 dicembre.
Conclusione: in gennaio, Scott Ritter, il capo degli ispettori, si dimise
per non poter più sostenere una simile pantomima e in questi giorni è a
Baghdad per spiegare inutilmente che nel 2002 l'Iraq, essendo stato
rivoltato come un calzino per sette anni, non costituisce alcun "pericolo".
Premesso tutto questo, resta tuttavia il problema dell'inizio. Facciamo
saltare fuori questa benedetta superscusa? Bei tempi, si direbbe, quando gli
affondamenti del Maine e del Lusitania, Pearl Harbor, l'"incidente" del
Tonchino bastavano e avanzavano. Si potrebbe sempre mungere la vacca dell'11
settembre, ma dopo la gaffe delle letterine all'antrace autarchico, non è
proprio il caso di insistere.
Ma a salvare il grande "amico" e "alleato" mentre annega nel mare di balle
che ha messo in circolazione, giunge un esponente di quella schiatta che,
dopo aver dato al mondo santi, poeti e navigatori a volontà, oggi più che
altro sforna individui scalpitanti nella loro smania di mostrarsi affidabili
agli occhi di Sua Maestà.
Il bagnino si chiama Renzo Foa, direttore di "Liberal", che alcune sere fa,
intervistato da Rai 3 sulla possibilità/opportunità di un attacco all'Iraq
ha sostenuto che le democrazie fanno le guerre solo per creare "condizioni
migliori" per tutti rispetto a quelle che le hanno precedute.
Non credo che, da quando mondo è mondo, le