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Berretti Bianchi in Palestina: Ultima parte (5)
- Subject: Berretti Bianchi in Palestina: Ultima parte (5)
- From: "Francesco Andreini" <francescoandreini at libero.it>
- Date: Tue, 10 Sep 2002 01:42:08 +0200
21 agosto mercoledì Ci svegliamo alle 2 della notte per una incursione dell'esercito israeliano all'interno del campo. Sentiamo gli spari vicinissimi a noi, sotto le finestre che danno sulla via principale del campo. Si sentono anche le grida dei soldati e tutta la famiglia si è riunita al nostro piano; siamo solo in attesa che qualcuno entri dalla porta; non possiamo affacciarci alla finestra e possiamo far poco. Ci guardiamo negli occhi e cerchiamo di comunicare con i nostri compagni delle case vicine. Scopriamo così che i militari sono nella casa vicina alla "nostra", dove si trovano Annick ed Elisabetta. I militari hanno fatto uscire tutti, hanno chiesto se ci sono uomini all'interno, e poi sono entrati ed hanno perquisito, con il loro metodo, tutta la casa. Con loro ci sono anche bambini e il capofamiglia, pur sapendo che era a rischio, ha preferito non ospitare stranieri maschi perché in casa ci sono tre ragazze giovani. In una seconda telefonata (ci è sembrato strano che lasciassero usare i telefoni) Annick mi dice che hanno visto passare due uomini palestinesi in arresto, e uno sembra essere stato identificato come cugino della loro famiglia ospite (Muhammad Abu Zour). Trasmetto il nome a Josh, un "americano" che si trova vicino a me (a lui piace presentarsi come proveniente dagli United Snakes of America, Serpenti Uniti d'America!) e lui a sua volta trasmette il nome agli avvocati che si occupano di diritti umani in Palestina. Tra di noi ci sono anche tre fotografi-giornalisti free-lance che non smettono di scattare foto e riprendere tutti noi. Ancora una telefonata di Annick: ci dice che da loro il pericolo è passato, sono rientrati in casa e stanno cercando di mettere a posto e di tranquillizzare i bambini. Da noi sparano ancora per interminabili minuti proprio di fronte alla porta di casa ma nessuno entra. I soldati si allontanano e poco dopo vedi uscire da una stanza vuota fino a poco prima il giovane fratello dei nostri ospiti: si era nascosto da qualche parte prima che noi ci svegliassimo ai primi segni di pericolo e ora è rientrato senza un minimo rumore. Adesso possiamo affacciarci alla finestra; la sorella del ragazzo appena passato mi dice che i militari vogliono deportare suo fratello a Gaza; poi mi indica una vecchia signora della casa di fronte che porta fuori una sedia e si siede tranquillamente, come fosse mezzogiorno; i suoi nipoti ormai svegli escono e si mettono a giocare; è in questo modo che si riesce a sopravvivere a queste notti di terrore; come farebbero a crescere i bambini se non si lasciassero giocare, se non si desse loro appena possibile una immagine di normalità? Chissà se i sostenitori della politica di Sharon si sono mai chiesti di come si possa crescere, con quali idee e sentimenti, in un campo come questoŠ sono ormai le 4 del mattino e non ho ancora visto un terrorista se non quelli che indossano la divisa israeliana. La gente del campo quando parla dei militari li chiama Jewish, gli ebrei, e per fortuna oggi alcuni ebrei si interrogano sulle cause di questa situazione, che non possono essere religiose o culturali. Torniamo a dormire per qualche ora. Elisabetta: Š io e A. conversiamo con i gesti e i sorrisi perché non parlano l'inglese ma solo l'arabo. A. la madre, M., il padre, Ma., la sorella e Ta., No., due bimbi di circa 7, 8 anni poi c'è una sorella più grandicella ed un altro ragazzino, infine il fratello di 15 anni, manca I. il fratello più grande rimasto di 17 anni. Chiacchiere serene fino all'una e andiamo a dormire, io sono in stanza con A. Alle due e mezza circa colpi e urla in una lingua che non capisco, in arabo grida a noi di uscire e picchiano con il calcio del fucile contro la porta di metallo, sparano, tremo come una foglia e fatico ad allacciare la fibbia delle scarpe, caccio tutto nello zainetto, A. fa lo stesso, entrano in camera le donne della casa, teniamo il passaporto in mano e scendiamo al piano di sotto, Il padre apre la porta, lo facciamo indietreggiare e A. va avanti verso i soldati con me che la seguo, sempre a mani alte e passaporto in vista. Fanno avanzare A. e a me intimano di rientrare in casa con gli altri. In inglese chiedono quanti uomini ci sono in casa, A., dice che ci sono solo donne e bambini e il padre, dicono che è una bugiarda, poi gridano di fare uscire il padre, dai vicoletti attorno e dalle case vicine arrivano spari e mitragliate continue, grida minacciose in ebraico ed arabo, nel frattempo A., è sulla soglia infila una mano dentro con il telefonino compone dei numeri e me lo passa, sono tutti occupati, gli altri ragazzi che dormono presso la famiglia Ti. (un fratello ucciso e uno che si è fatto esplodere), lì vicino saranno a loro volta al telefono per chiedere aiuto, intorno spari e mitragliate, stanno entrando nelle case di tutto il campo, finalmente suona il cell, è F. gli racconto cosa sta accadendo, poi mettiamo giù. I soldati ci fanno uscire, ci ordinano di sederci a terra, noi le donne e i bambini, siamo nel vicoletto stretto, in sei soldati entrano con il padre in casa, si sentono spari, altri sei vengono sotto tiro noi, i bambini non piangono, non parlano, non respirano, sono statue di gesso ammutolite e senza vita, le donne pregano e piangono piano, ci stringiamo le mani, ci teniamo abbracciate, io e A. proviamo a parlare con i soldati, arriva il rumore di cose distrutte dall'interno della casa, stanno buttando tutto per aria, A. chiede ad un soldato di dire di smetterla, io chiedo ad un altro se ha una madre e dei fratelli, chiedo perché, perché, perché.....la risposta è un fascio di luce accecante negli occhi e urla che ci intimano di stare zitte. Ad un certo punto tra noi passano alternandosi un soldato ed un palestinese, un soldato ed un altro palestinese, ne hanno fermati sei mi pare, tra loro il figlio di 15 anni della famiglia A., la madre ha un sussulto, cerco di trattenerla abbracciandola, lei prega e piange piano. Ho pensato che stessero uccidendo qualcuno con tutti quegli spari, ho temuto di trovare dei cadaveri all'interno della casa. Si sono fatte le tre e mezza circa, i soldati che ci tenevano sotto tiro sono andati via, gli spari sono andati calando e piano la gente si riversa nei vicoletti, tutto il campo è in giro per le case. entriamo e troviamo tutto per aria, divani, il contenuto degli armadi, sembra che sia passato un ciclone, mettiamo un pochino d'ordine, per fortuna non hanno arrestato nessuno della famiglia, poi andiamo a visitare una casa dove hanno arrestato due fratelli, uno di 34 e uno di 19 anni. Troviamo la madre in lacrime, anche qui tutto è distrutto e i soldati hanno sparato in casa, a terra e nella parte bassa dei muri i segni dei proiettili, hanno sparato davanti ai bambini, fotografiamo le stanze e ascoltiamo i racconti di tutti, tutti hanno bisogno di parlare con noi, sperano che possiamo fare qualcosa, ci chiedono di dormire anche nella casa dove hanno subito gli arresti. Nel frattempo sono arrivati J. ed altri internazionali dalla casa della famiglia Ti., ci dicono che lì non sono entrati, e che tutti stanno bene, ci danno la loro solidarietà, a noi e soprattutto alle famiglie. Poi usciamo tutti insieme per dirigerci verso casa, quando loro sono in fondo alla strada partono delle mitragliate vicinissime, vediamo la luce degli spari, corriamo tutti verso la casa abbassandoci, poi più nulla, ci chiediamo a distanze se tutto va bene, hanno voluto spaventarci ancora .....torniamo a casa, e stiamo svegli a mettere a posto e a parlare fino alle 5, Provo a far giocare i bambini che sono molto provati. Alle 5 andiamo a letto e a parte il gallo che comincia a cantare, dormiamo un paio d'ore. La mattina sappiamo che i soldati hanno detto alla famiglia A. che a mezzogiorno verranno a demolire la casa.......in realtà non verranno ma chiameranno 5 volte al telefono per dire che vogliono il ragazzo di 17 anni I. o altrimenti demoliscono la casa. Alle 10 inizia la riunione dell'ISM nella T.House; oggi mi colpiscono le presentazioni dei compagni: Tom, nato in svizzera, Ahmed nato a Jaffa, Š sembra che nessuno abbia una nazionalità, solo un luogo di nascita. Josh racconta come è andata l'aggressione della notte, i calci sulla porta, i colpi sparati sul pavimento e sulle pareti, la distruzione della foto del "martire", la promessa di uccidere gli altri figli maschi, la minaccia di distruggere la casa. Ci dividiamo in piccoli gruppi come al solito, e io e Donato siamo destinati al villaggio di A'zmut, isolato dall'inizio del coprifuoco. Con noi verranno Ahmed, Aisa, Tom e Brook, una ragazza di 17 anni. Solita trafila dei posti di blocco, il tratto di strada a piedi e infine il vero check point: qui dopo un tentativo di dialogo riusciamo ad ottenere il permesso di transitare, ma Ahmed, essendo palestinese, deve tornare indietro pur essendo l'unico ad indossare una casacca con il simbolo sanitario; noi insistiamo e a questo punto il militare che sembra essere il capo parla in arabo ad Ahmed: noi comprendiamo benissimo il senso del messaggio e chiediamo spiegazioni; il militare dice "prometto che non lo arresto, ma lui non può passare", come i bambini quando scoperti in piedi sulla sedia dicono che non stavano cercando la marmellata! Decidiamo allora di non lasciarlo solo; io torno indietro con Ahmed e gli altri proseguono. Torniamo alla T.House, dove trovo altri due giornalisti giapponesi. A sera saremo in molti nella casa di A.Zour perché durante il giorno hanno ricevuto varie telefonate di minaccia; potrebbe essere solo un modo per dirottare la nostra attenzione, ma non essendoci mai alcuna certezza saremo con loro, anche perché la notte precedente lo shock è stato grande. Nella casa di A.Zour io e Donato rimaniamo a piano terra, con altri uomini internazionali, mentre la famiglia e le donne salgono ai piani superiori. C'è stata una breve assemblea degli "scudi umani" durante la quale qualcuno ha lanciato la proposta di rimanere nella casa "ad ogni costo" per impedirne la distruzione; io ho detto che sarebbe meglio non prendere decisioni assolute a priori, a meno che non ci sia la certezza di mantenere la decisione, cosa poco salutare quando hai di fronte l'esercito israeliano. Dopo riusciamo a sdrammatizzare la situazione con alcune battute, soprattutto del giovane giapponese che ha nascosto una telecamera e ci promette che anche nel caso ci vada male le immagini saranno bellissime! 22 agosto giovedì C'è stata solo una sveglia nel corso della notte, per alcuni spari ben udibili: coloro che avevano deciso di rimanere comunque sono saliti all'ultimo piano, mentre noi ci siamo preparati ad affrontare i soldati; poi è tornata la calma; per fortuna stasera si trattava solo di un gesto di intimidazione. Qualcuno racconta che durante il giorno un soldato sia stato ferito nel centro di Nablus e questo può sempre giustificare reazioni dei militari. Alle 7 siamo tutti in piedi perché oggi abbiamo deciso di rimuovere un blocco stradale. Partiamo attrezzati con pale, picconi e zappe, e, dopo un breve passaggio fornitoci da un furgone, camminiamo per un'ora. Dopo solo mezz'ora di lavoro (abbastanza per impolverarci da capo a piedi) arriva un blindato: due di noi vanno a parlamentare mentre gli altri proseguono il lavoro. Quando il lavoro è circa a metà ci ingiungono di abbandonare la zona, altrimenti aprono il fuoco e lanceranno gas; altri mezzi arrivano dalla parte opposta e decidiamo quindi di abbandonare la zona, con calma e sempre facendo attenzione alla direzione del vento. Per tutta la strada del ritorno verso il centro ancora saluti di benvenuto, sorrisi ed offerte di cibo e bevande. Quando attraversiamo il mercato del centro un negoziante ci offre anche degli ottimi dolci. Alle 14 ci riuniamo con tutti coloro che partono da Nablus con noi: Aisa, Angelo, Elisabetta, Donato, Liza ed io. Al check point di Hawara solita fila di palestinesi in attesa. Un padre con tre bambini ci dice che è il terzo giorno che si presenta e loro dicono di aspettare; ci indica la casa dove vorrebbe andare: si trova a 100-150 metri; dal posto di blocco: è facile intuire che ci sono dei motivi "strategici" che impediscono il passaggio della famiglia! Un'altra famiglia arriva con una vecchia che non potendo aspettare in piedi ha portato con sé una sedia; rimaniamo un'ora con i palestinesi cercando di aiutarli ad ottenere un minimo di rispetto. Quando lasciamo il posto di blocco i militari ci fanno il solito augurio: "have a nice day"; sono convinto che abbiano fatto tutti lo stesso corso di aggiornamento! Il taxi che avevamo prenotato è stato fermato dalla polizia (così ci ha detto al telefono) e troviamo dopo un po' un altro taxi che riesce a portarci fino a Kalandia, pur non avendo l'autorizzazione. Lo sherut che ci porta a Gerusalemme deve essere spinto per mettersi in moto, ma alla fine giungiamo nel caos cittadino e al familiare Faisal, dove incontriamo uno dei giornalisti che ha scattato le foto la notte degli spari. Sarà difficile dimenticare la gente di Nablus. Elisabetta ed Angelo partiranno nella notte. 23 agosto venerdì E' il giorno della partenza; dobbiamo controllare se è arrivata una lettera di invito per un giovane di Jenin e così ci rechiamo al Consolato italiano di Gerusalemme est con Stefano. Al consolato non restiamo molto tempo, ci dicono che la lettera comunque non è sufficiente e che occorre riempire un modello apposito. Stefano ci chiede se siamo disposti ad andare con lui a Gerusalemme ovest, all'altro consolato italiano, per ritirare il passaporto di Thaer, e volendo io e Donato spedire le cose più "compromettenti" (videocassette, manifesti, etc.) accettiamo. Mentre Stefano si ferma a debita distanza (non ha buoni rapporti con il Console) Donato fa la fila per il passaporto ed io vado a cercare uno spedizioniere. Riesco anche a farmi offrire un passaggio da due anziani israeliani, che rinunciano solo perché la direzione è troppo diversa dalla loro. Da parte mia io rinuncio a spedire tutto perché il costo è eccessivo e così lasciamo le video cassette a Stefano (che rientra da Amman) e partiamo per il Ben Gurion con una ragazza svedese (ore 14 e 30). Qui ci hanno letteralmente spogliati e smontati, ma alla fine abbiamo preso il volo per Roma alle 19. Francesco Andreini Berretti Bianchi
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