Berretti Bianchi in Palestina: Ultima parte (5)



21 agosto mercoledì

Ci svegliamo alle 2 della notte per una incursione dell'esercito israeliano
all'interno del campo. Sentiamo gli spari vicinissimi a noi, sotto le
finestre che danno sulla via principale del campo. Si sentono anche le
grida dei soldati e tutta la famiglia si è riunita al nostro piano; siamo
solo in attesa che qualcuno entri dalla porta; non possiamo affacciarci
alla finestra e possiamo far poco. Ci guardiamo negli occhi e cerchiamo di
comunicare con i nostri compagni delle case vicine. Scopriamo così che i
militari sono nella casa vicina alla "nostra", dove si trovano Annick ed
Elisabetta. I militari hanno fatto uscire tutti, hanno chiesto se ci sono
uomini all'interno, e poi sono entrati ed hanno perquisito, con il loro
metodo, tutta la casa. Con loro ci sono anche bambini e il capofamiglia,
pur sapendo che era a rischio, ha preferito non ospitare stranieri maschi
perché in casa ci sono tre ragazze giovani. In una seconda telefonata (ci è
sembrato strano che lasciassero usare i telefoni) Annick mi dice che hanno
visto passare due uomini palestinesi in arresto, e uno sembra essere stato
identificato come cugino della loro famiglia ospite (Muhammad Abu Zour).
Trasmetto il nome a Josh, un "americano" che si trova vicino a me (a lui
piace presentarsi come proveniente dagli United Snakes of America, Serpenti
Uniti d'America!) e lui a sua volta trasmette il nome agli avvocati che si
occupano di diritti umani in Palestina. Tra di noi ci sono anche tre
fotografi-giornalisti free-lance che non smettono di scattare foto e
riprendere tutti noi. Ancora una telefonata di Annick: ci dice che da loro
il pericolo è passato, sono rientrati in casa e stanno cercando di mettere
a posto e di tranquillizzare i bambini. Da noi sparano ancora per
interminabili minuti proprio di fronte alla porta di casa ma nessuno entra.
I soldati si allontanano e poco dopo vedi uscire da una stanza vuota fino a
poco prima il giovane fratello dei nostri ospiti: si era nascosto da
qualche parte prima che noi ci svegliassimo ai primi segni di pericolo e
ora è rientrato senza un minimo rumore. Adesso possiamo affacciarci alla
finestra; la sorella del ragazzo appena passato mi dice che i militari
vogliono deportare suo fratello a Gaza; poi mi indica una vecchia signora
della casa di fronte che porta fuori una sedia e si siede tranquillamente,
come fosse mezzogiorno; i suoi nipoti ormai svegli escono e si mettono a
giocare; è in questo modo che si riesce a sopravvivere a queste notti di
terrore; come farebbero a crescere i bambini se non si lasciassero giocare,
se non si desse loro appena possibile una immagine di normalità? Chissà se
i sostenitori della politica di Sharon si sono mai chiesti di come si possa
crescere, con quali idee e sentimenti, in un campo come questoŠ sono ormai
le 4 del mattino e non ho ancora visto un terrorista se non quelli che
indossano la divisa israeliana. La gente del campo quando parla dei
militari li chiama Jewish, gli ebrei, e per fortuna oggi alcuni ebrei si
interrogano sulle cause di questa situazione, che non possono essere
religiose o culturali. Torniamo a dormire per qualche ora.

Elisabetta: Š io e A. conversiamo con i gesti e i sorrisi perché non
parlano l'inglese ma solo l'arabo. A. la madre, M., il padre, Ma., la
sorella e Ta., No., due bimbi di circa 7, 8 anni poi c'è una sorella più
grandicella ed un altro ragazzino, infine il fratello di 15 anni, manca I.
il fratello più grande rimasto di 17 anni. Chiacchiere serene fino all'una
e andiamo a dormire, io sono in stanza con A. Alle due e mezza circa colpi
e urla in una lingua che non capisco, in arabo grida a noi di uscire e
picchiano con il calcio del fucile contro la porta di metallo, sparano,
tremo come una foglia e fatico ad allacciare la fibbia delle scarpe, caccio
tutto nello zainetto, A. fa lo stesso, entrano in camera le donne della

casa, teniamo il passaporto in mano e scendiamo al piano di sotto, Il padre
apre la porta, lo facciamo indietreggiare e A.

va avanti verso i soldati con me che la seguo, sempre a mani alte e
passaporto in vista. Fanno avanzare A. e a me intimano di rientrare in casa
con gli altri. In inglese chiedono quanti uomini ci sono in casa, A., dice
che ci sono solo donne e bambini e il padre, dicono che è una bugiarda, poi
gridano di fare uscire il padre, dai vicoletti attorno e dalle case vicine
arrivano spari e mitragliate continue, grida minacciose in ebraico ed
arabo, nel frattempo A., è sulla soglia infila una mano dentro con il
telefonino compone dei numeri e me lo passa, sono tutti occupati, gli altri
ragazzi che dormono presso la famiglia Ti. (un fratello ucciso e uno che si
è fatto esplodere), lì vicino saranno a loro volta al telefono per chiedere
aiuto, intorno spari e mitragliate, stanno entrando nelle case di tutto il
campo, finalmente suona il

cell, è F. gli racconto cosa sta accadendo, poi mettiamo giù. I soldati ci
fanno uscire, ci ordinano di sederci a terra, noi le

donne e i bambini, siamo nel vicoletto stretto, in sei soldati

entrano con il padre in casa, si sentono spari, altri sei vengono sotto
tiro noi, i bambini non piangono, non parlano, non respirano, sono statue
di gesso ammutolite e senza vita, le donne pregano e piangono piano, ci
stringiamo le mani, ci teniamo abbracciate, io e A. proviamo a parlare con
i soldati, arriva il rumore di cose distrutte dall'interno della casa,
stanno buttando tutto per aria, A. chiede ad un soldato di dire di
smetterla, io chiedo ad un altro se ha una madre e dei fratelli, chiedo
perché, perché, perché.....la

risposta è un fascio di luce accecante negli occhi e urla che ci

intimano di stare zitte. Ad un certo punto tra noi passano

alternandosi un soldato ed un palestinese, un soldato ed un altro
palestinese, ne hanno fermati sei mi pare, tra loro il figlio di 15 anni
della famiglia A., la madre ha un sussulto, cerco di trattenerla
abbracciandola, lei prega e piange piano. Ho pensato che stessero uccidendo
qualcuno con tutti quegli spari, ho temuto di trovare dei cadaveri
all'interno della casa. Si sono fatte le tre e mezza circa, i soldati che
ci tenevano sotto tiro sono andati via, gli spari sono andati calando e
piano la gente si riversa nei vicoletti, tutto il campo è in giro per le
case. entriamo e troviamo tutto per aria, divani, il contenuto degli
armadi, sembra che sia passato un ciclone, mettiamo un pochino d'ordine,
per fortuna non hanno arrestato nessuno della famiglia, poi andiamo a
visitare una

casa dove hanno arrestato due fratelli, uno di 34 e uno di 19 anni.
Troviamo la madre in lacrime, anche qui tutto è distrutto e i soldati hanno
sparato in casa, a terra e nella parte bassa dei muri i segni dei
proiettili, hanno sparato davanti ai bambini, fotografiamo le stanze e
ascoltiamo i racconti di tutti, tutti hanno bisogno di parlare con noi,
sperano che possiamo fare qualcosa, ci chiedono di

dormire anche nella casa dove hanno subito gli arresti. Nel

frattempo sono arrivati J. ed altri internazionali dalla casa della
famiglia Ti., ci dicono che lì non sono entrati, e che tutti stanno bene,
ci danno la loro solidarietà, a noi e soprattutto alle famiglie. Poi
usciamo tutti insieme per dirigerci verso casa, quando loro sono in fondo
alla strada partono delle mitragliate vicinissime, vediamo la luce degli
spari, corriamo tutti verso la casa abbassandoci, poi più nulla, ci
chiediamo a distanze se tutto va bene, hanno voluto spaventarci ancora
.....torniamo a casa, e stiamo svegli a mettere a posto e a parlare fino
alle 5, Provo a far giocare i bambini che sono molto provati. Alle 5
andiamo a letto e a parte il gallo che comincia a cantare, dormiamo un paio
d'ore. La mattina sappiamo che i soldati hanno detto alla famiglia A. che a

mezzogiorno verranno a demolire la casa.......in realtà non verranno ma
chiameranno 5 volte al telefono per dire che vogliono il ragazzo di 17 anni
I. o altrimenti demoliscono la casa.

Alle 10 inizia la riunione dell'ISM nella T.House; oggi mi colpiscono le
presentazioni dei compagni: Tom, nato in svizzera, Ahmed nato a Jaffa, Š
sembra che nessuno abbia una nazionalità, solo un luogo di nascita. Josh
racconta come è andata l'aggressione della notte, i calci sulla porta, i
colpi sparati sul pavimento e sulle pareti, la distruzione della foto del
"martire", la promessa di uccidere gli altri figli maschi, la minaccia di
distruggere la casa. Ci dividiamo in piccoli gruppi come al solito, e io e
Donato siamo destinati al villaggio di A'zmut, isolato dall'inizio del
coprifuoco. Con noi verranno Ahmed, Aisa, Tom e Brook, una ragazza di 17
anni. Solita trafila dei posti di blocco, il tratto di strada a piedi e
infine il vero check point: qui dopo un tentativo di dialogo riusciamo ad
ottenere il permesso di transitare, ma Ahmed, essendo palestinese, deve
tornare indietro pur essendo l'unico ad indossare una casacca con il
simbolo sanitario; noi insistiamo e a questo punto il militare che sembra
essere il capo parla in arabo ad Ahmed: noi comprendiamo benissimo il senso
del messaggio e chiediamo spiegazioni; il militare dice "prometto che non
lo arresto, ma lui non può passare", come i bambini quando scoperti in
piedi sulla sedia dicono che non stavano cercando la marmellata! Decidiamo
allora di non lasciarlo solo; io torno indietro con Ahmed e gli altri
proseguono. Torniamo alla T.House, dove trovo altri due giornalisti
giapponesi. A sera saremo in molti nella casa di A.Zour perché durante il
giorno hanno ricevuto varie telefonate di minaccia; potrebbe essere solo un
modo per dirottare la nostra attenzione, ma non essendoci mai alcuna
certezza saremo con loro, anche perché la notte precedente lo shock è stato
grande. Nella casa di A.Zour io e Donato rimaniamo a piano terra, con altri
uomini internazionali, mentre la famiglia e le donne salgono ai piani
superiori. C'è stata una breve assemblea degli "scudi umani" durante la
quale qualcuno ha lanciato la proposta di rimanere nella casa "ad ogni
costo" per impedirne la distruzione; io ho detto che sarebbe meglio non
prendere decisioni assolute a priori, a meno che non ci sia la certezza di
mantenere la decisione, cosa poco salutare quando hai di fronte l'esercito
israeliano. Dopo riusciamo a sdrammatizzare la situazione con alcune
battute, soprattutto del giovane giapponese che ha nascosto una telecamera
e ci promette che anche nel caso ci vada male le immagini saranno
bellissime!

22 agosto giovedì

C'è stata solo una sveglia nel corso della notte, per alcuni spari ben
udibili: coloro che avevano deciso di rimanere comunque sono saliti
all'ultimo piano, mentre noi ci siamo preparati ad affrontare i soldati;
poi è tornata la calma; per fortuna stasera si trattava solo di un gesto di
intimidazione. Qualcuno racconta che durante il giorno un soldato sia stato
ferito nel centro di Nablus e questo può sempre giustificare reazioni dei
militari. Alle 7 siamo tutti in piedi perché oggi abbiamo deciso di
rimuovere un blocco stradale. Partiamo attrezzati con pale, picconi e
zappe, e, dopo un breve passaggio fornitoci da un furgone, camminiamo per
un'ora. Dopo solo mezz'ora di lavoro (abbastanza per impolverarci da capo a
piedi) arriva un blindato: due di noi vanno a parlamentare mentre gli altri
proseguono il lavoro. Quando il lavoro è circa a metà ci ingiungono di
abbandonare la zona, altrimenti aprono il fuoco e lanceranno gas; altri
mezzi arrivano dalla parte opposta e decidiamo quindi di abbandonare la
zona, con calma e sempre facendo attenzione alla direzione del vento. Per
tutta la strada del ritorno verso il centro ancora saluti di benvenuto,
sorrisi ed offerte di cibo e bevande. Quando attraversiamo il mercato del
centro un negoziante ci offre anche degli ottimi dolci. Alle 14 ci riuniamo
con tutti coloro che partono da Nablus con noi: Aisa, Angelo, Elisabetta,
Donato, Liza ed io. Al check point di Hawara solita fila di palestinesi in
attesa. Un padre con tre bambini ci dice che è il terzo giorno che si
presenta e loro dicono di aspettare; ci indica la casa dove vorrebbe
andare: si trova a 100-150 metri; dal posto di blocco: è facile intuire che
ci sono dei motivi "strategici" che impediscono il passaggio della
famiglia! Un'altra famiglia arriva con una vecchia che non potendo
aspettare in piedi ha portato con sé una sedia; rimaniamo un'ora con i
palestinesi cercando di aiutarli ad ottenere un minimo di rispetto. Quando
lasciamo il posto di blocco i militari ci fanno il solito augurio: "have a
nice day"; sono convinto che abbiano fatto tutti lo stesso corso di
aggiornamento! Il taxi che avevamo prenotato è stato fermato dalla polizia
(così ci ha detto al telefono) e troviamo dopo un po' un altro taxi che
riesce a portarci fino a Kalandia, pur non avendo l'autorizzazione. Lo
sherut che ci porta a Gerusalemme deve essere spinto per mettersi in moto,
ma alla fine giungiamo nel caos cittadino e al familiare Faisal, dove
incontriamo uno dei giornalisti che ha scattato le foto la notte degli
spari. Sarà difficile dimenticare la gente di Nablus. Elisabetta ed Angelo
partiranno nella notte.

23 agosto venerdì

E' il giorno della partenza; dobbiamo controllare se è arrivata una lettera
di invito per un giovane di Jenin e così ci rechiamo al Consolato italiano
di Gerusalemme est con Stefano. Al consolato non restiamo molto tempo, ci
dicono che la lettera comunque non è sufficiente e che occorre riempire un
modello apposito. Stefano ci chiede se siamo disposti ad andare con lui a
Gerusalemme ovest, all'altro consolato italiano, per ritirare il passaporto
di Thaer, e volendo io e Donato spedire le cose più "compromettenti"
(videocassette, manifesti, etc.) accettiamo. Mentre Stefano si ferma a
debita distanza (non ha buoni rapporti con il Console) Donato fa la fila
per il passaporto ed io vado a cercare uno spedizioniere. Riesco anche a
farmi offrire un passaggio da due anziani israeliani, che rinunciano solo
perché la direzione è troppo diversa dalla loro. Da parte mia io rinuncio a
spedire tutto perché il costo è eccessivo e così lasciamo le video cassette
a Stefano (che rientra da Amman) e partiamo per il Ben Gurion con una
ragazza svedese (ore 14 e 30). Qui ci hanno letteralmente spogliati e
smontati, ma alla fine abbiamo preso il volo per Roma alle 19.

Francesco Andreini
Berretti Bianchi