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Berretti Bianchi in Palestina: terza parte
- Subject: Berretti Bianchi in Palestina: terza parte
- From: "Francesco Andreini" <francescoandreini at libero.it>
- Date: Sat, 7 Sep 2002 09:58:20 +0200
15 agosto giovedì Mi sveglio alle 6 e 30 e trovo Leonarda in cucina. Mentre prendiamo il caffè mi racconta di come è entrata in Palestina da Rafah, al confine con l'Egitto. La lunga fila dei Palestinesi in attesa e la "breve" attesa sua e di una coppia Israeliana che si era recata in Egitto per motivi di salute. Solite storie di Apartheid. Ho avuto pero' conferma del fatto che è possibile entrare per vie diverse da quella piu' usata del Ben Gurion. Poi mi parla della serata trascorsa con gli amici palestinesi sul "battello ristorante" nel porto di Gaza; alle 8 e 30 vengono a prenderci e andiamo in uno dei Summer Camps dove si svolgono attività per i ragazzi che devono recuperare gli svantaggi. Ci dividiamo in tre gruppi e facciamo le attività proposte insieme ai ragazzi: giochi di abilità, danza, canti, ovviamente per quanto siamo capaci, e anche in questa occasione Donato si dimostra all'altezza della situazione. Quando usciamo facciamo visita al Campo profughi di Jabalia che ospita 96.000 persone e ritroviamo alcuni dei ragazzi che partecipavano al Campo Estivo del mattino. Famiglie senza acqua e in baracche poverissime, umide e senza luce, né naturale né elettrica... un bambino di 4 mesi che ha bisogno di integrare il latte materno in quale acqua potrà sciogliere il latte in polvere? Torniamo alla sede dell'associazione che si cura dei campi estivi e ci spiegano che si possono occupare di 250 bambini e per selezionare i piu' bisognosi c'é una prima selezione su base delle condizioni sanitarie effettuata dall'UNRWA e una seconda selezione su base economica effettuata dalla stessa associazione. Ci prepariamo al rientro verso Gerusalemme e lasciamo questo pezzo di Palestina alle nostre spalle... Quando ritroviamo Nour in territorio Israeliano ci racconta del poliziotto di Gerico (ovviamente palestinese) che da 5 ore aspetta per entrare a Gaza; noi abbiamo incontrato sei poliziotti israeliani che parlavano tranquillamente tra di loro sul posto di lavoro: sicuramente si davano da fare per accelerare la pratica del loro collega palestinese. Nel viaggio verso Gerusalemme nessuno di noi parla: la digestione delle immagini del Campo di Jabalia richiede un certo tempo. 16 agosto venerdì Destinazione Jenin; per arrivare a Jenin percorriamo una strada che é riservata a vetture Israeliane; lungo il fiume Giordano e vicino a estese coltivazioni di datteri e banane; di tanto in tanto gli insediamenti con una segnaletica moderna e recinzioni di filo spinato che contrastano con i prati verdi che proteggono. Ai vari check point inventiamo le solite bugie. Dopo l'ultimo blocco dei militari usciamo dalle belle strade asfaltate e ci noltriamo per una delle piste tra i campi a cui siamo ormai abituati. Arriviamo così al Madical Relief Center di Jenin alle 10 e 45. Ci ricordano che il venerdì é festa per i paesi arabi, e percio' é il direttore in persona che ci riceve. Ci dice che in questi giorni il coprifuoco é in vigore dalle 20 alle 8 del mattino; é possibile pero' arrivare a Jenin con le auto e questo rispetto ad altre città (Nablus, Ramallah, etc.) é un bel vantaggio. Da due mesi il loro Centro dispone di una ambulanza che ha l'autorizzazione a muoversi anche sotto il coprifuoco; anche a Jenin si stanno attuando campi estivi per i bambini; il problema piu' grande é la presenza di situazioni di violenza quotidiana, che condizionano fortemente la crescita psicologica dei giovani. Ci avviamo verso il Campo profughi di Jenin, che ospita circa 14.000 persone; é un campo che esiste fin dal 1948. 800 case sono andate distrutte nel massacro perpetrato dalle truppe israeliane, i senza tetto sono 4.000 e oggi si cerca di spostare il tema della discussione sul numero effettivo dei morti... Dalla cronaca di Elisabetta: 16 Agosto Jenin è l'inferno. Scendiamo dal pulmino e visitiamo il cimitero del massacro, circa 50 tombe e ci sorprende che nel mondo si discuta ancora sui numeri, 500, 50 morti...che differenza fà? Sono stati uccisi sistematicamente e senza pietà dei civili. 800 case rase al suolo con chi ci viveva dentro, uomini, donne, bambini........andiamo al Ground Zero di Jenin, 4.000 mq. Di campo profughi spianato, camminiamo sulle macerie appiattite e mi sembra di violare dei corpi, appoggio piano i piedi nella polvere e mi sembra di calpestare delle tombe... siamo tutti ammutoliti in quella distesa oscena e polverosa.... mi siedo su un cumulo di macerie e comincio a piangere disperatamente, una mano si appoggia consolatrice sulla mia spallaŠŠ..non so a chi appartiene, sono troppo scossa e ho gli occhi pieni di lacrime......poi vengo lasciata nel mio dolore che è quello di tutti i miei compagniŠ.. la sensazione è di impotenza e c'è tanta tristezza. [Elisabetta 33996730729 (Italia)] Dopo la strage é stato vietato l'ingresso al campo ai sanitari e agli internazionali e ancora oggi ci sono centinaia di persone arrestate senza una precisa accusa. Tutti i senzatetto sono ormai sistemati presso amici o parenti e le 64 tende che gli organismi internazionali hanno allestito sono inutilizzate. Tra l'altro le tende sono prive di ogni servizio (acqua, luce fognature etc.). Da due settimane hanno iniziato i lavori di sgombero delle macerie nel luogo della strage, ma ci vorranno ancora mesi. Il medico che ci accompagna ci spiega poi che l'obiettivo del Medical Relief non é solo la salute fisica, ma il benessere della persona in tutti i suoi aspetti: la salute é un obiettivo politico, anche la reale parità tra uomo e donna fa parte della salute della persona. Io in questo momento sto bene, dice, ho casa, lavoro, salute, ma non sto bene veramente: la mia famiglia vive a 100 chilometri da qua, io non posso andare a trovare i miei figli, che intanto crescono; ma crescono con il rumore della guerra nei loro orecchi; non é una situazione sanitaria corretta. Ancora un trasferimento: andiamo a vedere uno dei punti dove é in costruzione il muro di Sharon; 950.000 m" di terreno sono stati confiscati al Comune per la costruzione del muro; l'area era destinata ad impianti sportivi, e in effetti si puo' vedere poco oltre il muro un campo da calcio; molti appezzamenti di terreno confiscato sono stati poi venduti a buon prezzo ad israeliani perché il terreno in questa zona è particolarmente produttivo; scattiamo alcune foto mentre la "sicurezza" controlla che i lavori procedano regolarmente; non é un film. Ci prendiamo un te' a casa del medico che ci accompagna e alle 16 ripartiamo per Gerusalemme. Io chiedo a Nour un incontro di chiarimento perchè pur essendo il viaggio molto interessante non mi sento molto utile alla causa palestinese. Quando arriviamo a Gerusalemme ci fermiamo in un punto molto panoramico da cui si ha una immagine spettacolare della città vecchia. E' qui che Nour mi propone il chiarimento che avevo chiesto. Io dico che fino a questo punto, pur essendo stato il viaggio estremamente interessante, ci è sembrato diverso da quello che era il nostro proposito: dare il massimo aiuto possibile nelle situazioni in cui è richiesta la presenza di "internazionali"; fino a questo momento abbiamo avuto molti contatti con persone ed associazioni ma il nostro lavoro non ci è sembrato mai indispensabile. Nour risponde che ha cercato di darci tutto quanto per lui è stato possibile, ma essendo lui solo un "autista" e per di piu' giunto da poco alla associazione, non è in grado di prendere decisioni "politiche"; in questo periodo la dirigente è all'estero per conferenze. Ci lasciamo con l'impegno di risentirci per eventuali spostamenti, e il nostro gruppo di sei decide di andare il mattino seguente al Campo di Deheishe, presso Betlemme, dove abita la famiglia di Nasser, compagno palestinese che vive a Siena, e nel pomeriggio ad un appuntamento con Hassib, contatto che conosce Annick. 17 agosto sabato Partiamo per Betlemme con uno sherut, fino al posto di blocco; con noi ci sono due suore cristiane palestinesi. Come al solito traversiamo a piedi il check point e dall'altra parte contrattiamo il prezzo del secondo taxi; ci porta un tassista che chiede subito di dove siamo e saputa l'origine italiana di alcuni di noi sfoggia tutte le sue conoscenze, che sono al solito calcistiche. Poi ci dice anche che conosce Hamdi (fratello di Nasser) e tutti gli italiani che frequentano il campo. A noi la cosa sembra strana, ma in effetti arrivati al campo possiamo verificare che la fama di Hamdi è vera. Superiamo l'ingresso del campo, dove c'è la distribuzione di viveri da parte dell'UNRWA, e fatti pochi passi chiediamo nel primo negozio del campo se conoscono Hamdi: la parola è magica perché subito un giovane ci propone di seguirlo e ci porta proprio all'appartamento di Hamdi. L'ingresso è costituito da un grosso buco praticato nella parete esterna dai militari israeliani, loro bussano in questo modo. Hamdi ci accoglie con l'ospitalità tipica palestinese, anche se la sua casa è già piena di italiani, come diceva il tassista. Ci offre un caffè italiano e poi facciamo un giro per il campo. Ci spiega come il campo sia gestito da un comitato, chi fa parte del comitato e come si prendono le decisioni; ci racconta della cooperativa che organizza il lavoro di pulizia e ricostruzione all'interno del campo e ci mostra il Centro sociale e culturale del campo in fase di costruzione, dove si svolgeranno varie attività. Poi ci riporta a casa, ci presenta la sua famiglia e si mette a cucinare per noi. Sembra impossibile eppure ci sentiamo a casa, a migliaia di chilometri di distanza e con persone conosciute da pochi minuti. Dopo mangiato Hamdi ci accompagna all'uscita del campo e ci aiuta a prendere un taxi per tornare a Gerusalemme, dove incontriamo Hassib. Veniamo aggiornati sulla situazione dei centri piu' in difficoltà, tra i quali si trova Nablus, nostro obiettivo originario. La situazione pero' sembra ancora complicata per l'ingresso in città, e così aspetteremo una sua chiamata per farci dire dove è possibile andare. Comunque fissiamo un appuntamento per le 8 del mattino. Francesco Andreini Berretti Bianchi
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