Berretti Bianchi in Palestina: terza parte



15 agosto giovedì

Mi sveglio alle 6 e 30 e trovo Leonarda in cucina. Mentre prendiamo il
caffè mi racconta di come è entrata in Palestina da Rafah, al confine con
l'Egitto. La lunga fila dei Palestinesi in attesa e la "breve" attesa sua e
di una coppia Israeliana che si era recata in Egitto per motivi di salute.
Solite storie di Apartheid. Ho avuto pero' conferma del fatto che è
possibile entrare per vie diverse da quella piu' usata del Ben Gurion. Poi
mi parla della serata trascorsa con gli amici palestinesi sul "battello
ristorante" nel porto di Gaza; alle 8 e 30 vengono a prenderci e andiamo in
uno dei Summer Camps dove si svolgono attività per i ragazzi che devono
recuperare gli svantaggi. Ci dividiamo in tre gruppi e facciamo le attività
proposte insieme ai ragazzi: giochi di abilità, danza, canti, ovviamente
per quanto siamo capaci, e anche in questa occasione Donato si dimostra
all'altezza della situazione. Quando usciamo facciamo visita al Campo
profughi di Jabalia che ospita 96.000 persone e ritroviamo alcuni dei
ragazzi che partecipavano al Campo Estivo del mattino. Famiglie senza acqua
e in baracche poverissime, umide e senza luce, né naturale né elettrica...
un bambino di 4 mesi che ha bisogno di integrare il latte materno in quale
acqua potrà sciogliere il latte in polvere? Torniamo alla sede
dell'associazione che si cura dei campi estivi e ci spiegano che si possono
occupare di 250 bambini e per selezionare i piu' bisognosi c'é una prima
selezione su base delle condizioni sanitarie effettuata dall'UNRWA e una
seconda selezione su base economica effettuata dalla stessa associazione.
Ci prepariamo al rientro verso Gerusalemme e lasciamo questo pezzo di
Palestina alle nostre spalle...

Quando ritroviamo Nour in territorio Israeliano ci racconta del poliziotto
di Gerico (ovviamente palestinese) che da 5 ore aspetta per entrare a Gaza;
noi abbiamo incontrato sei poliziotti israeliani che parlavano
tranquillamente tra di loro sul posto di lavoro: sicuramente si davano da
fare per accelerare la pratica del loro collega palestinese. Nel viaggio
verso Gerusalemme nessuno di noi parla: la digestione delle immagini del
Campo di Jabalia richiede un certo tempo.

16 agosto venerdì

Destinazione Jenin; per arrivare a Jenin percorriamo una strada che é
riservata a vetture Israeliane; lungo il fiume Giordano e vicino a estese
coltivazioni di datteri e banane; di tanto in tanto gli insediamenti con
una segnaletica moderna e recinzioni di filo spinato che contrastano con i
prati verdi che proteggono. Ai vari check point inventiamo le solite bugie.
Dopo l'ultimo blocco dei militari usciamo dalle belle strade asfaltate e ci
noltriamo per una delle piste tra i campi a cui siamo ormai abituati.
Arriviamo così al Madical Relief Center di Jenin alle 10 e 45. Ci ricordano
che il venerdì é festa per i paesi arabi, e percio' é il direttore in
persona che ci riceve. Ci dice che in questi giorni il coprifuoco é in
vigore dalle 20 alle 8 del mattino; é possibile pero' arrivare a Jenin con
le auto e questo rispetto ad altre città (Nablus, Ramallah, etc.) é un bel
vantaggio. Da due mesi il loro Centro dispone di una ambulanza che ha
l'autorizzazione a muoversi anche sotto il coprifuoco; anche a Jenin si
stanno attuando campi estivi per i bambini; il problema piu' grande é la
presenza di situazioni di violenza quotidiana, che condizionano fortemente
la crescita psicologica dei giovani. Ci avviamo verso il Campo profughi di
Jenin, che ospita circa 14.000 persone; é un campo che esiste fin dal 1948.
800 case sono andate distrutte nel massacro perpetrato dalle truppe
israeliane, i senza tetto sono 4.000 e oggi si cerca di spostare il tema
della discussione sul numero effettivo dei morti... Dalla cronaca di
Elisabetta:

16 Agosto

Jenin è l'inferno. Scendiamo dal pulmino e visitiamo il cimitero del
massacro, circa 50 tombe e ci sorprende che nel mondo si discuta ancora sui
numeri, 500, 50 morti...che differenza fà? Sono stati uccisi
sistematicamente e senza pietà dei civili. 800 case rase al suolo con chi
ci viveva dentro, uomini, donne, bambini........andiamo al Ground Zero di
Jenin, 4.000 mq. Di campo profughi spianato, camminiamo sulle macerie
appiattite e mi sembra di violare dei corpi, appoggio piano i piedi nella
polvere e mi sembra di calpestare delle tombe... siamo tutti ammutoliti in
quella distesa oscena e polverosa.... mi siedo su un cumulo di macerie e
comincio a piangere disperatamente, una mano si appoggia consolatrice sulla
mia spallaŠŠ..non so a chi appartiene, sono troppo scossa e ho gli occhi
pieni di lacrime......poi vengo lasciata nel mio dolore che è quello di
tutti i miei compagniŠ.. la sensazione è di impotenza e c'è tanta tristezza.

[Elisabetta 33996730729 (Italia)]

Dopo la strage é stato vietato l'ingresso al campo ai sanitari e agli
internazionali e ancora oggi ci sono centinaia di persone arrestate senza
una precisa accusa. Tutti i senzatetto sono ormai sistemati presso amici o
parenti e le 64 tende che gli organismi internazionali hanno allestito sono
inutilizzate. Tra l'altro le tende sono prive di ogni servizio (acqua, luce
fognature etc.). Da due settimane hanno iniziato i lavori di sgombero delle
macerie nel luogo della strage, ma ci vorranno ancora mesi. Il medico che
ci accompagna ci spiega poi che l'obiettivo del Medical Relief non é solo
la salute fisica, ma il benessere della persona in tutti i suoi aspetti: la
salute é un obiettivo politico, anche la reale parità tra uomo e donna fa
parte della salute della persona. Io in questo momento sto bene, dice, ho
casa, lavoro, salute, ma non sto bene veramente: la mia famiglia vive a 100
chilometri da qua, io non posso andare a trovare i miei figli, che intanto
crescono; ma crescono con il rumore della guerra nei loro orecchi; non é
una situazione sanitaria corretta. Ancora un trasferimento: andiamo a
vedere uno dei punti dove é in costruzione il muro di Sharon; 950.000 m" di
terreno sono stati confiscati al Comune per la costruzione del muro; l'area
era destinata ad impianti sportivi, e in effetti si puo' vedere poco oltre
il muro un campo da calcio; molti appezzamenti di terreno confiscato sono
stati poi venduti a buon prezzo ad israeliani perché il terreno in questa
zona è particolarmente produttivo; scattiamo alcune foto mentre la
"sicurezza" controlla che i lavori procedano regolarmente; non é un film.
Ci prendiamo un te' a casa del medico che ci accompagna e alle 16
ripartiamo per Gerusalemme. Io chiedo a Nour un incontro di chiarimento
perchè pur essendo il viaggio molto interessante non mi sento molto utile
alla causa palestinese. Quando arriviamo a Gerusalemme ci fermiamo in un
punto molto panoramico da cui si ha una immagine spettacolare della città
vecchia. E' qui che Nour mi propone il chiarimento che avevo chiesto. Io
dico che fino a questo punto, pur essendo stato il viaggio estremamente
interessante, ci è sembrato diverso da quello che era il nostro proposito:
dare il massimo aiuto possibile nelle situazioni in cui è richiesta la
presenza di "internazionali"; fino a questo momento abbiamo avuto molti
contatti con persone ed associazioni ma il nostro lavoro non ci è sembrato
mai indispensabile. Nour risponde che ha cercato di darci tutto quanto per
lui è stato possibile, ma essendo lui solo un "autista" e per di piu'
giunto da poco alla associazione, non è in grado di prendere decisioni
"politiche"; in questo periodo la dirigente è all'estero per conferenze. Ci
lasciamo con l'impegno di risentirci per eventuali spostamenti, e il nostro
gruppo di sei decide di andare il mattino seguente al Campo di Deheishe,
presso Betlemme, dove abita la famiglia di Nasser, compagno palestinese che
vive a Siena, e nel pomeriggio ad un appuntamento con Hassib, contatto che
conosce Annick.

17 agosto sabato

Partiamo per Betlemme con uno sherut, fino al posto di blocco; con noi ci
sono due suore cristiane palestinesi. Come al solito traversiamo a piedi il
check point e dall'altra parte contrattiamo il prezzo del secondo taxi; ci
porta un tassista che chiede subito di dove siamo e saputa l'origine
italiana di alcuni di noi sfoggia tutte le sue conoscenze, che sono al
solito calcistiche. Poi ci dice anche che conosce Hamdi (fratello di
Nasser) e tutti gli italiani che frequentano il campo. A noi la cosa sembra
strana, ma in effetti arrivati al campo possiamo verificare che la fama di
Hamdi è vera. Superiamo l'ingresso del campo, dove c'è la distribuzione di
viveri da parte dell'UNRWA, e fatti pochi passi chiediamo nel primo negozio
del campo se conoscono Hamdi: la parola è magica perché subito un giovane
ci propone di seguirlo e ci porta proprio all'appartamento di Hamdi.
L'ingresso è costituito da un grosso buco praticato nella parete esterna
dai militari israeliani, loro bussano in questo modo. Hamdi ci accoglie con
l'ospitalità tipica palestinese, anche se la sua casa è già piena di
italiani, come diceva il tassista. Ci offre un caffè italiano e poi
facciamo un giro per il campo. Ci spiega come il campo sia gestito da un
comitato, chi fa parte del comitato e come si prendono le decisioni; ci
racconta della cooperativa che organizza il lavoro di pulizia e
ricostruzione all'interno del campo e ci mostra il Centro sociale e
culturale del campo in fase di costruzione, dove si svolgeranno varie
attività. Poi ci riporta a casa, ci presenta la sua famiglia e si mette a
cucinare per noi. Sembra impossibile eppure ci sentiamo a casa, a migliaia
di chilometri di distanza e con persone conosciute da pochi minuti. Dopo
mangiato Hamdi ci accompagna all'uscita del campo e ci aiuta a prendere un
taxi per tornare a Gerusalemme, dove incontriamo Hassib. Veniamo aggiornati
sulla situazione dei centri piu' in difficoltà, tra i quali si trova
Nablus, nostro obiettivo originario. La situazione pero' sembra ancora
complicata per l'ingresso in città, e così aspetteremo una sua chiamata per
farci dire dove è possibile andare. Comunque fissiamo un appuntamento per
le 8 del mattino.

Francesco Andreini
Berretti Bianchi