intervento in aula legge sulle armi



 Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 165 del 26/6/2002

Seguito della discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione
dell'Accordo quadro tra la Repubblica francese, la Repubblica federale di
Germania, la Repubblica italiana, il Regno di Spagna, il Regno di Svezia e
il Regno Unito della Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord relativo alle
misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria
europea per la difesa, con allegato, fatto a Farnborough il 27 luglio 2000,
nonché modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185 (1927) (ore 9,45).

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, svolgo questa dichiarazione di voto a
nome del mio gruppo partendo da una prima considerazione che, a mio avviso,
è particolarmente importante. La discussione intorno a questo provvedimento
va ben oltre il testo di legge che abbiamo preso in considerazione. Chiama
in causa, infatti, con particolare forza ed emblematicità nodi di fondo
della politica, questioni dirimenti come poche altre riescono ad esserlo.
Stiamo parlando di produzione di armi, di mercato delle armi, di un mondo
sempre più drammaticamente segnato dal ricorso alle armi e dal primato del
settore militare. Si tratta di argomenti estremi che vanno affrontati e
discussi per quello che sono, senza velami eufemistici. Stiamo parlando di
un accordo sottoscritto da sei grandi paesi europei tra i quali, purtroppo,
il nostro, che sono leader nel settore della produzione militare.
A Farnborough, su iniziativa delle maggiori industrie di armamenti europee
(lo ripeto: su iniziativa delle maggiori industrie di armamenti europee),
per facilitare - così si dice - il processo di integrazione e di
ristrutturazione del settore, i ministri della difesa di Francia, Germania,
Gran Bretagna, Irlanda del Nord, Italia, Spagna e Svezia hanno firmato un
accordo per la ristrutturazione dell'industria della difesa con l'intento
(così si dice, con uno di quegli eufemismi che vanno di moda oggi quando si
parla di armi e di guerra) di armonizzare le legislazioni nazionali ossia,
fuori da ogni eufemismo, per rendere più agevole, incisiva e libera la
produzione e la vendita delle armi e, dunque, per rendere più funzionali e
addomesticate le legislazioni di ogni singolo paese.
Stiamo parlando di ciò e per questo motivo giudichiamo negativamente il
provvedimento in esame, non soltanto perché aggredisce e tenta di svuotare
ulteriormente la legge n. 185 del 1990, ma perché ratifica un trattato che
non doveva essere sottoscritto dal Governo italiano. Si tratta, infatti, di
un trattato voluto dall'industria delle armi, fuori dai controlli e dal
primato della politica.
I sei paesi in questione sono titolari del 90 per cento dell'intera
produzione europea degli armamenti convenzionali e la parte preponderante
di quest'ultima è destinata ad arrivare nei paesi del sud del mondo. Al
nord si producono armamenti e al sud si consumano armi, con una drammatica
inversione del rapporto tra consumo e produzione per il resto delle
produzioni.
La crescente integrazione dell'industria militare, la nascita di
coproduzioni, di società transnazionali e di joint venture favoriscono di
per sé (lo ripeto: di per sé) la proliferazione orizzontale e rendono
sempre più difficile quantificare e identificare la destinazione dei
trasferimenti di parti e componenti che appartengono alle stesse società
transnazionali.
La licenza globale, che è il vero e proprio fulcro ispiratore e orientatore
del trattato in questione, è un'emblematica testimonianza di questo
processo di liberalizzazione del mercato delle armi e di svincolamento
dello stesso dai controlli nazionali. Di questo si tratta e bisognerebbe
parlarne in maniera molto più seria e responsabile; soprattutto,
bisognerebbe parlare di ciò e non di altro, come si continua a fare.
A tale proposito, vorrei svolgere alcune considerazioni. Le decisioni dei
governi, ovviamente, non sono mai neutre: vi sono logiche, opzioni e
pressioni che agiscono e determinano le scelte, spesso fino ad oltrepassare
il vincolo dei vincoli, che nel nostro paese è rappresentato dalla legge
fondamentale, ossia dalla Costituzione che in uno dei suoi articoli
fondativi, l'articolo 11, è stata più volte violata.
Intorno a questo provvedimento si è raccolta una critica forte e diffusa
che viene dal mondo democratico e pacifista, quello stesso mondo che, con
buona pace del presidente Ramponi, è estremamente sapiente dei guasti
immani provocati nel mondo dai mercanti delle armi e dalle banche armate.
Quel mondo fece irruzione con forza nel Parlamento nel 1990 obbligando il
legislatore ad approvare la legge n. 185. A difendere quella legge sono
ancora loro.
Tuttavia, oggi altri soggetti hanno fatto irruzione nei parlamenti e sotto
le finestre dei governi guidando governi e parlamenti nella scelta di
arrivare al trattato di Farnborough: le lobby delle armi ed i loro
interessi, che non sono ovviamente quelli della pace, ma neanche quelli
della difesa dei paesi firmatari e dei confini europei. Sono semplicemente
ed incontrovertibilmente quelli della guerra, del favorire, alimentare e
mantenere la guerra nelle forme diffuse, infinite ed indefinite che essa
oggi può avere in molte parti del mondo, soprattutto nel sud del mondo. I
segnali sono, ogni giorno di più, inquietanti e devastanti. Vogliamo
parlarne seriamente?

La nuova guerra che si sta affermando non consiste più nella gestione
violenta dei conflitti secondo quella forma di razionalità politica
tragica, ma pur sempre razionalità politica, che ha dominato la vicenda
degli Stati moderni fino a quasi tutto il ventesimo secolo. La nuova guerra
consiste, invece, nell'instaurazione dei conflitti, nell'alimentarli,
estenderli, foraggiarli, renderli patologici ed infiniti. La
globalizzazione ha questo significato e ha questo strumento di controllo e
potere da parte di questa parte del mondo contro l'altra parte del mondo.
In questa nuova guerra l'abitudine alle armi e la normalità delle armi
giocano un ruolo essenziale.

PRESIDENTE. Onorevole Deiana...

ELETTRA DEIANA. Il trattato di Farnborough è frutto di questo contesto e di
questa logica ed è frutto - e mi affretto a concludere - di una drammatica
rinuncia dei governi e dei Parlamenti europei a pensare all'Europa come
spazio di civiltà giuridica, sviluppo sociale, volano di pace ed
integrazione condivisa nel mondo e per il mondo, sistema, insomma, di
diritto e dei diritti, la cosa più preziosa che dobbiamo rivendicare della
nostra storia di europei. La difesa dell'Europa è stata più volte evocata
in questo dibattito, ma qual è l'idea di difesa, quale ordine di
concezioni, principi fondativi ed informativi, opzioni strategiche
presiedono come elementi di indirizzo della difesa e, dunque, del ricorso
all'uso delle armi?
Il settore economico-industriale guida la formazione del pensiero politico
e delle istituzioni europee in materia di difesa mentre si afferma nei
fatti un'idea molto precisa di difesa che significa l'interventismo armato
di cui abbiamo continue testimonianze. Si tratta di una politica di nuovo
protezionismo del mondo, l'accettazione del paradigma della lotta al
terrorismo e della guerra infinita ed indefinita per debellarlo. L'apparato
industriale e militare degli Stati Uniti sta guidando oggi le danze di una
guerra ancora una volta eufemisticamente denominata Enduring freedom.
Abbiamo presentato e sostenuto tutti gli emendamenti in appoggio alla
difesa della legge n. 185 del 1990. Oggi votiamo contro il provvedimento
non perché non sia rispettoso dello spirito del trattato di Farnborough ed
indebitamente introduca elementi di indebolimento della legge n. 185, ma
perché combattiamo radicalmente in nome di un'altra Europa proprio quello
spirito (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei
Democratici di sinistra-l'Ulivo).



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