R: Riflessione. Da un quadro di Klee



Questa visione della storia esposta da Daniele D'Elia è ben nota, anche se
differente dal vecchio mito tuttora presente del progresso fatale. Ebbene,
non mi convince questa idea, ma neanche la prima. Anch'io ho pensato, e a
momenti torno a pensare come scrive qui Daniele D'Elia, ma poi mi ribello al
mio pensiero. Disperati, non disperiamo. La storia come un aggirarsi
disperato dentro un male insuperabile è un'immagine che tempi bui e pesanti
come ci appaiono questi (ma sarà, a causa della nostra paura, un apparirci
peggiore di ciò che in realtà sono?) suggeriscono e ribadiscono.
Ma a questa immagine io penso che ci si debba ribellare. Semplicemente
ribellare. Le cose stanno così? Ebbene, non le accetto. Voglio essere
diverso dalle cose fatte così. Se così è il mondo, sono contro il mondo.
Non occorre avere una fede in Dio, per questo. Basta avere a cuore il valore
dell'essere umano, mio, tuo, suo. Il valore è calpestato? Sì. E io rifiuto
il calpestamento. C'è, il calpestamento, e pesante. E io lo rifiuto. Non lo
rispetto. Non lo riconosco. Sarò schiacciato? Senza il mio rassegnarmi. Lo
schiavo ribelle, anche solo nel suo cuore, è meno schiavo dello schiavo
sottomesso, anche se uguale è la catena e la sorte. Esiste questa diversità.
E non è già una salvezza?
Chi poi ha fede, se tiene questa idea della storia, deve pensare la salvezza
come un coup de théatre finale di Dio, che si sbarazza di questa storia per
farne un'altra tutta diversa. Non mi pare che sia così né la fede biblica né
l'esperienza storica. La storia è dramma, ma anche luogo teologico, luogo di
rivelazione, Dio è dentro la storia, non spettatore celeste, estraneo e solo
giudice finale. L'uomo non è un dato fisso: dentro l'uomo attuale c'è
"l'uomo inedito" che profeticamente vedeva Balducci. Non mi pare che la
storia possa essere una "prova" senza valore in se stessa, solo per valutare
come ci comportiamo durante un tempo che sarà cancellato. No. Il regno di
Dio è "tra noi", per quanto oggetto di violenza, contrastato.
Cresce l'astuzia e la potenza del male, ma cresce anche il bene: mai come
oggi la teoria e la pratica della nonviolenza sono state in sviluppo, mai
come oggi le religioni si sono rispettate e ascoltate invece di ignorarsi e
combattersi, mai come oggi i diritti umani, pur sempre offesi a distesa,
sono stati il criterio della politica. Criterio tradito il più delle volte,
ma insopprimibile, anzi emergente.
Come dice Panikkar (La torre di Babele, ed. Cultura della Pace, p. 173) la
pace è il "mito" (in senso positivo) emergente del nostro tempo, la nuova
religione comune, la nuova etica universale. Questo è vero, non perchè sia
attuato generalmente - anzi... - ma perchè è l'aspirazione profonda più
positiva e universale, dentro gli stessi autori di malvagità e violenze,
contro la loro disumana superficie. E' così perché lo constatiamo in noi
stessi. Facciamo del male, ma vogliamo il bene. Facciamo del male  credendo
che sia un bene. Lo so, esiste anche la malvagità che sembra malvagità pura,
senza ombra di bene. E' così, o sembra? Non lo so. So come voglio pesnare e
fare che sia.
Oggi (è ancora Balducci a dirlo bene) si congiungono la necessità biologica
della sopravvivenza con l'imperativo etico del rispetto della vita. Io credo
che l'etica universale dell'alterità e della pace giudichi tutte le visioni,
le filosofie, le religioni, le interpretazioni, le apparenti evidenze. Non
giudica solo il nostro agire, ma il nostro pensare, il nostro vedere.
Giudica proprio il nostro modo di vedere, le nostre convinzioni.
Molto di ciò che vediamo dipende dal nostro modo di guardare. Bisogna
guardare in faccia anche l'abisso, anche lo spaventoso nulla che ci
minaccia. Ma se si decide di guardare le cose con l'occhio della ragione
illuminato e scaldato da passione d'amore per la realtà - e così potenziato
e niente affatto velato o ovattato -  allora si vede che il male e il bene
ci sono entrambi, avvinghiati nella lotta, ma il bene vale più del male, ha
un peso di verità maggiore. In realtà è il bene che abbraccia il male, per
salvare anch'esso. Così mi pare. E se non fosse così, facciamo che sia così.
Tocca a noi. E' volontarismo? Ebbene, che male c'è? Semmai c'è del bene.
Ciao
Enrico Peyretti






----- Original Message -----
From: Daniele D'Elia
To: pace at peacelink.it
Sent: Sunday, May 12, 2002 11:43 PM
Subject: Riflessione. Da un quadro di Klee


Agli amici di PeaceLink
Mi sono imbattuto in un testo bellissimo di Walter Benjamin che sottopongo
alla riflessione di voi tutti. Benjamin, filosofo, citando un quadro di Lee
che si intitola Angelus Novus, vuole spiegare che cosa sia la storia: questa
nostra storia. Nel quadro, spiega Benjamin, c'è un Angelo che "sembra in
atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi
spalancati, la bocca aperta, le ali distese." Bellissima questa immagine con
la quale si cerca di raffigurare una storia che è storia di catastrofi,
guerre, una storia di oppressi, di poveri. L'angelo della storia non può non
distogliere lo sguardo da tutto ciò. I suoi occhi sono paralizzati sull'
indicibile inumano, sulle sofferenze di sempre.
Quanto abbiamo dimenticato che la storia non è progresso, emancipazione. Ci
hanno insegnato a credere che l'uomo è migliore più di quanto non lo sia. E'
il mito di Sisifo. L'uomo è sempre quello e sempre lo sarà. Sofferenza e
morte.anche se è difficile da accettare. L'angelo di Klee, infatti, vorrebbe
"destare i morti e ricomporre l'infranto" ma una tempesta lo prende per le
ali e lo porta via. Questa tempesta è il progresso, afferma Benjamin, la
fame di progresso che domina ogni epoca. Non si ha il tempo o non si vuole
fermarsi a "ricomporre l'infranto" perché bisogna andare avanti. Ci
interessa il futuro, il nostro futuro.
Questa raffigurazione della realtà sembra spietata! Ma io vi colgo qualcosa
di molto realistico se non di interessante e positivo. Mi riferisco allo
sguardo dell'angelo. Mi ricorda l'angelo di cui si parla in un Midrash (un
commento rabbinico) al "libro di Ruth" , ricordato da Scholem in uno dei
suoi studi sulla Kabbalah. E' l'angelo del giudizio, l'ultimo giudizio, il
giudizio finale. Un angelo, tuttavia, che non pronuncia alcun giudizio
trovandosi dinanzi a tale sciagura. Dovrebbe spietatamente accusare,
condannare.ed invece emette solo un lamento. Piange ed è sbigottito: è l'
angelo di Dio.
Al di là di quella che potrebbe essere la bellissima riflessione teologica
in merito vorrei condividere l'insegnamento che traggo da questa immagine.
Il silenzio dell'angelo frammisto al terrore è "giudizio" ed è l'
atteggiamento più bello che ciascuno di noi possa nutrire dinanzi alla
storia e ai poveri che ne sono i protagonisti. Lo sguardo del messaggero di
Dio invoca giustizia. Ha la capacità di sbigottirsi, di provare terrore
dinanzi alle tragedie. Detto in altre parole: la memoria, il ricordo di
tutte le guerre forse possono preservare il futuro. Se solo ci si fermasse a
guardare! Se solo aprissimo gli occhi dinanzi alle miserie saremmo più
disillusi sull'uomo. Soprattutto, saremmo più disillusi sulla storia e in
merito alle nostre pretese su di essa. Le nostre velleità, le nostre
politiche dovrebbero avere quello sguardo sempre attento al passato, prima
di volgersi al futuro.
Quando ho detto ciò ad alcuni ragazzi, mi hanno chiesto se ciò possa
garantire un futuro di giustizia e di pace. Ho risposto seccamente: "No".
Non ho la pretesa di essere il detentore della verità. Penso però che la
storia ci riserverà sempre questo angusto spettacolo. Credere altrimenti
vuol dire "chiudere gli occhi" ed è ciò che abbiamo fatto sin'ora. Perché la
storia debba andare in questo modo, perché esista la sofferenza.sono domande
alle quali non so rispondere.
Tuttavia, ho detto ai ragazzi di tenere gli occhi sempre aperti e di
chiedere e di avere sempre "fame e sete" di ciò che è promessa per l'uomo e
di ciò che di più bello un popolo possa sperare "la giustizia e la pace".
Ogni notte mi addormento con una preghiera ed una domanda: il giorno dopo mi
alzo, leggo il giornale, leggo notizie da qualche mailing e riscopro che
quella preghiera e quella domanda sono state disattese. E so che sempre lo
saranno se penso di poter rivedere il "giardino dell'Eden". E' il mistero
dell'uomo. Che bella situazione! Ma so che "Giustizia e Pace" sono ciò che
di più bello un uomo possa chiedere al buon Dio e in cui si possa impegnare.
E che sono realtà concesse, sperimentabili. Proprio nel momento in cui la
"fame e la sete" divengono estenuanti, nelle sofferenze, nell'ingiustizia
più manifesta ad un uomo, paradossalmente, è concesso di sperimentare
giustizia e pace.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i tanti amici che condividono questa
ricerca. La mia visione della storia è un ipotesi, smentibile. Vi chiedo un
confronto. Certo che "dove si cerca la giustizia, si difende la verità e ivi
regna la pace". Ciao
Don Daniele D'Elia
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