Rapporto Palestina Action for Peace



                                                     Gaza 16/02/02

Ronzio di un aereo da lontano,e un attimo dopo due forti bagliori illuminano
il cielo scuro, accompagnati da un forte boato.
La vivace discussione di un attimo prima si interrompe in un angoscioso
silenzio, e se non fosse per il suono del cellulare sarebbe potuto continuare
chissà quando.
'Tornate indietro, stanno bombardando al nord, tornate indietro', grida
Jamal al telefono, 'tornate indietro, dobbiamo prima verificare se la strada
è sicura''.
Siamo alla fine di una giornata densa di emozioni, Gaza 'Gaza, dove si
intrecciano
i nodi cruciali. Dove affiora la dignità e muore l'umanità in una vile
contraddizione,
dove le emozioni sono più forti della ragione, dove i paralogismi della
politica internazionale svaniscono nella dignitosa povertà dei campi.
 Dove la violenza è così forte,così intensa che trafigge la coscienza dell'uomo
e lo soffoca in un' impotenza di difficile rimedio.
Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini intrappolati in un striscia
di terra, circondati e umiliati dall'arroganza e prepotenza dell'occupante.
'I vostri governi sono fondati su principi democratici e valori universali,
perciò dovrebbe essere automatica la loro reazione quando questi stessi
principi vengono palesemente violati in qualsiasi luogo del mondo', ci
interroga
Raji Surrani, direttore di Palestian Human Rights, fissandoci dritto negli
occhi.
Dopo un momento, con voce amareggiata, continua: 'Ciò che abbiamo come risposta
è solo silenzio.
Come è possibile non reagire quando i fondamenti della legalità internazionale
vengono violati e ignorati come fossero carta straccia. Come è possibile
possedere un enorme potenza e possibilità di intervento e rimanere seduti
come se i palestinesi non appartenessero, come tutti, al genere umano.
Vagabondiamo tra le macerie del campo di Rafah dove in ogni chilometro quadrato
vivono 3.000 persone tra cemento e amianto, senza acqua, senza luce, senza
un luogo dove i bambini possano rifugiarsi, con un fucile costantemente
puntato da una torre.
Siamo alla ricerca di una risposta, non troviamo nulla se non vergogna e
impotenza.
'Tutto quello che vedete non ha nulla di legale, l'unico metodo utilizzato
è quello dell'uso sistematico della forza. Questa è una sconfitta per la
democrazia mondiale.', dice il dottor Haider Abdul Shafi, già alla guida
della delegazione palestinese nella Conferenza di Madrid e membro del Consiglio
Legislativo Palestinese,.
Il grande vecchio con un sorriso continua: 'Quando incontro delegazioni
straniere, mi rendo conto che non sono ben informate sulle radici vere della
questione'.
5.000 persone sono totalmente isolate nel lungomare di Al-Maghazi, in Khan
Yunis ,15 chilometri quadrati riservati a 11 insediamenti in cui vivono
solo 1.500 coloni israeliani, tolgono fiato agli abitanti di Al-Maghazi
.
Ogni piccolo movimento degli abitanti è controllato e spiato da un imponente
spiegamento di militari israeliani.
Qui la violenza tenta di corrodere la dignità dell'uomo.
Per entrare nel piccolo villaggio costiero occorre attendere pazientemente
dinanzi ad un bunker super protetto che sorge a poche centinaia di metri;
i fortunati, nei giorni fortunati, vengono chiamati a procedere tre per
volta.
Una volta raggiunto il posto di blocco entrano in un altro bunker, dove
vengono imposti severi controlli, e solo dopo possono procedere verso il
loro villaggio attraverso i terreni riservati ai coloni.
Ci chiediamo in silenzio quale sia il perverso ragionamento che conduce
l'uomo a  calpestare i diritti dell'altro, stringendolo in una morsa di
spietata umiliazione.
A Gaza non esistono risposte, ci sono solo domande, qualsiasi tentativo
di giustificazione è una pura e  ridicola mistificazione.
Quale potrebbe essere la risposta a coloro che ti chiedono: 'perché 1.500
coloni consumano il 36% di acqua disponibile, di migliore qualità, mentre
230.000 persone devono accontentarsi del restante 64%, e di peggiore qualità''.
Quale è la risposta per i contadini quando con le lacrime agli occhi ti
mostrano migliaia di ulivi estirpati, chiedendoti perché'
Quale è la risposta per i bambini scalzi in inverno che sorridendo lanciano
in aria i loro libri semi bruciati nell'ultima incursione israeliana'
Quale è la risposta per le centinaia e centinaia di pescatori che non potranno
mai portare il loro pescato al mercato affamato di Khan Younis'
'Come possiamo rispondere'', ci chiede il dottor Osama Al-Farra, sindaco
di Khan Younis.
Osserva Jamal Sakut, membro del Consiglio nazionale Palestinese e membro
del Consiglio Direttivo di FIDA: 'Tutti questi crimini devono trovare
giustizia.
Se i governi per equilibrismo politico e per interesse sono tolleranti e
accondiscendenti con gli israeliani, allora è dovere e la responsabilità
della società civile di reagire e perché no, formare dei tribunali popolari
in cui questi crimini vengono portati dinanzi all'umanità e giudicati secondo
la coscienza di ciascuno'.
L'antico castello di Khan Younis domina ancora fieramente la città, resistendo
ai numerosi tentativi di distruzione; non ha un bell' aspetto, è mortificato,
stanco, ma da 1500 anni continua testardamente la sua esistenza.
Il vecchio castello respira il grande spirito della resistenza palestinese.
Lasciamo Gaza attraverso una strada tortuosa indicataci come sicura dai
nostri amici palestinesi.
I bombardamenti continuano, fino ad ora  si contano un morto e 30 feriti.
Lasciamo Gaza con un grosso peso sulla coscienza e la responsabilità di
raccontare ciò che abbiamo visto così come c'è stato indicato dal grande
vecchio Haider Abdul Shafi.
Sarà solo il primo passo per coloro che sono stati qui per la prima volta,
mentre per gli altri comincia la ricerca di una più concreta strategia di
azione.
Per molti di voi queste frasi possono sembrare retoriche, ma chi viene a
Gaza sa che non dimenticherà mai e non si stancherà  di raccontare ciò che
ha visto, all'infinito.

La delegazione di Action for Peace:
Farshid Nourai, Monica D'Angelo, Alessandra Fantini, Antonio Elia, Michelangelo
Cocco, Massimo Trizio, Gabriella Vero, Paolo Pozzi, Ferdinando Primerano
Rianò.