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Cari turisti del cazzo in Nepal... dedicato a Patrizio Roversi
- Subject: Cari turisti del cazzo in Nepal... dedicato a Patrizio Roversi
- From: "glr" <glr.y at iol.it>
- Date: Tue, 29 Jan 2002 04:45:06 +0100
- Priority: normal
In copia conforme... ----------------- CARI TURISTI PER CASO IN NEPAL.... Ciao Patrizio (e Susy) Ti scrivo in merito ultime tre puntate di Turisti per caso, il viaggio in India e Nepal, andate in onda il 14, 21 e 28 gennaio 2002. Ho riscontrato che più volte sia tu che il tuo compagno di viaggio in terra nepalese avete definito il Tibet come "terra occupata, invasa, colonizzata" dalla Cina comunista, all'inizio degli anni '50 o giù di lì, con conseguente fuga nel '59 del Dalai Lama assieme a tutta la classe dirigente tibetana (parole testuali tue e del tuo compagno di viaggio sia nella puntata del 21 che del 28 gennaio). Mi suonava strano, e sono andato a vedere alcuni miei vecchi libri scolastici (sono tuo coetaneo). Sorpesa: (ri)scopro che la Cina - o meglio l'Impero cinese - dopo alterne vicende in tempi medievali (europei) conquista il Tibet nei primi anni del 1700, quasi 300 anni fa, e che da allora il Tibet è stato considerato internazionalmente e da tutti i successivi governi cinesi, Quomintang compreso, territorio facente parte della Cina. E (ri)scopro che ad "invadere, colonizzare, occupare" non solo il Tibet ma varie ampie regioni cinesi sono stati - tra gli altri - gli Inglesi, potenza coloniale mondiale che ha mantenuto sotto il suo dominio il Tibet per 45 anni fino alla, questa volta sì, LIBERAZIONE da parte dei cinesi nel '49 (e che nell'occasione fossero cinesi comunisti mi sembra un dettaglio, storia alla mano e a meno di non essere in malafede). Insomma, da tutta questa STORIA ne viene fuori che richiedere ora l'indipendenza del Tibet su basi storiche e di giustizia geopolitica, dopo 300 anni di appartenenza cinese e altri secoli di contiguità e relazioni strette, sarebbe come restituire Ferrara ai discendenti degli Este, ad Alberto da Giussano il Bergamasco e la Spagna agli Arabi (e agli Ebrei). Pensando al tuo documentario di viaggio mi viene da dire che non conosci la storia, almeno la storia di India, Tibet, Nepal. Certo, potremmo trascurare l'ignoranza o la disinformazione storico-politica: altra cosa sarebbe chiedere, ad esempio, l'indipendenza del Tibet per ragioni socio-cultural- umanitarie (modello Kosovo, per intenderci). E allora seguiamo il tuo documentario e seguiamo anche alcuni testi informativi sulla situazione attuale e pregressa di Tibet e Nepal. In Nepal tu scopri una situazione di povertà allucinante, conosciuta a livello internazionale magari dall'Onu o da chi si occupa di politica internazionale ma ignota all'opinione pubblica media, un'assenza di scuole, di infrastrutture, di una qualsivoglia base economica su cui lavorare e far lavorare il Nepal in autonomia per risollevarsi dalla povertà - fosse pure al rischio di sacrificarvi qualche brandello della sua "purezza mistica" da te e dal tuo programma tanto ripetutamente decantata. In opposizione a questa situazione scopri perfino la guerriglia che si ribella al governo, e di cui si sta occupando oggi, è notizia di questi giorni, perfino l'amministrazione statunitense (vorrà probabilmente portarvi i suoi aiuti, del solito tipo che conosciamo: Somalia, Nicaragua, Jugoslavia, Colombia, Cile, Afghanistan). E scopri pure il monastero che ospita i profughi dal Tibet - così racconta il documentario. E nel monastero troviamo pentole in acciaio inox, impianti e lampade elettriche, una cucina tipo mensa ristorante, acqua calda corrente..... Viene da pensare che i pii monaci sappiano amministrare bene le loro povere entrate. Dentro il monastero. Fuori, incontri una sedicenne del luogo cui chiedi "cosa vorrebbe fare da grande", che ti risponde che vorrebbe andarsene, studiare, non essere obbligata a sposarsi, gestirsi la propria vita in indipendenza. Perchè in Nepal non ci sono scuole, lavoro, libertà, futuro. In Nepal, parole di nepalese. Qualcosa non quadra. E qualcosa non quadra nemmeno quando da altre fonti scopro che 50 anni fa il Tibet, come oggi il Nepal, non aveva NESSUNA scuola pubblica, poichè l'istruzione - esclusivamente religiosa - era riservata agli ospiti dei monasteri, riempiti con i figli della nobiltà tibetana - donne "naturalmente" escluse - poi destinati a diventare classe dirigente (quella scappata nel '59 assieme al Dalai Lama), così come non aveva ospedali, medici, strade, industria, amministrazione. E che adesso vi sono presenti 2400 scuole primarie tutte con lingua d'insegnamento tibetana, decine di migliaia di medici, un centinaio di ospedali e centinaia di presidi sanitari minori, industrie, strade, infrastrutture di base. E che gode di un'autonomia politica mai avuta in precedenza, tantomeno sotto il dominio inglese. Come spiegare ora la difformità tra la storia reale qui esposta di quelle regioni asiatiche da una parte e il carattere mistico-occidentalocentrico-paternalistico- disinformante del tuo lavoro televisivo dall'altra? Scartando una tua/vostra ingnoranza completa su queste questioni - credo che prima di fare un servizio del genere informarsi in modo corretto su storia, costumi, culture locali dovrebbe essere norma - risulta immediatamente chiara, in contrapposizione a questa difformità, la conformità del taglio del documentario con la campagna "Free Tibet" portata avanti da qualche decennio dai sedicenti nuovi guru della politica "di sinistra", con contorno di "new age", esoteristi, misticisti, scientologisti, nuovisti buonisti pacifisti e dalailamisti di tutto il mondo. Forse non tutti i suddetti, forse nemmeno te, ne sono a conoscenza (anche se l'ignoranza è un optional), ma tale campagna "Free Tibet" è sostenuta con bei dollaroni dal solito Zio d'America. Ecco come: " Dal 1955 la CIA inizio' a costruire un esercito controrivoluzionario in Tibet, molto simile ai Contras in Nicaragua e, piu' recentemente, al finaziamento ed addestramento dell'UCK in Kosovo. Il 16 agosto 1999 su Newsweek e' apparso l'articolo "Una guerra segreta sul tetto del mondo - i monaci e l'operazione segreta della Cia in Tibet", nel quale si descrivono in dettaglio le operazioni CIA dal 1957 al 1965. Analogamente, il principale articolo del Chicago Tribune del 25 gennaio 1997 descriveva lo speciale addestramento dei mercenari tibetani a Camp Hale nelle Montagne Rocciose in Colorado, per tutti gli anni '50. Tali mercenari furono paracadutati in Tibet. In accordo ai famigerati "articoli del Pentagono" ci sono stati almeno 700 di questi voli negli anni 50. Furono usati C-130, come piu' tardi in Viet-Nam, per portare munizioni ed armi. Vi erano anche basi speciali a Guam e ad Okinawa, dove furono addestrati soldati tibetani. Gyalo Thumdup, fratello del Dalai Lama, segui' le operazioni, e non era certo un mistero. Se ne faceva un vanto. Il Chicago Tribune aveva titolato "La guerra segreta della Cia in Tibet" ed afferma in modo chiaro che "ben poco sulle operazioni Cia in Himalaya e' veramente segreto, eccetto forse ai contribuenti USA che le hanno finanziate". La CIA diede una rendita annuale speciale di 180000$ al Dalai Lama per tutti gli anni 60; questa e' ora una piccola fortuna in Nepal, ove aveva organizzato un esercito ed un governo virtuale in esilio. Gli USA hanno anche organizzato delle radiostazioni per proiettare in Tibet l'"immagine" del DL come quella di un dio-re. Ralph McGhee, che ha scritto molti articoli sulle operazioni CIA, e mantiene anche un sito web, ha descritto in dettaglio come la "compagnia" abbia promosso il DL. L'ufficio CIA NATIONAL EDOWDMENT for DEMOCRACY ha procurato denaro per un fondo per il Tibet, per la Vove del Tibet, e per la campagna internazionale per il Tibet." Questo è un estratto di un articolo sul Tibet di S. Flouders, da Workers World 1999 - http://www.workers.org . Te lo allego qui sotto integrale. In fondo trovi un altro articolo sul Tibet, dal Manifesto del gennaio 2000, e altro materiale ancora (p.e. le posizioni dei comunisti ML italiani all'epoca dell'ingresso di Mao in Tibet, analisi utili per capire gli attuali movimenti rivoluzionari maoisti nepalesi). Buona lettura a tutti voi della troupe. Spero vi siano utili per trarne le debite considerazoni rispetto al vostro lavoro. (Come ciliegina ho notato la marchetta fatta per l'Adidas a fine puntata del 28/1, sul cappellino in testa al neonato di tre giorni. Ma forse a questo punto è meglio lasciar perdere queste sottigliezze) il tuo affezionato telespettatore Giorgio Ellero 338-9116688 glry.libero.it http://digilander.iol.it/glry _________________________________ Cosa ha a che fare la CIA con il Dalai Lama? di Sara Flounders (da Workers World, Aug. 26, 1999 - Web: http://www.workers.org) Il 14 agosto il Dalai Lama (DL) - figura di spicco del buddismo tibetano - era a New York in Central Park. In questa citta' era gia' apparso in tre incontri al Teatro Beacon (tutto esaurito) piu' altre occasioni in cui persone benestanti hanno potuto pagare fino a 1000 dollari un biglietto per poterlo ascoltare. Il Dalai Lama, con il considerevole aiuto dei maggiori media, e' divenuto una figura di culto. Lo si chieda a chiunque si sintonizza abitualmente sulle radio-televisioni piu'importanti. Anche se non si interessa di politica, costui dira' che il Dalai Lama e' una persona buona, santa ed una "forza spirituale". Il suo nuovo libro "L'arte della felicita'", scritto assieme con Howard C. Cutler, e'stato pubblicizzato fino a che non e' entrato nella lista dei best-sellers per 29 settimane. Ma il Dalai Lama e' veramente un uomo non-politico? Se cosi' fosse, perche' questo "santo" che si ritiene non ammazzerebbe un insetto, ha appoggiato i bombardamenti NATO sulla Jugoslavia? Le persone interessate alle questioni di carattere sociale dovrebbero sapere che, come Papa Giovanni Paolo II, il DL denuncia l'aborto, tutte le forme di controllo delle nascite e l'omosessualita'. L'imperialismo USA ha molta esperienza nell'uso dei sentimenti religiosi di milioni di persone. La CIA formo' un blocco unico con il Papa, che aveva l'appoggio di milioni di cattolici, per abbattere il socialismo in Polonia. Non dovrebbe stupire il fatto il DL sia utilizzato anche dalla CIA. D'altro canto, le figure religiose che si oppongono agli USA sono demonizzate o diventano obbiettivi degli assassini - dall'Arcivescovo Romero in Salvador ai religiosi musulmani in Libano e Palestina/Israele. Lo scorso anno Hollywood ha realizzato due importanti films sul Tibet. Gli Studios amano il DL, che, come si e' detto, incorpora lo spirito e le aspirazioni del popolo tibetano. I ricchi gruppi che ora controllano Hollywood - Disney e la Tristar - entrambi appoggiano l'organizzazione Free Tibet. Hollywood glorifica la classe religiosa tibetana ed il suo presunto passato idilliaco allo stesso modo in cui "Via col vento " glorificava la classe dominate schiavista e razzista del vecchio sud. Uno di quest film, "Sette anni in Tibet", e' stato basato su di un libro scritto da un nazista austriaco, Heinrich Harrer, coinvolto in alcuni dei crimini piu' brutali dei nazi-fascisti austriaci. Harrer fini' in Tibet durante la seconda guerra mondiale in missione segreta per l'imperialismo tedesco, che stava tentando di competere con l'imperialismo britannico in Asia. Egli fu accettato nel circolo piu' ristretto, fra la nobilta' tibetana. # L'imperialismo e le culture indigene. In tutto il mondo le societa' indigene dal Nord America, alla America Latina, l'Africa e l'Oceania sono state decimate. La ricca varieta' di culture e' stata scalzata, calpestata, ridicolizzata. I nativi sono stati sterminati in tutto il mondo da tutte le forze che adesso sembrano essere rispettosamente in adorazione della cultura tibetana. Il Tibet e il buddismo tibetano sarebbero stati di scarso interesse per l'imperialismo britannico ed americano se non fosse stato per la grande rivoluzione cinese, che ha spazzato via tutto il vecchio mondo e la corrotta societa' feudale. Questa e' stata una rivoluzione che ha coinvolto movimenti di massa di milioni di contadini poveri organizzati per la distribuzione delle terre e per la cacciata dei vecchi signori feudali. Tale grade sollevamento sociale ha liberato le energie creative e la partecipazione di un quarto dell'umanita'. Tuttora pero' i media occidentali glorificano il vecchio Tibet. # L'era della divisione della Cina e del suo dominio Per oltre 100 anni, le potenze imperialiste dell'Europa occidentale ed il Giappone hanno mantenuto la Cina nelle sfere di loro influenza, proprio come l'Europa ha mantenuto l'Africa fra le sue colonie. Gli Stati Uniti allora si opponevano a questo, ma solo in quanto esclusi dall'accesso in Cina per i loro affari. Nell'ottocento la Gran Bretagna, potenza dominante, combatte' due guerre contro la dinastia Manchu per il diritto al controllo sulla vendita dell'oppio in Cina. Nel 1904 la GB lancio' una invasione su larga scala del Tibet. Col trattato di Lhasa la Cina fu costretta a concedere due aree di commercio alla GB, e a pagare un ingente somma per riparare alle spese militari della guerra. Nel 1949 l'armata Rossa era vicina alla sconfitta definitiva dell'esercito del Kuomintang del generale Chiang Kai-shek, aiutato dagli USA. Washington allora stava operando per far aderire il Tibet all'ONU come paese indipendente. Gli sforzi fallirono perche' il Tibet e' considerato da oltre 700 anni come provincia cinese, ed anche il Kuomintang asseriva che la Cina includesse il Tibet e l'isola di Taiwan. Oggi mentre l'imperialismo USA cresce e diventa sempre piu' aggressivo, esso si sta muovendo su vari fronti per forzare la separazione dalla Cina del Tibet, di Taiwan e della provincia occidentale del Xinjiang. Proprio come nei Balcani e nella ex-Unione Sovietica, le grandi corporations americane supportano ed incoraggiano i separatisti per rompere e controllare completamente le aree del globo che precedentemente erano libere dal dominio imperialista. # La vita nell'antico Tibet. Il Tibet pre-rivoluzionario era una regione totalmente sottosviluppata. Non possedeva alcun sistema viario. Le sole piste erano quelle della preghiera. Era una teocrazia feudale basata su agricoltura, servitu' e schiavitu'. Oltre il 90% della popolazione era senza terra e ridotta in servitu'. Erano legati alla terra ma senza alcuna proprieta'. I loro figli erano registrati fra le proprieta' del loro Signore. Non vi erano scuole, eccetto i monasteri in cui (pochi) giovani studiavano canti. Il totale degli studenti presenti in scuole private era di 600 studenti. L'educazione per le donne era totalmente sconosciuta. Non vi era alcuna forma di assistenza sanitaria, non vi erano ospedali in tutto il Tibet. Un centinaio di famiglie nobili e gli abati dei monasteri - anche essi membri di famiglie nobili - possedevano tutto. Il Dalai Lama viveva nelle 1000 stanze del palazzo di Potala. Tradizionalmente era scelto nella sua infanzia fra i giovani delle famiglie potenti. Egli rimaneva poi come un pupazzo sotto il controllo del notabilato che lo seguiva. Per il contadino medio la vita era breve e misera, il Tibet aveva il piu' alto tasso di tubercolosi e mortalita' infantile nel mondo. Oggi il Tibet ha 2380 scuole primarie, moltissime scuole professionali e l'istruzione si svolge in lingua tibetana. Vi sono oltre 20000 dottori, 95 ospedali cittadini e 770 cliniche. # La lotta di classe in Cina. Nel 1949 la Rivoluzione Cinese stabili' primariamente che il Tibet fosse una regione autonoma con molti piu' diritti di quanti ne avesse mai avuti in precedenza. La politica del PC Cinese fu quella di attendere che si sviluppassero le condizioni fra le classi oppresse tibetane per il sollevamento e la cacciata del regime feudale. La schiavitu' fu dichiarata fuorilegge solo dal 1959, 10 anni dopo la Rivoluzione. Cio' avvene dopo un grande movimento di massa che isolo' il Dalai Lama. E' vero, comunque , che il PC cinese abbia sfidato gli antichi costumi tibetani. Prima di tutto il governo cinese pago' un adeguato salario a tutti coloro che lavorassero alla costruzione delle strade. Cio' distrusse totalmente l'usanza della servitu'. Prima di cio' un servo poteva sopravvivere lavorando per il Signore: non per guadagnare ma per il cibo. Ancora piu' rivoluzionario fu pagare i ragazzi e gli ex- schiavi per frequentare le scuole; essi furono anche dotati di libri, vitto e alloggio. Nelle famiglie piu' disperate avevano dovuto lavorare anche i bambini per sopravvivere. La nuova politica rivoluzionaria sollevo' per la prima volta il livello economico delle classi piu' oppresse di questa societa' cosi' rigida. # La Cia mobilita le resistenza delle classi-dominanti Dal 1955 la CIA inizio' a costruire un esercito controrivoluzionario in Tibet, molto simile ai Contras in Nicaragua e, piu' recentemente, al finaziamento ed addestramento dell'UCK in Kosovo. Il 16 agosto 1999 su Newsweek e' apparso l'articolo "Una guerra segreta sul tetto del mondo - i monaci e l'operazione segreta della Cia in Tibet", nel quale si descrivono in dettaglio le operazioni CIA dal 1957 al 1965. Analogamente, il principale articolo del Chicago Tribune del 25 gennaio 1997 descriveva lo speciale addestramento dei mercenari tibetani a Camp Hale nelle Montagne Rocciose in Colorado, per tutti gli anni '50. Tali mercenari furono paracadutati in Tibet. In accordo ai famigerati "articoli del Pentagono" ci sono stati almeno 700 di questi voli negli anni 50. Furono usati C-130, come piu' tardi in Viet-Nam, per portare munizioni ed armi. Vi erano anche basi speciali a Guam e ad Okinawa, dove furono addestrati soldati tibetani. Gyalo Thumdup, fratello del Dali Lama, segui' le operazioni, e non era certo un mistero. Se ne faceva un vanto. Il Chicago Tribune aveva titolato "La guerra segreta della Cia in Tibet" ed afferma in modo chiaro che "ben poco sulle operazioni Cia in Himalaya e' veramente segreto, eccetto forse ai contribuenti USA che le hanno finanziate". La CIA diede una rendita annuale speciale di 180000$ al Dalai Lama per tutti gli anni 60; questa e' ora una piccola fortuna in Nepal, ove aveva organizzato un esercito ed un governo virtuale in esilio. Gli USA hanno anche organizzato delle radiostazioni per proiettare in Tibet l'"immagine" del DL come quella di un dio-re. Ralph McGhee, che ha scritto molti articoli sulle operazioni CIA, e mantiene anche un sito web, ha descritto in dettaglio come la "compagnia" abbia promosso il DL. L'ufficio CIA NATIONAL EDOWDMENT for DEMOCRACY ha procurato denaro per un fondo per il Tibet, per la Vove del Tibet, e per la campagna internazionale per il Tibet. _________________________________ "Il Manifesto" del 9 Gennaio 2000 CINA: UNA CRISI ALLA FRONTIERA DI UNA NUOVA GUERRA FREDDA Il mito del Tibet Dall'Impero a Mao, un popolo in gioco tra "modernizzazioni" di Pechino e interessi occidentali in Asia. La fuga del "giovane Buddha" dalla storia all'immaginario - ENRICA COLLOTTI PISCHEL - La notizia della fuga dalla Cina del giovanissimo Lama Ugyen Trinley Dorje, terza autorità nella gerarchia delle reincarnazioni del buddhismo tibetano stata ritenuta molto ghiotta dai giornali italiani e viene considerata un grave scacco per il governo cinese che non sarebbe riuscito a impedirla, nonostante il proprio apparato militare. Quest'interpretazione ignora che i cinesi non hanno mai fatto nulla per fermare la fuga dei rappresentanti politici e religiosi tibetani dalla Cina: nel 1959 l'intera classe dirigente tibetana, con alla testa il Dalai Lama si allontanò da Lhasa con una lunga fuga a piedi, nonostante il pattugliamento degli aerei da combattimento cinesi. Fa parte della politica delle autorità cinesi il pensare che gli avversari è sempre meglio tenerli fuori del paese che dentro, meglio lontani dai loro adepti che vicini. Se poi le circostanze equivoche di quest'ultimo episodio - cioè la mancata condanna di Pechino - possano far pensare a ipotesi di contatti con il Dalai Lama e di trattative di conciliazione, è difficile dirlo ora. Certamente il fatto che la grande organizzazione propagandistica che negli Stati Uniti (ma anche in Europa e nello stesso nostro scafato e realistico paese) sostiene la causa dell'indipendenza tibetana si sia buttata sull'episodio, non rende certo facile un'intesa: i cinesi sanno fare molto bene i compromessi e sono disposti a concluderli quando siano convenienti. Ma ritengono che debbano essere cercati e raggiunti con la massima discrezione e comunque al di fuori di pressioni che li possano far apparire come una resa a pressioni straniere. E non dimentichiamo mai che "straniero" per l'intera Asia orientale nell'ultimo secolo e mezzo ha significato umiliazione e asservimento: di essa fece parte anche il tentativo pi volte condotto di staccare il Tibet dalla Cina. Il più povero Molte cose dovrebbero essere dette a proposito del mito del Tibet che ha preso piede, anche nei ranghi della sinistra. Dal cinematografico "Shangri-la", al di fuori del tempo, dello spazio e del clima, alle ovvie seduzioni di turismo "estremo", dalle tendenze a vedere esempi validi in civiltà rimaste primitive e tagliate fuori dal processo della storia, alla sistematica disinformazione diffusa da potenti mezzi mediatici statunitensi e al fascino che sugli occidentali delusi esercitano le religioni e le ideologie esotiche ed esoteriche, tutto confluito in un'affabulazione della quale sono stati vittime in primo luogo proprio i tibetani. Certamente sono uno dei popoli più poveri del mondo, esposti a molteplici forme di oppressione: tra esse quella cinese è stata con ogni probabilità meno gravosa di quella esercitata dai monaci e dagli aristocratici, dei quali i pastori e i contadini erano fino al 1959 "schiavi", nel senso letterale del termine, in quanto sottoposti al diritto di vita e di morte dei loro padroni. Che poi tutti, ma con ben diverso vantaggio, trovassero conforto nel ricorso ad una delle forme più degradate di buddhismo (il buddhismo tantrico tibetano popolato di fantasmi e di incantesimi ha ben poco a che vedere con la meditazione intellettuale e la creatività artistica dello Zen), si può anche comprenderlo. Per fare un minimo di chiarezza è necessario comunque precisare alcune cose. Il Tibet non stato "conquistato dalla Cina comunista nel 1950": dopo precedenti più discontinui rapporti, fu conquistato dall'impero cinese, nella prima metà del secolo XVIII e da allora stato considerato parte dello stato cinese da tutti i governi della Cina, anche dal Guomindang. La Cina (in cinese "Stato del Centro") è stato ed è uno stato multietnico nel quale è in corso da millenni un processo di trasferimenti di gruppi etnici e soprattutto di fusione dei gruppi periferici entro quello più importante che rappresenta nove decimi dei cinesi ed è sempre stato capace di offrire ai suoi membri una maggiore prosperità e i benefici di una cultura più concreta. Mettere in discussione la natura multietnica della civiltà e dello stato cinesi significherebbe mettere in moto la più spaventosa catastrofe degli ultimi secoli. Quella praticata dalla Cina non è mai stata una politica di "pulizia etnica" bensì di fusione entro un insieme non etnico ma contraddistinto da una comune cultura e da comuni pratiche produttive: più che sterminarle, i cinesi hanno comprato le minoranze. E' vero che i tibetani per ragioni geografiche sono, entro lo "Stato del Centro" il gruppo più lontano dalla comune cultura, però da 250 anni sono stati sempre governati da funzionari cinesi nominati dal governo centrale: giuridicamente e istituzionalmente ciò ha un senso. Gli inglesi all'apice del loro potere sull'India all'inizio del secolo XX intrapresero, tuttavia, una serie di manovre per staccare il Tibet dalla Cina e porlo sotto la loro influenza giungendo, nel 1913 a convocare una conferenza a Simla nella quale le autorità tibetane cedettero vasti territori all'India britannica. Nessun governo cinese ha mai accettato la validità di quella conferenza. Nel periodo precedente il 1949 il governo del Guomindang considerava il Tibet a pieno diritto, parte del proprio territorio, tanto che durante la Seconda guerra mondiale concedeva il diritto di sorvolo agli aerei alleati. Il ruolo della Cia Non ha quindi alcun senso dire che la Cina conquistò il Tibet nel 1950; nel 1950 le forze di Mao completarono in Tibet il controllo sul territorio cinese; nel 1951 fu raggiunto un accordo con il Dalai Lama per la concessione di un regime di autonomia. Verso il 1957, nel pieno dell'assedio statunitense alla Cina, i servizi segreti inglesi e americani fomentarono una rivolta dei gruppi di tibetani arroccati sulle montagne delle regioni cinesi del Sichuan e dello Yunnan, lungo la strada che dalla Cina porta al Tibet; i cinesi repressero certamente la rivolta con pugno di ferro: nelle circostanze internazionali nelle quali si trovavano e nel loro contesto etnico non era razionale pensare che si comportassero diversamente. Alla fine del 1958 i servizi segreti inglesi annunciarono che all'inizio del 1959 essa si sarebbe trasferita a Lhasa e avrebbe cercato l'appoggio del Dalai Lama. Ed infatti ciò che avvenne: sullo sfondo della rivolta, il Dalai Lama dichiarò decaduto l'accordo per il regime autonomo e fuggì con la maggioranza della classe dirigente tibetana in India, dove costituì un proprio governo in esilio e il proprio centro di propaganda. Nessun governo al mondo ha riconosciuto questa compagine. Recentemente la Cia (i servizi segreti americani sono infatti obbligati a rendicontare prima o poi le loro spese di fronte ai contribuenti) ha ammesso di aver finanziato tutta l'operazione della rivolta tibetana. Pechino: autonomia no Dopo il 1959 il governo cinese spossessò monasteri e aristocratici e "liberò gli schiavi", iniziando una politica di modernizzazione forzosa (vaccinazioni, costruzione di opere pubbliche) e di formazione di una classe dirigente locale, figlia di schiavi, sottoposta a un bombardamento educativo razionalista e anti-religioso. Furono questi giovani che durante la rivoluzione culturale distrussero templi e monasteri, infliggendo gravi danni a un patrimonio culturale unico e a un'identità certo non abbandonata dalle masse. Dopo la morte di Mao, i governanti cinesi hanno cercato di ristabilire i rapporti con i tibetani, migliorando le sorti economiche dell'altipiano ma importando anche gran numero di cinesi, non solo militari. Hanno anche trattato indirettamente con il Dalai Lama, che - politico asiatico molto scaltro - non chiede l'indipendenza, ma una più o meno larga autonomia: Pechino non ha mai tuttavia voluto concedere un reale autogoverno, che aprirebbe rischi di secessione e metterebbe in discussione tutti i rapporti etnici del vasto paese. Alle spalle del Dalai Lama si è sviluppato, intanto, un vasto insieme di interessi della classe dirigente tibetana che ormai è nata all'estero e vi ha ricevuto una formazione culturale moderna: è questa che chiede un'indipendenza che potrebbe essere ottenuta solo con una guerra spietata alla Cina e potrebbe essere innestata dal reclutamento di giovani guerriglieri in India - segnali "terroristici" in questo senso ci sono già stati. Erano proprio dissennati i governanti cinesi che ritenevano che l'attacco alla Serbia motivato dalla difesa dei "diritti umani" in Kosovo fosse in effetti la prova generale di un attacco alla Cina? _________________________________ Da "CHE FARE" 51, nov/dic 1999 - STORIA - 1959: "LA RIVOLTA DEL TIBET E IL COMUNISMO RIVOLUZIONARIO" Poche settimane orsono il Budda vivente ha onorato l’Italia di una sua graziosissima visita. Platee di teatri (rigorosamente paganti in volgarissimo denaro) e pubblico televisivo di ogni canale hanno potuto saziare la fame del proprio "spirito" con il suo alto insegnamento. Perchè tanto interesse per una personalità che rappresenta non tanto e non solo una religione, quanto la giustificazione storico-ideologica dell’assetto sociale - feudale e schiavistico- che il Tibet aveva prima di essere "annesso" alla Cina "comunista"? I governi, i media e gli intellettuali d’Occidente non mettono, certo, la stessa passione difensiva e tutelatrice verso qualunque altro rappresentante di religioni ugualmente antiche. Anzi, i paesi "avanzati" e la loro religione ufficiale, il cristianesimo, si fanno vanto di aver cancellato un gran numero di "religioni antiche" per proiettare i loro fedeli nella "civiltà" moderna, non importa se sterminandone milioni e convertendo i rimanenti con la forza delle lame e delle pallottole, o, come è emerso durante il viaggio del papa in India, con i fondi del Fmi regalati ai cristiani per sovvenzionare le loro "caritatevoli" istituzioni, scuole, asili, ospedali (qualche organizzazione indù ha sintetizzato felicemente rivolgendo al papa una sola parola: bandito!). L’interesse non è, evidentemente "spirituale", ma è esclusivamente materiale, di quella materia che va sotto il nome di imperialismo: il sostegno alla rivendicazione dell’indipendenza del Tibet dalla Cina nell’ambito della politica atta a forzare la resistenza che la Cina fa tuttora all’invasione del capitale occidentale, cui, pur aprendo le frontiere, continua a porre vincoli che preservino il proprio interesse a uno sviluppo economico e sociale "autonomo". In piena continuità con la storia di strappare alla Cina intere zone in cui insediare i propri distaccamenti per conquistarne il mercato delle merci, prima fra tutte la merce-uomo, la forza-lavoro. Nella pagina pubblichiamo stralci di due articoli, e i titoli originali, apparsi su "il programma comunista" nel 1959, immediatamente a ridosso della "riconquista" del Tibet da parte dei cinesi. La loro attualità è evidente. Non solo perchè inquadrano dal punto di vista storico il problema-Tibet, ma soprattutto perchè inquadrano dal punto di vista teorico e politico la questione che viene divenendo esplosiva, in Tibet, in Cina, in tutto il mondo prima "coloniale", poi "decolonizzato": il ruolo e la funzione della rivoluzione anti-imperialista. È tema di decisivo interesse per l’oggi, allorchè vengono al pettine tutti i nodi delle contraddizioni capitalistiche, e anche tutti quelli lasciati intricati dal corso delle rivoluzioni precedenti, ivi comprese quelle anti-coloniali (che rivoluzioni lo furono davvero, a scorno degli "indifferentisti" di ieri) e delle rivoluzioni anti- imperialiste a venire, che rientrano perfettamente nel corso della rivoluzione proletaria mondiale, a scorno degli "indifferentisti" di oggi, cui sono applicabili, pari pari, le parole di fuoco di Bordiga, mutuate, con perfetta aderenza, dalle classiche soluzioni di Marx e di Lenin. Nella pagina vi sono anche degli stralci di un articolo (Workers World, 26.8.99) di Sara Flounders, dell’International Action Center di New York, che danno qualche lume sui veri motivi dell’amore che si raccoglie in Occidente attorno al Dalai Lama (amando il quale i nostrani "sinistri" dimostrano solo di amare perdutamente... Washington, come capitale dell’imperialismo mondiale), e dimostrano come anche quelle ridotte trasformazioni realizzate da una rivoluzione inconseguente (sotto la spinta delle masse tibetane!) abbiano reso di già impossibile il semplice ritorno ai tempi che furono (quale tibetano accetterebbe che torni, ora, la schiavitù? Quello sicuro di conservare, e rinforzare con la schiavitù altrui, la propria libertà, ovvero i monaci). Impossibile il ritorno al mitico "idilliaco" passato, ma possibile che l’imperialismo riesca a rimestare nelle difficoltà esistenti per giocarle contro l’intera Cina e risottometterla tutta al suo completo dominio. Non sarà inevitabile, e neppure facile. E della cosa noi gioiamo, perchè da essa sicuramente trarrà immensi benefici la ripresa della lotta e dell’antagonismo del proletariato occidentale. (Qui ho omesso gli stralci dell'articolo della Flounders, riportato integrale come primo allegato - n.d. G. Ellero) Nella pagina pubblichiamo stralci di due articoli, e i titoli originali, apparsi su "il programma comunista" nel 1959, immediatamente a ridosso della "riconquista" del Tibet da parte dei cinesi. La loro attualità è evidente. Indice 1. *** I fatti del Tibet, controprova del conformismo nazionalcomunista ("il programma comunista" n. 7/1959) 2. *** La rivolta del Tibet e il comunismo rivoluzionario ("il programma comunista" n.8/1959) ---------------------------------------- 1. I fatti del Tibet, controprova del conformismo nazionalcomunista Mentre scriviamo, la rivolta del Tibet appare domata. Il Dalai Lama, che agli occhi della stampa atlantica è assurto a nuovo simbolo della lotta contro il "materialismo ateo", ha raggiunto il territorio indiano. Il Budda vivente, il Grande Oceano incarnato, è salvo! I conformisti di tutto il mondo, resisi improvvisamente consci della importanza che riveste il lamaismo nella lotta per i "diritti dell’anima", hanno tratto un sospiro di sollievo. Di che meravigliarsi? La borghesia occidentale, pur di servirsi della influenza della chiesa cattolica, ha rinnegato tutte le tradizioni di pensiero anti-ecclesiastico che, bene o male, permisero lo sviluppo di potenti strumenti intellettuali, come quelli forgiati dalla rivoluzione scientifica del darwinismo, e nella ricerca affannosa di argini da opporre alla marea proletaria si è buttata in ginocchio davanti ai Papi cattolici. Ma ora nemmeno il cattolicesimo basta più: ed eccola prosternarsi al papa dei tibetani! La malafede della stampa occidentale è provata a sazietà dal comportamento, del tutto opposto, che osserva nei confronti delle rivolte dei "popoli di colore" oppressi dal colonialismo bianco. La spedizione nell’al di là di qualche migliaio di monaci tibetani, abituati come i religiosi di tutte le latitudini a vivere alle spalle del popolo, ha avuto il magico effetto di accendere passioni umane nei cuori di granito che assistono impassibili al massacro del popolo algerino e alle repressioni della polizia colonialista nel Camerun, nel Congo, nel Nyassa. La "barriera di colore" è improvvisamente caduta. Il razzismo degli illustri prostituti intellettuali che scrivono nel "Popolo", nel "Corriere della Sera", nel "Tempo", nel "Secolo", ha dall’oggi al domani concesso un esonero all’aristocrazia feudale tibetana. Coloro i quali predicono che "L’Africa, abbandonata dai civilizzatori, ricadrebbe ineluttabilmente nelle tenebre della barbarie, e forse nel cannibalismo", scoprono "il diritto delle popolazioni del Tibet a svolgere il proprio tipo di civiltà!" (...) Che cos’era il Tibet quando le armate di Mao-Tse Dun vi misero piedi (n.)? Per saperlo, leggiamo un brano dell’articolo "Tibet: società feudale immutata nei secoli", apparso ne "L’Unità" del 31-3-59 (...): "Ancora oggi, dopo l’accordo del 1951, questo paese (il Tibet) che si estende per circa un milione di chilometri quadrati sul più elevato altopiano del mondo, è retto autocraticamente dai monaci buddisti. È una società feudale, organizzata rigidamente a piramide, al vertice della quale è il Dalai Lama e alla cui base sono i servi della gleba. Tutto il potere emana dai monaci dei tre grandi monasteri di Drebung, Sera e Ganden, ed è tra essi che vengono scelti sia i membri del Casiag, il governo responsabile verso il Dalai Lama, che i funzionari Lama…La suprema autorità è, come si è detto, il Dalai Lama, il "Grande Oceano", che, per i credenti lamaisti è l’incarnazione di Cerenzi, il signore della Misericordia, dio patrono del Tibet…Esiste tuttavia, un’altra somma incarnazione, quella di Opame, il Budda della Luce smisurata, ed è il Pancen Lama, o comunemente chiamato anche il Figlio, rispetto al Padre che è il Dalai Lama, e divide col Dalai l’autorità spirituale e temporale, quando non è diviso da esso da insanabili contrasti, come è accaduto in più di una occasione nella secolare storia del Tibet". Dopo averci erudito circa la struttura politica del "misterioso" paese e il fatto che la chiesa lamaica accentra nelle sue mani il potere spirituale e temporale, il governo delle anime e dei corpi, l’"Unità" passa a descrivere le condizioni sociali del paese. Potremmo ricavarle da qualsiasi testo di geografia, ma preferiamo che sia l’"Unità" ad informarcene: "Monaci e proprietari fondiari posseggono tutta la ricchezza del Tibet, se di ricchezza si può parlare, in una società di tribù nomadi ed in perenne guerriglia tra di loro. Una parte dei proventi di allevamento (del bestiame) debbono essere versati ai monasteri, e al governo centrale, e i lamasteri e i notabili sono stati fino a qualche anno fa la sola fonte di credito, dato a tassi di interesse esorbitanti, per i contadini e i pastori…Il contadino tibetano è press’a poco al livello di tredici secoli fa, quando il contatto con la Cina della dinastia Tang gli insegnò ad usare i primi strumenti agricoli. Il suo aratro è ancora quello, rudimentale, di legno a chiodo, così leggero da poter essere portato a spalla". (...) Le condizioni in cui si trovavano i paesi europei invasi dalle armate napoleoniche all’inizio del secolo scorso, erano più avanzate di quelle tutt’ora esistenti nel Tibet. Ma la conquista francese, benché non immune da tendenze nazionaliste, condusse energicamente la sua missione di diffondere la rivoluzione democratica nell’ostile mondo feudale che attorniava la Francia. Perciò, i comunisti non hanno mai nascosto l’ammirazione per le imprese napoleoniche (n.): lo stesso Marx, come è noto, definì Napoleone I° "eroe della rivoluzione". (...) La rivoluzione non ha "patti" da rispettare, che non siano quelli che ha stretto, sul terreno della dottrina e della azione, nei riguardi della classe rivoluzionaria. La legalità borghese, di cui il diritto internazionale è un aspetto, pensino a difenderla i servi della borghesia dominante. La rivoluzione proletaria non esiterà, se necessario, a passare in armi i "sacri confini" nazionali, propagando l’incendio sociale (n.). La campagna militare contro la Polonia reazionaria, scatenata nel 1920, dalla Russia leninista resta per noi un’esperienza valida. All’epoca appoggiammo con entusiasmo l’azione dell’Armata Rossa e da allora nessun dubbio ci ha sfiorati. Dal punto di vista della lotta di classe, il comunismo aveva tutte le ragioni di portare l’attacco militare alla Polonia, sostenuta ed aizzata dall’imperialismo occidentale. Il bolscevismo russo e l’Internazionale agivano in perfetta coerenza coi principi marxisti e gli interessi della classe operaia sforzandosi di portare la rivoluzione fuori dai confini che i rapporti di forza assegnavano alla Russia rivoluzionaria. Allora, non si predicava certo la "coesistenza pacifica" col capitalismo e apertamente si dichiarava che la "dominazione mondiale" del comunismo - già dominazione mondiale del proletariato sulla borghesia mondiale - era la finalità suprema dell’azione rivoluzionaria comunista. (...) ("il programma comunista" n. 7/1959) ---------------------------------------------- 2. La rivolta del Tibet e il comunismo rivoluzionario (...) Che il paese "più alto" del mondo sia anche, dal punto di vista della evoluzione storica, "il più basso", si è incaricata la stampa politica di ricordarlo ai distratti. La dominazione di una ristretta aristocrazia fondiaria, che vive alle spalle delle tribù disseminate negli immensi altopiani; la servitù della gleba che ancora perpetua condizioni presenti in Europa nell’alto Medioevo; la concentrazione dei mezzi di produzione, principalmente della terra, nelle mani dell’aristocrazia e del clero lamaista; l’oligarchia monastico-aristocratica, che si regge sulla simbiosi tra il potere locale dei capi-tribù e i monasteri lamaisti, organi politici e economici oltre che religiosi; il potere assoluto del Dalai Lama, il dio-re, che accentra il potere temporale e "spirituale"; sono elementi essenziali della organizzazione sociale tibetana, di cui ogni giornale ha dato erudite descrizioni. (...) I nostri estremisti infantili, si sa, professano indifferenza verso le rivoluzioni nazionali afro-asiatiche. Anzi, negano che si tratti di trasformazioni rivoluzionarie echeggiando stranamente i pregiudizi razzisti dei nostri peggiori reazionari, i quali affermano che l’Asia, l’Africa, l’America Latina sono condannate a restare in eterno nelle condizioni in cui si trovano. Noi, invece, pensiamo che nulla autorizzi a ritenere che la teoria marxista sulla questione nazionale e coloniale sia stata superata dagli eventi (n.). Crediamo, in particolare che nei continenti una volta soggiogati dal colonialismo bianco sia in atto un rivolgimento di portata rivoluzionaria, e in quanto tale merita di essere appoggiato dai comunisti rivoluzionari. (...) Vedremo che cosa architetteranno i nostri sinistrissimi, quando scenderanno dal loro piedestallo di indifferenza e si degneranno di dirci che pensano delle "cose del Tibet". Intanto, le posizioni che abbiamo prontamente prese dimostrano ampiamente come sia possibile seguire una giusta linea marxista senza precipitare nei burroni, ugualmente pseudomarxista e dell’ultra- sinistrismo. Abbiamo dimostrato, in particolare come l’appoggio al movimento rivoluzionario antifeudale non comporti che le posizioni del partito comunista rivoluzionario si confondano con quelle dei partiti che del comunismo rappresentano la degenerazione opportunista. Esiste una reale politica di intervento nella organizzazione sociale di un paese feudale, nel nostro caso il Tibet, che non può definirsi marxista anche se applicata da un partito che al marxismo pretende di rifarsi. Ed è quella seguita dal partito comunista cinese, il quale, per soddisfare certe esigenze di politica estera, accondiscende a "coesistere" col feudalesimo tibetano. Esiste, invece, una politica, purtroppo solo virtuale, che, se applicata, riscuoterebbe il nostro appoggio. Quale? L’abbiamo detto nell’articolo precedente: la guerra rivoluzionaria, cioè la conquista militare portatrice di rivoluzione. Ciò significa che se le armate di Mao Tse Dun, entrate nel 1950 nel Tibet, avessero abbattuto il potere temporale della Chiesa lamaista, spodestata l’aristocrazia tribale-feudale e liberati i servi della gleba, noi avremmo appoggiato, sia pure dalle colonne di questo foglio, tale impresa? Esattamente. Avremmo plaudito alle armate di Mao Tse Dun, come plaudiremmo, se la storia potesse ripetersi, alle truppe della Convenzione Giacobina. Ma ciò sarebbe bastato a farci considerare il partito comunista cinese come un partito marxista ortodosso? No di certo. È storicamente provato che un partito proletario comunista può capeggiare, nell’epoca dell’imperalismo, una rivoluzione antifeudale. Ma non è vero il contrario: cioè che chiunque porti avanti una rivoluzione antifeudale si debba considerare marxista (n.). (...) L’altra geniale obiezione dei nostri estremo-sinistri da asilo infantile è che noi, appoggiando le rivoluzioni afro- asiatiche (magari avessimo tanta forza da appoggiarle sul serio, con le armi in pugno!) aiutiamo la borghesia indigena a costruire lo Stato nazionale. Altra accusa idiota. (...) Noi, con Lenin e le tradizioni della Terza Internazionale, siamo per la liberazione delle nazionalità oppresse, perché la rottura dei vincoli coloniali e paracoloniali è condizione indispensabile della liquidazione di forme produttive arretrate. Cioè, i marxisti appoggiano la formazione dello Stato nazionale, in ambiente storico precapitalista, perché esso rappresenta lo strumento indispensabile, nell’assenza della rivoluzione proletaria, per abbattere rapporti sociali e politici antiquati. Quel che conta, in sostanza, è appunto la messa in moto dei profondi fattori economici che il colonialismo e il paracolonialismo tenevano immobilizzati (n.). Per tal ragione, come avremmo salutato con soddisfazione una rivolta antifeudale delle classi inferiori tibetane, così avremmo appoggiato, per quel che possiamo, una guerra rivoluzionaria della Cina contro l’aristocrazia feudale del Tibet, una guerra di tipo napoleonico che unisse la conquista militare del territorio allo spodestamento delle vecchie strutture politiche. (...) Senza la rivoluzione antifeudale, non è possibile la rivoluzione proletaria. Senza l’abolizione della servitù della gleba e della clericocrazia (ci si perdoni il termine), non è possibile la nascita di un proletariato tibetano, destinato ad impugnare, presto o tardi, la bandiera rossa della rivoluzione comunista. Qui il punto. Ma i nostri estremisti infantili non lo comprendono, chiusi come sono nel lamasterio dell’indifferentismo. ("il programma comunista" n.8/1959) --------------------------- end
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