Cari turisti del cazzo in Nepal... dedicato a Patrizio Roversi



In copia conforme... 

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CARI TURISTI PER CASO IN NEPAL.... 

Ciao Patrizio (e Susy)
Ti scrivo in merito ultime tre puntate di Turisti per caso, 
il viaggio in India e Nepal, andate in onda il 14, 21 e 28 
gennaio 2002. 
Ho riscontrato che più volte sia tu che il tuo compagno di 
viaggio in terra nepalese avete definito il Tibet come 
"terra occupata, invasa, colonizzata" dalla Cina comunista, 
all'inizio degli anni '50 o giù di lì, con conseguente fuga 
nel '59 del Dalai Lama assieme a tutta la classe dirigente 
tibetana (parole testuali tue e del tuo compagno di viaggio 
sia nella puntata del 21 che del 28 gennaio). Mi suonava 
strano, e sono andato a vedere alcuni miei vecchi libri 
scolastici (sono tuo coetaneo). Sorpesa: (ri)scopro che la 
Cina - o meglio l'Impero cinese - dopo alterne vicende in 
tempi medievali (europei) conquista il Tibet nei primi anni 
del 1700, quasi 300 anni fa, e che da allora il Tibet è 
stato considerato internazionalmente e da tutti i 
successivi governi cinesi, Quomintang compreso, territorio 
facente parte della Cina. E (ri)scopro che ad "invadere, 
colonizzare, occupare" non solo il Tibet ma varie ampie 
regioni cinesi sono stati - tra gli altri - gli Inglesi, 
potenza coloniale mondiale che ha mantenuto sotto il suo 
dominio il Tibet per 45 anni fino alla, questa volta sì, 
LIBERAZIONE da parte dei cinesi nel '49 (e che 
nell'occasione fossero cinesi comunisti mi sembra un 
dettaglio, storia alla mano e a meno di non essere in 
malafede). Insomma, da tutta questa STORIA ne viene fuori 
che richiedere ora l'indipendenza del Tibet su basi 
storiche e di giustizia geopolitica, dopo 300 anni di 
appartenenza cinese e altri secoli di contiguità e 
relazioni strette, sarebbe come restituire Ferrara ai 
discendenti degli Este, ad Alberto da Giussano il 
Bergamasco e la Spagna agli Arabi (e agli Ebrei). Pensando 
al tuo documentario di viaggio mi viene da dire che non 
conosci la storia, almeno la storia di India, Tibet, Nepal. 
Certo, potremmo trascurare l'ignoranza o la disinformazione 
storico-politica: altra cosa sarebbe chiedere, ad esempio, 
l'indipendenza del Tibet per ragioni socio-cultural-
umanitarie (modello Kosovo, per intenderci). 
E allora seguiamo il tuo documentario e seguiamo anche 
alcuni testi informativi sulla situazione attuale e 
pregressa di Tibet e Nepal. 
In Nepal tu scopri una situazione di povertà allucinante, 
conosciuta a livello internazionale magari dall'Onu o da 
chi si occupa di politica internazionale ma ignota 
all'opinione pubblica media, un'assenza di scuole, di 
infrastrutture, di una qualsivoglia base economica su cui 
lavorare e far lavorare il Nepal in autonomia per 
risollevarsi dalla povertà - fosse pure al rischio di 
sacrificarvi qualche brandello della sua "purezza mistica" 
da te e dal tuo programma tanto ripetutamente decantata. In 
opposizione a questa situazione scopri perfino la 
guerriglia che si ribella al governo, e di cui si sta 
occupando oggi, è notizia di questi giorni, perfino 
l'amministrazione statunitense (vorrà probabilmente 
portarvi i suoi aiuti, del solito tipo che conosciamo: 
Somalia, Nicaragua, Jugoslavia, Colombia, Cile, 
Afghanistan). E scopri pure il monastero che ospita i 
profughi dal Tibet - così racconta il documentario. E nel 
monastero troviamo pentole in acciaio inox, impianti e 
lampade elettriche, una cucina tipo mensa ristorante, acqua 
calda corrente..... Viene da pensare che i pii monaci 
sappiano amministrare bene le loro povere entrate. Dentro 
il monastero. Fuori, incontri una sedicenne del luogo cui 
chiedi "cosa vorrebbe fare da grande", che ti risponde che 
vorrebbe andarsene, studiare, non essere obbligata a 
sposarsi, gestirsi la propria vita in indipendenza. Perchè 
in Nepal non ci sono scuole, lavoro, libertà, futuro. In 
Nepal, parole di nepalese. Qualcosa non quadra. 
E qualcosa non quadra nemmeno quando da altre fonti scopro 
che 50 anni fa il Tibet, come oggi il Nepal, non aveva 
NESSUNA scuola pubblica, poichè l'istruzione - 
esclusivamente religiosa - era riservata agli ospiti dei 
monasteri, riempiti con i figli della nobiltà tibetana - 
donne "naturalmente" escluse - poi destinati a diventare 
classe dirigente (quella scappata nel '59 assieme al Dalai 
Lama), così come non aveva ospedali, medici, strade, 
industria, amministrazione. E che adesso vi sono presenti 
2400 scuole primarie tutte con lingua d'insegnamento 
tibetana, decine di migliaia di medici, un centinaio di 
ospedali e centinaia di presidi sanitari minori, industrie, 
strade, infrastrutture di base. E che gode di un'autonomia 
politica mai avuta in precedenza, tantomeno sotto il 
dominio inglese. 

Come spiegare ora la difformità tra la storia reale qui 
esposta di quelle regioni asiatiche da una parte e il 
carattere mistico-occidentalocentrico-paternalistico-
disinformante del tuo lavoro televisivo dall'altra? 
Scartando una tua/vostra ingnoranza completa su queste 
questioni - credo che prima di fare un servizio del genere 
informarsi in modo corretto su storia, costumi, culture 
locali dovrebbe essere norma - risulta immediatamente 
chiara, in contrapposizione a questa difformità, la 
conformità del taglio del documentario con la campagna 
"Free Tibet" portata avanti da qualche decennio dai 
sedicenti nuovi guru della politica "di sinistra", con 
contorno di "new age", esoteristi, misticisti, 
scientologisti, nuovisti buonisti pacifisti e dalailamisti 
di tutto il mondo. 
Forse non tutti i suddetti, forse nemmeno te, ne sono a 
conoscenza (anche se l'ignoranza è un optional), ma tale 
campagna "Free Tibet" è sostenuta con bei dollaroni dal 
solito Zio d'America. Ecco come: 
" Dal 1955 la CIA inizio' a costruire un esercito 
controrivoluzionario in Tibet, molto simile ai Contras in 
Nicaragua e, piu' recentemente, al finaziamento ed 
addestramento dell'UCK in Kosovo. Il 16 agosto 1999 su 
Newsweek e' apparso l'articolo "Una guerra segreta sul 
tetto del mondo - i monaci e l'operazione segreta della Cia 
in Tibet", nel quale si descrivono in dettaglio le 
operazioni CIA dal 1957 al 1965. Analogamente, il 
principale articolo del Chicago Tribune del 25 gennaio 1997 
descriveva lo speciale addestramento dei mercenari tibetani 
a Camp Hale nelle Montagne Rocciose in Colorado, per tutti 
gli anni '50. Tali mercenari furono paracadutati in Tibet. 
In accordo ai famigerati "articoli del Pentagono" ci sono 
stati almeno 700 di questi voli negli anni 50. Furono usati 
C-130, come piu' tardi in Viet-Nam, per portare munizioni 
ed armi. Vi erano anche basi speciali a Guam e ad Okinawa, 
dove furono addestrati soldati tibetani. Gyalo Thumdup, 
fratello del Dalai Lama, segui' le operazioni, e non era 
certo un mistero. Se ne faceva un vanto. Il Chicago Tribune 
aveva titolato "La guerra segreta della Cia in Tibet" ed 
afferma in modo chiaro che "ben poco sulle operazioni Cia 
in Himalaya e' veramente segreto, eccetto forse ai 
contribuenti USA che le hanno finanziate". La CIA diede una 
rendita annuale speciale di 180000$ al Dalai Lama per tutti 
gli anni 60; questa e' ora una piccola fortuna in Nepal, 
ove aveva organizzato un esercito ed un governo virtuale in 
esilio. Gli USA hanno anche organizzato delle radiostazioni 
per proiettare in Tibet l'"immagine" del DL come quella di 
un dio-re. Ralph McGhee, che ha scritto molti articoli 
sulle operazioni CIA, e mantiene anche un sito web, ha 
descritto in dettaglio come la "compagnia" abbia promosso 
il DL. L'ufficio CIA NATIONAL EDOWDMENT for DEMOCRACY ha 
procurato denaro per un fondo per il Tibet, per la Vove del 
Tibet, e per la campagna internazionale per il Tibet." 

Questo è un estratto di un articolo sul Tibet di S. 
Flouders, da Workers World 1999 - http://www.workers.org . 
Te lo allego qui sotto integrale. 
In fondo trovi un altro articolo sul Tibet, dal Manifesto 
del gennaio 2000, e altro materiale ancora (p.e. le 
posizioni dei comunisti ML italiani all'epoca dell'ingresso 
di Mao in Tibet, analisi utili per capire gli attuali 
movimenti rivoluzionari maoisti nepalesi). 

Buona lettura a tutti voi della troupe. Spero vi siano 
utili per trarne le debite considerazoni rispetto al vostro 
lavoro. 
(Come ciliegina ho notato la marchetta fatta per l'Adidas a 
fine puntata del 28/1, sul cappellino in testa al neonato 
di tre giorni. Ma forse a questo punto è meglio lasciar 
perdere queste sottigliezze)

il tuo affezionato telespettatore 

Giorgio Ellero 
338-9116688 
glry.libero.it 
http://digilander.iol.it/glry 

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Cosa ha a che fare la CIA con il Dalai Lama?
di Sara Flounders
(da Workers World, Aug. 26, 1999 - Web: 
http://www.workers.org)

Il 14 agosto il Dalai Lama (DL) - figura di spicco del 
buddismo tibetano - era a New York in Central Park. In 
questa citta' era gia' apparso in tre incontri al Teatro 
Beacon (tutto esaurito) piu' altre occasioni in cui persone 
benestanti hanno potuto pagare fino a 1000 dollari un 
biglietto per poterlo ascoltare. 
Il Dalai Lama, con il considerevole aiuto dei maggiori 
media, e' divenuto una
figura di culto. Lo si chieda a chiunque si sintonizza 
abitualmente sulle radio-televisioni piu'importanti. Anche 
se non si interessa di politica, costui dira' che il Dalai 
Lama e' una persona buona, santa ed una "forza spirituale". 
Il suo nuovo libro "L'arte della felicita'", scritto 
assieme con Howard C. Cutler, e'stato pubblicizzato fino a 
che non e' entrato nella lista dei best-sellers per 29 
settimane.

Ma il Dalai Lama e' veramente un uomo non-politico? Se 
cosi' fosse, perche' questo "santo" che si ritiene non 
ammazzerebbe un insetto, ha appoggiato i bombardamenti NATO 
sulla Jugoslavia? Le persone interessate alle questioni di 
carattere sociale dovrebbero sapere che, come Papa Giovanni 
Paolo II, il DL denuncia l'aborto, tutte le forme di 
controllo delle nascite e l'omosessualita'. 
L'imperialismo USA ha molta esperienza nell'uso dei 
sentimenti religiosi di milioni di persone. La CIA formo' 
un blocco unico con il Papa, che aveva l'appoggio di 
milioni di cattolici, per abbattere il socialismo in 
Polonia. Non dovrebbe stupire il fatto il DL sia utilizzato 
anche dalla CIA. 
D'altro canto, le figure religiose che si oppongono agli 
USA sono demonizzate o diventano obbiettivi degli assassini 
- dall'Arcivescovo Romero in Salvador ai religiosi 
musulmani in Libano e Palestina/Israele. 
Lo scorso anno Hollywood ha realizzato due importanti films 
sul Tibet. Gli Studios amano il DL, che, come si e' detto, 
incorpora lo spirito e le aspirazioni del popolo tibetano. 
I ricchi gruppi che ora controllano Hollywood - Disney e la 
Tristar - entrambi appoggiano l'organizzazione Free Tibet.
Hollywood glorifica la classe religiosa tibetana ed il suo 
presunto passato idilliaco allo stesso modo in cui "Via col 
vento " glorificava la classe dominate schiavista e 
razzista del vecchio sud.
Uno di quest film, "Sette anni in Tibet", e' stato basato 
su di un libro scritto da un nazista austriaco, Heinrich 
Harrer, coinvolto in alcuni dei crimini piu' brutali dei 
nazi-fascisti austriaci. Harrer fini' in Tibet durante la 
seconda guerra mondiale in missione segreta per 
l'imperialismo tedesco, che stava tentando di competere con 
l'imperialismo britannico in Asia. Egli fu accettato nel 
circolo piu' ristretto, fra la nobilta' tibetana.

# L'imperialismo e le culture indigene.
In tutto il mondo le societa' indigene dal Nord America, 
alla America Latina, l'Africa e l'Oceania sono state 
decimate. La ricca varieta' di culture e' stata scalzata, 
calpestata, ridicolizzata. I nativi sono stati sterminati 
in tutto il mondo da tutte le forze che adesso sembrano 
essere rispettosamente in adorazione della cultura 
tibetana. 
Il Tibet e il buddismo tibetano sarebbero stati di scarso 
interesse per l'imperialismo britannico ed americano se non 
fosse stato per la grande rivoluzione cinese, che ha 
spazzato via tutto il vecchio mondo e la corrotta societa' 
feudale.
Questa e' stata una rivoluzione che ha coinvolto movimenti 
di massa di milioni di contadini poveri organizzati per la 
distribuzione delle terre e per la cacciata dei vecchi 
signori feudali. Tale grade sollevamento sociale ha 
liberato le energie creative e la partecipazione di un 
quarto dell'umanita'.
Tuttora pero' i media occidentali glorificano il vecchio 
Tibet. 

# L'era della divisione della Cina e del suo dominio 
Per oltre 100 anni, le potenze imperialiste dell'Europa 
occidentale ed il Giappone hanno mantenuto la Cina nelle 
sfere di loro influenza, proprio come l'Europa ha mantenuto 
l'Africa fra le sue colonie. Gli Stati Uniti allora si 
opponevano a questo, ma solo in quanto esclusi dall'accesso 
in Cina per i loro affari. Nell'ottocento la Gran Bretagna, 
potenza dominante, combatte' due guerre contro la dinastia 
Manchu per il diritto al controllo sulla vendita dell'oppio 
in Cina. Nel 1904 la GB lancio' una invasione su larga 
scala del Tibet. Col trattato di Lhasa la Cina fu costretta 
a concedere due aree di commercio alla GB, e a pagare un 
ingente somma per riparare alle spese militari della 
guerra. 
Nel 1949 l'armata Rossa era vicina alla sconfitta 
definitiva dell'esercito del Kuomintang del generale Chiang 
Kai-shek, aiutato dagli USA. Washington allora stava 
operando per far aderire il Tibet all'ONU come paese 
indipendente. Gli sforzi fallirono perche' il Tibet e' 
considerato da oltre 700 anni come provincia cinese, ed 
anche il Kuomintang asseriva che la Cina includesse il 
Tibet e l'isola di Taiwan.
Oggi mentre l'imperialismo USA cresce e diventa sempre piu' 
aggressivo, esso si sta muovendo su vari fronti per forzare 
la separazione dalla Cina del Tibet, di Taiwan e della 
provincia occidentale del Xinjiang.
Proprio come nei Balcani e nella ex-Unione Sovietica, le 
grandi corporations americane supportano ed incoraggiano i 
separatisti per rompere e controllare completamente le aree 
del globo che precedentemente erano libere dal dominio 
imperialista.

# La vita nell'antico Tibet.
Il Tibet pre-rivoluzionario era una regione totalmente 
sottosviluppata. Non possedeva alcun sistema viario. Le 
sole piste erano quelle della preghiera. Era una teocrazia 
feudale basata su agricoltura, servitu' e schiavitu'.
Oltre il 90% della popolazione era senza terra e ridotta in 
servitu'. Erano legati alla terra ma senza alcuna 
proprieta'. I loro figli erano registrati fra le proprieta' 
del loro Signore.
Non vi erano scuole, eccetto i monasteri in cui (pochi) 
giovani studiavano canti. Il totale degli studenti presenti 
in scuole private era di 600 studenti. L'educazione per le 
donne era totalmente sconosciuta. Non vi era alcuna forma 
di assistenza sanitaria, non vi erano ospedali in tutto il 
Tibet. 
Un centinaio di famiglie nobili e gli abati dei monasteri - 
anche essi membri di famiglie nobili - possedevano tutto. 
Il Dalai Lama viveva nelle 1000 stanze del palazzo di 
Potala. Tradizionalmente era scelto nella sua infanzia fra 
i giovani delle famiglie potenti. Egli rimaneva poi come un 
pupazzo sotto il controllo del notabilato che lo seguiva.
Per il contadino medio la vita era breve e misera, il Tibet 
aveva il piu' alto tasso di tubercolosi e mortalita' 
infantile nel mondo. Oggi il Tibet ha 2380 scuole primarie, 
moltissime scuole professionali e l'istruzione si svolge in 
lingua tibetana. Vi sono oltre 20000 dottori, 95 ospedali 
cittadini e 770 cliniche.

# La lotta di classe in Cina.
Nel 1949 la Rivoluzione Cinese stabili' primariamente che 
il Tibet fosse una regione autonoma con molti piu' diritti 
di quanti ne avesse mai avuti in precedenza. La politica 
del PC Cinese fu quella di attendere che si sviluppassero 
le condizioni fra le classi oppresse tibetane per il 
sollevamento e la cacciata del regime feudale.
La schiavitu' fu dichiarata fuorilegge solo dal 1959, 10 
anni dopo la Rivoluzione. Cio' avvene dopo un grande 
movimento di massa che isolo' il Dalai Lama. E' vero, 
comunque , che il PC cinese abbia sfidato gli antichi 
costumi tibetani. 
Prima di tutto il governo cinese pago' un adeguato salario 
a tutti coloro che lavorassero alla costruzione delle 
strade. Cio' distrusse totalmente l'usanza della servitu'. 
Prima di cio' un servo poteva sopravvivere lavorando per il 
Signore: non per guadagnare ma per il cibo. 
Ancora piu' rivoluzionario fu pagare i ragazzi e gli ex-
schiavi per frequentare le scuole; essi furono anche dotati 
di libri, vitto e alloggio. Nelle famiglie piu' disperate 
avevano dovuto lavorare anche i bambini per sopravvivere. 
La nuova politica rivoluzionaria sollevo' per la prima 
volta il livello economico delle classi piu' oppresse di 
questa societa' cosi' rigida. 

# La Cia mobilita le resistenza delle classi-dominanti 
Dal 1955 la CIA inizio' a costruire un esercito 
controrivoluzionario in Tibet, molto simile ai Contras in 
Nicaragua e, piu' recentemente, al finaziamento ed 
addestramento dell'UCK in Kosovo.
Il 16 agosto 1999 su Newsweek e' apparso l'articolo "Una 
guerra segreta sul tetto del mondo - i monaci e 
l'operazione segreta della Cia in Tibet", nel quale si 
descrivono in dettaglio le operazioni CIA dal 1957 al 1965.
Analogamente, il principale articolo del Chicago Tribune 
del 25 gennaio 1997 descriveva lo speciale addestramento 
dei mercenari tibetani a Camp Hale nelle Montagne Rocciose 
in Colorado, per tutti gli anni '50.
Tali mercenari furono paracadutati in Tibet. In accordo ai 
famigerati "articoli del Pentagono" ci sono stati almeno 
700 di questi voli negli anni 50. Furono usati C-130, come 
piu' tardi in Viet-Nam, per portare munizioni ed armi. Vi 
erano anche basi speciali a Guam e ad Okinawa, dove furono 
addestrati soldati tibetani. Gyalo Thumdup, fratello del 
Dali Lama, segui' le operazioni, e non era certo un 
mistero. Se ne faceva un vanto. 
Il Chicago Tribune aveva titolato "La guerra segreta della 
Cia in Tibet" ed afferma in modo chiaro che "ben poco sulle 
operazioni Cia in Himalaya e' veramente segreto, eccetto 
forse ai contribuenti USA che le hanno finanziate".
La CIA diede una rendita annuale speciale di 180000$ al 
Dalai Lama per tutti gli anni 60; questa e' ora una piccola 
fortuna in Nepal, ove aveva organizzato un esercito ed un 
governo virtuale in esilio. Gli USA hanno anche organizzato 
delle radiostazioni per proiettare in Tibet l'"immagine" 
del DL come quella di un dio-re.
Ralph McGhee, che ha scritto molti articoli sulle 
operazioni CIA, e mantiene anche un sito web, ha descritto 
in dettaglio come la "compagnia" abbia promosso il DL. 
L'ufficio CIA NATIONAL EDOWDMENT for DEMOCRACY ha procurato 
denaro per un fondo per il Tibet, per la Vove del Tibet, e 
per la campagna internazionale per il Tibet. 


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"Il Manifesto" del 9 Gennaio 2000 

CINA: UNA CRISI ALLA FRONTIERA DI UNA NUOVA GUERRA FREDDA

Il mito del Tibet
Dall'Impero a Mao, un popolo in gioco tra "modernizzazioni" 
di Pechino e interessi occidentali in Asia. La fuga del 
"giovane Buddha" dalla storia
all'immaginario

- ENRICA COLLOTTI PISCHEL -

La notizia della fuga dalla Cina del giovanissimo Lama 
Ugyen Trinley Dorje, terza autorità nella gerarchia delle 
reincarnazioni del buddhismo tibetano stata ritenuta molto 
ghiotta dai giornali italiani e viene considerata un grave 
scacco per il governo cinese che non sarebbe riuscito a 
impedirla, nonostante il proprio apparato militare.
Quest'interpretazione ignora che i cinesi non hanno mai 
fatto nulla per fermare la fuga dei rappresentanti politici 
e religiosi tibetani dalla Cina: nel 1959 l'intera classe 
dirigente tibetana, con alla testa il Dalai Lama si 
allontanò da Lhasa con una lunga fuga a piedi, nonostante 
il pattugliamento degli aerei da combattimento cinesi. Fa 
parte della politica delle autorità cinesi il pensare che 
gli avversari è sempre meglio tenerli fuori del paese che 
dentro, meglio lontani dai loro adepti che vicini. Se poi 
le circostanze equivoche di quest'ultimo episodio - cioè la 
mancata condanna di Pechino - possano far pensare a ipotesi 
di contatti con il Dalai Lama e di trattative di 
conciliazione, è difficile dirlo ora. Certamente il fatto 
che la grande organizzazione propagandistica che negli 
Stati Uniti (ma anche in Europa e nello stesso nostro 
scafato e realistico paese) sostiene la causa 
dell'indipendenza tibetana si sia buttata sull'episodio, 
non rende certo facile un'intesa: i cinesi sanno fare molto 
bene i compromessi e sono disposti a concluderli quando 
siano convenienti. Ma ritengono che debbano essere cercati 
e raggiunti con la massima discrezione e comunque al di 
fuori di pressioni che li possano far apparire come una 
resa a pressioni straniere. 
E non dimentichiamo mai che "straniero" per l'intera Asia 
orientale nell'ultimo secolo e mezzo ha significato 
umiliazione e asservimento: di essa fece parte anche il 
tentativo pi volte condotto di staccare il Tibet dalla Cina.

Il più povero

Molte cose dovrebbero essere dette a proposito del mito del 
Tibet che ha preso piede, anche nei ranghi della sinistra. 
Dal cinematografico "Shangri-la", al di fuori del tempo, 
dello spazio e del clima, alle ovvie seduzioni di turismo 
"estremo", dalle tendenze a vedere esempi validi in civiltà 
rimaste primitive e tagliate fuori dal processo della 
storia, alla sistematica disinformazione diffusa da potenti 
mezzi mediatici statunitensi e al fascino che sugli 
occidentali delusi esercitano le religioni e le ideologie 
esotiche ed esoteriche, tutto confluito in un'affabulazione 
della quale sono stati vittime in primo luogo proprio i 
tibetani.
Certamente sono uno dei popoli più poveri del mondo, 
esposti a molteplici forme di oppressione: tra esse quella 
cinese è stata con ogni probabilità meno gravosa di quella 
esercitata dai monaci e dagli aristocratici, dei quali i 
pastori e i contadini erano fino al 1959 "schiavi", nel 
senso letterale del termine, in quanto sottoposti al 
diritto di vita e di morte dei loro padroni. Che poi tutti, 
ma con ben diverso vantaggio, trovassero conforto nel 
ricorso ad una delle forme più degradate di buddhismo (il 
buddhismo tantrico tibetano popolato di fantasmi e di 
incantesimi ha ben poco a che vedere con la meditazione 
intellettuale e la creatività artistica dello Zen), si può 
anche comprenderlo.
Per fare un minimo di chiarezza è necessario comunque 
precisare alcune cose. Il Tibet non stato "conquistato 
dalla Cina comunista nel 1950": dopo precedenti più 
discontinui rapporti, fu conquistato dall'impero cinese, 
nella prima metà del secolo XVIII e da allora stato 
considerato parte dello stato cinese da tutti i governi 
della Cina, anche dal Guomindang. La Cina (in cinese "Stato 
del Centro") è stato ed è uno stato multietnico nel quale è 
in corso da millenni un processo di trasferimenti di gruppi 
etnici e soprattutto di fusione dei gruppi periferici entro 
quello più importante che rappresenta nove decimi dei 
cinesi ed è sempre stato capace di offrire ai suoi membri 
una maggiore prosperità e i benefici di una cultura più 
concreta. Mettere in discussione la natura multietnica 
della civiltà e dello stato cinesi significherebbe mettere 
in moto la più spaventosa catastrofe degli ultimi secoli. 
Quella praticata dalla Cina non è mai stata una politica di 
"pulizia etnica" bensì di fusione entro un insieme non 
etnico ma contraddistinto da una comune cultura e da comuni 
pratiche produttive: più che sterminarle, i cinesi hanno 
comprato le minoranze. 
E' vero che i tibetani per ragioni geografiche sono, entro 
lo "Stato del Centro" il gruppo più lontano dalla comune 
cultura, però da 250 anni sono stati sempre governati da 
funzionari cinesi nominati dal governo centrale: 
giuridicamente e istituzionalmente ciò ha un senso. Gli 
inglesi all'apice del loro potere sull'India all'inizio del 
secolo XX intrapresero, tuttavia, una serie di manovre per 
staccare il Tibet dalla Cina e porlo sotto la loro 
influenza giungendo, nel 1913 a convocare una conferenza a 
Simla nella quale le autorità tibetane cedettero vasti 
territori all'India britannica. 
Nessun governo cinese ha mai accettato la validità di 
quella conferenza.
Nel periodo precedente il 1949 il governo del Guomindang 
considerava il Tibet a pieno diritto, parte del proprio 
territorio, tanto che durante la Seconda guerra mondiale 
concedeva il diritto di sorvolo agli aerei alleati.

Il ruolo della Cia

Non ha quindi alcun senso dire che la Cina conquistò il 
Tibet nel 1950; nel 1950 le forze di Mao completarono in 
Tibet il controllo sul territorio cinese; nel 1951 fu 
raggiunto un accordo con il Dalai Lama per la concessione 
di un regime di autonomia. Verso il 1957, nel pieno 
dell'assedio statunitense alla Cina, i servizi segreti 
inglesi e americani fomentarono una rivolta dei gruppi di 
tibetani arroccati sulle montagne delle regioni cinesi del 
Sichuan e dello Yunnan, lungo la strada che dalla Cina 
porta al Tibet; i cinesi repressero certamente la rivolta 
con pugno di ferro: nelle circostanze internazionali nelle 
quali si trovavano e nel loro contesto etnico non era 
razionale pensare che si comportassero diversamente. Alla 
fine del 1958 i servizi segreti inglesi
annunciarono che all'inizio del 1959 essa si sarebbe 
trasferita a Lhasa e avrebbe cercato l'appoggio del Dalai 
Lama. Ed infatti ciò che avvenne: sullo
sfondo della rivolta, il Dalai Lama dichiarò decaduto 
l'accordo per il regime autonomo e fuggì con la maggioranza 
della classe dirigente tibetana in India, dove costituì un 
proprio governo in esilio e il proprio centro di 
propaganda. 
Nessun governo al mondo ha riconosciuto questa compagine. 
Recentemente la Cia (i servizi segreti americani sono 
infatti obbligati a rendicontare prima o poi le loro spese 
di fronte ai contribuenti) ha ammesso di aver finanziato 
tutta l'operazione della rivolta tibetana.

Pechino: autonomia no

Dopo il 1959 il governo cinese spossessò monasteri e 
aristocratici e "liberò gli schiavi", iniziando una 
politica di modernizzazione forzosa (vaccinazioni, 
costruzione di opere pubbliche) e di formazione di una 
classe dirigente locale, figlia di schiavi, sottoposta a un 
bombardamento educativo razionalista e anti-religioso. 
Furono questi giovani che durante la rivoluzione culturale 
distrussero templi e monasteri, infliggendo gravi danni a 
un patrimonio culturale unico e a un'identità certo non 
abbandonata dalle masse.
Dopo la morte di Mao, i governanti cinesi hanno cercato di 
ristabilire i rapporti con i tibetani, migliorando le sorti 
economiche dell'altipiano ma importando anche gran numero 
di cinesi, non solo militari. Hanno anche trattato 
indirettamente con il Dalai Lama, che - politico asiatico 
molto scaltro - non chiede l'indipendenza, ma una più o 
meno larga autonomia: Pechino non ha mai tuttavia voluto 
concedere un reale autogoverno, che aprirebbe rischi di 
secessione e metterebbe in discussione tutti i rapporti 
etnici del vasto paese. Alle spalle del Dalai Lama si è 
sviluppato, intanto, un vasto insieme di interessi della 
classe dirigente tibetana che ormai è nata all'estero e vi 
ha ricevuto una formazione culturale moderna: è questa che 
chiede un'indipendenza che potrebbe essere ottenuta solo 
con una guerra spietata alla Cina e potrebbe essere 
innestata dal reclutamento di giovani guerriglieri in India 
- segnali "terroristici" in questo senso ci sono già stati. 
Erano proprio dissennati i governanti cinesi che ritenevano 
che l'attacco alla Serbia motivato dalla difesa dei 
"diritti umani" in Kosovo fosse in effetti la prova 
generale di un attacco alla Cina?


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Da "CHE FARE" 51, nov/dic 1999 

- STORIA - 

1959: "LA RIVOLTA DEL TIBET E IL COMUNISMO RIVOLUZIONARIO"

Poche settimane orsono il Budda vivente ha onorato l’Italia 
di una sua graziosissima visita. Platee di teatri 
(rigorosamente paganti in volgarissimo denaro) e pubblico 
televisivo di ogni canale hanno potuto saziare la fame del 
proprio "spirito" con il suo alto insegnamento. 
Perchè tanto interesse per una personalità che rappresenta 
non tanto e non solo una religione, quanto la 
giustificazione storico-ideologica dell’assetto sociale -
feudale e schiavistico- che il Tibet aveva prima di essere 
"annesso" alla Cina "comunista"? I governi, i media e gli 
intellettuali d’Occidente non mettono, certo, la stessa 
passione difensiva e tutelatrice verso qualunque altro 
rappresentante di religioni ugualmente antiche. Anzi, i 
paesi "avanzati" e la loro religione ufficiale, il 
cristianesimo, si fanno vanto di aver cancellato un gran 
numero di "religioni antiche" per proiettare i loro fedeli 
nella "civiltà" moderna, non importa se sterminandone 
milioni e convertendo i rimanenti con la forza delle lame e 
delle pallottole, o, come è emerso durante il viaggio del 
papa in India, con i fondi del Fmi regalati ai cristiani 
per sovvenzionare le loro "caritatevoli" istituzioni, 
scuole, asili, ospedali (qualche organizzazione indù ha 
sintetizzato felicemente rivolgendo al papa una sola 
parola: bandito!). 
L’interesse non è, evidentemente "spirituale", ma è 
esclusivamente materiale, di quella materia che va sotto il 
nome di imperialismo: il sostegno alla rivendicazione 
dell’indipendenza del Tibet dalla Cina nell’ambito della 
politica atta a forzare la resistenza che la Cina fa 
tuttora all’invasione del capitale occidentale, cui, pur 
aprendo le frontiere, continua a porre vincoli che 
preservino il proprio interesse a uno sviluppo economico e 
sociale "autonomo". In piena continuità con la storia di 
strappare alla Cina intere zone in cui insediare i propri 
distaccamenti per conquistarne il mercato delle merci, 
prima fra tutte la merce-uomo, la forza-lavoro. 
Nella pagina pubblichiamo stralci di due articoli, e i 
titoli originali, apparsi su "il programma comunista" nel 
1959, immediatamente a ridosso della "riconquista" del 
Tibet da parte dei cinesi. La loro attualità è evidente. 
Non solo perchè inquadrano dal punto di vista storico il 
problema-Tibet, ma soprattutto perchè inquadrano dal punto 
di vista teorico e politico la questione che viene 
divenendo esplosiva, in Tibet, in Cina, in tutto il mondo 
prima "coloniale", poi "decolonizzato": il ruolo e la 
funzione della rivoluzione anti-imperialista. È tema di 
decisivo interesse per l’oggi, allorchè vengono al pettine 
tutti i nodi delle contraddizioni capitalistiche, e anche 
tutti quelli lasciati intricati dal corso delle rivoluzioni 
precedenti, ivi comprese quelle anti-coloniali (che 
rivoluzioni lo furono davvero, a scorno degli 
"indifferentisti" di ieri) e delle rivoluzioni anti-
imperialiste a venire, che rientrano perfettamente nel 
corso della rivoluzione proletaria mondiale, a scorno degli 
"indifferentisti" di oggi, cui sono applicabili, pari pari, 
le parole di fuoco di Bordiga, mutuate, con perfetta 
aderenza, dalle classiche soluzioni di Marx e di Lenin. 
Nella pagina vi sono anche degli stralci di un articolo 
(Workers World, 26.8.99) di Sara Flounders, 
dell’International Action Center di New York, che danno 
qualche lume sui veri motivi dell’amore che si raccoglie in 
Occidente attorno al Dalai Lama (amando il quale i nostrani 
"sinistri" dimostrano solo di amare perdutamente... 
Washington, come capitale dell’imperialismo mondiale), e 
dimostrano come anche quelle ridotte trasformazioni 
realizzate da una rivoluzione inconseguente (sotto la 
spinta delle masse tibetane!) abbiano reso di già 
impossibile il semplice ritorno ai tempi che furono (quale 
tibetano accetterebbe che torni, ora, la schiavitù? Quello 
sicuro di conservare, e rinforzare con la schiavitù altrui, 
la propria libertà, ovvero i monaci). Impossibile il 
ritorno al mitico "idilliaco" passato, ma possibile che 
l’imperialismo riesca a rimestare nelle difficoltà 
esistenti per giocarle contro l’intera Cina e 
risottometterla tutta al suo completo dominio. Non sarà 
inevitabile, e neppure facile. E della cosa noi gioiamo, 
perchè da essa sicuramente trarrà immensi benefici la 
ripresa della lotta e dell’antagonismo del proletariato 
occidentale. 
(Qui ho omesso gli stralci dell'articolo della Flounders, 
riportato integrale come primo allegato - n.d. G. Ellero) 

Nella pagina pubblichiamo stralci di due articoli, e i 
titoli originali, apparsi su "il programma comunista" nel 
1959, immediatamente a ridosso della "riconquista" del 
Tibet da parte dei cinesi. La loro attualità è evidente.

Indice 
1. *** I fatti del Tibet, controprova del conformismo 
nazionalcomunista ("il programma comunista" n. 7/1959)
2. *** La rivolta del Tibet e il comunismo rivoluzionario 
("il programma comunista" n.8/1959)

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1. I fatti del Tibet, controprova del conformismo 
nazionalcomunista

Mentre scriviamo, la rivolta del Tibet appare domata. Il 
Dalai Lama, che agli occhi della stampa atlantica è assurto 
a nuovo simbolo della lotta contro il "materialismo ateo", 
ha raggiunto il territorio indiano. Il Budda vivente, il 
Grande Oceano incarnato, è salvo! I conformisti di tutto il 
mondo, resisi improvvisamente consci della importanza che 
riveste il lamaismo nella lotta per i "diritti dell’anima", 
hanno tratto un sospiro di sollievo. Di che meravigliarsi? 
La borghesia occidentale, pur di servirsi della influenza 
della chiesa cattolica, ha rinnegato tutte le tradizioni di 
pensiero anti-ecclesiastico che, bene o male, permisero lo 
sviluppo di potenti strumenti intellettuali, come quelli 
forgiati dalla rivoluzione scientifica del darwinismo, e 
nella ricerca affannosa di argini da opporre alla marea 
proletaria si è buttata in ginocchio davanti ai Papi 
cattolici. Ma ora nemmeno il cattolicesimo basta più: ed 
eccola prosternarsi al papa dei tibetani!
La malafede della stampa occidentale è provata a sazietà 
dal comportamento, del tutto opposto, che osserva nei 
confronti delle rivolte dei "popoli di colore" oppressi dal 
colonialismo bianco. La spedizione nell’al di là di qualche 
migliaio di monaci tibetani, abituati come i religiosi di 
tutte le latitudini a vivere alle spalle del popolo, ha 
avuto il magico effetto di accendere passioni umane nei 
cuori di granito che assistono impassibili al massacro del 
popolo algerino e alle repressioni della polizia 
colonialista nel Camerun, nel Congo, nel Nyassa. La 
"barriera di colore" è improvvisamente caduta. Il razzismo 
degli illustri prostituti intellettuali che scrivono nel 
"Popolo", nel "Corriere della Sera", nel "Tempo", nel 
"Secolo", ha dall’oggi al domani concesso un esonero 
all’aristocrazia feudale tibetana. Coloro i quali predicono 
che "L’Africa, abbandonata dai civilizzatori, ricadrebbe 
ineluttabilmente nelle tenebre della barbarie, e forse nel 
cannibalismo", scoprono "il diritto delle popolazioni del 
Tibet a svolgere il proprio tipo di civiltà!" (...)

Che cos’era il Tibet quando le armate di Mao-Tse Dun vi 
misero piedi (n.)? 
Per saperlo, leggiamo un brano dell’articolo "Tibet: 
società feudale immutata nei secoli", apparso ne "L’Unità" 
del 31-3-59 (...):

"Ancora oggi, dopo l’accordo del 1951, questo paese (il 
Tibet) che si estende per circa un milione di chilometri 
quadrati sul più elevato altopiano del mondo, è retto 
autocraticamente dai monaci buddisti. È una società 
feudale, organizzata rigidamente a piramide, al vertice 
della quale è il Dalai Lama e alla cui base sono i servi 
della gleba. Tutto il potere emana dai monaci dei tre 
grandi monasteri di Drebung, Sera e Ganden, ed è tra essi 
che vengono scelti sia i membri del Casiag, il governo 
responsabile verso il Dalai Lama, che i funzionari Lama…La 
suprema autorità è, come si è detto, il Dalai Lama, il 
"Grande Oceano", che, per i credenti lamaisti è 
l’incarnazione di Cerenzi, il signore della Misericordia, 
dio patrono del Tibet…Esiste tuttavia, un’altra somma 
incarnazione, quella di Opame, il Budda della Luce 
smisurata, ed è il Pancen Lama, o comunemente chiamato 
anche il Figlio, rispetto al Padre che è il Dalai Lama, e 
divide col Dalai l’autorità spirituale e temporale, quando 
non è diviso da esso da insanabili contrasti, come è 
accaduto in più di una occasione nella secolare storia del 
Tibet".

Dopo averci erudito circa la struttura politica del 
"misterioso" paese e il fatto che la chiesa lamaica 
accentra nelle sue mani il potere spirituale e temporale, 
il governo delle anime e dei corpi, l’"Unità" passa a 
descrivere le condizioni sociali del paese. Potremmo 
ricavarle da qualsiasi testo di geografia, ma preferiamo 
che sia l’"Unità" ad informarcene: 

"Monaci e proprietari fondiari posseggono tutta la 
ricchezza del Tibet, se di ricchezza si può parlare, in una 
società di tribù nomadi ed in perenne guerriglia tra di 
loro. Una parte dei proventi di allevamento (del bestiame) 
debbono essere versati ai monasteri, e al governo centrale, 
e i lamasteri e i notabili sono stati fino a qualche anno 
fa la sola fonte di credito, dato a tassi di interesse 
esorbitanti, per i contadini e i pastori…Il contadino 
tibetano è press’a poco al livello di tredici secoli fa, 
quando il contatto con la Cina della dinastia Tang gli 
insegnò ad usare i primi strumenti agricoli. Il suo aratro 
è ancora quello, rudimentale, di legno a chiodo, così 
leggero da poter essere portato a spalla".

(...) Le condizioni in cui si trovavano i paesi europei 
invasi dalle armate napoleoniche all’inizio del secolo 
scorso, erano più avanzate di quelle tutt’ora esistenti nel 
Tibet. Ma la conquista francese, benché non immune da 
tendenze nazionaliste, condusse energicamente la sua 
missione di diffondere la rivoluzione democratica 
nell’ostile mondo feudale che attorniava la Francia. 
Perciò, i comunisti non hanno mai nascosto l’ammirazione 
per le imprese napoleoniche (n.): lo stesso Marx, come è 
noto, definì Napoleone I° "eroe della rivoluzione". (...)
La rivoluzione non ha "patti" da rispettare, che non siano 
quelli che ha stretto, sul terreno della dottrina e della 
azione, nei riguardi della classe rivoluzionaria. La 
legalità borghese, di cui il diritto internazionale è un 
aspetto, pensino a difenderla i servi della borghesia 
dominante. La rivoluzione proletaria non esiterà, se 
necessario, a passare in armi i "sacri confini" nazionali, 
propagando l’incendio sociale (n.). La campagna militare 
contro la Polonia reazionaria, scatenata nel 1920, dalla 
Russia leninista resta per noi un’esperienza valida. 
All’epoca appoggiammo con entusiasmo l’azione dell’Armata 
Rossa e da allora nessun dubbio ci ha sfiorati. Dal punto 
di vista della lotta di classe, il comunismo aveva tutte le 
ragioni di portare l’attacco militare alla Polonia, 
sostenuta ed aizzata dall’imperialismo occidentale. Il 
bolscevismo russo e l’Internazionale agivano in perfetta 
coerenza coi principi marxisti e gli interessi della classe 
operaia sforzandosi di portare la rivoluzione fuori dai 
confini che i rapporti di forza assegnavano alla Russia 
rivoluzionaria. Allora, non si predicava certo la 
"coesistenza pacifica" col capitalismo e apertamente si 
dichiarava che la "dominazione mondiale" del comunismo - 
già dominazione mondiale del proletariato sulla borghesia 
mondiale - era la finalità suprema dell’azione 
rivoluzionaria comunista. (...)

("il programma comunista" n. 7/1959)

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2. La rivolta del Tibet e il comunismo rivoluzionario

(...) Che il paese "più alto" del mondo sia anche, dal 
punto di vista della evoluzione storica, "il più basso", si 
è incaricata la stampa politica di ricordarlo ai distratti. 
La dominazione di una ristretta aristocrazia fondiaria, che 
vive alle spalle delle tribù disseminate negli immensi 
altopiani; la servitù della gleba che ancora perpetua 
condizioni presenti in Europa nell’alto Medioevo; la 
concentrazione dei mezzi di produzione, principalmente 
della terra, nelle mani dell’aristocrazia e del clero 
lamaista; l’oligarchia monastico-aristocratica, che si 
regge sulla simbiosi tra il potere locale dei capi-tribù e 
i monasteri lamaisti, organi politici e economici oltre che 
religiosi; il potere assoluto del Dalai Lama, il dio-re, 
che accentra il potere temporale e "spirituale"; sono 
elementi essenziali della organizzazione sociale tibetana, 
di cui ogni giornale ha dato erudite descrizioni. (...)
I nostri estremisti infantili, si sa, professano 
indifferenza verso le rivoluzioni nazionali afro-asiatiche. 
Anzi, negano che si tratti di trasformazioni rivoluzionarie 
echeggiando stranamente i pregiudizi razzisti dei nostri 
peggiori reazionari, i quali affermano che l’Asia, 
l’Africa, l’America Latina sono condannate a restare in 
eterno nelle condizioni in cui si trovano. Noi, invece, 
pensiamo che nulla autorizzi a ritenere che la teoria 
marxista sulla questione nazionale e coloniale sia stata 
superata dagli eventi (n.). Crediamo, in particolare che 
nei continenti una volta soggiogati dal colonialismo bianco 
sia in atto un rivolgimento di portata rivoluzionaria, e in 
quanto tale merita di essere appoggiato dai comunisti 
rivoluzionari. 
(...) Vedremo che cosa architetteranno i nostri 
sinistrissimi, quando scenderanno dal loro piedestallo di 
indifferenza e si degneranno di dirci che pensano delle 
"cose del Tibet". Intanto, le posizioni che abbiamo 
prontamente prese dimostrano ampiamente come sia possibile 
seguire una giusta linea marxista senza precipitare nei 
burroni, ugualmente pseudomarxista e dell’ultra-
sinistrismo. Abbiamo dimostrato, in particolare come 
l’appoggio al movimento rivoluzionario antifeudale non 
comporti che le posizioni del partito comunista 
rivoluzionario si confondano con quelle dei partiti che del 
comunismo rappresentano la degenerazione opportunista. 
Esiste una reale politica di intervento nella 
organizzazione sociale di un paese feudale, nel nostro caso 
il Tibet, che non può definirsi marxista anche se applicata 
da un partito che al marxismo pretende di rifarsi. Ed è 
quella seguita dal partito comunista cinese, il quale, per 
soddisfare certe esigenze di politica estera, accondiscende 
a "coesistere" col feudalesimo tibetano. Esiste, invece, 
una politica, purtroppo solo virtuale, che, se applicata, 
riscuoterebbe il nostro appoggio. Quale? L’abbiamo detto 
nell’articolo precedente: la guerra rivoluzionaria, cioè la 
conquista militare portatrice di rivoluzione. Ciò significa 
che se le armate di Mao Tse Dun, entrate nel 1950 nel 
Tibet, avessero abbattuto il potere temporale della Chiesa 
lamaista, spodestata l’aristocrazia tribale-feudale e 
liberati i servi della gleba, noi avremmo appoggiato, sia 
pure dalle colonne di questo foglio, tale impresa? 
Esattamente. 
Avremmo plaudito alle armate di Mao Tse Dun, come 
plaudiremmo, se la storia potesse ripetersi, alle truppe 
della Convenzione Giacobina. Ma ciò sarebbe bastato a farci 
considerare il partito comunista cinese come un partito 
marxista ortodosso? No di certo. È storicamente provato che 
un partito proletario comunista può capeggiare, nell’epoca 
dell’imperalismo, una rivoluzione antifeudale. Ma non è 
vero il contrario: cioè che chiunque porti avanti una 
rivoluzione antifeudale si debba considerare marxista (n.). 
(...)
L’altra geniale obiezione dei nostri estremo-sinistri da 
asilo infantile è che noi, appoggiando le rivoluzioni afro-
asiatiche (magari avessimo tanta forza da appoggiarle sul 
serio, con le armi in pugno!) aiutiamo la borghesia 
indigena a costruire lo Stato nazionale. Altra accusa 
idiota. (...)
Noi, con Lenin e le tradizioni della Terza Internazionale, 
siamo per la liberazione delle nazionalità oppresse, perché 
la rottura dei vincoli coloniali e paracoloniali è 
condizione indispensabile della liquidazione di forme 
produttive arretrate. Cioè, i marxisti appoggiano la 
formazione dello Stato nazionale, in ambiente storico 
precapitalista, perché esso rappresenta lo strumento 
indispensabile, nell’assenza della rivoluzione proletaria, 
per abbattere rapporti sociali e politici antiquati. Quel 
che conta, in sostanza, è appunto la messa in moto dei 
profondi fattori economici che il colonialismo e il 
paracolonialismo tenevano immobilizzati (n.). Per tal 
ragione, come avremmo salutato con soddisfazione una 
rivolta antifeudale delle classi inferiori tibetane, così 
avremmo appoggiato, per quel che possiamo, una guerra 
rivoluzionaria della Cina contro l’aristocrazia feudale del 
Tibet, una guerra di tipo napoleonico che unisse la 
conquista militare del territorio allo spodestamento delle 
vecchie strutture politiche.
(...) Senza la rivoluzione antifeudale, non è possibile la 
rivoluzione proletaria. Senza l’abolizione della servitù 
della gleba e della clericocrazia (ci si perdoni il 
termine), non è possibile la nascita di un proletariato 
tibetano, destinato ad impugnare, presto o tardi, la 
bandiera rossa della rivoluzione comunista. Qui il punto. 
Ma i nostri estremisti infantili non lo comprendono, chiusi 
come sono nel lamasterio dell’indifferentismo.

("il programma comunista" n.8/1959)


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