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Professionisti italiani nelle operazioni di pace
- Subject: Professionisti italiani nelle operazioni di pace
- From: "Nello Margiotta" <animarg at tin.it>
- Date: Wed, 28 Nov 2001 19:41:40 +0100
PROFESSIONE PEACEKEEPER (News ITALIA PRESS) "Fornire ai laureati competenze professionali che li rendano capaci di operare in aree di crisi": questo l'obiettivo dichiarato dal professor Alberto Antoniotto, direttore del corso "Peacekeeping e interventi umanitari" presentato ieri nell'Aula magna dell'Università di Torino, che partirà a gennaio. Alla presenza di un pubblico prevalentemente maschile, con una numerosa presenza di militari, il professor Miozzo dell'Università di Torino, il generale Orofino comandante del Centro Operativo Interforze, il dottor Piva del Ministero degli Esteri e il dottor Machin, responsabile dello Staff College di Torino hanno illustrato gli obiettivi del corso che si svolgerà per il secondo anno consecutivo, citando esperienze concrete di operazioni in corso e le possibilità lavorative che si sono rivelate per gli studenti dello scorso anno. Gli interventi umanitari "da 20 anni portano l'Italia a essere operatore nelle zone di crisi" ha detto il dottor Miozzo e "hanno portato gli italiani in tutto il mondo": contingenti militari, ma anche volontari italiani delle ONG. Dall'intervento in Libano, alla Somalia, alla Bosnia, per poi citare i più recenti esempi del Kosovo e dell'Afghanistan. Chiamati ad operare in scenari sempre diversi e in situazioni molto delicate "i peacekeeper che il corso vuole formare devono avere competenze e esperienza sul terreno: è un universo che deve essere conosciuto, di cui fanno parte i militari, ma anche volontari, ONG e organismi internazionali. La formazione proposta serve a sapere dove e perché si va" spiega il direttore Antoniotto ed è quindi necessario "un approccio culturale al peacekeeping" come lo ha definito il dottor Machin. "Si tratta di voler insegnare una certa umiltà nel rapporto con altre culture e di inserirsi neutralmente nelle zone di conflitto". Consulente del corso sarà generale Giuseppe Orofino che ha maturato esperienza nel settore delle operazioni umanitarie: a lui abbiamo chiesto il significato della formazione di peacekeeper italiani e quale sia la consistenza dei contingenti di pace impegnati in territori di crisi. Generale Orofino, come giudica la realizzazione di questo corso e quali prospettive offre per la presenza degli italiani in operazioni di pace? Un corso di questo genere può contribuire innanzitutto a far conoscere tutti gli interventi di questo tipo che gli italiani realizzano e hanno realizzato, dal momento che spesso non si conoscono: questa integrazione di conoscenza é molto utile perché va a costituire il famoso 'sistema Italia' nel campo del Peace-keeping che stiamo realizzando e che porterà a un maggiore e maggiormente qualificato contributo alle azioni internazionali da parte del nostro Paese, verso le popolazioni che hanno bisogno del nostro aiuto. Si vuole offrire una molteplicità di conoscenze che formino peacekeepers con competenze che spaziano nei campi giuridico, amministrativo, culturale, sociologico. E' un corso che significa, per chi vuol frequentarlo, un primo passo verso una scelta di vita dedita agli aiuti umanitari. Che significato ha per il nostro Paese l'impegno in operazioni di peacekeeping? Le operazioni umanitarie sono in generale coordinate all'interno di un' azione internazionale e vanno realizzate a vantaggio della comunità internazionale stessa, nei confronti di persone e Paesi che vivono situazioni di difficoltà e che stanno male. Il popolo italiano è un popolo sensibile e incoraggia la partecipazione ad operazioni umanitarie. Si tratta, inoltre, di inserire in questo modo il nostro Paese nella contesto internazionale, ma il problema contingente è una situazione esplosiva alle porte di casa nostra e quindi oggi è ancora più opportuno realizzare queste partecipazioni a accollarsi un impegno di questo genere. Quale evoluzione ha avuto la realizzazione degli interventi umanitari italiani? Abbiamo cominciato negli anni Ottanta in Libano e poi siamo andati avanti fino agli interventi attuali, abbiamo cominciato con piccole operazioni di pace e siamo giunti a una presenza più significativa. Esiste una differenza che è maturata in questi vent'anni di pecekeeping italiano e consiste nel numero di interventi realizzati, di uomini impegnati e nell'esperienza accumulata nel settore, che oggi mettiamo al servizio di che voglia frequentare il corso in questione. Quale pensa sia il ruolo delle Forze Armate negli interventi umanitari e in che modo si inserisce la loro presenza in un corso di questo tipo? La presenza delle Forze Armate con la loro esperienza deriva dal fatto che esse sono Peacekeeper per eccellenza, sia singolarmente che come complesso di forze che ha realizzato un servizio nelle aree di crisi per popolazione e territorio: mi sembra un buon motivo per partecipare alla docenza e fornire un supporto accademico per l'esperienza vissuta e le conoscenze accumulato. Che tipo collaborazione esiste tra le ONG e le forze armate? Ricorda casi di contrasti nella gestione dei conflitti? Direi che si può parlare di un'ottima collaborazione: c'è uno scambio di informazione, di conoscenze, di esperienze e di aiuto, soprattutto per quanto riguarda alcuni servizi che le ONG necessitano e che possono essere, per esempio, garanzie di sicurezza. Non mi sono mai capitati casi di divergenze. Nel corso della mia esperienza, dal 1997 al 2001, non ho mai avuto occasione di poter constatare l'esistenza di contrasti tra le diverse componenti che partecipavano alle operazioni di peacekeeping. Esiste un modello di peacekeeping italiano? Non ci sono modelli perché ogni operazione umanitaria è diversa e indipendente: ci possono essere esperienze e osservazioni recepite dalle precedenti occasioni che e possono essere d'aiuto nelle future operazioni. Nello change the world before the world changes you www.peacelink.it/tematiche/latina/latina.htm
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