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(Fwd) [Forumtrieste] I: APPELLO DI GIURISTI DEMOCRATICI CONTRO
- Subject: (Fwd) [Forumtrieste] I: APPELLO DI GIURISTI DEMOCRATICI CONTRO
- From: "Davide Bertok" <davide.bertok at adriacom.it>
- Date: Mon, 12 Nov 2001 14:39:36 +0100
- Priority: normal
------- Forwarded message follows -------
From: "Adriana Donini" <adrdonini at libero.it>
To: <forumtrieste at inventati.org>
Subject: [Forumtrieste] I: APPELLO DI GIURISTI DEMOCRATICI CONTRO LA GUERRA
Date sent: Mon, 12 Nov 2001 13:31:34 +0100
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-----Messaggio Originale-----
Da: gianschi at tin.it
A: Adriana Donini
Data invio: domenica 11 novembre 2001 21.43
Oggetto: Fw: APPELLO DI GIURISTI DEMOCRATICI CONTRO LA GUERRA
Cara Adriana, ti giro questo messaggio che ho inviato a tutto il TSF
dal momento che, non so perchè, il computer mi invia un messaggio
indicante che il messaggio non sembra essere giunto a destinazione.
Puoi provare a mandarlo tu? grazie Gianfranco
----- Original Message -----
From: gianschi at tin.it
To: Trieste Social Forum
Sent: Sunday, November 11, 2001 7:54 PM
Subject: APPELLO DI GIURISTI DEMOCRATICI CONTRO LA GUERRA
Cari amici del TSF, vi invio questo assai interessante appello dei
giuristi democratici contrro la guerra. In esso si ben argomenta
l'illegittimità del conflitto in corso contro l'Afganistan e
l'avvenuta violazione, in più aspetti, della carta delle nazioni Unite
e si indicano le strade diverse che legittimamente potrebbero essere
seguite. Gianfranco Schiavone
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APPELLO DEI GIURISTI DEMOCRATICI CONTRO LA GUERRA
Dopo un mese di guerra tutto diventa piu' chiaro.
L'orrore e la barbarie che hanno devastato New York e Washington non
hanno giustificazioni. Non c'e' dio, non c'e' politica, non c'e'
progetto di emancipazione senza rispetto e pieta' per l'uomo. Anche
per questo gli attentati terroristici richiedono una reazione ferma,
efficace e priva di distinguo e incertezze: sul piano culturale,
politico, economico ed anche su quello repressivo. Ma la reazione non
puo' essere la guerra: non dobbiamo temere di dire forte che la guerra
porta come conseguenza altra guerra, che le bombe sull'Afghanistan
colpiscono con effetti indiscriminati e devastanti migliaia di donne,
uomini, vecchi e bambini (non certo risparmiati, come gli eventi
stanno dimostrando, dai cosiddetti bombardamenti selettivi); che si
stanno creando masse ingenti di disperati privi di qualsiasi
assistenza, che richiedono rifugio e vengono respinti; e che la prova
di forza finira' per essere deleteria perche' compattera' ancor piu'
gli integralismi. Non possiamo assistere in silenzio alle operazioni
militari contro l'Afghanistan (destinate - secondo le dichiarazioni
dei suoi protagonisti - ad estendersi anche contro altri paesi). Non
possiamo farlo proprio come giuristi: perche' il fine del diritto e'
quello di risolvere i conflitti tra gli uomini, evitando che ogni
controversia finisca necessariamente in una guerra, privata o
collettiva che sia; e perche' anche quando la guerra viene accettata
come "male minore" l'ordinamento internazionale e quelli interni la
ancorano a principi rigorosi e indefettibili: non per inutile
formalismo ma per la consapevolezza della sua gravita' ed
eccezionalita'. La guerra, iniziata il 7 ottobre 2001 dagli Stati
Uniti e dalla Nato (supportati da alcuni paesi anche arabi) e a cui
l'Italia si accinge a partecipare direttamente, non ha i requisiti di
legittimita' richiesti dall'ordinamento internazionale. L'attacco
aereo contro il World Trade Center non e', infatti, definibile come
"atto di guerra", cioe' come aggressione di uno stato contro un altro
stato, e cio' osta all'uso legittimo della guerra come strumento di
legittima difesa da parte dello stato aggredito. In ogni caso, anche
ove l'atto terroristico potesse essere considerato "atto di guerra",
l'art. 42 dello Statuto delle Nazioni Unite prevede che - esauriti gli
interventi di autotutela, legittimamente realizzabili di fronte ad un
"attacco in corso" - solo il Consiglio di Sicurezza puo' intraprendere
"con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria
per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale", e
nessuna decisione in tal senso e' stata assunta dal Consiglio di
Sicurezza prima dell'inizio dell'azione militare, tali non essendo,
all'evidenza, la risoluzione n. 1368 (che, dopo aver riconosciuto agli
Stati Uniti il diritto di autotulela, ha statuito l'obbligo di tutti
gli stati di perseguire con la massima urgenza i responsabili di atti
di terrorismo e dichiarato che gli stati che danno rifugio o
protezione ai terroristi saranno considerati responsabili di tali
comportamenti) e la risoluzione n. 1373 (che ha adottato una serie di
misure volte a prevenire e a stroncare il terrorismo, prevedendo "fra
l'altro" il congelamento dei fondi e di ogni risorsa economica che
possa essere usata dai terroristi e l'obbligo di tutti gli stati di
cooperare e scambiarsi le informazioni necessarie ed utili per la
repressione del terrorismo). L'art. 5 dello Statuto della Nato, a sua
volta, consente ed impone l'intervento ai paesi membri dell'alleanza
solo quando uno degli aderenti sia oggetto di "attacco esterno". Per
quanto riguarda l'Italia, poi, la situazione non e' cambiata rispetto
al quadro delineato al tempo della guerra in Kosovo. La partecipazione
italiana all'operazione Enduring Freedom e' una azione di guerra che
la nostra Costituzione ammette solo come strumento di difesa (art. 11)
e previa formale delibera dello stato di guerra da parte delle Camere
(art. 78) e sua dichiarazione da parte del Presidente della Repubblica
(art. 87) (procedure, ad oggi, non intervenute e neppure attivate).
Respingere la guerra non significa accettare la barbarie ed assistere
rassegnati alle stragi terroristiche: significa al contrario mettere
in campo, in modo convinto ed autorevole, l'Onu e le istituzioni
internazionali. A tal fine e' assolutamente necessario che l'Onu si
riappropri della funzione di mantenimento della pace tra i popoli e di
risoluzione pacifica delle controversie internazionali che la Carta
prevede come ragion d'essere dell'Organizzazione, mentre l'uso della
forza e' consentito solo come extrema ratio dopo che ogni altro
tentativo sia risultato vano. Troppo spesso, per il prevalere di uno o
piu' stati, l'Onu ha abdicato a questo ruolo, essenziale per sperare
in una civile convivenza tra i popoli, e, in dispregio delle norme
pattizie, ha omesso di svolgere il proprio ruolo istituzionale: cio'
e' avvenuto, ad esempio, per la questione palestinese, che andava e va
risolta soddisfacendo i legittimi diritti di tutte le parti coinvolte,
secondo il principio "Due popoli, due stati", come gia' affermato in
numerose e inapplicate risoluzioni dell'Onu. Si pone, comunque, il
problema di una riforma dell'Onu che garantisca il recupero della
credibilita', efficienza, rappresentativita' e democraticita' dei suoi
organi, a partire dal Consiglio di Sicurezza, (a cui, nell'attuale
composizione, e' devoluta in via esclusiva ogni decisione sul ricorso
alla forza), non piu' ristretto, nella composizione permanente, a
pochi stati portatori di specifici interessi economici e di istanze di
superati equilibri politici. Ed ancora appare ineludibile l'entrata in
vigore della Corte Penale Internazionale, per la quale mancano ancora
significative ratifiche, tra cui quelle della Cina e degli Stati
Uniti, dotata di maggiore autonomia ed imparzialita' dei Tribunali ad
hoc sino ad oggi costituiti, e capace di giudicare, sia pure in via
complementare ai singoli stati, nell'interesse di una comunita'
internazionale resa uguale dal riconoscimento di un comune diritto e
di una precostituita autorita' giurisdizionale, dei crimini di guerra
come gli attentati di New York e Washington. La titolarita' del potere
di decidere e realizzare interventi sul piano internazionale - lo
abbiamo gia' ricordato in occasione della guerra nel Kosovo - non e'
questione formale o secondaria, anche perche' ad essa si legano i modi
dell'operazione, le forze in essa coinvolte, la possibilita' di
aggregare consensi non forzati. Vale per le questioni internazionali
lo stesso principio del diritto interno secondo cui non sono lecite
giustizie private. E' l'eterno problema delle regole e delle garanzie.
Come nel diritto interno il garantismo autentico non e' uno strumento
per assicurare impunita' a chi delinque, cosi' nel diritto
internazionale esso non e' la scappatoia per consentire a terroristi e
autori di crimini internazionali di continuare nella loro attivita' e
di sfuggire alla punizione: esso e' il metodo (pur a volte difficile)
per assicurare una convivenza giusta, per evitare il prevalere della
forza sulla ragione e per non offrire ai terroristi terreno di coltura
e di consenso. Di cio', a livello internazionale, non puo' essere
garante altri che l'Onu, ed e' irresponsabile emarginarlo e
indebolirlo per ragioni di convenienza politica contingente. E diciamo
questo nella consapevolezza dell'assoluta rilevanza delle regole, pur
consci che, per la risoluzione dei conflitti, occorra farsi carico di
tutta una serie di altri problemi, quale quello economico, per
affrontare la gravita' e la drammaticita' di simili eventi. Chiediamo
per questo a tutti i giuristi di far sentire la loro voce perche' la
guerra sia bloccata, il diritto alla vita di persone innocenti sia
salvaguardato e si riaffermi il diritto internazionale.
Primi firmatari:
Umberto Allegretti (professore, Universita' di Firenze)
Mario Angelelli (avvocato, Roma, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Bruno Desi (avvocato, Bologna, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Renzo Capelletto (avvocato, Torino, giunta nazionale Unione Camere
Penali)
Angelo Caputo (magistrato, Roma)
Luigi Ciotti (presidente Gruppo Abele)
Gastone Cottino (professore, Universita' di Torino)
Angelo Cutolo (avvocato, Napoli, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Mario Dogliani (professore, Universita' di Torino)
Tecla Faranda (avvocato, Milano, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Luigi Ferrajoli (professore, Universita' di Camerino)
Gianni Ferrara (professore, Universita' di Roma)
Domenico Gallo (magistrato, Roma)
Maria Grazia Giammarinaro (magistrato, Roma)
Franco Ippolito (magistrato, Corte di cassazione)
Roberto Lamacchia (avvocato, Torino, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Raniero La Valle (giornalista, scrittore)
Fabio Marcelli (ricercatore, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Giovanni Palombarini (magistrato, Corte cassazione)
Livio Pepino (magistrato, Torino, presidente Magistratura democratica)
Dario Rossi (avvocato, Genova, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Ugo Spagnoli (avvocato, gia' vicepresidente della Corte
Costituzionale)
Lorenzo Trucco (avvocato, Torino, presidente Associazione studi
giuridici immigrazione)
Danilo Zolo (professore, Universita' di Firenze).
Seguono molte altre firme.
------- End of forwarded message -------
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