Campagna Malli Gullù (1) - A tutela dei profughi di guerra



TUTELA DEI PROFUGHI DI GUERRA: LA " CAMPAGNA MALLI GULLU' "
A CHI, PER CHI?



Malli Gullù era la 27enne madre kurda, già detenuta, torturata e condannata
in Turchia perchè militante del partito di opposizione Hadep, morta per
asfissia nello scorso ottobre nella stiva d'una nave negriera diretta a
Crotone.

Alla sua memoria l'associazione Azad propose, nella recente assemblea
nazionale dei Social Forum a Firenze, d'intitolare una campagna specifica
di tutela e garanzia dei profughi di guerra (non solo kurdi ma afghani,
irakeni, slavi, rom), all'interno dell'impegno generale contro il ddl
segregazionista Bossi-Fini su immigrazione ed asilo. La proposta fu accolta
dall'applauso unanime dell'assemblea.

Giriamo ora la proposta alle agenzie nazionali impegnate in questo campo
(Cir, Ics, settori dell'associazionismo religioso, organismi di tutela
delle popolazioni rom, giuristi democratici, associazioni pacifiste e
movimenti contro la guerra), oltre che ai coordinamenti locali come quelli
di Bari e Trieste e il "No Border Social Forum" friulano.



    CON QUALI OBBIETTIVI?



Le linee di azione proposte sono:

- una presenza diretta alle frontiere (anzitutto Gorizia, Trieste, Ancona,
Bari e Brindisi) per impedire che i profughi siano respinti in violazione
del diritto d'asilo;

- la richiesta di automatica "protezione umanitaria", fermo restando il
diritto e la procedura di asilo, per chi provenga da aree di guerra e/o di
persistente violazione dei diritti umani;

- la contestazione puntuale dei dinieghi di asilo e delle espulsioni (o
peggio delle illegali deportazioni di massa) da parte di una specifica rete
di monitoraggio e intervento legale, facendo circolare anche i testi di
ricorsi e sentenze;

- la richiesta, nelle citta' a forte presenza di profughi, di specifici
centri i cui utenti non siano puramente assistiti ma possano autogestire
accoglienza, inserimento sociale e comunicazione culturale;

- il rifiuto netto dell'estensione ai richiedenti asilo della detenzione
amministrativa prevista dal ddl Bossi-Fini, e la forte denuncia dei casi in
cui questa detenzione, da Lecce a Gorizia, è già oggi praticata di fatto.



    PROFUGHI DI GUERRA...



L'articolo di Dino Frisullo che riproduciamo qui sotto, pubblicato oggi dal
Manifesto, fornisce alcuni dati di partenza utili. Il nesso con la guerra
in corso è evidenziato dalla pubblicazione, nella stessa pagina del
quotidiano, di un articolo con cui Loris Campetti denuncia l'imminente
invio sul teatro di guerra afghano di commandos turchi.

La logica amico-nemico della guerra confligge inevitabilmente con il
principio della tutela universale dei diritti umani: mano libera alla
Turchia contro i kurdi, alla Russia in Cecenia, alla Cina in Tibet, ad
Israele in Palestina - e criminalizzazione più o meno esplicita delle
vittime, che nella logica degli Stati divengono "terroristi".

Infatti la nuova legislazione antiterrorismo, inaugurata dalla Gran
Bretagna prima dell'attacco alle Twin Towers ed ora in via di estensione
all'intero Occidente, è la negazione in radice del diritto di asilo. Il
ministro della Giustizia degli Usa rispondeva con ferocia, ieri, a chi
contesta l'arresto indiscriminato di quasi mille persone di origine araba o
religione islamica: "Arresteremo ogni straniero che sputa per terra in
questo paese". La stessa logica guida i rastrellamenti "etnici" e la
campagna islamofobica in corso in Italia.

I profughi divengono, in questo senso, testimoni e ostaggi del dramma della
guerra. Il loro riconoscimento, non solo come vittime e titolari del
diritto individuale d'asilo ma come soggetti di diritti collettivi negati,
è prioritario per chiunque voglia opporsi alla logica schiacciante della
guerra. E' per questo che l'associazione Azad ha proposto che siano
protagonisti anche del controvertice e della manifestazione di Roma, fra
l'8 e il 10 novembre, e del successivo incontro nazionale sull'opposizione
al ddl Bossi-Fini, domenica 11 novembre a Roma presso il Villaggio globale.



    CHE FARE?



Anzitutto rispondere con un cenno d'assenso, individuale o collettivo, a
questo messaggio, indicando se possibile la forma del proprio impegno.

Un impegno che vuol essere alla portata di chiunque: dalla raccolta e
diffusione di informazioni e denunce sulla violazione del diritto di asilo
e dei diritti sociali e civili dei profughi (anche quelli già presenti in
Italia, riconosciuti o no, come in tanti "campi nomadi"),
all'organizzazione di petizioni, pressioni e manifestazioni, all'invio di
delegazioni nei luoghi dell'esodo (va di fatto in questo senso la
delegazione di donne e parlamentari appena partita per il Pakistan, e
quella che Azad vuole organizzare in Turchia e in Kurdistan nel periodo
natalizio, sulle orme di un'analoga missione della tedesca Pro-Asyl), e
viceversa all'invito e all'incontro con chi tutela i diritti umani in quei
luoghi (in dicembre dovrebbe essere in Italia la dirigente
dell'Associazione turca per i diritti umani Eren Keskin).

Il sito sull'immigrazione e l'asilo che l'associazione Senzaconfine sta per
aprire nel portale Unimondo, e la relativa mailing-list, potranno essere un
punto di riferimento. Per ora, l'indirizzo mail di Azad da cui ricevete
questo messaggio è a disposizione della campagna. Tutti coloro che
aderiranno, anche semplicemente rispondendo in bianco a questo messaggio,
saranno inseriti in una specifica mailing-list.





"STRETTA DI FRONTIERA"

(Il Manifesto, 3.11.2001)



Erano profughi di guerra quelli che il 19 ottobre la polizia indonesiana
forzò a ripartire da Sumatra: afghani, kurdi, irakeni. La nave colò a
picco, si salvarono solo 44 su oltre quattrocento. Al largo dell'Australia,
profughi kurdo-irakeni hanno messo il salvagente ai loro bambini e li hanno
gettati in mare nel vano tentativo di garantirgli un futuro.

Arrivano fino all'altro emisfero i frammenti delle bombe. Ogni esplosione
ne fa presagire mille, non solo in Afghanistan ma in Iraq, in Turchia, in
Pakistan. Si frega le mani la mafia turca che, secondo un rapporto della
polizia italiana, dal quartiere di Aksaray a Istanbul controlla un business
già pari a 8-10 miliardi di dollari l'anno e paga i trafficanti albanesi e
greci in eroina, quattro chili a carico umano.

L'esodo di guerra si annuncia imponente. L'Iran prepara grandi campi di
concentramento. La Turchia, memore dell'afflusso dei kurdo-irakeni nel '91,
sigilla la frontiera orientale. Ventimila persone già premono al confine
della Grecia, che ha rinunciato ad espellere in Turchia i 220 kurdi del
campo di Lavrion di fronte al loro sciopero della fame.E l'Alta corte
inglese decreta che è legale recludere i richiedenti asilo, come si prepara
a fare il governo Berlusconi.

E' stata una calda estate per i profughi, soprattutto kurdi. La Germania
continua a deportarli in Turchia, nonostante la documentazione di 32 casi
di tortura di rimpatriati da parte dell'organizzazione Pro-Asyl e gli
scioperi della fame a Buren e in altri centri di detenzione. Non s'era
ancora spenta l'eco dell'aggressione omicida al profugo Fersat Yildiz in
Scozia, che a Zurigo i kurdi manifestavano contro l'abitudine di deportarli
in catene. In Olanda attendono giustizia i parenti di Ali Aksoy e Savas
Cicek, renitenti alla leva, rinviati in Turchia e "suicidati".

Nel 2000 i richiedenti asilo turchi, irakeni e iraniani, quasi tutti kurdi,
erano centomila in Europa, seguiti da jugoslavi (42mila) e afghani (29mila,
raddoppiati in due anni): la fotografia di tre guerre. In Italia colpisce
la quota dei rigetti, anche se dovuti spesso ad irreperibilità: appena 554
richieste d'asilo jugoslave accolte su 13.277 richieste, 150 su 5609
dall'Iraq, 216 su 3545 dalla Turchia, trenta su 345 afghani. Sempre più
raramente la commissione affianca al rigetto la "protezione umanitaria", e
anche dall'Italia iniziano le deportazioni. I 113 tamil rinviati in ottobre
in Sri Lanka con un volo speciale da Brindisi si aggiungono ai dodici kurdi
prelevati in agosto dallo stesso centro di detenzione, il Regina Pacis di
Lecce, e deportati in Turchia.

Halil è tornato, clandestino, via Gorizia. "Ci hanno rinchiusi due a due
nelle celle dell'aeroporto di Istanbul, bendati e senza cibo", racconta.
"Dieci giorni di bastonate, docce fredde, tortura con gli elettrodi. Mi
chiedevano di mio cugino, membro dell'Hadep e detenuto in Turchia. Alla
fine i miei parenti hanno pagato per farmi rilasciare".

Il suo caso ora tornerà in commissione. Ma nell'ultima settimana sono
cinque i rigetti dell'asilo a Roma per i kurdi di Turchia. Casi simili sono
segnalati all'associazione Azad da Milano (un kurdo doppiamente
perseguitato, perché di religione yezita), e un'intera famiglia da
Venezia... "Non c'è persecuzione personale", dicono i commissari. Del resto
la Turchia è un paese così normale da avere appena offerto, oltre alle
basi, un contingente di "istruttori" agli angloamericani in Afghanistan. E
il sottosegretario agli Interni D'Alì, già capo della lobby filoturca in
Senato, il 23 ottobre ha promesso all'ambasciatore Utkan "più
collaborazione contro il terrorismo". Cioè contro tutti gli Halil che
approdano in Italia.