Mohammed Hassanein Haykal contro la guerra
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- From: "Associazione Culturale Mediterraneo" <ass.cult.mediterraneo at katamail.com>
- Date: Fri, 2 Nov 2001 16:52:06 +0100
| vi segnalo quesa conversazione col giornalista egiziano Mohammed 
Hassanein Haikal dove espone un suo argomentato giudizio contro i bombardamenti 
anglo-americani sull'Afghanistan. E' utile ogni tanto legger anche opinioni di scrittori del Sud del 
Mediterraneo; aggiunge altri punti di visuale. Spero di aver fatto una cosa gradita. Cordialmente. Farid Adly In Afghanistan non esiste un bersaglio per un 
missile da 1 milione di dollari Mohamed Heikal, il più importante commentatore del mondo arabo, conversa con Stephen Moss Sembra surreale stare a 
parlare con Mohamed Heikal, il più rispettato commentatore politico del mondo 
arabo ed ex ministro degli esteri egiziano, nella lounge del Claridge, uno degli 
hotel più alla moda di Londra. Mentre piovono i missili sull’Afghanistan, Heikal 
presenta la sua visione del possibile futuro caos, di fronte all’accompagnamento 
squillante e ritmico di un piano ed un clarinetto. Raramente l’abisso tra 
occidente ed oriente, primo e terzo mondo, è parso così 
ampio. Heikal, un settantottenne genuinamente cortese, misura e analizza questi mondi e rileva le ipocrisie di ognuno. È stato giornalista per quasi 60 anni, direttore e presidente dell’influente quotidiano egiziano Al-Ahram per circa 20 ed ha scritto una dozzina di libri ben considerati sull’Egitto e l’Iran. Sin dai primi giorni della rivoluzione fu vicino al presidente 
Nasser, e fu brevemente – e con riluttanza – il suo ministro per l’informazione 
e gli affari esteri nel 1970. Ebbe il piacere di avere contatti altrettanto 
stretti anche se più mutevoli con il presidente Sadat, che lo fece imprigionare 
nel 1981 per essersi opposto ai negoziati di Camp 
David. Heikal non riesce a vedere una logica nell’attacco all’Afghanistan. 
Per iniziare, dice, non vi è nulla laggiù che giustifichi un attacco. “Ho visto 
l’Afghanistan e non vi è alcun obiettivo che meriti il milione di dollari di un 
missile cruise, neppure il palazzo reale. Se guardassi al significato apparente, 
penserei che questa è follia, quindi ne deduco che hanno un piano, e questa è 
solo la prima fase. Mette anche in dubbio che Osama bin Laden e la sua al-Qaida possano 
essere gli unici responsabili per gli attacchi dell’11 settembre, sostenendo che 
le scarse prove sinora presentate sono ben lungi dall’essere convincenti. “Bin 
Laden non ha le capacità per un’operazione di quest’ampiezza. Quando sento Bush 
parlare di al-Qaida come se fosse la Germania nazista o il partito comunista 
dell’Unione Sovietica, mi viene da ridere, perché conosco cosa c’è laggiù. Bin 
Laden è stato sotto controllo per anni: ogni telefonata era controllata e 
al-Qaida è stata infiltrata dall’intelligence americana. Non possono essere 
riusciti a tenere segreta un’operazione che richiedeva un tale livello di 
organizzazione e ‘raffinatezza’”. Heikal da poco credito alle voci che ritengono che un ruolo più centrale sia stato giocato dal portavoce nominale di Bin Laden, Ayman al-Zawahiri, il capo della Jihaad Islamica Egiziana. “È pericoloso ed era coinvolto nell’assassinio di Sadat, ma non è un grande pensatore o un grande pianificatore. Ebbe un ruolo minore nell’assassinio, che di per sé fu contrassegnato da una pianificazione superficiale e riuscì solo grazie alla fortuna. Come dimostrano nelle interviste rilasciate ad al-Jazeera, Bin Laden e al-Zawahiri si basano soltanto sui propri istinti. Questa non è Hamas o la Fratellanza Islamica, questa è una minoranza isolata, che non rispecchia né l’Islam né i nostri tempi. Sono il residuo storico dell’oppressione, non rappresentano il futuro.” Potrebbe 
esserci, secondo Heikal, un qualche elemento rimasto ancora sconosciuto 
nell’atrocità dell’11 settembre. Qualunque sia la verità, egli ritiene che le 
spiegazioni presentate sinora siano state affrettate, non conclusive e 
certamente troppo a portata di mano. “Capisco che l’amministrazione americana 
volesse immediatamente un nemico da colpire, per assorbire la rabbia del popolo 
americano, ma vorrei che avessero prodotto delle prove evidenti. Ho letto 
attentamente cosa ha detto Blair al Parlamento: avevano preparato l’atmosfera 
per quella dichiarazione assicurando che avrebbe rivelato parte delle prove, ma 
non c’è prova, nulla; tutte deduzioni. Colin Powell è stato più onesto di tutti: 
ha detto, se non questo, non importa, ha commesso così tanti altri crimini che è 
necessario agire contro di lui. Ma è come per il proverbio cinese: ‘Picchia tua 
moglie ogni giorno; se tu non ne conosci la ragione, lei sì.’ Non si può fare in 
questo modo.” È importante, secondo Heikal, fare una differenziazione tra il potente sentimento anti-americano presente ovunque in Medio Oriente e la risposta per gli attacchi al World Trade Center. “So che ci sono state alcune manifestazioni di gioia, “ dice, “ma non sono rappresentative. La gente in Medio Oriente sa cosa significa il terrorismo. Quando alcuni turisti furono colpiti a Luxor, vi fu indignazione in Egitto. Dall’altra parte, esiste un forte sentimento antiamericano in tutta l’area.” Le ragioni 
dell’avversione per gli Stati Uniti sono facilmente individuabili – il supporto 
“cieco” degli americani ad Israele ed il loro sostegno a vari regimi illegittimi 
e discreditati in tutto il Medio Oriente. Heikal castiga ogni governo nella 
regione, incluso il proprio, e critica gli Stati Uniti che li puntellano. “La 
gente non ha scelto questi governi, ed in libere elezioni nessuno di loro 
avrebbe avuto successo. Non sono governi legittimi;non rappresentano null’altro 
che il potere.” Tutto ciò è già abbastanza 
sgradevole, ma il fatto che gli Stati Uniti – la splendida città sulla collina – 
siano collusi è ancora peggio. “Gli Stati Uniti supportano lo status quo 
qualunque esso sia. Parlano di democrazia e la ignorano; parlano dell’ONU e 
l’ignorano; in tutti i sensi si possono accusare di doppio principio, i due pesi 
e due misure. È rivoltante vederli parlare di democrazia e poi sostenere regimi 
antidemocratici. Parlano di legalità internazionale e poi appoggiano le azioni 
degli israeliani.” Il tutto detto con la precisione di un analista, piuttosto 
che con la passione di un oratore. Così l’Islam si raccoglierà 
attorno alla causa dell’Afghanistan? Heikal sostiene che ci sia poca simpatia 
per i Taleban, che descrive come “fuori dal mondo”. Racconta l’aneddoto del 
Mullah Omar Mohammed, il leader dei Taleban, che partecipando ad un incontro tra 
leader islamici in Pakistan si rifiutò di sedersi, finché non avessero rimosso 
un’immagine dalla stanza. “Ma quello è Jinnah,” (Mohammed Ali Jinnah condusse il 
Pakistan all’indipendenza nel 1947) protestarono i suoi ospiti pakistani. “Chi è 
Jinnah?” replicò. Inoltre non riuscì a riconoscere neppure Yasser Arafat. Heikal 
racconta questa storiella per dimostrare che tanto quanto i problemi del Medio 
Oriente non vengono registrati dal radar del Mullah Omar, altrettanto i Taleban 
non sono una questione chiave per il resto della regione. 
 Ciò nonostante, come simbolo 
dell’imperialismo americano, l’attacco all’Afghanistan è potente, ed è possibile 
che abbia ripercussioni di vasta portata, specialmente se l’Iraq e altri paesi 
della regione vengono aggiunti alla lista degli obiettivi. Inevitabilmente, dice 
Heikal, quando si presenta un vuoto, l’Islam – un unificatore culturale bell’e 
pronto, nonché la risposta alle molteplici crisi di identità della regione – è 
pronto per colmarlo. Vede nel Pakistan il paese che più probabilmente ne 
uscirebbe destabilizzato. “C’è il pericolo che l’azione faccia cadere il regime 
pakistano, potrebbe creare una spaccatura all’interno dell’esercito, dove molti 
ufficiali sono pro-islamici. Lo scenario peggiore sarebbe il caos, con nessuno 
sufficientemente forte da assumere il comando, e quel caos potrebbe facilmente 
diffondersi nel Medio Oriente.” Dice anche che la Turchia è vulnerabile, 
nonostante l’esercito si autodefinisca il bastione del 
laicismo. Dietro a tutto c’è la questione 
della Palestina – irrisolta ed apparentemente irrisolvibile. “L’attuale crisi in 
Afghanistan può allargarsi ad altri paesi,” dice Heikal, “ma la crisi cronica è 
la questione palestinese.” È pessimista riguardo ad ogni tipo di compromesso, 
ricordando il telegramma spedito al leader sionista, Theodor Herzl, dai due 
rabbini inviati in Palestina a visionare la terra che avrebbe potuto diventare 
lo stato di Israele: “La promessa sposa è bella, ma già 
maritata.” La sua soluzione è uno stato palestinese e “un 
Israele per tutti i suoi cittadini”, in cui un milione di Arabi non siano 
cittadini di seconda classe. “La cosa più importante è estromettere la 
religione,” dice. “Mi sta parlando di uno stato musulmano, senza discutere uno 
stato ebraico – uno stato costruito su una religione. Non può essere. 
La religione non può essere la base 
per uno stato.” Non ha fiducia nell’attuale ammorbidimento della linea americana 
verso i palestinesi, che considera una replica dell’approccio presentato durante 
la Guerra del Golfo. “Ogni volta che gli Stati Uniti hanno bisogno degli Arabi, 
sono pronti ad offrire una carota. Nel 1991 il mondo arabo fu attirato nella 
Guerra del Golfo contro l’Iraq, con la promessa che sarebbero stati ricompensati 
da una giusta soluzione del problema palestinese. Gli americani inviarono 
lettere a tutte le parti interessate e gli stati arabi andarono a Madrid per 
negoziare sulla base di queste rassicurazioni. Sono passati 10 anni da Madrid e 
nulla è accaduto. Ora viene ripetuto lo stesso scenario. Abbastanza stranamente 
vi sono anche le stesse persone - Cheney, Powell, un Bush. È come se nulla fosse 
cambiato. La gente nel mondo arabo vedrà i nostri leaders nuovamente raggirati. 
Coloro che ripetono i propri errori sono cattivi allievi, e noi siamo allievi 
molto cattivi. Non impariamo dai nostri errori, così siamo condannati a 
ripeterli.” | 
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