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Fw: [diritti globali] documento del nazionale di Legambiente su pace e guerra
- Subject: Fw: [diritti globali] documento del nazionale di Legambiente su pace e guerra
- From: "Nello Margiotta" <animarg at tin.it>
- Date: Mon, 29 Oct 2001 19:00:13 +0100
documento di analisi sulla guerra prodotto da Legambiente nazionale NO AL TERRORISMO, SI' ALLA PACE Un atto criminale contro l'umanità Gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 rappresentano un atto criminale contro l'umanità, che segna una "svolta di civiltà". Non ci troviamo di fronte ad una semplice escalation di storie preesistenti, non si tratta solo di un salto di scala. Ragionare secondo logiche tradizionali è pericoloso per tutti noi, denota cecità, o forse un uso consapevole della nuova fase ai propri fini e quindi ci obbliga a rischiare qualche ipotesi su quale potrebbe essere uno scenario possibile di governo globale a cui gli USA tendono e a cui qualcun altro si oppone. Governo mondiale che gli USA fino ad oggi hanno interpretato anche come diritto di boicottare i trattati internazionali. Chi è Bin Laden? Vi ricordate i film di 007 con la lotta tra l'Occidente e la Spectre? Con gli attentati dell'11 settembre sembra di trovarsi nella classica situazione in cui la realtà ha superato l'immaginario. Proviamo a spiegarci. Von Klausvitz ebbe a sostenere, circa un secolo fa, che "la guerra è la prosecuzione della politica con altre armi". Per Bin Laden ci troviamo nella stessa situazione, solo che invece della guerra usa il terrorismo (e fin qui è giusto dire che ci troviamo di fronte ad un atto di guerra). Ma chi è Bin Laden? Bin Laden è il nome che si dà ad un blocco economico finanziario, molto forte e con molto potere, con seguito di masse e con un esercito privato e che, per la prima volta nella storia, non ha uno stato di riferimento altrettanto forte e quindi non può promulgare leggi o organizzare diplomazie per difendere i suoi interessi e colpire quelli dell'avversario. Obiettivo strategico è contrapporsi agli USA egemonizzando l'area del petrolio, dove risiede il 70% delle riserve petrolifere mondiali, mentre le riserve statunitensi coprono solo i prossimi dieci anni e il Mar del Nord non va al di là dell'1,5% delle riserve mondiali. Un gigante economico ed un nano politico. Un organismo politico prestatuale che vuole arrivare a controllare il principale motore dell'attuale modello di sviluppo: il petrolio, e che usa l'integralismo islamico come arma di coesione e arruolamento. Il suo programma politico non è tanto la vittoria dell'Islam, quanto piuttosto la competizione con tutti i mezzi, leciti e illeciti, per battere il blocco economico attualmente dominante, con determinazione, crudeltà e spudoratezza, sconosciute alle democrazie occidentali e che ricordano un po' il nazismo. Bin Laden è figlio del crollo del muro di Berlino (il mondo governato da un solo potente) e della guerra del Golfo (nessuno stato arabo forte o ricco deve essere fuori dell'orbita statunitense). E' figlio della politica americana che per tentare di governare il Medio oriente, senza dare il suo contributo decisivo allo scioglimento dei conflitti in quella Regione, crea mostri nuovi per scalzare quelli vecchi e non più funzionali. Ma Bin Laden è anche figlio del fallimento della federazione araba di Nasser e del tentativo egemonico di Gheddafi e dello stesso Saddam, che in qualche modo, in forme diverse, negli ultimi decenni, hanno tentato di dare rappresentanza politica e statuale alla forza storica e culturale dell'ISLAM. Bin Laden rappresenta un progetto politico per quel mondo arabo, che ha in mano pezzi molto rilevanti della ricchezza finanziaria internazionale, ma non ha rappresentanza politica e non può far pesare il suo potere economico, è comunque prigioniero politico dell'egemonia dell'occidente (e quindi non in grado di competere fino in fondo sul piano economico - finanziario). L'attacco alle due Torri è stato sferrato non solo perché sono il simbolo dell'America, ma anche e soprattutto perché esplicitano il programma politico: l'attacco vero, non simbolico, al cuore finanziario della potenza che domina il mondo. Per questo Bin Laden ricorda la Spectre, un'associazione che usa il crimine, e le coperture politiche, per rinforzare la sua potenza economica. Non ci troviamo di fronte allo scontro tra due civiltà, quella occidentale e quella islamica. La questione araba è solo strumentalizzata per dare spazio ad un potentato economico, sulla pelle delle stesse popolazioni arabe, che di quella ricchezza non vedono alcuna ricaduta positiva, e sono spesso costrette a vivere in assenza dei minimi diritti civili e sociali. A questo proposito un'ultima osservazione. Vestire la concorrenza economica tra USA ed una parte del mondo arabo di fondamentalismo religioso serve anche a proiettare fuori dai confini medio orientali le tensioni sociali interne, provocate dallo stato in cui versano le popolazioni locali. Gli esiti possibili Il programma politico di Bin Laden, e di chiunque ci sia dietro a questo nome, fa riferimento ad un modello di civiltà per noi inaccettabile, non perché lo sia il Corano, ma perché quel blocco economico finanziario è l'espressione di un'idea di società reazionaria e totalmente illiberale, sono modelli sociali terrificanti. Sul fronte opposto la dichiarazione di guerra mette in campo processi dagli esiti quanto meno preoccupanti, a più livelli. Il rischio più forte è il rinforzo e la stabilizzazione, per un lungo periodo, dell'egemonia statunitense mentre l'Europa viene messa all'angolo, incapace di agire e di sviluppare le sue politiche, che pure negli ultimi anni avevano cominciato a delinearsi. Altro esito è l'affermazione di un'economia di guerra che già da oggi sta mettendo in soffitta le politiche neoliberiste, senza che nessuno possa passare all'incasso di questo cambio di politica, ottimo volano per Bush, per mantenere la guida del mondo e, in casa nostra, per giustificare la sospensione del programma elettorale. Tra gli esiti possibili non va sottovalutato il fatto che qualcuno possa utilizzare la situazione per accreditare politiche di limitazione dei diritti politici, civili e sociali, una "svolta autoritaria" per garantire le "magnifiche sorti" del liberismo monopolista. Un segnale in questo senso viene dal tentativo di semplificazione del panorama politico avviato da Bush con il "chi non è con me è contro di me", che, in Italia, ha avuto qualche piccola anticipazione con il tentativo di far passare l'equazione movimento emerso a Genova = terrorismo. Insomma l'esito potrebbe essere un autoritarismo illiberale del tutto inedito. In gioco è il governo mondiale degli USA. Una svolta che, tra l'altro, si veste di "arroganza", lo stile dei primi mesi del governo Bush fino all'ultima scivolata con la "giustizia infinita", un'arroganza su cui il governo Berlusconi potrà giocare le sue carte (e il suo stile). Non si vuole qui affermare che ci troviamo in un quadro apocalittico né che sposiamo un'idea meccanicistica della storia. Tutt'altro. Stressare il ragionamento, in fase di analisi, può essere utile per capire quali sono i processi possibili che si potrebbero dipanare nel futuro, quale il ruolo, e quindi le mosse, dei singoli attori, per non navigare a vista e rendere impotente la posizione pacifista. Per questo non dobbiamo neanche sottovalutare che si è aperto un processo contraddittorio, i cui esiti sono molto aperti, e che al momento si possono anche aprire spazi nuovi e del tutto inaspettati, come ad esempio le ultime scelte dell'IRA, o la minaccia rivolta dagli USA alla casa farmaceutica Bayer di togliere il brevetto sull'antibiotico che cura l'antrace, ottenendo l'immediato dimezzamento del prezzo della medicina (esattamente all'opposto della posizione assunta in occasione della lotta del Sudafrica contro i brevetti dei medicinali anti - AIDS), o ancora la nuova e più forte evidenza con cui si pone oggi la necessità di arrivare alla firma di alcuni decisivi trattati internazionali, o la disponibilità a riconoscere il diritto all'esistenza di uno stato palestinese, o, infine, pur se i segnali sembrano andare in altra direzione, la difficoltà a tenere il governo unico del mondo in assoluta autarchia. Una particolare attenzione va dedicata ad una questione che fino ad oggi ci sembra sorprendentemente sottovalutata: il ruolo che può e potrà giocare il processo di emancipazione femminile in alcune parti del mondo arabo. Ha fatto in questi mesi molto scalpore il velo sui volti delle donne afghane, ma ci sembra stia sfuggendo del tutto che un processo di emancipazione delle donne è un potente fattore di democratizzazione di quei paesi, in termini anche di diritti sociali e civili per tutta la popolazione. Un'identità da sbandierare Noi, oggi, abbiamo un compito arduo, ci piaccia o no, che va al di là della mera testimonianza. Esiste ed è praticabile e a quali condizioni una strada diversa da quella che si è imboccata? È in questa strada che hanno cittadinanza le nostre idee di pace, di giustizia sociale, di solidarietà ambientale, di diritto internazionale, ed ancora l'idea che abbiamo di Europa e l'idea che abbiamo di ONU. Quali azioni concretamente possiamo mettere in campo perché si affermino "le armi della politica contro la politica delle armi"? perché, realisticamente, è solo la politica (ed un processo per un mondo più giusto) che può portare alla soluzione dei conflitti (Palestina docet). Che ruolo dovrebbe giocare l'Italia, in Europa e nel Mediterraneo, per avanzare concretamente sulla strada della pace? Siamo convinti che gli autori di tali atti criminali vadano assicurati alla giustizia, che nessuna motivazione possa mai "giustificare" tali atti, ma crediamo che la strada scelta da Bush sia sbagliata e perdente. E' perdente perché per colpire i terroristi a nulla servono le bombe, i raid aerei, le invasioni di marines (come se per colpire la mafia si bombardasse Corleone). Tutto ciò porterà solo nuove vittime, nuove povertà ed ingiustizie, nuovi odi. È perdente per le democrazie occidentali. E' perdente per un mondo più equilibrato, in cui l'Europa possa giocare le sue carte. E' perdente per noi, perché servirà solo a rinforzare il modello militare di controllo del mondo da parte degli USA. Con buona pace delle nostre aspirazioni. Il rischio altissimo che tutti corriamo è che, se come è molto probabile il terrorismo non sarà scalfito dalla guerra, il modello di civiltà, che sta dietro Bin Laden, verrà rafforzato. Quel modello, vogliamo ribadire, non ha nulla a che vedere con la cultura e la civiltà dell'Islam, mira solo a cambiare la potenza che governerà i pozzi di petrolio. E' evidente allora come la nostra battaglia per un altro modello di sviluppo, per un altro modello energetico, finalizzato a diminuire la dipendenza dal petrolio, riguarda in una connessione profonda questioni ambientali e questioni di sicurezza mondiale, riguarda la possibilità di uno sviluppo equilibrato e pacifico per tutto il mondo. Oggi è necessario rilanciare la legittimità di operazioni di giustizia internazionale, supportate da opportune azioni di intelligente "polizia internazionale", fatta di intelligence, di intervento sui paradisi fiscali, di controlli finanziari nelle borse del mondo ricco, sotto l'egida dell'ONU, ma siamo anche consapevoli del fatto che l'ONU è arrivato al punto più basso nella parabola di credibilità ed autorevolezza degli ultimi anni. Noi dobbiamo prendere la parola, anche perché la legge del più forte che sostanzia il governo unico del mondo e sta dietro la scelta della guerra, riemergerà nei comportamenti quotidiani, nell'intolleranza strisciante delle società opulente del primo mondo. Sta anche a noi se in Italia risulterà vincente la cultura dell'incontro tra civiltà, della tolleranza, della solidarietà tra popoli diversi. L'Italia può e deve giocare un ruolo perché si affermi una buona globalizzazione, la globalizzazione dei diritti civili e sociali, la globalizzazione della qualità della salute e di un equilibrato sviluppo, la globalizzazione dell'accesso all'istruzione e alle risorse ambientali. Tutto ciò si gioca anche in casa nostra, in quel circuito virtuoso che, con un pessimo termine, si comincia a chiamare "glocale". I segnali che in questi primi mesi vengono dal governo Berlusconi, vanno in direzione opposta: prima la chiamata alle armi per lo scontro di civiltà, che ci ha messo in sala d'aspetto in tutte le sedi internazionali, poi le misure sulle rogatorie e sul rientro dei capitali, dove sembra che il nostro Paese abbia deciso di combattere la sua battaglia internazionale facendo concorrenza ai famigerati paradisi fiscali, dove è sempre possibile riciclare denaro sporco. Limitare oggi il ragionamento alla dinamica pace o guerra risponde ad una logica vecchia che non sa affrontare la svolta di civiltà, dove il rischio è che si scontrino due modelli politico sociali, uno barbaro e delirante, e l'altro autoritario e del più forte. La nostra strada va resa sempre più visibile, è una strada piena di idee, di possibili iniziative, di modelli di società, di una parte di Europa, e di gente che vuole credere in valori alti e si è recentemente riavvicinata alla politica. Non siamo in pochi. La fionda di Davide Abbiamo al nostro arco qualche freccia da giocarci. La nostra forza è la partecipazione dei cittadini. Non ci interessa inseguire le manifestazioni del sabato pomeriggio. Non abbiamo bisogno , né lo ha il movimento emerso a Genova, di misurarci con i numeri dei cortei. La Perugia - Assisi ha già dimostrato quanto c'era da mostrare e dimostrare. La nostra forza è creare nei territori, nei quartieri iniziative concrete di solidarietà, che oggi vanno verso i profughi afghani (con un'iniziativa concordata con Emergency), ma che, come abbiamo già fatto in occasione del Mozambico, nei prossimi mesi dovranno investire concreti progetti per dare acqua potabile, elettricità, ospedali, alle popolazioni vittime di questa globalizzazione. Lanciamo per i prossimi mesi, anche in preparazione della nostra partecipazione al Global Social Forum di Porto Alegre, una campagna su CLIMA E POVERTA', che interloquisca anche con le nostre forme tradizionali di presenza nei territori. Riprendiamo la nostra opera storica di informazione sui processi che la globalizzazione ha messo in campo, sulla crisi ambientale, sul ruolo dello sviluppo locale, sul nesso forte, ed oggi sempre più evidente, tra governo dell'ambiente, condizioni di vita ed ingiustizie sociali nel mondo. Organizziamo incontri di culture diverse, con le minoranze che vivono nel nostro territorio contro l'intolleranza, puntiamo ad una giornata nazionale di "moschee aperte". È oggi possibile, al di là delle sigle, costruire alleanze importanti con movimenti laici e cattolici che su questi temi e su queste modalità di azione ci stanno. Riprendiamo, infine, la nostra iniziativa, per quel che possiamo contare, per rilanciare il ruolo dell'Europa e per denunciare lo stato in cui versano i trattati internazionali, quelli non firmati e quelli di cui ci sarebbe sempre più bisogno (clima, mine antiuomo, statuto del tribunale penale internazionale, convenzione internazionale sul terrorismo, .). Non siamo in pochi.
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