Fw: [diritti globali] documento del nazionale di Legambiente su pace e guerra



documento di analisi sulla guerra prodotto da Legambiente nazionale

NO AL TERRORISMO, SI' ALLA PACE

Un atto criminale contro l'umanità Gli attentati
terroristici dell'11 settembre 2001 rappresentano un atto criminale
contro l'umanità, che segna una "svolta di civiltà". Non ci troviamo di
fronte ad una semplice escalation di storie preesistenti, non si tratta
solo di un salto di scala. Ragionare secondo logiche tradizionali è
pericoloso per tutti noi, denota cecità, o forse un uso consapevole
della nuova fase ai propri fini e quindi ci obbliga a rischiare qualche
ipotesi su quale potrebbe essere uno scenario possibile di governo
globale a cui gli USA tendono e a cui qualcun altro si oppone. Governo
mondiale che gli USA fino ad oggi hanno interpretato anche come diritto
di boicottare i trattati internazionali.

Chi è Bin Laden? Vi ricordate i film di 007 con la lotta
tra l'Occidente e la Spectre?  Con gli attentati dell'11 settembre
sembra di trovarsi nella classica situazione in cui la realtà ha
superato l'immaginario. Proviamo a spiegarci.
Von Klausvitz ebbe a sostenere, circa un secolo fa, che "la guerra è la
prosecuzione della politica con altre armi". Per Bin Laden ci troviamo
nella stessa situazione, solo che invece della guerra usa il terrorismo
(e fin qui è giusto dire che ci troviamo di fronte ad un atto di
guerra). Ma chi è Bin Laden? Bin Laden è il nome che si dà ad un blocco
economico finanziario, molto forte e con molto potere, con seguito di
masse e con un esercito privato e che, per la prima volta nella storia,
non ha uno stato di riferimento altrettanto forte e quindi non può
promulgare leggi o organizzare diplomazie per difendere i suoi interessi
e colpire quelli dell'avversario. Obiettivo strategico è contrapporsi
agli USA egemonizzando l'area del petrolio, dove risiede il 70% delle
riserve petrolifere mondiali, mentre le riserve statunitensi coprono
solo i prossimi dieci anni e il Mar del Nord non  va al di là dell'1,5%
delle riserve mondiali. Un gigante economico ed un nano politico. Un
organismo politico prestatuale che vuole arrivare a controllare il
principale motore dell'attuale modello di sviluppo: il petrolio, e che
usa l'integralismo islamico come arma di coesione e arruolamento. Il suo
programma politico non è tanto la vittoria dell'Islam, quanto piuttosto
la competizione con tutti i mezzi, leciti e illeciti, per battere il
blocco economico attualmente dominante, con determinazione, crudeltà e
spudoratezza, sconosciute alle democrazie occidentali e che ricordano un
po' il nazismo. Bin Laden è figlio del crollo del muro di Berlino (il
mondo governato da un solo potente) e della guerra del Golfo (nessuno
stato arabo forte o ricco deve essere fuori dell'orbita statunitense).
E' figlio della politica americana che per tentare di governare il Medio
oriente, senza dare il suo contributo decisivo allo scioglimento dei
conflitti in quella Regione, crea mostri nuovi per scalzare quelli
vecchi e non più funzionali. Ma Bin Laden è anche figlio del fallimento
della federazione araba di Nasser e del tentativo egemonico di Gheddafi
e dello stesso Saddam, che in qualche modo, in forme diverse, negli
ultimi decenni, hanno tentato di dare rappresentanza politica e statuale
alla forza storica e culturale dell'ISLAM. Bin Laden rappresenta un
progetto politico per quel mondo arabo, che ha in mano pezzi molto
rilevanti della ricchezza finanziaria internazionale, ma non ha
rappresentanza politica e non può far pesare il suo potere economico, è
comunque prigioniero politico dell'egemonia dell'occidente (e quindi non
in grado di competere fino in fondo sul piano economico - finanziario).
L'attacco alle due Torri è stato sferrato non solo perché sono il
simbolo dell'America, ma anche e soprattutto perché esplicitano il
programma politico: l'attacco vero, non simbolico, al cuore finanziario
della potenza che domina il mondo.
Per questo Bin Laden ricorda la Spectre, un'associazione che usa il
crimine, e le coperture politiche, per rinforzare la sua potenza
economica. Non ci troviamo di fronte allo scontro tra due civiltà,
quella occidentale e quella islamica. La questione araba è solo
strumentalizzata per dare spazio ad un potentato economico, sulla pelle
delle stesse popolazioni arabe, che di quella ricchezza non vedono
alcuna ricaduta positiva, e sono spesso costrette a vivere in assenza
dei minimi diritti civili e sociali.
A questo proposito un'ultima osservazione. Vestire la concorrenza
economica tra USA ed una parte del mondo arabo di fondamentalismo
religioso serve anche a proiettare fuori dai confini medio orientali le
tensioni sociali interne, provocate dallo stato in cui versano le
popolazioni locali.

Gli esiti possibili Il programma politico di Bin Laden, e di
chiunque ci sia dietro a questo nome, fa riferimento ad un modello di
civiltà per noi inaccettabile, non perché lo sia il Corano, ma perché
quel blocco economico finanziario è l'espressione di un'idea di società
reazionaria e totalmente illiberale, sono modelli sociali terrificanti.
Sul fronte opposto la dichiarazione di guerra mette in campo processi
dagli esiti quanto meno preoccupanti, a più livelli. Il rischio più
forte è il rinforzo e la stabilizzazione, per un lungo periodo,
dell'egemonia statunitense  mentre l'Europa viene messa all'angolo,
incapace di agire e di sviluppare le sue politiche, che pure negli
ultimi anni avevano cominciato a delinearsi. Altro esito è
l'affermazione di un'economia di guerra che già da oggi sta mettendo in
soffitta le politiche neoliberiste, senza che nessuno possa passare
all'incasso di questo cambio di politica, ottimo volano per Bush, per
mantenere la guida del mondo e, in casa nostra, per giustificare la
sospensione del programma elettorale. Tra gli esiti possibili non va
sottovalutato il fatto che qualcuno possa utilizzare la situazione per
accreditare politiche di limitazione dei diritti politici, civili e
sociali, una  "svolta autoritaria" per garantire le "magnifiche sorti"
del liberismo monopolista. Un segnale in questo senso viene dal
tentativo di semplificazione del panorama politico avviato da Bush con
il "chi non è con me è contro di me", che, in Italia, ha avuto qualche
piccola anticipazione con il tentativo di far passare l'equazione
movimento emerso a Genova = terrorismo.
Insomma l'esito potrebbe essere un autoritarismo illiberale del tutto
inedito. In gioco è il governo mondiale degli USA. Una svolta che, tra
l'altro, si veste di "arroganza", lo stile dei primi mesi del governo
Bush fino all'ultima scivolata con la "giustizia infinita", un'arroganza
su cui il governo Berlusconi potrà giocare le sue carte (e il suo
stile).
Non si vuole qui affermare che ci troviamo in un quadro apocalittico né
che sposiamo un'idea meccanicistica della storia. Tutt'altro. Stressare
il ragionamento, in fase di analisi, può essere utile per capire quali
sono i processi possibili che si potrebbero dipanare nel futuro, quale
il ruolo, e quindi le mosse, dei singoli attori, per non navigare a
vista e rendere impotente la posizione pacifista. Per questo non
dobbiamo neanche sottovalutare che si è aperto un processo
contraddittorio, i cui esiti sono molto aperti, e che al momento si
possono anche aprire spazi nuovi e del tutto inaspettati, come ad
esempio le ultime scelte dell'IRA, o la minaccia rivolta dagli USA  alla
casa farmaceutica Bayer di togliere il brevetto sull'antibiotico che
cura l'antrace, ottenendo l'immediato dimezzamento del prezzo della
medicina (esattamente all'opposto della posizione assunta in occasione
della lotta del Sudafrica contro i brevetti dei medicinali anti - AIDS),
o ancora la nuova e più forte evidenza con cui si pone oggi la necessità
di arrivare alla firma di alcuni decisivi trattati internazionali, o la
disponibilità a riconoscere il diritto all'esistenza di uno stato
palestinese, o,  infine, pur se i segnali sembrano andare in altra
direzione, la difficoltà a tenere il governo unico del mondo in assoluta
autarchia.
Una particolare attenzione va dedicata ad una questione che fino ad oggi
ci sembra sorprendentemente sottovalutata: il ruolo che può e potrà
giocare il processo di emancipazione femminile in alcune parti del mondo
arabo. Ha fatto in questi mesi molto scalpore il velo sui volti delle
donne afghane, ma ci sembra stia sfuggendo del tutto che un processo di
emancipazione delle donne è un potente fattore di democratizzazione di
quei paesi, in termini anche di diritti sociali e civili per tutta la
popolazione.

Un'identità da sbandierare Noi, oggi, abbiamo un compito arduo, ci
piaccia o no, che va al di là della mera testimonianza. Esiste ed è
praticabile e a quali condizioni una strada diversa da quella che si è
imboccata? È in questa strada  che hanno cittadinanza le nostre idee di
pace, di giustizia sociale, di solidarietà ambientale, di diritto
internazionale, ed ancora l'idea che abbiamo di Europa e l'idea che
abbiamo di ONU. Quali azioni concretamente possiamo mettere in campo
perché si affermino "le armi della politica contro la politica delle
armi"? perché, realisticamente, è solo la politica (ed un processo per
un mondo più giusto) che può portare alla soluzione dei conflitti
(Palestina docet). Che ruolo dovrebbe giocare l'Italia, in Europa e nel
Mediterraneo, per avanzare concretamente sulla strada della pace?
Siamo convinti che gli autori di tali atti criminali vadano assicurati
alla giustizia, che nessuna motivazione possa mai "giustificare" tali
atti, ma crediamo che la strada scelta da Bush sia sbagliata e perdente.
E' perdente perché per colpire i terroristi a nulla servono le bombe, i
raid aerei, le invasioni di marines (come se per colpire la mafia si
bombardasse Corleone). Tutto ciò porterà solo nuove vittime, nuove
povertà ed ingiustizie, nuovi odi. È perdente per le democrazie
occidentali. E' perdente per un mondo più equilibrato, in cui l'Europa
possa giocare le sue carte. E' perdente per noi, perché servirà solo a
rinforzare il modello militare di controllo del mondo da parte degli
USA. Con buona pace delle nostre aspirazioni. Il rischio altissimo che
tutti corriamo è che, se come è molto probabile il terrorismo non sarà
scalfito dalla guerra, il modello di civiltà, che sta dietro Bin Laden,
verrà rafforzato. Quel modello, vogliamo ribadire, non ha nulla a che
vedere con la cultura e la civiltà dell'Islam, mira solo a cambiare la
potenza che governerà i pozzi di petrolio. E' evidente allora come la
nostra battaglia per un altro modello di sviluppo, per un altro modello
energetico, finalizzato a diminuire la dipendenza dal petrolio, riguarda
in una connessione profonda questioni ambientali e questioni di
sicurezza mondiale, riguarda la possibilità di uno sviluppo equilibrato
e pacifico per tutto il mondo.
Oggi è necessario rilanciare la legittimità di operazioni di giustizia
internazionale, supportate da opportune azioni di intelligente "polizia
internazionale", fatta di intelligence, di intervento sui paradisi
fiscali, di controlli finanziari nelle borse del mondo ricco, sotto
l'egida dell'ONU, ma siamo anche consapevoli del fatto che l'ONU è
arrivato al punto più basso nella parabola di credibilità ed
autorevolezza degli ultimi anni.
Noi dobbiamo prendere la parola, anche perché la legge del più forte che
sostanzia il governo unico del mondo e sta dietro la scelta della
guerra, riemergerà nei comportamenti quotidiani, nell'intolleranza
strisciante delle società opulente del primo mondo. Sta anche a noi se
in Italia risulterà vincente la cultura dell'incontro tra civiltà, della
tolleranza, della solidarietà tra popoli diversi.
L'Italia può e deve giocare un ruolo perché si affermi una buona
globalizzazione, la globalizzazione dei diritti civili e sociali, la
globalizzazione della qualità della salute e di un equilibrato sviluppo,
la globalizzazione dell'accesso all'istruzione e alle risorse
ambientali. Tutto ciò si gioca anche in casa nostra, in quel circuito
virtuoso che, con un pessimo termine, si comincia a chiamare "glocale".
I segnali che in questi primi mesi vengono dal governo Berlusconi, vanno
in direzione opposta: prima la chiamata alle armi per lo scontro di
civiltà, che ci ha messo in sala d'aspetto in tutte le sedi
internazionali, poi le misure sulle rogatorie e sul rientro dei
capitali, dove sembra che il nostro Paese abbia deciso di combattere la
sua battaglia internazionale facendo concorrenza ai famigerati paradisi
fiscali, dove è sempre possibile riciclare denaro sporco.
Limitare oggi il ragionamento alla dinamica pace o guerra risponde ad
una logica vecchia che non sa affrontare la svolta di civiltà, dove il
rischio è che si scontrino due modelli politico sociali, uno barbaro e
delirante, e l'altro autoritario e del più forte.
La nostra strada va resa sempre più visibile, è una strada piena di
idee, di possibili iniziative, di modelli di società, di una parte di
Europa, e di gente che vuole credere in valori alti e si è recentemente
riavvicinata alla politica.
Non siamo in pochi.


La fionda di Davide Abbiamo al nostro arco qualche
freccia da giocarci.
La nostra forza è la partecipazione dei cittadini. Non ci interessa
inseguire le manifestazioni del sabato pomeriggio. Non abbiamo bisogno ,
né lo ha il movimento emerso a Genova, di misurarci con i numeri dei
cortei. La Perugia - Assisi ha già dimostrato quanto c'era da mostrare e
dimostrare.
La nostra forza è creare nei territori, nei quartieri iniziative
concrete di solidarietà, che oggi vanno verso i profughi afghani (con
un'iniziativa concordata con Emergency), ma che, come abbiamo già fatto
in occasione del Mozambico, nei prossimi mesi dovranno investire
concreti progetti per dare acqua potabile, elettricità, ospedali, alle
popolazioni vittime di questa globalizzazione.
Lanciamo per i prossimi mesi, anche in preparazione della nostra
partecipazione al Global Social Forum di Porto Alegre, una campagna su
CLIMA E POVERTA', che interloquisca anche con le nostre forme
tradizionali di presenza nei territori.
Riprendiamo la nostra opera storica di informazione sui processi che la
globalizzazione ha messo in campo, sulla crisi ambientale, sul ruolo
dello sviluppo locale, sul nesso forte, ed oggi sempre più evidente, tra
governo dell'ambiente, condizioni di vita ed ingiustizie sociali nel
mondo.
Organizziamo incontri di culture diverse, con le minoranze che vivono
nel nostro territorio contro l'intolleranza, puntiamo ad una giornata
nazionale di "moschee aperte".
È oggi possibile, al di là delle sigle, costruire alleanze importanti
con movimenti laici e cattolici che su questi temi e su queste modalità
di azione ci stanno.
Riprendiamo, infine, la nostra iniziativa, per quel che possiamo
contare, per rilanciare il ruolo dell'Europa e per denunciare lo stato
in cui versano i trattati internazionali, quelli non firmati e quelli di
cui ci sarebbe sempre più bisogno (clima, mine antiuomo, statuto del
tribunale penale internazionale, convenzione internazionale sul
terrorismo, .).
Non siamo in pochi.