Cassius Clay tra le macerie: «La colpa non è dell’Islam»



Cassius Clay tra le macerie:
«La colpa non è dell’Islam»


NEW - YORK Un uomo letargico, ferito dalla malattia, emerge dalla
pioggia newyorkese calpestando le macerie del «Ground Zero»,
l'anticamera dell'inferno. Porta il cappellino blu dei pompieri su una
testa ancora lucida, il suo fisico gonfio e goffo e un messaggio di
fratellanza nel cuore. Non riesce a parlare, lui che con le parole e
la diabolica dialettica era un fulmine come sul ring prima che il
Parkinson lo mettesse all'angolo provando a rubargli la scena. Ma
si può dire molto anche con un semplice bisbiglio, anche con un
sorriso, un gesto di solidarietà, una visita nel luogo che cambierà il
mondo, tra i detriti e il dolore di un popolo. E poi quando si soffre,
quando si piange l'umanità ferita, le parole vengono meglio:
«L'Islam non è una religione d'odio, è una religione d'amore. Fiumi,
stagni, laghi, ruscelli, hanno tutti nomi diversi ma tutti contengono
acqua. Così come le religioni, tutte contengono delle verità». È
questo il pugno mediatico, incisivo come un jab, di Cassius Clay, il
mito d'America che si convertì all'Islam col nome di Muhammed
Alì. L'ex nemico degli States, il super pugile campione olimpico
che nel '67 quando fu convocato per essere arruolato nella guerra in
Vietnam, rifiutò la divisa, ha voluto dire la sua: «Mi rattrista molto
che qualcuno pensi che gli attacchi terroristici contro New York e
Washington siano da attribuire all'Islam. Non è sua la colpa».
l. m.