Raniero La Valle: Le crisi prossime venture



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VASTI - CHE COS'E' L'UMANO?
Scuola di ricerca e critica delle antropologie


Le crisi prossime venture
di Raniero La Valle

18 febbraio 2001, Casa dei diritti sociali, Roma

La prima delle Ultime notizie di cui dovremmo parlare, è quella della
situazione gravissima creatasi in Israele con il risultato delle ultime
elezioni che hanno dato l'investitura a Sharon. In sostanza ambedue i
popoli, quello palestinese e quello israeliano, hanno decretato il
fallimento della pax israeliana, che era anche la pax  americana e, in
quanto pax dell'Impero, era la "pace" anche nostra.
Questa pace non realizzava, come è stato detto, l'idea di due popoli in due
Stati, ma in realtà poneva in essere la realtà di un popolo dentro un altro
popolo, di una nazione-Stato dentro uno Stato-nazione. Come nella
"matrioska" russa, la bambola più piccola non vede la luce se non si apre
la più grande, così la Palestina non avrebbe visto la luce se Israele non
si apriva.  Si sarebbe creato cioè una piccola Palestina dentro la grande
Israele, intendendo per Israele il territorio riconosciuto di Israele, più
gli insediamenti, le colonie, e la sovranità sulla Spianata delle moschee.
Dunque si sarebbe ratificata una situazione di dominio. La vittoria di
Barak avrebbe mascherato ma non cambiato questa realtà; perciò sarebbe
stata causa  di un equivoco. Dunque in un certo senso hanno ragione i
palestinesi nel dire che almeno così la situazione è più chiara. La realtà
si è svelata per quello che é; ma questa realtà è tragica.
L'Europa è stata assente, perché l'Europa non ha una politica per la
Palestina, ha una politica per il Mediterraneo ma non ha una politica per
il mondo. Lo stesso relativo fallimento del vertice di Nizza dimostra che
l'Europa, nella misura in cui non sa rapportarsi all'esterno, con gli altri
Paesi e popoli, non riesce neanche a realizzare la propria unità. Quindi in
questo momento sembra che nessuno possa farci niente, la zona del Medio
Oriente diventa  di nuovo il punto di caduta dell'intera situazione
mondiale e potrebbe diventare il casus belli di molte guerre.
Il ritorno del  Medio Oriente come luogo di conflitto coincide con l'inizio
della presidenza Bush.
Bush riprende le cose nel punto in cui le aveva lasciate il padre, e cioè
dal bombardamento di Bagdad, e dallo scudo spaziale, che significa
ricostruire la Russia come nemico, un nemico che però oggi è possibile
battere, al contrario di ieri.
In questo modo l'Impero si irrigidisce, si struttura  militarmente con la
nuova Nato, questa nuova alleanza nata nella guerra in Iugoslavia, che
rappresenta la struttura militare dell'Impero. E l'Europa lungi
dall'unificarsi come soggetto politico autonomo, sarà dentro questa
struttura politico-militare occidentale sempre più integrata e irretita; e
bisogna dire che la prima a correre in questa direzione sarà l'Italia di
Berlusconi, se ci sarà un'Italia di Berlusconi. A Londra, a casa di Blair,
Berlusconi  ha preso l'impegno di sostenere lo scudo spaziale americano
contro Parigi e Berlino e di frenare l'integrazione economica europea per
avere le mani libere in materia fiscale, che è la materia nella quale, come
detentore di grandi patrimoni aziendale e personali, egli è nel massimo
conflitto di interessi con lo Stato. Infatti il massimo conflitto di
interessi in cui è coinvolto Berlusconi, al di là delle televisioni, è
quello dei patrimoni che, se vengono detassati e se è eliminata la tassa di
successione, verrebbero interamente salvaguardati per lui e per i suoi
eredi.

La sorte della Costituzione sarà la vera posta in gioco della prossima
legislatura; questa legislatura comincia con una patente violazione
costituzionale, perché tutti i parlamentari del centro-destra saranno
eletti sulla base di un vincolo di mandato, contro l'art. 67 della
Costituzione che esclude tale vincolo. L'annuncio che è stato dato l'altro
giorno da Berlusconi, è che ai candidati del centro destra sarà richiesta
una lettera di dimissioni da depositare nelle mani dello stesso Berlusconi,
ciò attraverso cui si concretizzerebbe questo vincolo di mandato. Cioè gli
eletti saranno vincolati alla volontà di chi ha offerto loro la
candidatura, e questo è il sovvertimento del sistema costituzionale. Questo
vuol dire che se vince la destra, non si potrà contare sul parlamento, come
è accaduto nella legislatura scorsa. In queste condizioni dovremo
affrontare le crisi che ci si presenteranno, compresa quella che avrà il
suo epicentro nel Medio Oriente.

La crisi politica in Medio Oriente, da cui siamo partiti, rinvia peraltro
ad altre crisi, che avranno portata mondiale; perciò le ultime notizie di
cui vi vorrei parlare sono le notizie su queste crisi. La più grave e per
la quale oggi non si vede profilarsi alcuna soluzione, dopo il fallimento
della conferenza dell'Aja sul clima del novembre scorso, è la crisi
climatica. Questa è la più grave, anche perché le premesse, le cause
scatenanti di questa crisi sono già in atto, a seguito di comportamenti
precedenti; non si può evitare che venga, perchè sono già in corso i
processi per cui questa  crisi esploderà, tuttavia bisognerebbe cercare di
ritardarla e di attenuarne gli effetti.
Questa però non è la crisi più vicina; la più vicina, nel senso che
interverrà nei prossimi 5 -10 anni, è la crisi energetica. Le altre crisi,
sono le deforestazioni, le desertificazioni, la perdita della
bio-diversità, per la crescente estinzione delle specie che è in atto, la
crisi idrica, agricola, e l'erosione delle terre arabili. Da dove si
possono ricavare le notizie su queste crisi prossime venture? Si possono
ricavare in diverse sedi internazionali, in diversi rapporti e studi, ma
esse sono anche felicemente riassunte in uno studio del prof. Alberto Di
Fazio, dell'osservatorio astronomico di Roma, che si trova in un libro
appena uscito, intitolato "Contro le nuove guerre, scienziate e scienziati
contro la guerra", edito da Odradec.

 In questo libro sono contenuti gli atti di un convegno, tenutosi al
politecnico di Torino, il 22 e 23 giugno 2000, un convegno di scienziati
che si occupava di queste cose. In questo saggio, su "le grandi crisi
ambientali globali", Di Fazio parla non solo dei rischi di guerra, che a
queste crisi sono connessi, ma parla di "un sistema in agonia". Il sistema
in agonia sarebbe il sistema della crescita esponenziale, che sarebbe poi
l'attuale sistema capitalistico nella sua fase di deregulation e di
globalizzazione. In questo saggio di Di Fazio ci sono tutte le proiezioni
e le previsioni scientifiche non solo di scienziati alternativi, ma di
istituti di ricerca dei governi e delle grandi compagnie e banche, come ad
esempio la Canadian Imperial Bank of Commerce, che è uno tra gli otto
colossi bancari maggiori del Nord America, proiezioni in cui si disegnano
gli scenari di queste crisi; ma esse, proprio perché non affrontabili nel
quadro dell'attuale sistema, sono completamente rimosse, sia dal mondo
della comunicazione sia dal mondo della politica. Nessuno ne parla.

Perché vi cito questo saggio di Di Fazio? Perché esso va letto in quanto
consente solo due possibilità ragionevoli, intendendo per possibilità
ragionevoli quelle che escludono il puro e semplice esorcisma; le due
possibilità sono queste: o si dimostra che questi dati sono esagerati, e
che le previsioni sono errate, e allora si può continuare a vivere senza
problemi, oppure questi dati e queste previsioni sono fondati e allora la
politica, e per politica intendo la responsabilità collettiva, dovrebbe
occuparsi subito, e vorrei dire di nient'altro che di questo, perché è ciò
con cui ci confronteremo drammaticamente tra pochissimi anni. Non facciamo
neanche il discorso delle prossime generazioni, ma forse addirittura  il
discorso della prossima legislatura; abbiamo pochi anni prima della crisi
di sistema, se questo discorso è fondato, crisi che potrebbe far tornare di
attualità la teoria del crollo di marxiana memoria.

Mi limito qui a dare alcune notizie, sulla prima di queste crisi in arrivo,
la crisi energetica. Essa consiste puramente e semplicemente nel fatto che
i pozzi di petrolio che già sono sfruttati al massimo della potenzialità,
sia in area OPEC, cioè in area medio-orientale, sia nell'area non OPEC
(Venezuela etc.), tra pochi anni cesseranno di produrre: non perché il
petrolio sarà finito, ma perché scenderà nei pozzi ad un livello dal quale
per pomparlo occorrerà più energia di quanta se ne estragga, e più soldi di
quanti se ne possano ricavare. E quindi a quel punto resterebbe lì e
nessuno lo tirerebbe più fuori. Secondo le previsioni la domanda mondiale
di petrolio, salita dai 68 milioni di barili al giorno del 1966 ai circa 76
milioni di barili di oggi, arriverà ai 94 milioni di barili al giorno nel
2010. Poiché questa domanda di petrolio cresce sempre, perché tutta la
nostra economia è fondata sull'uso dell'energia proveniente  dal petrolio,
si arriverà a un punto in cui la domanda di petrolio eccederà la massima
produzione geologicamente possibile; ma ancora prima che questo accada la
domanda di petrolio eccederà la massima produzione economicamente
possibile; ma non è una sorpresa: lo si dice già da alcuni anni; in una
intervista pubblicata nel 1998 l'allora capo esecutivo dell'ENI, Bernabè
(che poi forse non a caso è stato dirottato alla Telecom, meno esposta su
questo fronte) dichiarava che il tasso di estrazione mondiale di petrolio
"piccherà" (questo termine significa che  raggiungerà il massimo e poi
comincerà a decrescere) nel 2005, quindi tra quattro anni. Invece il tasso
di estrazione del gas naturale piccherà nel 2010, e naturalmente a quel
punto si tornerà al carbone, però col carbone non si potrà fare tutto, per
esempio non si potranno far volare gli aerei; ad ogni modo, a quei livelli
di consumo, di un carbone che sostituisce il petrolio e il gas naturale,
anche il carbone si esaurirà in 25 o in 30 anni.

Questa è la previsione; si va verso un futuro abbastanza prossimo, in cui
non si potrà più contare sui combustibili fossili: petrolio, carbone, gas
naturale. E allora l'energia da dove verrà? Ci sono le fonti alternative:
eoliche, solari, le biomasse, ma queste potranno sopperire solo per una
piccola parte, una piccolissima parte; e così resta il nucleare. Però per
la fusione nucleare, questa nuova tecnologia che viene annunciata, ci
vorranno almeno 40 - 50 anni, sicché bisogna contare sul nucleare
tradizionale, che è il nucleare  a fissione, che si usa nelle centrali
nucleari attuali (lo stesso processo che si usa nelle bombe atomiche); ma
con il  nucleare tradizionale, secondo uno studio del World Watch Institute
di Washington, per produrre solo un terzo dell'attuale fabbisogno di
energia, ci vorrebbero 5350  nuove centrali da un miliardo di Watt l'una,
da costruire entro il 2025, pari a una centrale ogni 2 giorni, e il costo
di tale operazione sarebbe pari a  2 volte e mezzo l'intero PIL degli USA.
Dunque in ogni caso l'attuale sistema economico e produttivo, l'attuale
sistema di crescita non può continuare, perché non si può rimpiazzare
l'energia che oggi si adopera e che sarà necessaria in misura sempre
maggiore; perciò in ogni caso occorrerà invertire il segno di questo
sistema, e quindi non andare più verso la crescita ma andare verso un
sistema di riduzioni, di limiti; ma la crisi non esploderà quando saranno
esaurite le attuali risorse energetiche, ma naturalmente molto prima, e
tanto più se nessuno ci pone mano.

Se le cose si lasciano andare come se nulla dovesse accadere, la crisi
interverrà quando il prezzo del petrolio, che già dagli 8- 9 dollari al
barile è salito a 30 dollari al barile, mettendo in fibrillazione molte
economie, giungerà a 50-60 dollari al barile; ciò avverrà molto presto, per
l'aumento della domanda e la diminuzione dell'offerta; man mano che i pozzi
cominceranno  a produrre di meno, evidentemente il prezzo si innalzerà e
allora tutto il sistema comincerà a barcollare. E' anche probabile che
aumentino le conflittualità e forse le guerre, per assicurarsi le ultime
riserve di petrolio in modo che i Paesi più ricchi, dotati e potenti
possano procrastinare almeno di alcuni anni la propria crisi, affrettando
quella degli altri.
Ma al di là di questo aspetto, vi saranno conseguenze generalizzate, che lo
stesso Di Fazio prova a immaginare dicendo: "possiamo affermare con un
certo grado di affidamento che un grande caos si diffonderà nei paesi
industrializzati, che il settore dell'auto crollerà, sia nella domanda che
nell'offerta, che i trasporti in genere diventeranno carissimi, con un vero
e proprio crollo dei trasporti aerei, crollerà il turismo, saliranno molto
anche i generi alimentari, calerà sostanzialmente il potere di acquisto
totale dei lavoratori e nasceranno probabilmente grandi conflitti salariali
e politici; con il calo della liquidità crescerà a dismisura la
disoccupazione; tutto questo e altro è immaginabile, ma imprevedibile in
termini quantitativi; soprattutto questo possiamo aspettarcelo: nascerà un
terribile sentimento di delusione verso tutto ciò che dipende dalla
crescita, verso il modello di vita attuale; purtroppo non possiamo
escludere che tutto ciò porti a regimi antidemocratici o dittatoriali, né
si possono escludere conflitti regionali o interregionali e ci si può
aspettare che ancora più di adesso il Medio Oriente diventi sorgente di
conflitto".

Allora torno all'alternativa iniziale: o tutto questo non succederà o se
tutto questo è ragionevolmente prevedibile, allora  non ci sarebbe altro da
fare che cercare  di vedere come fronteggiare questa crisi.

Però io vorrei fare un'ultima riflessione: qual è il sistema che produce la
crisi e che è destinato ad andare in crisi? Di Fazio ha una risposta, e
dice che il sistema che va in crisi e il sistema che produce questa crisi è
il sistema capitalistico; e ciò per una ragione di necessità, perché il
sistema capitalistico non può fare a meno di una crescita esponenziale,
economica, produttiva, di consumi, etc., perché è solo in un regime di
crescita esponenziale che gli investimenti sono possibili, sono
remunerativi; senza una prospettiva di crescita, gli investimenti non si
fanno, quindi il capitalismo non c'è. Perciò nel capitalismo ci sarebbe una
coazione alla crisi.

Questo credo sia senz'altro vero, però il mio timore è che questa analisi
sia ancora in fondo ottimistica, perché fa pensare che la soluzione possa
stare solo nel cambiamento del sistema economico, anche se nessuno sa come
si fa e la politica oggi non sembra in grado di produrre tale cambiamento.
Però io credo che la causa non stia solo nel capitalismo, nel senso che
tutta la cultura e i modi di vita e il senso comune oggi vigenti sono in
realtà la causa di questa situazione, sono responsabili di questa
situazione; non credo che noi siamo arrivati a questo punto, di
dilapidamento ed esaurimento delle risorse, di impossibilità di mantenere
questo ritmo di crescita, solo per le responsabilità dell'ultima fase del
capitalismo, della globalizzazione e così via. Io credo che avesse
veramente ragione Claudio Napoleoni, anche se ancora non era visibile
questo grado di crisi che oggi si manifesta, quando diceva che questa crisi
in realtà è la crisi a cui l'intero corso storico è pervenuto, un corso
storico nel quale l'uomo si è rapportato alla natura come a nient'altro che
il producibile, ciò che può essere prodotto, e quindi attraverso questo
processo di riduzione al producibile si è negata e perduta l'alterità della
natura.

Ed è in questa riduzione della natura al producibile che si è stabilito
quel circuito di produzione-appropriazione-alienazione  che oggi sta
giungendo al punto di rottura. Perciò il cambiamento necessario non è solo
quello del sistema economico e produttivo, è appunto un cambiamento
antropologico.
I limiti dello sviluppo di cui parlava il club di Roma nel 1971 (e allora
non fu creduto) si sono rivelati fondati, anzi addirittura approssimati per
difetto rispetto alla gravità dei problemi quali oggi si manifestano. Quei
limiti già analizzati nel 1971 e ora confermati postulano in realtà  non
solo un sistema economico diverso, ma postulano una fondazione  diversa del
sistema e quindi postulano una antropologia diversa rispetto a quella della
produzione illimitata, dell'appropriazione competitiva e della alienazione
generalizzata. Dunque tutto torna a confermare il senso di questa nostra
ricerca, di questa nostra scuola; e mi pare che questo possa anche
introdurre il tema del prof. Roberto Mancini che è un tema alternativo, è
il tema avanzato in Italia da Italo Mancini, sulla scorta del pensiero di
Emmanuel Levinas. Vogliamo provare a ragionare sull'ipotesi di mettere al
centro di tutto invece della cosa, invece del prodotto, invece del
possesso, invece dell'io,  mettere al centro di tutto l'altro e il suo
volto; perché nell'altro c'è contemplazione, c'è il riconoscimento, c'è
l'accoglienza, non c'è alienazione. Poi un'altra tappa sarà quando faremo
un seminario con Giuseppe Barbaglio, in cui cercheremo di riprendere in
mano l'antropologia di Franco Rodano, l'antropologia che Franco Rodano ha
elaborato in una piccola scuola, simile a questa, e che si ritrova in un
libro intitolato "Lezioni di Storia Possibile". Qui Rodano affrontava il
tema dell'antropologia signorile, dell'antropologia della perfezione, e poi
affrontava il tema posto dal II capitolo della lettera ai Filippesi, e
perciò il tema di un'antropologia del limite, di un'antropologia della
povertà, di un'antropologia della deposizione di sé, della kenosis; e
questa appunto è una riflessione che entra in diretta dialettica con quella
che è la cultura dominante. Barbaglio ci potrà richiamare questa
antropologia di Rodano, e poi anche sviluppare una riflessione
sull'antropologia del II capitolo della lettera ai Filippesi.

Per quanto riguarda Italo Mancini vorrei che voi sapeste che egli non è
stato solo un filosofo, e perciò non si tratta qui solo di riprendere in
mano le tesi di un teorico della cultura, ma è stato un intellettuale
militante, di quel tipo di intellettuali di cui oggi sentiamo la mancanza;
egli ha preso sempre posizione, si è sempre schierato sui "fronti di
lotta", come lui li chiamava. Vi indico solo un libro, che mi sembra ancora
estremamente attuale, e anzi oggi più che mai, intitolato "Il pensiero
negativo e la nuova destra"; vi era qui, e siamo nel 1983, un'analisi anche
abbastanza profetica, di questa destra incombente, di questa destra in
arrivo; egli parlava della nuova destra, delle nuove categorie di
distruzione e di guerra, dell'antisemitismo, della xenofobia, e ne
rintracciava le origini in tutta la storia del pensiero occidentale; c'è
tutto un discorso sulla genesi del pensiero di guerra; non a caso del resto
abbiamo più volte citato Italo Mancini nei nostri seminari. Si tratta di un
libro che è certo denso di pensiero, di cultura, ma è anche un libro in cui
si è invitati a misurarsi con la realtà attuale, anche politica. Perciò mi
sembra, anche per questo, che valga la pena oggi affrontare questo tema
forte del volto, che è stato uno degli ultimi temi che Mancini ha elaborato
e sviluppato e su cui noi possiamo continuare a ragionare e riflettere.