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Raniero La Valle: Le crisi prossime venture
- Subject: Raniero La Valle: Le crisi prossime venture
- From: "Angelo Melocchi" <melang at bluewin.ch>
- Date: Mon, 17 Sep 2001 00:16:53 +0200
___________________________ VASTI - CHE COS'E' L'UMANO? Scuola di ricerca e critica delle antropologie Le crisi prossime venture di Raniero La Valle 18 febbraio 2001, Casa dei diritti sociali, Roma La prima delle Ultime notizie di cui dovremmo parlare, è quella della situazione gravissima creatasi in Israele con il risultato delle ultime elezioni che hanno dato l'investitura a Sharon. In sostanza ambedue i popoli, quello palestinese e quello israeliano, hanno decretato il fallimento della pax israeliana, che era anche la pax americana e, in quanto pax dell'Impero, era la "pace" anche nostra. Questa pace non realizzava, come è stato detto, l'idea di due popoli in due Stati, ma in realtà poneva in essere la realtà di un popolo dentro un altro popolo, di una nazione-Stato dentro uno Stato-nazione. Come nella "matrioska" russa, la bambola più piccola non vede la luce se non si apre la più grande, così la Palestina non avrebbe visto la luce se Israele non si apriva. Si sarebbe creato cioè una piccola Palestina dentro la grande Israele, intendendo per Israele il territorio riconosciuto di Israele, più gli insediamenti, le colonie, e la sovranità sulla Spianata delle moschee. Dunque si sarebbe ratificata una situazione di dominio. La vittoria di Barak avrebbe mascherato ma non cambiato questa realtà; perciò sarebbe stata causa di un equivoco. Dunque in un certo senso hanno ragione i palestinesi nel dire che almeno così la situazione è più chiara. La realtà si è svelata per quello che é; ma questa realtà è tragica. L'Europa è stata assente, perché l'Europa non ha una politica per la Palestina, ha una politica per il Mediterraneo ma non ha una politica per il mondo. Lo stesso relativo fallimento del vertice di Nizza dimostra che l'Europa, nella misura in cui non sa rapportarsi all'esterno, con gli altri Paesi e popoli, non riesce neanche a realizzare la propria unità. Quindi in questo momento sembra che nessuno possa farci niente, la zona del Medio Oriente diventa di nuovo il punto di caduta dell'intera situazione mondiale e potrebbe diventare il casus belli di molte guerre. Il ritorno del Medio Oriente come luogo di conflitto coincide con l'inizio della presidenza Bush. Bush riprende le cose nel punto in cui le aveva lasciate il padre, e cioè dal bombardamento di Bagdad, e dallo scudo spaziale, che significa ricostruire la Russia come nemico, un nemico che però oggi è possibile battere, al contrario di ieri. In questo modo l'Impero si irrigidisce, si struttura militarmente con la nuova Nato, questa nuova alleanza nata nella guerra in Iugoslavia, che rappresenta la struttura militare dell'Impero. E l'Europa lungi dall'unificarsi come soggetto politico autonomo, sarà dentro questa struttura politico-militare occidentale sempre più integrata e irretita; e bisogna dire che la prima a correre in questa direzione sarà l'Italia di Berlusconi, se ci sarà un'Italia di Berlusconi. A Londra, a casa di Blair, Berlusconi ha preso l'impegno di sostenere lo scudo spaziale americano contro Parigi e Berlino e di frenare l'integrazione economica europea per avere le mani libere in materia fiscale, che è la materia nella quale, come detentore di grandi patrimoni aziendale e personali, egli è nel massimo conflitto di interessi con lo Stato. Infatti il massimo conflitto di interessi in cui è coinvolto Berlusconi, al di là delle televisioni, è quello dei patrimoni che, se vengono detassati e se è eliminata la tassa di successione, verrebbero interamente salvaguardati per lui e per i suoi eredi. La sorte della Costituzione sarà la vera posta in gioco della prossima legislatura; questa legislatura comincia con una patente violazione costituzionale, perché tutti i parlamentari del centro-destra saranno eletti sulla base di un vincolo di mandato, contro l'art. 67 della Costituzione che esclude tale vincolo. L'annuncio che è stato dato l'altro giorno da Berlusconi, è che ai candidati del centro destra sarà richiesta una lettera di dimissioni da depositare nelle mani dello stesso Berlusconi, ciò attraverso cui si concretizzerebbe questo vincolo di mandato. Cioè gli eletti saranno vincolati alla volontà di chi ha offerto loro la candidatura, e questo è il sovvertimento del sistema costituzionale. Questo vuol dire che se vince la destra, non si potrà contare sul parlamento, come è accaduto nella legislatura scorsa. In queste condizioni dovremo affrontare le crisi che ci si presenteranno, compresa quella che avrà il suo epicentro nel Medio Oriente. La crisi politica in Medio Oriente, da cui siamo partiti, rinvia peraltro ad altre crisi, che avranno portata mondiale; perciò le ultime notizie di cui vi vorrei parlare sono le notizie su queste crisi. La più grave e per la quale oggi non si vede profilarsi alcuna soluzione, dopo il fallimento della conferenza dell'Aja sul clima del novembre scorso, è la crisi climatica. Questa è la più grave, anche perché le premesse, le cause scatenanti di questa crisi sono già in atto, a seguito di comportamenti precedenti; non si può evitare che venga, perchè sono già in corso i processi per cui questa crisi esploderà, tuttavia bisognerebbe cercare di ritardarla e di attenuarne gli effetti. Questa però non è la crisi più vicina; la più vicina, nel senso che interverrà nei prossimi 5 -10 anni, è la crisi energetica. Le altre crisi, sono le deforestazioni, le desertificazioni, la perdita della bio-diversità, per la crescente estinzione delle specie che è in atto, la crisi idrica, agricola, e l'erosione delle terre arabili. Da dove si possono ricavare le notizie su queste crisi prossime venture? Si possono ricavare in diverse sedi internazionali, in diversi rapporti e studi, ma esse sono anche felicemente riassunte in uno studio del prof. Alberto Di Fazio, dell'osservatorio astronomico di Roma, che si trova in un libro appena uscito, intitolato "Contro le nuove guerre, scienziate e scienziati contro la guerra", edito da Odradec. In questo libro sono contenuti gli atti di un convegno, tenutosi al politecnico di Torino, il 22 e 23 giugno 2000, un convegno di scienziati che si occupava di queste cose. In questo saggio, su "le grandi crisi ambientali globali", Di Fazio parla non solo dei rischi di guerra, che a queste crisi sono connessi, ma parla di "un sistema in agonia". Il sistema in agonia sarebbe il sistema della crescita esponenziale, che sarebbe poi l'attuale sistema capitalistico nella sua fase di deregulation e di globalizzazione. In questo saggio di Di Fazio ci sono tutte le proiezioni e le previsioni scientifiche non solo di scienziati alternativi, ma di istituti di ricerca dei governi e delle grandi compagnie e banche, come ad esempio la Canadian Imperial Bank of Commerce, che è uno tra gli otto colossi bancari maggiori del Nord America, proiezioni in cui si disegnano gli scenari di queste crisi; ma esse, proprio perché non affrontabili nel quadro dell'attuale sistema, sono completamente rimosse, sia dal mondo della comunicazione sia dal mondo della politica. Nessuno ne parla. Perché vi cito questo saggio di Di Fazio? Perché esso va letto in quanto consente solo due possibilità ragionevoli, intendendo per possibilità ragionevoli quelle che escludono il puro e semplice esorcisma; le due possibilità sono queste: o si dimostra che questi dati sono esagerati, e che le previsioni sono errate, e allora si può continuare a vivere senza problemi, oppure questi dati e queste previsioni sono fondati e allora la politica, e per politica intendo la responsabilità collettiva, dovrebbe occuparsi subito, e vorrei dire di nient'altro che di questo, perché è ciò con cui ci confronteremo drammaticamente tra pochissimi anni. Non facciamo neanche il discorso delle prossime generazioni, ma forse addirittura il discorso della prossima legislatura; abbiamo pochi anni prima della crisi di sistema, se questo discorso è fondato, crisi che potrebbe far tornare di attualità la teoria del crollo di marxiana memoria. Mi limito qui a dare alcune notizie, sulla prima di queste crisi in arrivo, la crisi energetica. Essa consiste puramente e semplicemente nel fatto che i pozzi di petrolio che già sono sfruttati al massimo della potenzialità, sia in area OPEC, cioè in area medio-orientale, sia nell'area non OPEC (Venezuela etc.), tra pochi anni cesseranno di produrre: non perché il petrolio sarà finito, ma perché scenderà nei pozzi ad un livello dal quale per pomparlo occorrerà più energia di quanta se ne estragga, e più soldi di quanti se ne possano ricavare. E quindi a quel punto resterebbe lì e nessuno lo tirerebbe più fuori. Secondo le previsioni la domanda mondiale di petrolio, salita dai 68 milioni di barili al giorno del 1966 ai circa 76 milioni di barili di oggi, arriverà ai 94 milioni di barili al giorno nel 2010. Poiché questa domanda di petrolio cresce sempre, perché tutta la nostra economia è fondata sull'uso dell'energia proveniente dal petrolio, si arriverà a un punto in cui la domanda di petrolio eccederà la massima produzione geologicamente possibile; ma ancora prima che questo accada la domanda di petrolio eccederà la massima produzione economicamente possibile; ma non è una sorpresa: lo si dice già da alcuni anni; in una intervista pubblicata nel 1998 l'allora capo esecutivo dell'ENI, Bernabè (che poi forse non a caso è stato dirottato alla Telecom, meno esposta su questo fronte) dichiarava che il tasso di estrazione mondiale di petrolio "piccherà" (questo termine significa che raggiungerà il massimo e poi comincerà a decrescere) nel 2005, quindi tra quattro anni. Invece il tasso di estrazione del gas naturale piccherà nel 2010, e naturalmente a quel punto si tornerà al carbone, però col carbone non si potrà fare tutto, per esempio non si potranno far volare gli aerei; ad ogni modo, a quei livelli di consumo, di un carbone che sostituisce il petrolio e il gas naturale, anche il carbone si esaurirà in 25 o in 30 anni. Questa è la previsione; si va verso un futuro abbastanza prossimo, in cui non si potrà più contare sui combustibili fossili: petrolio, carbone, gas naturale. E allora l'energia da dove verrà? Ci sono le fonti alternative: eoliche, solari, le biomasse, ma queste potranno sopperire solo per una piccola parte, una piccolissima parte; e così resta il nucleare. Però per la fusione nucleare, questa nuova tecnologia che viene annunciata, ci vorranno almeno 40 - 50 anni, sicché bisogna contare sul nucleare tradizionale, che è il nucleare a fissione, che si usa nelle centrali nucleari attuali (lo stesso processo che si usa nelle bombe atomiche); ma con il nucleare tradizionale, secondo uno studio del World Watch Institute di Washington, per produrre solo un terzo dell'attuale fabbisogno di energia, ci vorrebbero 5350 nuove centrali da un miliardo di Watt l'una, da costruire entro il 2025, pari a una centrale ogni 2 giorni, e il costo di tale operazione sarebbe pari a 2 volte e mezzo l'intero PIL degli USA. Dunque in ogni caso l'attuale sistema economico e produttivo, l'attuale sistema di crescita non può continuare, perché non si può rimpiazzare l'energia che oggi si adopera e che sarà necessaria in misura sempre maggiore; perciò in ogni caso occorrerà invertire il segno di questo sistema, e quindi non andare più verso la crescita ma andare verso un sistema di riduzioni, di limiti; ma la crisi non esploderà quando saranno esaurite le attuali risorse energetiche, ma naturalmente molto prima, e tanto più se nessuno ci pone mano. Se le cose si lasciano andare come se nulla dovesse accadere, la crisi interverrà quando il prezzo del petrolio, che già dagli 8- 9 dollari al barile è salito a 30 dollari al barile, mettendo in fibrillazione molte economie, giungerà a 50-60 dollari al barile; ciò avverrà molto presto, per l'aumento della domanda e la diminuzione dell'offerta; man mano che i pozzi cominceranno a produrre di meno, evidentemente il prezzo si innalzerà e allora tutto il sistema comincerà a barcollare. E' anche probabile che aumentino le conflittualità e forse le guerre, per assicurarsi le ultime riserve di petrolio in modo che i Paesi più ricchi, dotati e potenti possano procrastinare almeno di alcuni anni la propria crisi, affrettando quella degli altri. Ma al di là di questo aspetto, vi saranno conseguenze generalizzate, che lo stesso Di Fazio prova a immaginare dicendo: "possiamo affermare con un certo grado di affidamento che un grande caos si diffonderà nei paesi industrializzati, che il settore dell'auto crollerà, sia nella domanda che nell'offerta, che i trasporti in genere diventeranno carissimi, con un vero e proprio crollo dei trasporti aerei, crollerà il turismo, saliranno molto anche i generi alimentari, calerà sostanzialmente il potere di acquisto totale dei lavoratori e nasceranno probabilmente grandi conflitti salariali e politici; con il calo della liquidità crescerà a dismisura la disoccupazione; tutto questo e altro è immaginabile, ma imprevedibile in termini quantitativi; soprattutto questo possiamo aspettarcelo: nascerà un terribile sentimento di delusione verso tutto ciò che dipende dalla crescita, verso il modello di vita attuale; purtroppo non possiamo escludere che tutto ciò porti a regimi antidemocratici o dittatoriali, né si possono escludere conflitti regionali o interregionali e ci si può aspettare che ancora più di adesso il Medio Oriente diventi sorgente di conflitto". Allora torno all'alternativa iniziale: o tutto questo non succederà o se tutto questo è ragionevolmente prevedibile, allora non ci sarebbe altro da fare che cercare di vedere come fronteggiare questa crisi. Però io vorrei fare un'ultima riflessione: qual è il sistema che produce la crisi e che è destinato ad andare in crisi? Di Fazio ha una risposta, e dice che il sistema che va in crisi e il sistema che produce questa crisi è il sistema capitalistico; e ciò per una ragione di necessità, perché il sistema capitalistico non può fare a meno di una crescita esponenziale, economica, produttiva, di consumi, etc., perché è solo in un regime di crescita esponenziale che gli investimenti sono possibili, sono remunerativi; senza una prospettiva di crescita, gli investimenti non si fanno, quindi il capitalismo non c'è. Perciò nel capitalismo ci sarebbe una coazione alla crisi. Questo credo sia senz'altro vero, però il mio timore è che questa analisi sia ancora in fondo ottimistica, perché fa pensare che la soluzione possa stare solo nel cambiamento del sistema economico, anche se nessuno sa come si fa e la politica oggi non sembra in grado di produrre tale cambiamento. Però io credo che la causa non stia solo nel capitalismo, nel senso che tutta la cultura e i modi di vita e il senso comune oggi vigenti sono in realtà la causa di questa situazione, sono responsabili di questa situazione; non credo che noi siamo arrivati a questo punto, di dilapidamento ed esaurimento delle risorse, di impossibilità di mantenere questo ritmo di crescita, solo per le responsabilità dell'ultima fase del capitalismo, della globalizzazione e così via. Io credo che avesse veramente ragione Claudio Napoleoni, anche se ancora non era visibile questo grado di crisi che oggi si manifesta, quando diceva che questa crisi in realtà è la crisi a cui l'intero corso storico è pervenuto, un corso storico nel quale l'uomo si è rapportato alla natura come a nient'altro che il producibile, ciò che può essere prodotto, e quindi attraverso questo processo di riduzione al producibile si è negata e perduta l'alterità della natura. Ed è in questa riduzione della natura al producibile che si è stabilito quel circuito di produzione-appropriazione-alienazione che oggi sta giungendo al punto di rottura. Perciò il cambiamento necessario non è solo quello del sistema economico e produttivo, è appunto un cambiamento antropologico. I limiti dello sviluppo di cui parlava il club di Roma nel 1971 (e allora non fu creduto) si sono rivelati fondati, anzi addirittura approssimati per difetto rispetto alla gravità dei problemi quali oggi si manifestano. Quei limiti già analizzati nel 1971 e ora confermati postulano in realtà non solo un sistema economico diverso, ma postulano una fondazione diversa del sistema e quindi postulano una antropologia diversa rispetto a quella della produzione illimitata, dell'appropriazione competitiva e della alienazione generalizzata. Dunque tutto torna a confermare il senso di questa nostra ricerca, di questa nostra scuola; e mi pare che questo possa anche introdurre il tema del prof. Roberto Mancini che è un tema alternativo, è il tema avanzato in Italia da Italo Mancini, sulla scorta del pensiero di Emmanuel Levinas. Vogliamo provare a ragionare sull'ipotesi di mettere al centro di tutto invece della cosa, invece del prodotto, invece del possesso, invece dell'io, mettere al centro di tutto l'altro e il suo volto; perché nell'altro c'è contemplazione, c'è il riconoscimento, c'è l'accoglienza, non c'è alienazione. Poi un'altra tappa sarà quando faremo un seminario con Giuseppe Barbaglio, in cui cercheremo di riprendere in mano l'antropologia di Franco Rodano, l'antropologia che Franco Rodano ha elaborato in una piccola scuola, simile a questa, e che si ritrova in un libro intitolato "Lezioni di Storia Possibile". Qui Rodano affrontava il tema dell'antropologia signorile, dell'antropologia della perfezione, e poi affrontava il tema posto dal II capitolo della lettera ai Filippesi, e perciò il tema di un'antropologia del limite, di un'antropologia della povertà, di un'antropologia della deposizione di sé, della kenosis; e questa appunto è una riflessione che entra in diretta dialettica con quella che è la cultura dominante. Barbaglio ci potrà richiamare questa antropologia di Rodano, e poi anche sviluppare una riflessione sull'antropologia del II capitolo della lettera ai Filippesi. Per quanto riguarda Italo Mancini vorrei che voi sapeste che egli non è stato solo un filosofo, e perciò non si tratta qui solo di riprendere in mano le tesi di un teorico della cultura, ma è stato un intellettuale militante, di quel tipo di intellettuali di cui oggi sentiamo la mancanza; egli ha preso sempre posizione, si è sempre schierato sui "fronti di lotta", come lui li chiamava. Vi indico solo un libro, che mi sembra ancora estremamente attuale, e anzi oggi più che mai, intitolato "Il pensiero negativo e la nuova destra"; vi era qui, e siamo nel 1983, un'analisi anche abbastanza profetica, di questa destra incombente, di questa destra in arrivo; egli parlava della nuova destra, delle nuove categorie di distruzione e di guerra, dell'antisemitismo, della xenofobia, e ne rintracciava le origini in tutta la storia del pensiero occidentale; c'è tutto un discorso sulla genesi del pensiero di guerra; non a caso del resto abbiamo più volte citato Italo Mancini nei nostri seminari. Si tratta di un libro che è certo denso di pensiero, di cultura, ma è anche un libro in cui si è invitati a misurarsi con la realtà attuale, anche politica. Perciò mi sembra, anche per questo, che valga la pena oggi affrontare questo tema forte del volto, che è stato uno degli ultimi temi che Mancini ha elaborato e sviluppato e su cui noi possiamo continuare a ragionare e riflettere.
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