da gsmbox.com



  Quando vacilla un impero

Qualcuno non era esattamente al suo posto, questo è certo. 
Qualcuno dormiva il sonno di un guerriero borioso, che non ritiene 
di dover tenere la spada sempre sguainata. Raccolto nella superba 
convinzione di intimorire solo per il fatto di esistere, questo 
guerriero s’è svegliato una mattina in un bagno di sangue. S’è 
parlato di nemico subdolo, nascosto nell’ombra. Una sagoma nera 
dal passo felpato. Difficile da scovare, da precedere. Come se il 
mondo fosse una scacchiera, dove io vedo quando tu muovi la torre 
e posso controbattere con un alfiere. Più semplicemente, il 
guerriero s’era assopito.

Il paese di Rambo ha così dovuto fare i conti con due eventi 
traumatici: lo squarcio che ha fisicamente consumato la Grande 
Mela nel suo cuore e la conseguente, sbalorditiva scoperta dei 
propri limiti, della vulnerabilità dell’impero. Un impero che oggi si 
sente minacciato dal più antico dei sentimenti umani: l’odio, che 
forse gli Stati Uniti mai hanno percepito così forte a proprio carico.

Odio o estrema dedizione (sincera o interessata) sono le uniche 
passioni che si possono provare verso un impero. Non esiste via di 
mezzo: di fronte al massimo potere non si può restare indifferenti, 
perché le sue ramificazioni si estendono fino a raggiungere gli 
aspetti minimi della quotidianità di ogni singolo individuo del resto 
del mondo, influiscono sui gusti, persino sui gesti. Quando non ha 
un territorio da controllare ed interessi 
da difendere personalmente, l’impero si manifesta con i suoi simboli: sono stampati sotto forma di logo sul retro dei jeans, sulla lattina della bevanda, sul pc di casa o dell’ufficio.

La sua onnipresenza infastidisce o affascina. Ma lo rende anche eccessivamente esposto. E ne svela, inevitabilmente, i punti deboli. Il nemico statunitense, l’estremismo islamico, ha agito con efferatezza e brutalità, col
pendo i civili e seguendo il filo di una vendetta volutamente eclatante. E che ha tradito uno studio accurato, quasi maniacale, dello scenario politico-economico, prima di agire. Il nemico, celato nell’ombra, ha saputo at
tendere che le crepe dell’impero si allargassero, fino a farsi visibili, per ottenere il massimo risultato con mezzi minimi. Non armi sofisticate, ma coltelli ed un manipolo di kamikaze, pronti ad immolarsi per la loro ca
usa. Mentre alle spalle, i mandanti nutrivano la speranza non solo di lanciare un monito estremo, ma anche di generare un’onda d’urto di vastissime proporzioni.

Quali siano queste crepe, è facile a dirsi. Innanzitutto, il terreno di coltura dell’odio. Che ha varcato le barriere geografiche, si è esteso da tempo al Vecchio Continente. L’antiamericanismo e la battaglia politica e s
ociale contro la globalizzazione vantano sicuramente radici ben più lontane dei nostri giorni, ma anni e anni di propaganda hanno condotto alla creazione di un vero e proprio movimento, di dimensioni piuttosto vaste. Si è
 formata un’autocoscienza, la cultura sommersa di un tempo è sgorgata con impeto, fino ai drammatici scontri di piazza durante gli incontri dei G8. E quando si chiama in causa il pensiero antiglobalista, non ci deve limit
are solo a chi scende in piazza.

Il fenomeno è infatti molto più esteso, decisamente più radicato e non ha classi sociali: percorre i vicoli di periferia come siede nei salotti borghesi. Quando l’impero è minacciato al suo interno, tra le sue “province”,
 le istituzioni restano giustamente vicine al grande alleato. Ma l’opinione pubblica rimane divisa, dal seme è già germogliata la pianta. Manifestare cordoglio per la tragedia umana, di fronte all’offesa di una brutalità 
senza limiti, non significa necessariamente desistere, per i più, da quello che è un pensiero critico coltivato per anni.

Un’altra crepa, vistosissima, è la contingenza economica. Difficile credere che, tra gli obiettivi degli attentatori, non vi fosse anche quello di affossare l’economia occidentale. Da mesi le Borse sono trascinate verso i
l baratro, trainate soprattutto da telefonici e tecnologici. Il mercato dell’hi-tech, cha avrebbe dovuto garantire una nuova grande era di benessere, annaspa, invece, tra fusioni di giganti dai piedi d’argilla, in cerca d
i sostegno reciproco, ed epurazioni di massa quasi quotidiane: 1.000, 2.000, a volte 10-15.000 licenziamenti in un colpo solo. Quotidiano inchiostro amaro, per la stampa.

Ogni giorno il deficit di piccole e grandi società del settore sembra allargarsi come una voragine a e a farne le spese sono i dipendenti. Da anni la disoccupazione non raggiungeva livelli così elevati, negli Stati Uniti.
 Il secondo impatto di questi aerei dirottati e schiantati contro il World Trade Center e contro il Pentagono, potrebbe dunque avere come esito quello di influire ulteriormente, in maniera negativa, su produzione e richie
sta, secondo i timori degli analisti. Sembra vistoso, allora, il 
progetto di destabilizzazione, come fine non secondario, ma 
parallelo dell’attentato terroristico. L’impero aveva il motore in 
panne, insomma. Qualcuno ha cercato di non farlo arrivare dal 
meccanico.


Emilio Faivre