sull'accaduto



ho letto le riflessioni sul vostro sito e mi sono sembrate le uniche
sensate in giro per la rete e anche rispetto a quelle apparse su diversi
giornali. vi mando una mia riflessione sull'accadauto. ciao
 

Ad un passo dalla catastrofe

I sentimenti sull'accaduto sono tanti e diversi. Il primo pensiero è, a
dire il vero, una coppia di pensieri. L'America è lontana, penso. L'ho
sempre pensato e mi sembra ancora qualcosa di lontano. Geograficamente
parlando, ma anche politicamente e moralmente, è un paese, una realtà, che
sento lontana, tanto lontana. E le immagini che si vedono sono sola
finzione. Tutto mi è sembrato lontano e finto e fino a quando non ho
realizzato che tanto lontano e tanto finto non lo era non ho capito. Il
problema principale è ancora una volta il potere. Queste persone, questi
attentatori, queste menti geniali hanno dimostrato che non esiste un solo
potere, ma che comunque esiste un potere. E che il potere di dare la morte,
il potere di distruggere è superiore a qualunque altro potere. Se c'è
qualcuno da incolpare quello è dio. A qualunque religione esso appartenga,
la colpa, se di colpa si vuole e si può parlare, è sua. Ma è anche nostra.
Per non aver capito, ancora, chi siamo e dove stiamo andando.

Un secondo sentimento forte mi affiora alla bocca dello stomaca. E penso
che comunque all'America sta bene quello che è successo. Non agli
americani, non ai civili, non alle vittime, ma all'America in quanto
superpotenza militare sì. E forse ci voleva. Perché l'America può andare
ovunque e permettersi di governare, di ordinare, di distruggere, di
uccidere? Forse per la sua potenza? Ma se è essa stessa vulnerabile?
Vulnerabile nel suo intimo e profondo corpo, oggi dilaniato da esplosioni
che non si possono appoggiare, e non si possono condividere, esplosioni che
vanno razionalmente condannate, ma esplosioni che si possono capire.
L'esasperazione è nell'aria, ed era nell'aria da tempo.

Ci eravamo illusi che la guerra mondiale non potesse più esistere,
pensavamo di essere cambiati. Non era così. Non è così. La violenza è
ancora la dea più forte. Più forte di tutte le parole e di tutti i
pensieri, nonostante tutto. E questi signori senza volto e senza nome,
questi diavoli tecnologici e coraggiosi ce lo hanno urlato. Ora siamo
tutti, chi più, chi meno, scioccati e piangiamo, chi per codarderia, chi
per angoscia. Ora abbiamo paura.

Se la risposta a questo atto di violenza sarà violento saremo ad un punto
di un ritorno. Un punto-soglia tremendo e finale. L'ultima guerra mondiale
sarà finale e definitiva. Oggi il potere ha il potere per distruggere fino
all'ultimo l'umanità e il mondo tutto. Non rimarrà neanche un cinese,
nonostante Mao prevedesse in altri momenti il contrario. Non rimarrà
niente, neanche la storia. E il punto cruciale è che quella che stiamo
vivendo è storia. Una storia vera, questa volta. Che fa tanto più
impressione perché per la prima volta è sotto la lente magica della
televisione che ha saputo ritrarre tutto e fissare tutto. E lo ha fatto
meglio di qualunque altro mezzo, meglio della fotografia e della cinepresa.
Lo ha fatto in maniera nuova, senza imbarazzo, in maniera cinica e fredda.
Proprio in questo modo noi dall'altra parte del globo abbiamo appreso le
immagini e la notizia. Ora i sentimenti e i pensieri si affollano allo
stomaco e in testa, ma rimane tutto un gioco intellettuale, perché sappiamo
o, almeno, speriamo, che nessun presidente sia così folle da dare il via
alla strage finale e definitiva. La paura c'è. La gente ne parla. Sappiamo
tutti di essere stati testimoni di un fatto grande, un fatto molto più
grande delle nostre piccole vite. Un fatto che si amplifica anche perché si
è svolto in America. Perché i morti del terzo mondo fanno meno rumore?
Perché le bombe lanciate dalla Nato fanno meno male? Sembra ancora solo
finzione anche se ormai tutti abbiamo capito che non è così. Sembra ancora
solo un film dalle tinte un po' accese, magari, e dalla sceneggiatura
troppo colorita. Ma la gente è morta per una violenza priva di ragioni,
proprio come tutte le violenze, in ogni epoca. La lotta continua più in
basso, fra i vermi. La polvere si alza in cielo e poi ricade giù fino a
coprire tutti gli oggetti e tutte le idee. E' la fine della libertà. E' la
fine dell'immaginazione. Il capitalismo ha vinto. E noi non ce ne siamo
neanche accorti. Il capitalismo ha vinto perché ora i ribelli hanno il
denaro e le armi per distruggere. Ma questa non è più neanche guerra. La
guerra non è nata per distruggere. Almeno non in maniera assoluta. Non
avrebbe avuto senso. La libertà di ognuno finisce dove inizia quella degli
altri. Il capitalismo ci dà l'impressione di poter comprare tutto e tutti.
Anche gli altri. Anche il potere. Anche la gioia. E invece il dolore è
forte. Perché questo tumore in corsa verso la fine sta per crepare e con
lui noi, soffocati da un odio che non capiamo, e dalla smania di
visibilità. Un evento mediatico come quello che abbiamo appena vissuto è
qualcosa di folle che non possiamo capire. E' qualcosa che trascende
l'umano e si spinge oltre. Oltre al limite della vita, oltre al limite del
pensiero. E oltre a quel limite esistono solo due mondi entrambi virtuali:
quello del sogno e quello dell'incubo. Siamo nella stanza dell'incubo e
pensiamo ancora di sognare. Essere apocalittici non serve a molto, ma la
catastrofe è evidente. Abbiamo sbagliato tutto e ora non potremo più
guardarci in faccia, perché tanto non ci riconosceremo. Forse Marx aveva
davvero ragione. E ciò che è successo ne è la prova. Il capitalismo sta per
morire per sua stessa mano. Questa non è una rivoluzione, ma il forte rombo
che proviene dalle viscere della terra dimostra che la fine è vicina. Il
pensiero di Marx era positivo. Il nostro oggi non può che essere oggettivo
e per questo cinicamente tremendo, ma non per questo freddamente distaccato.