Appunti d'un manifesto per l'azione politica



Appunti d'un manifesto per l'azione politica
 
 
Nel mese di maggio 2001, durante l'assemblea annuale di un'associazione che auspica e realizza interventi di pace per l'eliminazione della guerra, fu proposto di porre alcune condizioni discriminanti per la permanenza d'una rappresentanza dell'associazione stessa all'interno del Genoa Social Forum.
Si trattava, in primo luogo, di richiedere a tutte le componenti del GSF di rinunciare previamente e necessariamente, per le manifestazioni previste a Genova in occasione del "Vertice G-8", ad ogni forma di violenza (fisica, verbale, comportamentale) contro persone, organizzazioni, istituzioni e cose, tanto in funzione offensiva che difensiva.
In secondo luogo - sempre all'interno del GSF - si sarebbero dovute vagliare, selezionare e programmare le azioni dimostrative in modo da escludere o limitare in misura decisiva la possibilità che in esse confluissero - per pretesto o per supposta comunanza di scopi - soggetti e iniziative a carattere violento. Rinunciando quindi a quelle che plausibilmente non offrissero tale garanzia; ed eventualmente a tutte.
La proposta venne respinta.
 
Le vicende di Genova testimoniano del fatto che la violenza determina un codice comunicativo poco efficiente, almeno riguardo a casi di interazione di masse di soggetti operanti in situazioni molteplici e sotto circostanze talora imprevedibili. Che la violenza facilmente sfugge al controllo di chi vi si trova, anche consapevolvente, coinvolto e ne risulta, magari inconsapevolmente, orientato. E che essa facilmente si trasforma da mezzo (espressione) in oggetto (sostanza) della relazione comunicativa.
Il dibattito preventivo e soprattutto quello successivo si sono concentrati su tale evidenza. Ma mentre preventivamente si discuteva pure se e in quale grado e modo la violenza potesse influenzare (o inficiare) la manifestazione del pensiero e la circolazione delle idee, successivamente e generalmente, l'attenzione si è soffermata sul grado di correità dei diversi soggetti per la violenza dispiegata.
Quasi che un sistema, un apparato, un'ideologia convergenti sulla violenza, potessero produrre un risultato tanto diverso dal sangue sulle strade, dall'incendio di beni e loro rifiuti, dall'accanimento di bruti e dall'ipocrisia dei giusti, dalla paura e dalla rabbia che tutto ingoia.
 
Certamente esistono buone e cattive cause propugnate con la violenza. E certamente chi lotta con violenza può uscirne vincitore. E vinto: giacché ciascuno nella concezione altrui vi è nemico - ossia nessuno - e può venir cancellato alla sua coscienza.
Come esistono buone e cattive cause perseguite con la nonviolenza. Perché no? Ma nel cui cimento nessuno può sparire. Giacché in questa lotta ciascuno esiste sempre insieme all'altro, in sensi e dignità.
In definitiva è la condizione della convivenza. Anzi è la convivenza posta a condizione, a vincolo, dell'organizzazione sociale umana.
Unico strumento in comune dell'umanità, e probabilmente unica sua speranza di liberarsi dal flagello della guerra.
 
Abbiamo un compito, assai povero eppure immenso.
D'adottare un linguaggio comune d'azione, che fissi un limite alla presunzione del potere umano, che segni a tutti facoltà e prospettiva dell'umana conciliazione, dell'umana avversione.
Manifesto di poche parole, chiare e semplici, condivisibili ed essenziali.
Che non sia carta d'un partito, d'una chiesa, d'un movimento d'opinione, d'una scuola di pensiero.
Manifesto di poche parole, liberamente offerte a un'adesione etica.
 
 
(Chi volesse discutere della proposta o contribuire alla sua realizzazione e formalizzazione, può replicare sulla mailing list - 
pck-pace at peacelink.it - o scrivere all'indirizzo del comitato "Stop war" - stop.war at libero.it )