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Dopo la trappola di Genova: che fare?
- Subject: Dopo la trappola di Genova: che fare?
- From: "Pasquale Pugliese" <puglipas at interfree.it>
- Date: Tue, 24 Jul 2001 14:45:21 +0200
Nonostante il dolore, l'amarezza e la
rabbia per quanto avvenuto a Genova nei giorni passati, cerchiamo di non perdere
la lucidità e abbozzare una prima analisi per provare a
capire il perchè di quanto accaduto, a leggere i nostri errori e a
trovare la strada da percorrere adesso.
La trappola
Il Potere da sempre, quando
è o si percepisce minacciato, reagisce con la massima violenza di cui è
capace: se necessario spara. Lo fa nella maggior parte del mondo, lo ha già
fatto anche in Italia e lo farà ancora e, se questo non dovesse bastare,
scatanerà la repressione feroce e indiscriminata.
Il potere politico e militare nel
nostro paese è in mano ad un governo liberista-mafioso-fascista e, per chi ne
aveva qualche dubbio, il comportamento della polizia prima e del
suo braccio mass-mediatico poi lo comprova definitivamente.
Questo potere non aspettava altro
che l'occasione per poter sfoderare tutta la violenza di cui è capace nei
confronti di un movimento solido, vero, dal basso e dalla parte della verità e
della giustizia, perciò fortemente minaccioso. Non aspettava altro che qualcuno
gliene fornisse l'occasione o, almeno, gli fornisse l'opportunità di crearsi
l'occasione.
Se l'occasione immediata è stata data
dai criminali neri, sia che fossero sia che non fossero in
combutta con la polizia, l'opportunità più profonda è stata data dal
clima di tensione che si è venuto a creare ed è montato intorno al vertice dei
G8: le botte di Napoli, il ragazzo ferito a
Goteborg, l'attenzione mediatica ossessiva su tutto quanto si preparava per
Genova, la mobilitazione dell'esercito, l'annuncio dell'arrivo a Genova da parte di coloro - antimperialisti,
insurrezionalisti e quant'altro - che non si riconoscevano nelle raccomandazioni
del Genoa Social Forum, la farneticante "dichiarazione di guerra" del portavoce
delle tute bianche (salvo dichiararsi pacifista all'ultimo minuto, ma qualcuno
forse a ventanni l'ha presa sul serio: attenzione, le parole sono pietre e
si porta la responsabilità delle loro conseguenze!), il susseguirsi di
esplosioni nella settimana del Vertice.
E poi l'illusione, da parte del GSF,
di poter tenere insieme - all'insegna del tutti a Genova - ma separate e
distinte, in così poco spazio, tutte le forme di testimonianza e azione, dalla
preghiera all'assalto alla zona rossa, dalle azioni dirette nonviolente ai
vandalismi annunciati: una forma di mobilitazione e contaminazione che
ha favorito l'emergere e l'imporsi, da tutte e due le parti della barricata, di
coloro che sguazzano nel torbido e danno sfogo - in queste occasioni dove si
possono confondere nella massa - alla violenza più brutale di cui sono
capaci. E nessuna azione sembra essere stata prevista per neutralizzali.
E' stata una battaglia campale e,
come tutte le battaglie giocate sul piano militare, ha avuto la meglio
chi ha colpito più ferocemente, più subdolamente, alle spalle e di
nascosto.
E i nostri temi e le nostre proposte
azzerate dalla violenza.
E' stata una trappola e noi ci siamo cascati.
Se ne dovrà parlare ancora, ma adesso bisogna venirne fuori.
La Rete di
Liliput
Con i fatti di Genova il
movimento emerso a Seattle entra nella fase acuta del conflitto. In Italia,
rispetto ad altre fasi storiche di lotta di piazza, questa volta c'è la novità
delle Rete di Lilliput: centinaia e centinaia di associazioni - che
quotidianamente lavorano sui temi sociali ed ecologici - le quali, riunite nei
nodi locali, hanno fatto la scelta della nonviolenza.
La Rete di Lilliput all'interno del
movimento di lotta ha, e deve mantenere e rinforazare, un proprio ruolo
fondamentale, delicato e insostituibile: quello di percorrere la strada
stretta che passa tra l'assenza di conflitto da un lato e il conflitto violento
dall'altro (che conduce alla repressione e ad una nuova
stabilizzazione) ossia di lavorare alla trasformazione del conflitto
in senso nonviolento, .
La Rete di Lilliput deve investire le proprie
energie per impedire che un conflitto che coinvolge l'umanità e la natura
intera venga condotto nel cul de sac dello scontro con la polizia (nel
quale il potere vuole condurlo ed ha dimostrato di saperlo fare
benissimo); per trovare la via d'uscita dalla polarizzazione tra due
soggetti antagonisti (contestatori vs forze dell'ordine) che consente al resto
del mondo di rimanere spettatore; per non concedere a nessuno la
possibilità di restringere il conflitto ad affare tra noi ed il
potere, ma lavorare per estenderlo, generalizzarlo, portarlo tra tutti
,coinvolgendo la gente affinchè cominci, grazie alle nostre azioni, a
sentirsi interiormente in conflitto con se stessa ed il proprio stile di vita e
di consumo.
Si tratta di trasformare, lentamente ma
profondamente, il consenso che sostiene il sistema in dissenso ed il dissenso in
azione.
Che fare?
Se questo è il servizio prezioso che la
Rete di Lilliput può svolgere è necessario, a mio avviso - soprattutto
e urgentemente dopo Genova - compiere alcune scelte strategiche necessarie alla
trasformazione nonviolenta del conflitto.
Gli obbiettivi di mantenere la
possibilità di agire nelle piazze, di ridurre al massimo la possibilità di
degenerazioni violente, di mettere il potere nell'impossibilità -
o nella difficoltà estrema - di utilizzare il suo apparato repressivo e di
comunicare a più persone contemporaneamente le nostre ragioni, possono essere
tenuti insieme oggi, a mio avviso, solo declinando la
modalità lillipuziana reticolare, adottata come forma organizzativa della
Rete, anche come strumento di mobilitazione.
A tal fine bisogna, per un verso, lasciare
modalità di azione ormai usuali ma sempre più inefficaci o addirittura
controproducenti:
1) abbandonare la rincorsa dei vertici del potere: uscire
dalla subalternità degli spazi e dei tempi di manifestazione imposti dalle
loro agende, che ci portano a scendere in piazza dove e quando vogliono i
potenti; 2) uscire dalla
logica della uguaglianza nella diversità, e della contemporaneità, delle forme
di lotta, adottata dal GSF: le forme che non sono coerentemente nonviolente nei
mezzi, nei fini, nella comunicazione, nell'immaggine, fanno il gioco del potere.
Non bisogna manifestare dove manifestano compagni di strada che non condividono
le nostre forme.
3) uscire dalla logica delle manifestazioni
di massa che, in questa fase, sono il ricettacolo di coloro che intendono
sfidare il potere sul piano, reale o simbolico, della forza e sempre più si
trasformano in campi di battaglia, a tutto vantaggio di chi vuole criminalizzare
il movimento.
Per altro verso, bisogna strutturare una
modalità di azione nuova, nonviolenta, lillipuziana, reticolare:
1) creare presso ogni nodo, o insieme di nodi
limitrofi, un gruppo di azione nonviolenta GAN (dove sono stati costituiti
gruppi di affinità tanto meglio, che non si sciolgano);
2) avviare un programma di
formazione per ciascun GAN serio e e approfondito, teorico e pratico,
sul metodo nonviolento e sulle sue tecniche;
3) quando sarà completata la formazione, strutturare un'
agenda di azioni nonviolente locali concordate e contemporanee su tutto il
territorio nazionale, in base alle nostre priorità, di tempi e di temi (per
esempio per raggiungere un obbiettivo più avanzato in una campagna di
boicottaggio, o per fare un'azione di comunicazione efficace su un tema
particolarmente importante, per fare una contestazione capillare e diffusa
ecc.).
Questa strategia lillipuziana e nonviolenta
può consentire - se attuata con persuasione, preparazione e organizzazione - di
portare efficacemente le nostre tematiche sui nostri territori, di comunicare a
viso aperto con i nostri concittadini che spesso ci conoscono - conoscono il
nostro impegno e lavoro quotidiano - e sanno che non siamo vandali calati
da chissà dove, di impedire - visti i numeri ridotti e non trattandosi di
manifestazioni ma di azioni dirette condotte da chi le organizza - le
infiltrazioni di provocatori (e comunque ci si prepara, eventalmente, per
isolarli, escluderli, consegnarli alla polizia o sospendere l'azione), di
rendere inutilizzabile l'apparato repressivo del potere sia nella forma
violenta che in quella disinformativa, perchè senza alcun alibi e perchè
tutto si svolge sotto gli occhi della nostra gente e della stampa dei
nostri paesi e città.
Conclusioni
Questa è la strada che avevamo provato ad indicare già ai
tempi di Marina di Massa. Allora fu minoritaria. Oggi rinnoviamo l'appello:
che almeno la Rete di Lilliput cambi la propria strategia, subito, e indichi
una via di azione ai tanti ragazzi che oggi la cercano e sono delusi e
frastornati per quanto vissuto o visto a Genova.
Ma già sentiamo i proclami per andare tutti a Roma il 10
novembre.
Devo ricordare che alla Prima assemblea nazionale
della Rete di Lilliput era stato formato un gruppo di lavoro per preparare il
controvertice e le contestazioni di Genova. Il G8 è finito. Per la Rete di
Lilliput non è automatico partecipare ad un Social Forum stabile, non è
automatico partecipare alle mobilitazioni che altri hanno posto in agenda. Si
tratta di scelte politiche e strategiche che vanno fatte - o non fatte -
tutti assieme.
E' tempo di mettere in agenda, prima di ogni decisione,
la Seconda assemblea nazionale della Rete di Lilliput.
Presto, per favore.
Pasquale Pugliese
Movimento Nonviolento
Reggio Emilia
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