[Nonviolenza] Telegrammi. 5369



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5369 del 30 ottobre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Il programma fondamentale della politica necessaria: pace, smilitarizzazione, disarmo
2. Movimento Nonviolento: Obiezione alla guerra, scriviamolo su tutti i muri
3. Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier
4. Contro tutte le guerre e le uccisioni. Un appello per il 4 novembre: "Ogni vittima ha il volto di Abele"
5. Jean Giono: L'uomo che piantava gli alberi
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. L'ORA. IL PROGRAMMA FONDAMENTALE DELLA POLITICA NECESSARIA: PACE, SMILITARIZZAZIONE, DISARMO

Abolire la guerra, gli eserciti, le armi.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

2. REPETITA IUVANT. MOVIMENTO NONVIOLENTO: OBIEZIONE ALLA GUERRA, SCRIVIAMOLO SU TUTTI I MURI
[Riceviamo e diffondiamo]

La Campagna di Obiezione alla guerra presenta un nuovo strumento operativo: un poster diffuso a livello nazionale.
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La Campagna di Obiezione alla guerra presenta un nuovo strumento operativo:
un poster diffuso a livello nazionale con il simbolo del fucile spezzato e la scritta "Con la nonviolenza: per cessare il fuoco bisogna non sparare, per fermare la guerra bisogna non farla".
Il volantone, inviato a tutti gli iscritti e ai Centri del Movimento Nonviolento, agli abbonati alla rivista Azione nonviolenta e a tutti coloro che ne faranno richiesta, rilancia la Dichiarazione di obiezione di coscienza rivolta a chi rifiuta la chiamata alle armi e contiene tutte le informazioni su quanto realizzato finora a sostegno degli obiettori di coscienza di Russia, Ucraina, Bielorussia, Israele e Palestina, e i prossimi obiettivi che la Campagna vuole raggiungere.
Sono ormai centinaia di migliaia gli obiettori, disertori, renitenti alla leva che nei luoghi di guerra, rifiutano le armi e la divisa, negandosi al reclutamento militare, ripudiando il proprio esercito senza passare a quello avverso. Alcuni affrontano processo e carcere, altri espatriano, altri ancora scappano o si nascondono. Il Movimento Nonviolento ha scelto di stare dalla loro parte, di sostenerli concretamente, di difendere il loro diritto umano alla vita e alla pace, e di chiedere all'Unione Europea e al Governo italiano di riconoscere, per loro e per chi firma la Dichiarazione, lo "status" di obiettori di coscienza.
La Campagna si sviluppa su due direttrici:
- la raccolta fondi per sostenere nelle loro attivita' i movimenti nonviolenti di Russia, Bielorussia, Ucraina, Israele e Palestina, le spese legali per i processi che obiettori e nonviolenti di quei paesi subiscono, per aiutare chi espatria per non farsi arruolare, per gli strumenti di informazione necessari a diffondere la scelta dell'obiezione;
- la diffusione della Dichiarazione di Obiezione di coscienza alla guerra e alla sua preparazione, il rifiuto della chiamata alle armi e fin da ora della futura mobilitazione militare. La procedura e' semplice: si compila e si sottoscrive la Dichiarazione (per tutti, giovani o adulti, donne e uomini ) rivolta ai Presidenti della Repubblica e del Consiglio.
Sul sito del Movimento Nonviolento azionenonviolenta.it alla voce Obiezione alla guerra si trovano tutti gli aggiornamenti e la possibilita' di adesione e contribuzione.
Movimento Nonviolento
Settembre 2024
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Movimento Nonviolento
via Spagna, 8, 37123 Verona
Tel 045 8009803
Cell. 348 2863190
www.nonviolenti.org
www.azionenonviolenta.it
per sostegno e donazioni
Iban IT35 U 07601 11700 0000 18745455

3. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO AL PRESIDENTE STATUNITENSE BIDEN PER CHIEDERE LA GRAZIA PER LEONARD PELTIER

Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier.
E' consuetudine dei presidenti statunitensi giunti a fine mandato di concedere la grazia ad alcuni detenuti.
Leonard Peltier e' un illustre attivista nativo americano, difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra.
Leonard Peltier, che a settembre compira' 80 anni, da 48 anni e' detenuto per un crimine che non ha commesso.
Leonard Peltier e' gravemente malato, e le sue malattie non possono essere curate adeguatamente in carcere.
Affinche' non muoia in carcere un uomo innocente, affinche' Leonard Peltier possa tornare libero e trascorrere con i suoi familiari questo poco tempo che gli resta da vivere, la cosa piu' importante ed urgente da fare adesso e' scrivere a Biden per chiedere che conceda la grazia a Leonard Peltier.
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Per scrivere a Biden la procedura e' la seguente.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: scrivere un breve testo (di seguito una traccia utilizzabile):
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
le scriviamo per chiederle di concedere la grazia al signor Leonard Peltier.
Leonard Peltier ha quasi 80 anni ed e' affetto da plurime gravi patologie che non possono essere adeguatamente curate in carcere: gli resta poco da vivere.
Leonard Peltier ha subito gia' 48 anni di carcere per un delitto che non ha commesso: la sua liberazione e' stata chiesta da Nelson Mandela e da madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama e da papa Francesco, da Amnesty International, dal Parlamento Europeo, dall'Onu, da milioni di esseri umani.
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
restituisca la liberta' a Leonard Peltier; non lasci che muoia in carcere un uomo innocente.
Distinti saluti.
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Sollecitiamo chi legge questo comunicato ad aderire all'iniziativa e a diffondere l'informazione.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.

4. INIZIATIVE. CONTRO TUTTE LE GUERRE E LE UCCISIONI. UN APPELLO PER IL 4 NOVEMBRE: "OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE"

Mentre la guerra fa strage di esseri umani in tante parti del mondo e nuovamente minaccia di travolgere e annientare l'intera umana famiglia, sempre piu' necessario e' che tutte le persone di volonta' buona, tutte le associazioni democratiche, tutte le istituzioni fedeli all'umanita' e tutti i popoli della Terra minacciati dalla violenza dei poteri dominanti insorgano nonviolentemente per salvare tutte le vite che e' possibile salvare; insorgano nonviolentemente per abolire la guerra, gli eserciti, le armi; insorgano nonviolentemente per far prevalere la pace, la cooperazione tra i popoli, il bene comune, la giustizia e la misericordia, la fraternita' e sororita' che ogni essere umano riconosce e raggiunge e soccorre e conforta e sostiene, la responsabilita' verso l'intero mondo vivente.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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Come occasione d'incontro e d'espressione della comune volonta' di pace e come contributo alla necessaria riflessione ed azione nonviolenta contro tutte le uccisioni, intendiamo riproporre per il 4 novembre l'iniziativa nonviolenta "Ogni vittima ha il volto di Abele".
Proponiamo che il 4 novembre si realizzino in tutte le citta' d'Italia commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze.
Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.
Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente. Non devono dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; non devono essere in alcun modo ambigue o subalterne; non devono prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, devono essere rigorosamente nonviolente.
Occorre quindi che si svolgano in orari distanti e assolutamente distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri armati, quei poteri che quelle vittime fecero morire.
Ed occorre che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio.
Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche' convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita' e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.
A tutte le persone amiche della nonviolenza chiediamo di diffondere questa proposta e contribuire a questa iniziativa.
Contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni.
Per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

5. TESTI. JEAN GIONO: L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI
[Riproponiamo ancora una volta il seguente testo che abbiamo ripreso dal sito www.minerva.unito.it E' il testo integrale di Jean Giono, L'uomo che piantava gli alberi, nella traduzione di Luigi Spagnol, Salani, Milano 1996, 2010.
Jean Giono (1895-1970) e' stato un grande scrittore francese, e una persona saggia]

Una quarantina circa di anni fa, stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza.
Questa regione e' delimitata a sud-est e a sud dal corso medio della Durance, tra Sisteron e Mirabeau; a nord dal corso superiore della Drome, dalla sorgente sino a Die; a ovest dalle pianure del Comtat Venaissin e i contrafforti del Monte Ventoux. Essa comprende tutta la parte settentrionale del dipartimento delle Basse Alpi, il sud della Drome e una piccola enclave della Valchiusa.
Si trattava, quando intrapresi la mia lunga passeggiata in quel deserto, di lande nude e monotone, tra i milledue e i milletrecento metri di altitudine. L'unica vegetazione che vi cresceva era la lavanda selvatica.
Attraversavo la regione per la sua massima larghezza e, dopo tre giorni di marcia, mi ritrovavo in mezzo a una desolazione senza pari. Mi accampai di fianco allo scheletro di un villaggio abbandonato. Non avevo piu' acqua dal giorno prima e avevo necessita' di trovarne. Quell'agglomerato di case, benche' in rovina, simile a un vecchio alveare, mi fece pensare che dovevano esserci stati, una volta, una fonte o un pozzo. C'era difatti una fonte, ma secca. Le cinque o sei case, senza tetto, corrose dal vento e dalla pioggia, e la piccola cappella col campanile crollato erano disposte come le case e le cappelle dei villaggi abitati, ma la vita era scomparsa.
Era una bella giornata di giugno, molto assolata ma, su quelle terre senza riparo e alte nel cielo, il vento soffiava con brutalita' insopportabile. I suoi ruggiti nelle carcasse delle case erano quelli d'una belva molestata durante il pasto.
Dovetti riprendere la marcia. Cinque ore piu' tardi non avevo ancora trovato acqua e nulla mi dava speranza di trovarne. Dappertutto la stessa aridita', le stesse erbacce legnose. Mi parve di scorgere in lontananza una piccola sagoma nera, in piedi. La presi per il tronco d'un albero solitario. A ogni modo mi avvicinai. Era un pastore. Una trentina di pecore sdraiate sulla terra cocente si riposavano accanto a lui.
Mi fece bere dalla sua borraccia e, poco piu' tardi, mi porto' nel suo ovile, in una ondulazione del pianoro. Tirava su l'acqua, ottima, da un foro naturale, molto profondo, al di sopra del quale aveva installato un rudimentale verricello.
L'uomo parlava poco, com'e' nella natura dei solitari, ma lo si sentiva sicuro di se' e confidente in quella sicurezza. Era una presenza insolita in quella regione spogliata di tutto. Non abitava in una capanna ma in una vera casa di pietra, ed era evidente come il suo lavoro personale avesse rappezzato la rovina che aveva trovato al suo arrivo. Il tetto era solido e stagno. Il vento che lo batteva faceva sulle tegole il rumore del mare sulla spiaggia.
La casa era in ordine, i piatti lavati, il pavimento di legno spazzato, il fucile ingrassato; la minestra bolliva sul fuoco. Notai che l'uomo era rasato di fresco, che tutti i suoi bottoni erano solidamente cuciti, che i suoi vestiti erano rammendati con la cura minuziosa che rende i rammendi invisibili.
Divise con me la minestra e, quando gli offrii la borsa del tabacco, mi rispose che non fumava. Il suo cane, silenzioso come lui, era affettuoso senza bassezza.
Era rimasto subito inteso che avrei passato la notte da lui; il villaggio piu' vicino era a piu' di un giorno e mezzo di cammino. E, oltretutto, conoscevo perfettamente il carattere dei rari villaggi di quella regione. Ce ne sono quattro o cinque sparsi lontani gli uni dagli altri sulle pendici di quelle cime, nei boschi di querce al fondo estremo delle strade carrozzabili.
Sono abitati da boscaioli che producono carbone di legno. Sono posti dove si vive male. Le famiglie, serrate l'una contro l'altra in quel clima di una rudezza eccessiva, d'estate come d'inverno, esasperano il proprio egoismo sotto vuoto. L'ambizione irragionevole si sviluppa senza misura, nel desiderio di sfuggire a quei luoghi.
Gli uomini portano il carbone in citta' con i camion, poi tornano. Le piu' solide qualita' scricchiolano sotto questa perpetua doccia scozzese. Le donne covano rancori. C'e' concorrenza su tutto, per la vendita del carbone come per il banco di chiesa, per le virtu' che lottano tra di loro, per i vizi che lottano tra di loro e per il miscuglio dei vizi e delle virtu', senza posa. Per sovrappiu', il vento altrettanto senza posa irrita i nervi. Ci sono epidemie di suicidi e numerosi casi di follia, quasi sempre assassina.
Il pastore che non fumava prese un sacco e rovescio' sul tavolo un mucchio di ghiande. Si mise a esaminarle l'una dopo l'altra con grande attenzione, separando le buone dalle guaste. Io fumavo la pipa. Gli proposi di aiutarlo. Mi rispose che era affar suo. In effetti, vista la cura che metteva in quel lavoro, non insistetti. Fu tutta la nostra conversazione. Quando ebbe messo dalla parte delle buone un mucchio abbastanza grosso di ghiande, le divise in mucchietti da dieci. Cosi' facendo elimino' ancora i frutti piccoli o quelli leggermente screpolati, poiche' li esaminava molto da vicino. Quando infine ebbe davanti a se' cento ghiande perfette, si fermo' e andammo a dormire.
La societa' di quell'uomo dava pace. Gli domandai l'indomani il permesso di riposarmi per l'intera giornata da lui. Lo trovo' del tutto naturale o, piu' esattamente, mi diede l'impressione che nulla potesse disturbarlo. Quel riposo non mi era affatto necessario, ma ero intrigato e ne volevo sapere di piu'. Il pastore fece uscire il suo gregge e lo porto' al pascolo. Prima di uscire, bagno' in un secchio d'acqua il sacco in cui aveva messo le ghiande meticolosamente scelte e contate.
Notai che in guisa di bastone portava un'asta di ferro della grossezza di un pollice e lunga un metro e mezzo. Feci mostra di voler fare una passeggiata di riposo e seguii una strada parallela alla sua. Il pascolo delle bestie era in un avvallamento. Lascio' il piccolo gregge in guardia al cane e sali' verso di me. Temetti che venisse per rimproverarmi della mia indiscrezione ma niente affatto, quella era la strada che doveva fare e m'invito' ad accompagnarlo se non avevo di meglio. Andava a duecento metri da li', piu' a monte. Arrivato dove desiderava, comincio' a piantare la sua asta di ferro in terra. Faceva cosi' un buco nel quale depositava una ghianda, dopo di che turava di nuovo il buco. Piantava querce. Gli domandai se quella terra gli apparteneva. Mi rispose di no. Sapeva di chi era? Non lo sapeva. Supponeva che fosse una terra comunale, o forse proprieta' di gente che non se ne curava? Non gli interessava conoscerne i proprietari. Pianto' cosi' le cento ghiande con estrema cura.
Dopo il pranzo di mezzogiorno ricomincio' a scegliere le ghiande. Misi, credo, sufficiente insistenza nelle mie domande, perche' mi rispose. Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la meta', a causa dei roditori o di tutto quel che c'e' di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c'era nulla.
Fu a quel momento che mi interessai dell'eta' di quell'uomo. Aveva evidentemente piu' di cinquant'anni. Cinquantacinque, mi disse lui. Si chiamava Elzeard Bouffier. Aveva posseduto una fattoria in pianura. Aveva vissuto la sua vita.
Aveva perso il figlio unico, poi la moglie. S'era ritirato nella solitudine dove trovava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Aveva pensato che quel paese sarebbe morto per mancanza d'alberi. Aggiunse che, non avendo altre occupazioni piu' importanti, s'era risolto a rimediare a quello stato di cose.
Poiche' conducevo anch'io in quel momento, malgrado la giovane eta', una vita solitaria, sapevo toccare con delicatezza l'anima dei solitari. Tuttavia, commisi un errore. La mia giovane eta', appunto, mi portava a immaginare l'avvenire in funzione di me stesso e di una qual certa ricerca di felicita'. Dissi che nel giro di trent'anni quelle diecimila querce sarebbero state magnifiche. Mi rispose con gran semplicita' che, se Dio gli avesse prestato la vita, nel giro di trent'anni ne avrebbe piantate tante altre che quelle diecimila sarebbero state come una goccia nel mare.
Stava gia' studiando, d'altra parte, la riproduzione dei faggi e aveva accanto alla casa un vivaio generato dalle faggine. I soggetti, che aveva protetto dalle pecore con una barriera di rete metallica, erano di grande bellezza. Pensava inoltre alle betulle per i terreni dove, mi diceva, una certa umidita' dormiva a qualche metro dalla superficie del suolo.
Ci separammo il giorno dopo.
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L'anno seguente ci fu la guerra del '14, che mi impegno' per cinque anni. Un soldato di fanteria non poteva pensare agli alberi. A dir la verita', la cosa non mi era nemmeno rimasta impressa; l'avevo considerata come un passatempo, una collezione di francobolli, e dimenticata.
Finita la guerra mi trovai con un'indennita' di congedo minuscola ma con il grande desiderio di respirare un poco d'aria pura. Senza idee preconcette, quindi, tranne quella, ripresi la strada di quelle contrade deserte.
Il paese non era cambiato. Tuttavia, oltre il villaggio abbandonato, scorsi in lontananza una specie di nebbia grigia che ricopriva le cime come un tappeto. Dalla vigilia m'ero rimesso a pensare a quel pastore che piantava gli alberi. Diecimila querce, mi dicevo, occupano davvero un grande spazio.
Avevo visto morire troppa gente in cinque anni per non immaginarmi facilmente anche la morte di Elzeard Bouffier, tanto piu' che, quando si ha vent'anni, si considerano le persone di cinquanta come dei vecchi a cui resta soltanto da morire. Non era morto. Gli erano rimaste solo quattro pecore ma, in cambio, possedeva un centinaio di alveari. Si era sbarazzato delle bestie che mettevano in pericolo i suoi alberi. Perche', mi disse (e lo constatai), non s'era per nulla curato della guerra. Aveva continuato imperturbabilmente a piantare.
Le querce del 1910 avevano adesso dieci anni ed erano piu' alte di me e di lui. Lo spettacolo era impressionante. Ero letteralmente ammutolito e, poiche' lui non parlava, passammo l'intera giornata a passeggiare in silenzio per la sua foresta. Misurava, in tre tronconi, undici chilometri nella sua lunghezza massima. Se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall'anima di quell'uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione.
Aveva seguito la sua idea, e i faggi che mi arrivavano alle spalle, sparsi a perdita d'occhio, ne erano la prova. Le querce erano fitte e avevano passato l'eta' in cui potevano essere alla merce' dei roditori; quanto ai disegni della Provvidenza stessa per distruggere l'opera creata, avrebbe dovuto ormai ricorrere ai cicloni. Bouffier mi mostro' dei mirabili boschetti di betulle che datavano a cinque anni prima, cioe' al 1915, l'epoca in cui io combattevo a Verdun. Le aveva piantate in tutti i terreni dove sospettava, a ragione, che ci fosse umidita' quasi a fior di terra. Erano tenere come delle adolescenti e molto decise.
Il processo aveva l'aria, d'altra parte, di funzionare a catena. Lui non se ne curava; perseguiva ostinatamente il proprio compito, molto semplice. Ma, ridiscendendo al villaggio, vidi scorrere dell'acqua in ruscelli che, a memoria d'uomo, erano sempre stati secchi. Era la piu' straordinaria forma di reazione che abbia mai avuto modo di vedere. Quei ruscelli avevano gia' portato dell'acqua, in tempi molto antichi.
Alcuni dei tristi villaggi di cui ho parlato all'inizio del mio racconto sorgevano su siti di antichi villaggi gallo-romani di cui restavano ancora vestigia nelle quali gli archeologi avevano scavato trovando ami in posti dove nel ventesimo secolo si doveva far ricorso alle cisterne per avere un po' d'acqua.
Anche il vento disperdeva certi semi. Con l'acqua erano riapparsi anche i salici, i giunchi, i prati, i giardini i fiori e una certa ragione di vivere.
Ma la trasformazione avveniva cosi' lentamente che entrava nell'abitudine senza provocare stupore. I cacciatori che salivano in quelle solitudini seguendo le lepri o i cinghiali s'erano accorti del rigoglio di alberelli, ma l'avevano messo in conto alle malizie naturali della terra. Percio' nessuno disturbava l'opera di quell'uomo. Se l'avessero sospettato, l'avrebbero ostacolato. Era insospettabile. Chi avrebbe potuto immaginare, nei villaggi e nelle amministrazioni, una tale ostinazione nella piu' magnifica generosita'?
A partire dal 1920 non ho mai passato piu' d'un anno senza andare trovare Elzeard Bouffier. Non l'ho mai visto cedere ne' dubitare. Eppure, Dio solo sa di averlo messo alla prova! Non ho fatto il conto delle sue delusioni. E' facile immaginarsi tuttavia che, per una simile riuscita, sia stato necessario vincere le avversita'; che, per assicurare la vittoria di tanta passione, sia stato necessario lottare contro lo sconforto. Bouffier aveva piantato, un anno, piu' di diecimila aceri. Morirono tutti. L'anno dopo abbandono' gli aceri per riprendere i faggi che riuscirono ancora meglio delle querce.
Per farsi un'idea piu' precisa di quell'eccezionale carattere, non bisogna dimenticare che operava in una solitudine totale; al punto che, verso la fine della vita, aveva perso del tutto l'abitudine a parlare. O, forse, non ne vedeva la necessita'.
Nel 1933 ricevette la visita di una guardia forestale sbalordita. Il funzionario gli intimo' l'ordine di non accendere fuochi all'aperto, per non mettere in pericolo la crescita di quella foresta naturale. Era la prima volta, gli spiego' quell'uomo ingenuo, che si vedeva una foresta spuntare da sola. A quell'epoca Bouffier andava a piantare faggi a dodici chilometri da casa. Per evitare il viaggio di andata e ritorno, poiche' aveva ormai settantacinque anni, stava considerando la possibilita' di costruirsi una casupola di pietra sul luogo stesso dove piantava. Cio' che fece l'anno seguente.
Nel 1935 una vera e propria delegazione governativa venne a esaminare la foresta naturale. C'erano un pezzo grosso delle Acque e Foreste, un deputato, dei tecnici. Fu deciso di fare qualcosa e, fortunatamente, non si fece nulla, tranne l'unica cosa utile: mettere la foresta sotto la tutela dello Stato e proibire che si venisse a farne carbone. Perche' era impossibile non restare soggiogati dalla bellezza di quei giovani alberi in piena salute. Esercito' il proprio potere di seduzione persino sul deputato.
Un capitano forestale mio amico faceva parte della delegazione. Gli spiegai il mistero. Un giorno della settimana seguente andammo insieme a cercare Elzeard Bouffier. Lo trovammo in pieno lavoro, a venti chilometri da dove aveva avuto luogo l'ispezione.
Quel capitano forestale non era mio amico per nulla. Conosceva il valore delle cose. Seppe restare in silenzio. Offrii le uova che avevo portato in regalo. Dividemmo il nostro spuntino in tre e restammo qualche ora nella muta contemplazione del paesaggio.
La costa che avevamo percorso era coperta d'alberi che andavano da sei a otto metri di altezza. Mi ricordavo l'aspetto di quelle terre nel 1913, il deserto... Il lavoro calmo e regolare, l'aria viva d'altura, la frugalita' e soprattutto la serenita' dell'anima avevano conferito a quel vecchio una salute quasi solenne. Era un atleta di Dio. Mi domandavo quanti altri ettari avrebbe coperto d'alberi.
Prima di partire il mio amico azzardo' soltanto qualche suggerimento a proposito di certe essenze alle quali il terreno sembrava adattarsi. Non insistette. "Per la semplice ragione", mi spiego' poi, "che quel signore ne sa piu' di me". Dopo un'ora di cammino, dopo che l'idea aveva progredito in lui, aggiunse: "Ne sa piu' di tutti. Ha trovato un bel modo di essere felice!".
E' grazie a quel capitano che, non solo la foresta, ma anche la felicita' di quell'uomo, furono protette. Fece nominare tre guardie forestali per quella protezione e le terrorizzo' a tal punto che rimasero insensibili alle mazzette offerte dai boscaioli.
L'opera corse un grave rischio solo durante la guerra del 1939. Poiche' le automobili andavano allora col gasogeno, non c'era mai abbastanza legna. Cominciarono a tagliare le querce del 1910, ma l'area era talmente lontana da tutte le reti stradali che l'impresa si rivelo' fallimentare dal punto di vista finanziario. Fu abbandonata. Il pastore non aveva visto nulla. Era a trenta chilometri di distanza, e continuava pacificamente il proprio lavoro, ignorando la guerra del '39 come aveva ignorato quella del '14.
*
Ho visto Elzeard Bouffier per l'ultima volta nel giugno del 1945. Aveva ottantasette anni. Avevo ripreso la strada del deserto ma adesso, nonostante la rovina in cui la guerra aveva lasciato il paese, c'era una corriera che faceva servizio tra la valle della Durance e la montagna. Misi sul conto di quel mezzo di trasporto relativamente rapido il fatto che non riconoscessi piu' i luoghi delle mie prime passeggiate. Mi parve anche che l'itinerario mi facesse passare in posti nuovi. Ebbi bisogno del nome di un villaggio per concludere che invece mi trovavo proprio in quella zona un tempo in rovina e desolata. La corriera mi porto' a Vergons.
Nel 1913 quella frazione di una dozzina di case contava tre abitanti. Erano dei selvaggi, si odiavano, vivevano di caccia con le trappole; piu' o meno erano nello stato fisico e morale degli uomini preistorici. Le ortiche divoravano attorno a loro le case abbandonate.
La loro condizione era senza speranza. Non avevano altro da fare che attendere la morte: situazione che non dispone alla virtu'.
Ora tutto era cambiato. L'aria stessa. Invece delle bufere secche e brutali che mi avevano accolto un tempo, soffiava una brezza docile carica di odori. Un rumore simile a quello dell'acqua veniva dalla cima delle montagne: era il vento nella foresta. Infine, cosa piu' sorprendente, udii il vero rumore dell'acqua scrosciante in una vasca. Vidi che avevano costruito una fontana; l'acqua vi era abbondante e, cio' che soprattutto mi commosse, vidi che vicino ad essa avevano piantato un tiglio di forse quattro anni, gia' rigoglioso, simbolo incontestabile di una resurrezione.
In generale Vergons portava i segni di un lavoro per la cui impresa era necessaria la speranza. La speranza era dunque tornata. Avevano sgomberato le rovine, abbattuto i muri crollati e ricostruito cinque case. La frazione contava ormai diciotto abitanti, tra cui quattro giovani famiglie. Le case nuove, intonacate di fresco, erano circondate da orti in cui crescevano, mescolati ma allineati, verdure e fiori, cavoli e rose, porri e bocche di leone, sedani e anemoni. Era ormai un posto dove si aveva voglia di abitare.
Da li', proseguii a piedi. La guerra da cui eravamo appena usciti non aveva consentito il rifiorire completo della vita, ma Lazzaro era ormai uscito dalla tomba. Sulle pendici piu' basse della montagna, vedevo i campicelli di orzo e segale in erba; in fondo alle strette vallate, qualche prateria verdeggiava.
Sono bastati gli otto anni che ci separano da quell'epoca perche' tutta la zona risplenda di salute e felicita'. Dove nel 1913 avevo visto solo rovine sorgono ora fattorie pulite, ben intonacate, che denotano una vita lieta e comoda. Le vecchie fonti, alimentate dalle piogge e le nevi che la foresta ritiene, hanno ripreso a scorrere. Le acque sono state canalizzate. A lato di ogni fattoria, in mezzo a boschetti di aceri, le vasche delle fontane lasciano debordare l'acqua su tappeti di menta. I villaggi si sono ricostruiti a poco a poco. Una popolazione venuta dalle pianure, dove la terra costa cara, si e' stabilita qui, portando gioventu', movimento, spirito d'avventura. S'incontrano per le strade uomini e donne ben nutriti, ragazzi e ragazze che sanno ridere e hanno ripreso il gusto per le feste campestri.
Se si conta la vecchia popolazione, irriconoscibile da quando vive nell'armonia, e i nuovi venuti, piu' di diecimila persone devono la loro felicita' a Elzeard Bouffier.
Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, e' bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole. Ma, se metto in conto quanto c'e' voluto di costanza nella grandezza d'animo e d'accanimento nella generosita' per ottenere questo risultato, l'anima mi si riempie d'un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un'opera degna di Dio.
Elzeard Bouffier e' morto serenamente nel 1947, all'ospizio di Banon.

6. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Eleonora Aragona, Le mafie in Canada, Rcs, Milano 2024, pp. 160, euro 5,99.
- Pasquale Hamel, I pugnalatori di Palermo, Rcs, Milano 2024, pp. 160, euro 5,99.
- Roberto Leone,"L'ora": un giornale a Palermo, Rcs, Milano 2022, pp. 160, euro 5,99.
- Paolo Morando, L'assassinio del giudice Amato, Rcs, Milano 2024, pp. 160, euro 5,99.
- Paolo Morando, La strage di Bologna. I mandanti, Rcs, Milano 2024, pp. 160, euro 5,99.
- Paolo Morando, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Rcs, Milano 2024, pp. 160, euro 5,99.
- Davide Serafino, Il sequestro di Mario Sossi, Rcs, Milano 2024, pp. 160, euro 6,99.
- Davide Serafino, L'omicidio Coco, Rcs, Milano 2024, pp. 160, euro 5,99.
- Davide Serafino, L'omicidio di Guido Rossa, Rcs, Milano 2024, pp. 160, euro 5,99.
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Riletture
- Lunga Lancia Figlio del Bisonte, Autobiografia di un capo pellirosse, Moneta, Milano 1930, L'Angolo Manzoni Editrice, Torino 1994, pp. XX + 236.
- James Willard Schultz, Piedi Neri. Ricordi di vita tra gli indiani, Rusconi, Milano 1994, pp. 470.
- Jasper Thomas Garrett and Michael Tlanusta Garrett, Medicine of the Cherokee, Bear & Company, Santa Fe, New Mexico, 1996, pp. XII + 224.
- Stephen Harrod Buhner, Sacred Plant Medicine, Bear & Company, Rochester, Vermont, 1996, 2006, pp. XXX + 210.
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Storie della letteratura
- AA. VV., La letteratura greca, Mondadori, Milano 1989, 2007, 2 voll. per complessive pp. XXXVI + 1716.
- AA. VV., La letteratura latina della Cambridge University, Mondadori, Milano 1991-1992, 2007, 2 voll., pp. XXII + 882 (I vol.) e XVIII + 846 (II vol.).

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5369 del 30 ottobre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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