[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 261



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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 261 del 18 settembre 2023

In questo numero:
1. Con le donne iraniane ed afghane
2. Soccorrere le popolazioni vittime delle catastrofi in Libia e in Marocco
3. Far cessare le morti in carcere
4. Fra cessare le morti sul lavoro
5. Esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma
6. Una cosa utile per la pace: bloccare la fornitura di armi assassine, con l'azione diretta nonviolenta
7. Una proposta per le elezioni europee del 2024: una lista nonviolenta per la pace e contro il razzismo
8. Alcuni riferimenti utili
9. Tre tesi
10. Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane
11. Solidali con le donne iraniane nella lotta nonviolenta per i diritti umani di tutti gli esseri umani
12. Francesca Luci: Donna, vita, liberta'. Il cammino inarrestabile verso un altro Iran
13. Chiara Avesani: Il fuoco che rinasce dalla cenere in Kurdistan
14. Farian Sabahi: Stallo dell'accordo sul nucleare, mentre Teheran guarda a Oriente
15. Jennifer Bendery: Joe Biden Is Going To Have To Talk About Leonard Peltier

1. L'ORA. CON LE DONNE IRANIANE ED AFGHANE

Per la liberazione e la salvezza dell'umanita' intera.

2. L'ORA. SOCCORRERE LE POPOLAZIONI VITTIME DELLE CATASTROFI In LIBIA E IN MAROCCO

Salvare le vite e' il primo dovere.

3. L'ORA. FAR CESSARE LE MORTI IN CARCERE

Liberandosi dalla necessita' del carcere.
Praticando le concrete ed efficaci alternative sociali, riparative, nonviolente alla detenzione.
Salvare le vite e' il primo dovere.

4. L'ORA. FAR CESSARE LE MORTI SUL LAVORO

Abolendo sfruttamento e schiavitu'.
Facendo del lavoro non piu' un rapporto di rapina e distruzione, di dominazione ed alienazione, ma un momento di riproduzione sociale in forme liberate come nelle speranze e nel programma della Prima Internazionale.
Salvare le vite e' il primo dovere.

5. REPETITA IUVANT. ESPOSTO ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA

Alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma
e per opportuna conoscenza:
al Presidente della Repubblica
ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica
alla Presidente del Consiglio dei Ministri
a tutte le ministre e i ministri, a tutti i senatori e le senatrici, a tutte le deputate e i deputati, agli ed alle europarlamentari elette ed eletti in Italia
a numerosi pubblici ufficiali cui incombe, ricevendo tale notitia criminis, di promuovere l'azione giudiziaria
ai mezzi d'informazione
a numerose persone di volonta' buona, associazioni democratiche, istituzioni fedeli alla legalita' costituzionale
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Oggetto: esposto relativo alla violazione dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica italiana da parte del governo italiano.
Egregi signori,
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l'articolo 11 della Costituzione della Repubblica italiana e' inequivocabile. Esso recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parita' con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".
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Il governo italiano ha violato l'articolo 11 della Costituzione in quanto:
a) fa partecipare l'Italia alla guerra in corso in Ucraina attraverso la fornitura di armi che la guerra alimentano;
b) fa partecipare l'Italia alla guerra in corso in Ucraina attraverso la propria aviazione militare che raccoglie informazioni e le invia all'esercito ucraino sul campo di battaglia (cfr. il servizio giornalistico apparso sul sito dell'autorevole agenzia giornalistica Ansa col titolo "La guerra dei top gun italiani", che fin dall'incipit esplicitamente afferma che "i nostri piloti, tra loro anche una donna, a bordo dei caccia catturano dati importanti che in poco tempo finiscono sui cellulari dei soldati ucraini sul campo di battaglia");
c) ostacola effettualmente ogni realistica ipotesi di "cessate il fuoco" ed ogni concreto impegno di pace sostenendo esplicitamente la tesi che la guerra deve concludersi non con un negoziato ma con la "vittoria" di una delle parti in conflitto (cfr. la dichiarazione della Presidente del Consiglio dei Ministri "scommettiamo sulla vittoria ucraina" riportata da numerosi mezzi d'informazione);
d) sostiene l'azione provocatrice ed eversiva della Nato che da decenni opera nell'Europa dell'est per destabilizzare gli equilibri regionali e suscitare conflitti (azione divenuta finanche esplicitamente terrorista e stragista durante la guerra di distruzione della Jugoslavia nel 1999).
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In flagrante violazione dell'articolo 11 della Costituzione, il governo italiano arma e quindi alimenta la guerra, partecipa alla guerra e quindi alle stragi di cui ogni guerra sempre e solo consiste, e con cio' espone altresi' anche il nostro paese a subire le conseguenze della guerra, e - last, but not least - contribuisce all'escalation verso una guerra mondiale e nucleare che puo' metter fine all'intera civilta' umana.
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Egregi signori,
con il presente esposto si richiede il piu' tempestivo intervento per far cessare l'azione incostituzionale, folle e criminale del governo italiano.
Distinti saluti,
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, primo agosto 2023

6. REPETITA IUVANT. UNA COSA UTILE PER LA PACE: BLOCCARE LA FORNITURA DI ARMI ASSASSINE, CON L'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA

Ovviamente apprezzando e sostenendo le molte iniziative gia' in corso (e soprattutto quelle che concretamente recano aiuti umanitari e soccorrono, accolgono e assistono tutte le vittime e tutte le persone che dalla guerra fuggono e alla guerra si oppongono), vorremmo aggiungere una cosa da fare che ci sembra utile piu' di ogni altra per contribuire da qui, in Italia, a far cessare le stragi in Ucraina: bloccare la fornitura di armi assassine.
E per bloccare la fornitura di armi assassine occorre bloccare con specifiche e adeguate azioni dirette nonviolente le fabbriche di armi, i depositi di armi, i trasporti di armi, i centri decisionali e le strutture tecniche che le forniture di armi assassine organizzano ed eseguono.
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Fornire armi assassine dove e' in corso una guerra significa partecipare a quella guerra, cosa esplicitamente vietata dall'articolo 11 della Costituzione della Repubblica italiana.
Non vi e' infatti alcun dubbio che fornire armi assassine dove una guerra e' in corso e dove quindi esse vengono usate per uccidere degli esseri umani (e tutte le armi sono usate sempre e solo per uccidere) significa partecipare alla guerra e alle stragi di cui essa consiste, e il citato articolo 11 della Costituzione e' chiarissimo e inequivocabile al riguardo, aprendosi con queste precise parole: "L'Italia ripudia la guerra".
Pertanto, un governo italiano che decide di fornire armi assassine a un paese in guerra e' ipso facto in contrasto con la Costituzione cui ha giurato fedelta', ed e' quindi un governo fuorilegge, criminale, golpista. E chiunque in Italia cooperasse all'invio di armi assassine, o l'invio di armi assassine consentisse, sarebbe parimenti criminale.
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E' quindi diritto e dovere di ogni cittadino italiano opporsi all'invio di armi assassine dove una guerra e' in corso.
Cosi' come e' diritto e dovere di ogni cittadino italiano opporsi a un governo golpista e a chiunque coopera alla commissione di stragi.
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Come e' possibile contrastare questo crimine?
Come e' possibile fare qualcosa di concreto per salvare le vite di coloro che la guerra - che quelle armi assassine alimentano - uccide?
E' possibile con l'azione diretta nonviolenta che blocchi le fabbriche, i depositi, i trasporti di armi.
E' possibile con l'azione diretta nonviolenta che blocchi i centri decisionali e le strutture tecniche che quell'invio di armi assassine organizzano ed eseguono.
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Naturalmente occorre:
a) individuare tutti i luoghi da bloccare ed organizzare adeguatamente il blocco della scellerata attivita' finalizzata all'invio di armi assassine ovvero all'uccisione di esseri umani;
b) formare adeguatamente le persone di volonta' buona disponibili a partecipare a tali azioni dirette nonviolente.
La nonviolenza infatti richiede una specifica accurata preparazione e una completa conoscenza e consapevolezza del significato e delle conseguenze delle proprie azioni, che essendo non simboliche ma concrete espongono chi le esegue alle ovvie rappresaglie da parte dei poteri la cui azione criminale si vuole impedire.
La nonviolenza infatti, nel suo impegno per salvare tutte le vite, richiede una rigorosa coerenza tra i mezzi e i fini, una piena coscienza delle personali sofferenze cui si puo' andare incontro, una nitida disponibilita' ad accettare di subire torti e persecuzioni senza reagire, a subire violenza senza opporre violenza.
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A oltre un anno dall'inizio della guerra in Ucraina scatenata dall'invasione militare per volonta' del folle e criminale autocrate russo, e' ormai chiaro ad ogni persona che tutti i governi attivamente coinvolti nella guerra, che la guerra e le stragi hanno alimentato e tuttora alimentano e che hanno impedito fin qui ogni tregua ed ogni trattativa di pace, non intendono affatto porre fine alle stragi, non intendono affatto salvare le vite umane che ogni giorno la guerra distrugge, ma anzi cooperano alla prosecuzione, all'intensificazione e all'estensione delle uccisioni di esseri umani, ed accrescono il pericolo che la guerra si faccia mondiale e nucleare e possa distruggere l'intera umana famiglia.
Occorre quindi che siano i popoli ad insorgere nonviolentemente per contrastare questo abominevole massacro e il pericolo dell'apocalisse atomica.
Occorre quindi che siano i popoli ad insorgere nonviolentemente per imporre ai governi la cessazione della guerra.
Hic et nunc solo l'azione diretta nonviolenta puo' concretamente contribuire a fermare le stragi e ad imporre ai governi di cessare il fuoco e avviare trattative di pace.
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Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

7. REPETITA IUVANT. UNA PROPOSTA PER LE ELEZIONI EUROPEE DEL 2024: UNA LISTA NONVIOLENTA PER LA PACE E CONTRO IL RAZZISMO

Tra meno di un anno, nel giugno 2024, si vota per rinnovare il Parlamento Europeo.
La politica dell'Unione Europea e' oggi caratterizzata da due orrori.
Il primo: la persecuzione dei migranti: col sostegno alle dittature che li imprigionano in condizioni disumane; con l'appalto ai poteri mafiosi in regime di monopolio della mobilita' per chi e' in fuga da guerre, dittature, fame e miseria; con la reclusione nei lager sia nei paesi di transito che in Europa; con la strage degli innocenti nel Mediterraneo; con lo schiavismo e l'apartheid in Europa. Tutti i governi dei paesi dell'Unione Europea, e con essi i vertici delle istituzioni europee, sono complici in questo flagrante crimine contro l'umanita'.
Il secondo: il sostegno alla prosecuzione della guerra in Ucraina che ogni giorno provoca altre stragi: con l'incessante fornitura di armi si alimenta la guerra e s'impedisce l'avvio di trattative di pace, e si contribuisce cosi' sia alla prosecuzione dello sterminio della popolazione ucraina vittima della guerra, sia all'escalation verso una guerra atomica che puo' mettere fine all'intera umanita'. Tutti i governi dei paesi dell'Unione Europea, e con essi i vertici delle istituzioni politiche europee, sono complici in questo flagrante crimine contro l'umanita'.
I vertici dell'Unione Europea si sono peraltro ormai completamente prostituiti alla Nato, l'organizzazione terrorista e stragista che per conto del governo razzista e imperialista degli Stati Uniti d'America opera, dalla fine della Guerra fredda e con sempre maggiore intensita' ed accelerazione, per destabilizzare, asservire o distruggere non solo singole parti del continente europeo ma l'Europa intera. Abolire la Nato e' palesemente l'urgenza delle urgenze per dare all'Europa un futuro di pace.
Il Parlamento Europeo potrebbe e dovrebbe operare per la pace e in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani e per la salvaguardia della biosfera, ma attualmente e' anch'esso complice della furia razzista e della furia bellica che si e' incistata nei governi dei paesi europei e nei vertici di tutte le istituzioni politiche europee.
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Tra meno di un anno, nel giugno 2024, si vota per rinnovare il Parlamento Europeo.
E l'Italia rischia di essere rappresentata unicamente da partiti fascisti, razzisti e bellicisti.
Esplicitamente fascista, razzista, bellicista ed ecocida e' tutta l'area governativa italiana.
Razzista si e' dimostrato il partito grillino, che durante la prima esperienza di governo ha condiviso e sostenuto la scellerata politica di brutale persecuzione dei migranti da parte del capo leghista che di quel governo era vicepresidente, ministro e magna pars.
Tragicamente bellicista e' il Pd (e quindi di fatto anche coloro che ad esso subalterni con esso si alleano e che pertanto al di la' del velame dei vaniloquenti proclami portano voti al partito della guerra in cambio di qualche scranno e prebenda).
Questa la triste e trista situazione.
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Tra meno di un anno, nel giugno 2024, si vota per rinnovare il Parlamento Europeo.
Che fare, quindi?
Io credo che occorra costruire una lista nonviolenta per la pace e contro il razzismo.
Nonviolenta: che cioe' faccia della scelta della nonviolenza la discriminante fondamentale. La nonviolenza essendo l'unica lotta nitida e intransigente, concreta e coerente, contro tutte le violenze e le oppressioni; la nonviolenza essendo il fondamentale strumento teorico e pratico a disposizione della lotta del movimento delle oppresse e degli oppressi per la liberazione dell'umanita' e la salvaguardia dell'intero mondo vivente.
Per la pace: e quindi per il disarmo integrale e l'integrale smilitarizzazione dei conflitti, dei territori, delle societa', delle culture.
Contro il razzismo: e quindi per il pieno riconoscimento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani, poiche' siamo una sola famiglia umana in un unico mondo vivente.
E dire lista nonviolenta per la pace e contro il razzismo significa dire una lista femminista ed ecologista, socialista e libertaria, delle classi sociali sfruttate e rapinate, delle oppresse e degli oppressi.
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Tra meno di un anno, nel giugno 2024, si vota per rinnovare il Parlamento Europeo.
Se vogliamo aprire una riflessione comune e autentica, democratica e partecipata, fra tutte le persone e le esperienze disposte a riconoscersi in una prospettiva nonviolenta, femminista, ecologista, socialista e libertaria, per portare nel Parlamento Europeo la voce delle oppresse e degli oppressi e la lotta per la pace, l'affermazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani e la difesa della biosfera, il momento e' adesso.
Prenda la parola ogni persona ed ogni esperienza interessata.
Si promuovano ovunque possibile incontri di riflessione.

8. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI

Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com

9. REPETITA IUVANT. TRE TESI

La guerra e il fascismo sono la stessa cosa. Solo la lotta di liberazione delle donne puo' difendere e liberare l'umanita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

10. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL COORDINAMENTO ITALIANO DI SOSTEGNO ALLE DONNE AFGHANE

Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane (CISDA).
Per contatti: e-mail: cisdaonlus at gmail.com, sito: www.cisda.it

11. REPETITA IUVANT. SOLIDALI CON LE DONNE IRANIANE NELLA LOTTA NONVIOLENTA PER I DIRITTI UMANI DI TUTTI GLI ESSERI UMANI

Siamo solidali con le donne iraniane nella lotta nonviolenta per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Scriviamo all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere che cessi la repressione del movimento democratico e nonviolento delle donne - e degli uomini postisi alla loro sequela - che si riconosce nel motto "Donna, vita, liberta'", che siano liberate e liberati tutte le prigioniere e tutti i prigionieri politici, che cessi la violenza maschilista di stato, e che siano riconosciuti, rispettati e difesi tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Nessuna autorita' e' legittima se non rispetta la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.

12. l'ORA. FRANCESCA LUCI: DONNA, VITA, LIBERTA'. IL CAMMINO INARRESTABILE VERSO UN ALTRO IRAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 settembre 2023 riprendiamo e diffondiamo il seguente articolo dal titolo "Donna, vita, liberta'. Il cammino inarrestabile verso un altro Iran" e il sommario "Iran. Un anno fa la morte in custodia della polizia di Mahsa Amini: indossava male il velo. Il 16 settembre 2022 nasceva il primo movimento guidato da donne in un paese islamico. Il regime si prepara all'anniversario con arresti, minacce, droni e migliaia di milizie"]

Centinaia di arresti preventivi, licenziamento dei docenti universitari e degli insegnanti piu' critici, minacce alle famiglie delle vittime, obbligo per gli attivisti di prendere l'impegno, per iscritto, di non partecipare alle eventuali manifestazioni: cosi' la Repubblica Islamica si e' preparata ad affrontare l'anniversario della morte di Mahsa Amini. Come se non bastasse, sono state installate telecamere 3d con software sofisticati per il riconoscimento facciale in ogni angolo della citta', e addestrate milizie, che saranno assistite dai droni, per soffocare eventuali disordini sul nascere.
Un anno fa si diffondeva la notizia della morte di Mahsa Amini, ventiduenne, fermata pochi giorni prima dalla polizia morale a Teheran perche' indossava in maniera non corretta il velo obbligatorio. La notizia viene divulgata da una giovane giornalista, Niloofar Hamedi, e il funerale viene raccontato da un'altra collega, Elaheh Mohammadi. Entrambe vengono arrestate e rimangono tuttora in carcere.
La straziante morte di Mahsa enfatizza la discriminazione, la liberta' negata e la negazione del corpo delle donne che da 44 anni regna nel Paese. Migliaia di raduni improvvisati di protesta dilagano nelle piazze, nelle universita' e nelle scuole da nord a sud. Giovani donne bruciano i loro veli in raduni festosi, alcune si tagliano i capelli in segno di lutto. Le proteste raggiungono villaggi e citta' periferiche, coinvolgendo le classi piu' fragili, anche nei territori tradizionalmente piu' conservatori e religiosi. La partecipazione nelle aree etniche in Kurdistan e Baluchistan e' totale, manifestazioni e scioperi paralizzano intere citta'.
Nel cuore della societa' autocratica iraniana, con il suo alto grado di violenza istituzionalizzata, nasce il movimento "Donna, Vita, Liberta'". Un movimento guidato delle donne per la prima volta in un paese islamico, che sfida le norme tradizionali, religiose, discriminatorie e autoritarie.
I manifestanti non sono ispirati da una specifica ideologia o leadership e non fanno affidamento sulle tradizionali istituzioni ereditarie e religiose e sulle loro basi. Le rivendicazioni sono semplici, moderne e democratiche. Sostengono i diritti delle donne e sono contro la diffusa discriminazione di genere, di origine etnica e di credo.
L'establishment islamico, colto di sorpresa, fatica inizialmente a reagire. La mancanza di leadership organizzativa del movimento rende incapace il governo di colpire i capi per sedare la ribellione. Allora mette in atto una violenta repressione generalizzata. Migliaia di poliziotti antisommossa e gruppi di Basij, milizie religiose, affrontano i manifestanti. Contro i ribelli, spesso pacifici, vengono usate pallottole letali, lacrimogeni, pallini di metallo come proiettili e manganelli. Le soluzioni proposte da diversi leader riformisti, tra cui i due ex presidenti Mohammad Khatami e Mir-Hosein Musavi, si scontrano con il muro di indifferenza dell'establishment. Musavi propone di tenere un "referendum libero per modificare o redigere una nuova costituzione", mentre Khatami chiede riforme basate sulla costituzione esistente.
La sperata apertura del sistema va incontro al netto rifiuto di Khamenei, leader della Repubblica Islamica, e dei personaggi chiave del regime. La chiusura e' totale, nessuna mediazione e nessuna concessione.
La repressione e' l'unica risposta. In pochi mesi vengono uccisi oltre 500 manifestanti, migliaia feriti e oltre 20.000 arrestati.
La percezione generale e' che senza un mutamento totale del sistema non sia possibile nessun cambiamento. I media di lingua persiana trasmessi all'estero, spesso finanziati da paesi avversari, e una parte dell'opposizione in diaspora creano illusione e ottimismo sulla capacita' del movimento di smantellare il sistema in modo rapido e veloce, sottovalutando il potere di repressione del governo e l'assenza di un'alternativa, che e' il punto fragile del movimento. Invece di raccontare, questi media si trasformano in attivisti, e invece di riflettere e analizzare gli eventi agiscono in modo selettivo e fazioso.
Non avendo connotazioni economiche il movimento non trova un collegamento con i sindacati e le rivendicazioni e le proteste di classe degli operai e degli impiegati. La passivita' dei riformatori religiosi e coloro che hanno legami economici e culturali con il regime aumenta la sua capacita' di repressione e impedisce la partecipazione delle masse.
La violenta repressione, il rischio di una guerra civile, il timore realistico di un futuro sconosciuto sommato alla crisi economica che devasta il potere d'acquisto della maggioranza della popolazione causano paura, dubbio e passivita'. Dopo 5 mesi, nonostante la grande empatia della popolazione, le manifestazioni si intiepidiscono e il governo riesce infine a frenarle.
Tuttavia, l'idea di aver schiaciato il desiderio di cambiamento delle iraniane e degli iraniani e' ben lungi dall'essere realta'. Il movimento da' un nuovo volto alla protesta, la disobbedienza civile diventa strumento della battaglia sociale e politica. Le coraggiose ragazze iraniane continuano a mostrarsi senza velo in pubblico malgrado l'opprimente campagna di terrore contro coloro che rifiutano di indossare l'hijab obbligatorio. E' evidente che le conquiste morali, psicologiche e culturali del movimento sono irreversibili. La transizione verso la liberta' e la democrazia in Iran continua inesauribilmente il suo lungo cammino.

13. L'ORA. CHIARA AVESANI: IL FUOCO CHE RINASCE DALLA CENERE IN KURDISTAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 settembre 2023 riprendiamo e diffondiamo il seguente articolo dal titolo "Il fuoco che rinasce dalla cenere in Kurdistan" e il sommario "La testimonianza. Zhilamo si e' unita alla resistenza iraniana dall'Iraq. La decisione dopo aver assistito allo stupro di una ragazza durante le proteste. 'Jina era come me. Una curda. Su di lei si e' sommata la violenza maschile a quella contro il nostro popolo'"]

Le montagne del Kurdistan iracheno formano un confine naturale tra Iraq e Iran. Con la primavera si riempiono di colori: tra le piccole querce e la vegetazione selvaggia, si stagliano i fiorellini azzurri della genziana e il rosso dei papaveri.
Una giovane donna con un kalashnikov smonta la guardia e scende camminando da un sentierino a curve. Per parlare con noi ha voluto coprirsi il volto con un passamontagna improvvisato con un foulard, nel timore che quello che racconta possa causare problemi alla sua famiglia.
"Il mio nuovo nome e' Zhilamo, significa 'fuoco che sorge dalla cenere'", dice. "Ho scelto di cambiare nome perche', quando si decide di cambiare vita, si rinasce con un nome diverso".
Zhilamo e' iraniana ed e' nata in un paesino dall'altro lato di queste montagne: un villaggio vicino a quello da cui veniva Mahsa Amini. Dalla notizia della sua morte l'Iran e' insorto: la fiamma e' scoppiata proprio nel Kurdistan iraniano, la terra di Amini, il luogo dove poteva usare il suo vero nome curdo "Jina", vietato in Iran per oscurare l'esistenza del suo popolo, i curdi.
Per questo, in quella regione, da anni il movimento politico di opposizione e resistenza contro il regime, si unisce alla lotta per l'emancipazione delle donne. Questa volta, pero', lo slogan "Donna, vita, liberta'", nato proprio nel Kurdistan iraniano, e' echeggiato anche nella capitale a Teheran e in oltre 40 diverse province del Paese. Una rivoluzione.
"Jina era come me", spiega Zhilamo. "Una donna curda. Su di lei si e' sommata la violenza contro le donne a quella contro il nostro popolo. Quando e' morta, siamo scesi tutti in piazza a protestare". Durante le manifestazioni, pero', e' accaduto qualcosa che ha cambiato per sempre la vita di Zhilamo. "Nel bel mezzo della rivolta, mentre cantavamo slogan per le strade, le forze di sicurezza si sono infiltrate tra noi e ci hanno attaccato: molte persone sono scappate e sono rimasti solo pochi giovani. C'era una ragazza che parlava molto e faceva rumore. Aveva diciassette anni". Zhilamo si ferma, abbassa gli occhi, poi controlla l'emozione e riprende: "L'hanno aggredita, l'hanno arrestata in un modo molto crudele. Hanno formato un cerchio di uomini armati intorno a lei e l'hanno stuprata, davanti a tutti".
Abbassa di nuovo lo sguardo. "E' doloroso, specialmente per una ragazza, vederlo con i propri occhi. Ero terribilmente sconvolta. Non ce l'ho fatta piu' a restare, ho deciso di oltrepassare le montagne e unirmi al movimento di opposizione iraniano in Iraq. Ho sentito che, come donna curda, dovevo vendicare Jina e altre come lei".
Lo scorso autunno un rapporto investigativo della Cnn segnalava come le forze di sicurezza iraniane usino lo stupro per reprimere le proteste, a volte filmando la violenza per ricattare e costringere al silenzio chi manifesta.
C'e' un momento specifico che segna le vite di tutti gli attivisti che abbiamo incontrato. Un singolo evento dopo il quale la loro vita e' cambiata per sempre e sono stati costretti prima a fuggire dall'Iran e poi a continuare a scappare perche' il regime li segue ovunque, anche oltre il confine. Da quel momento saranno sempre perseguitati.
"Dopo aver partecipato alle manifestazioni in varie citta', un giorno ho ricevuto una telefonata anonima", racconta Mamo giovane iraniano. La voce ha detto: 'Mi chiamo Qurbani e tra 10 minuti devi trovarti all'indirizzo che ti do''. Era la via della sede locale dell'intelligence. Ho capito che dovevo scappare".
Mamo giocava nella nazionale di muay thai iraniana, ma il governo ha deciso di ritiragli il passaporto a causa di un tatuaggio con la scritta Kurdistan. Oggi si nasconde in Iraq.
"Non siamo al sicuro qui", continua Mamo. "Anche qui c'e' la possibilita' che ci arrestino e deportino in Iran, per questo dobbiamo provare ogni strada per scappare in un altro paese e raggiungere un posto sicuro dove non possano venirci a prendere. Il regime spia e segue gli attivisti che hanno partecipato alle proteste anche all'estero, se non e' riuscito ad arrestarli in Iran. Il mio account Instagram e' stato hackerato da tre diversi utenti. Avevo detto a tutti i miei amici che stavo scappando in Turchia e da li' sarei andato in Europa. Un giorno un agente delle Guardie della Rivoluzione Islamica, mi ha chiamato dall'Iran e mi ha chiesto: 'Mio caro perche' ti nascondi in Iraq? E' bello li'?'. Ero scioccato e ho detto che non ero in Iraq, ma in Turchia. So che mi seguono".
Non e' solo una sensazione. Il 19 marzo 2023 il regime iraniano ha firmato a Baghdad un accordo con il governo iracheno: l'Iraq si impegna a non ospitare formazioni di partiti dissidenti curdi nei propri confini che Teheran considera gruppi terroristi. Per chi scappa dal regime iraniano, l'Iraq non e' un posto sicuro.

14. RIFLESSIONE. FARIAN SABAHI: STALLO DELL'ACCORDO SUL NUCLEARE, MENTRE TEHERAN GUARDA A ORIENTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 settembre 2023 riprendiamo e diffondiamo il seguente articolo dal titolo "Stallo dell'accordo sul nucleare, mentre Teheran guarda a Oriente" e il sommario "Jcpoa. Biden prende tempo e gioca su piu' tavoli. Londra, Parigi e Berlino hanno deciso di rinnovare le sanzioni alla Repubblica islamica"]

Un anno di proteste e' coinciso con un anno di stallo per l'accordo nucleare firmato a Vienna il 14 luglio 2015. Prevedeva la fine graduale delle sanzioni, in cambio di un limite all'arricchimento dell'uranio nelle centrali sottoposte a ispezioni dell'Aiea, l'agenzia internazionale per l'energia atomica. Il movimento Donna, vita, liberta' ha contribuito a rallentare la ripresa dei negoziati sul nucleare perche' gli Stati Uniti e l'Europa speravano che il dissenso facesse cadere, o perlomeno traballare, la Repubblica islamica. Cosi' non e' stato: ayatollah e pasdaran sono ancora al potere, la repressione di regime continua a mietere vittime e - per fare fronte alle sanzioni occidentali - le autorita' di Teheran portano avanti una politica di buon vicinato e stringono alleanze guardando a Oriente. Stati Uniti ed Europa hanno fatto male i conti e perso l'occasione di contenere il programma nucleare iraniano.
A firmare il Jcpoa (Piano d'azione congiunto globale) erano stati i negoziatori iraniani e i 5+1, ovvero i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite piu' la Germania. Il presidente statunitense Barack Obama aveva siglato l'accordo, ma il Congresso non lo aveva ratificato. Insediatosi alla Casa Bianca, Donald Trump si era ritirato unilateralmente dall'intesa l'8 maggio 2018, con il pretesto che era indispensabile inserire il divieto - per l'Iran - di perseguire un programma balistico. Richiesta irricevibile per ayatollah e pasdaran, memori dell'invasione dell'Iran da parte delle truppe irachene di Saddam Hussein che aveva scatenato una guerra durata dal 1980 al 1988. Durante quel conflitto, nessun paese aveva voluto vendere missili all'Iran, motivo per cui gli iraniani sanno di dover fare da se'.
In seguito al ritiro unilaterale degli Usa, le imprese europee avevano abbandonato i progetti di business con Teheran per timore delle sanzioni secondarie del Tesoro statunitense. Esattamente un anno dopo, di fronte a un'Europa incapace di mantenere fede agli impegni sottoscritti a Vienna, nel maggio 2019 le autorita' di Teheran avevano ricominciato ad arricchire l'uranio al di sopra della soglia concessa.
Che senso aveva rispettare un accordo che gli altri firmatari avevano deciso di violare, mantenendo in essere le sanzioni e mettendo cosi' in grave difficolta' l'economia iraniana? In questi anni Teheran ha continuato ad arricchire l'uranio al di sopra della soglia concessa e, per questo, due giorni fa Londra, Parigi e Berlino hanno deciso di mantenere in essere le sanzioni all'Iran in scadenza il 18 ottobre.
In questo contesto, l'amministrazione Biden gioca su piu' tavoli. Prende tempo, nella speranza che il regime iraniano collassi, ma anche per timore che tendere la mano ad ayatollah e a pasdaran possa inimicare una parte dell'elettorato e mettere a rischio un secondo mandato. La diplomazia continua, comunque, a fare il suo lavoro. Il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha dichiarato in un'intervista pubblicata il 3 settembre sul quotidiano moderato Ettelaat che, su iniziativa del sultano dell'Oman, Teheran e Washington stanno lavorando a un nuovo documento che sostituira' il Jcpoa. Su questo gli Stati Uniti tacciono, ma intanto stanno per essere consegnati all'Iran i 6 miliardi di dollari congelati nelle banche sudcoreane dopo la scadenza del waiver sul petrolio iraniano concesso dagli Usa a Seul. In concomitanza con la restituzione di queste somme, vi e' lo scambio di cinque prigionieri statunitensi in carcere in Iran con cinque iraniani detenuti negli Usa.
Di fronte a un Occidente che impone sanzioni e sostiene il dissenso in Iran e nella diaspora, le autorita' di Teheran portano avanti una politica di buon vicinato e stringono alleanze guardando a Oriente.
L'Iran ha aderito alla Shanghai Cooperation Organization, grazie alla mediazione di Pechino a marzo ha riallacciato relazioni diplomatiche con l'Arabia Saudita, e ad agosto e' stato invitato a far parte dei Brics.
Infine, ieri sono iniziati a Riad i primi colloqui di pace tra governo saudita e governo yemenita degli Huthi, in carica dal 2014 a Sanaa e sostenuti dall'Iran. L'impressione e' che l'Occidente sia diventato superfluo, in un Medio Oriente in cui a esercitare l'arte della diplomazia sono l'Oman e la Cina.

15. DOCUMENTAZIONE. JENNIFER BENDERY: JOE BIDEN IS GOING TO HAVE TALK ABOUT LEONARD PELTIER
[Dal sito huffpost.com riprendiamo e diffondiamo il seguente articolo del 15 settembre 2023 dal titolo "Joe Biden Is Going To Have To Talk About Leonard Peltier" e il sommario "Indigenous leaders and human rights advocates are making the long-imprisoned Native activist's freedom a 2024 election priority"]

Washington - Maxine was 4 years old when the bullet whizzed by her face. She remembers feeling a burning sensation on her forehead. And then the blood. Her uncle grabbed her, and they ran.
"I have a scar," she said, motioning to a faint line above her right eyebrow. "Just a lot of people hollering. That's all I remember."
Maxine is in her 50s now. Her entire life has been shaped by that near-miss, and it's not just because she could have died that day. It's because of the person who has been in prison ever since that chaotic 1975 shootout between FBI agents and Native American rights activists on Pine Ridge Reservation in South Dakota. And that person — Leonard Peltier, a leader in the Indigenous rights movement - has been on Maxine's mind every day since.
"Every day. Every day we pray for him," Maxine, who requested to only use her first name, said of her tribal community on Pine Ridge Reservation. About 19,000 people live here.
"He should have been released a long time ago," she said. "But they needed somebody to blame."
Maxine was one of hundreds of activists and Indigenous leaders at a rally outside the White House on Tuesday, urging President Joe Biden to grant clemency to Peltier. Tuesday was Peltier's 79th birthday. He's spent 48 of those years in prison, or nearly two-thirds of his life.
Peltier's imprisonment has been rehashed for decades. But if time has made anything more clear, it's that his imprisonment is bookended by obvious, infuriating injustice: The U.S. government put Peltier in prison based on lies and misconduct, with no evidence that he committed a crime.
Today, Peltier is an ailing, 79-year-old man deteriorating in a maximum security federal prison in Florida. He uses a walker. He is blind in one eye from a partial stroke. He has serious health problems related to diabetes and an aortic aneurysm.
His life is mostly confined to a cell with 18 inches for him and 18 inches for his cellmate.
"I am still here," he wrote Tuesday in an open letter to supporters.
Peltier has maintained his innocence the entire time he's been in prison, which has almost certainly prevented him from being paroled. Last year, United Nations legal experts made the unusual decision to review Peltier's parole process and concluded that it was so problematic that Biden should release him immediately.
"Mr. Peltier continues to be detained because he is Native American," they wrote in a damning 17-page legal opinion.
Biden has the authority to release Peltier at any time. Indigenous rights leaders made it clear Tuesday that they want him to do it now, before it's too late and Peltier dies. For hours, they shouted it at the White House. They held up dozens of "Free Peltier" signs and unfurled a massive banner with the same message that took at least 10 people to hold it up. They chanted, burned sage sticks and banged drums in between speeches and tribal dances.
Their voices should certainly matter to Biden, who is proud of being a strong ally to Native communities and tribes. He should be. His administration has made historic investments in Indian Country, from infrastructure to housing to climate change. He respects tribal sovereignty. He talks about the need for justice in Native communities, particularly when it comes to stopping violence against women. He's put several Indigenous people into senior positions in his administration, not the least of whom is Interior Secretary Deb Haaland, who passionately urged Peltier's release in her former role as a member of Congress.
The president will be increasingly reminding Native communities and tribes of his record leading up to November 2024. Native voters were crucial to Biden's victory in 2020, particularly in key battleground states like Arizona and Wisconsin.
But Peltier's prolonged imprisonment hangs over all of this. For many at Tuesday's rally, and beyond, he has become a symbol of something much bigger than himself. He represents the centuries of pain and injustice that Native communities have endured at the hands of the U.S. government. The longer Peltier remains in prison, the longer the collective wound festers.
Biden hasn't said a word about Peltier since becoming president.
On the one hand, it's weird, considering that this is a president willing to address past wrongs against Indigenous peoples. His administration is very publicly reviewing the country's painful legacy of Indian boarding schools, for example, and taking concrete steps to combat the long-ignored crisis of missing and murdered Indigenous women.
On the other hand, Biden's silence puts him in line with his presidential predecessors. The FBI has made it clear, for decades, that it never wants Peltier released. And Biden, so far, appears to be letting the FBI dictate how this goes.
But pleas to Biden for mercy for Peltier aren't going away, and are likely only going to get louder as election season picks up. The Democratic National Committee last year unanimously passed a resolution calling on Biden to grant clemency to Peltier. Seven Democratic senators did too, along with a separate group of House Democrats.
"Mr. Peltier meets appropriate criteria for commutation: (1) his old age and critical illness, (2) the amount of time he has already served, and (3) the unavailability of other remedies," Sen. Brian Schatz (D-Hawaii), chairman of the Senate Indian Affairs Committee, wrote in his own letter to Biden last year. "Mr. Peltier should be granted a commutation of his sentence."
During Tuesday's rally, 35 people got arrested, including Fawn Sharp, the president of the National Congress of American Indians, the largest and most powerful Indigenous rights group in the country. Sharp told HuffPost last month that Peltier's freedom is a top priority for her organization and its membership heading into 2024.
Paul O'Brien, the executive director of Amnesty International USA, also got arrested Tuesday. The massive international human rights organization recently launched a new campaign aimed squarely at urging Biden to release Peltier.
Maxine got arrested, too.
These were planned arrests to make a statement, and everyone was released soon afterward. The protest, organized by NDN Collective and Amnesty International USA, was peaceful the entire time. Perhaps most remarkable about the gathering was its diversity: People of all races and ages, from teenagers to people in their 70s, felt a connection to Peltier's story. Many could talk in detail about his imprisonment.
Peggy Mainor, who is in her 60s, said she organized a march for Peltier in 1978 in Berkeley, California. She said she was deeply disappointed that President Barack Obama didn't release Peltier, and isn't surprised that Biden hasn't done so.
"He probably feels like he doesn't have to do anything because he does have a strong record" with tribes and Native communities, said Mainor, who is the executive director of MICA Group, a Native-led organization in Baltimore that works with Indigenous communities to protect their lands and cultures.
"Biden doesn't want to piss off the FBI because they want somebody locked up, even if it's not the right person," she added. "That's a political prisoner."
Tyler Star Comes Out, a 20-year-old Indigenous woman from Pine Ridge Reservation, said she feels tied to Peltier because he was arrested on her grandparents' land.
"For my entire life, I've heard stories of Leonard Peltier and AIM," she said, referring to the American Indian Movement. "I've been hearing my grandparents advocate for him, and so, considering that I'm the younger generation, I'm continuing on their work."
Star Comes Out, whose father is the president of the Oglala Sioux Tribe, will be old enough to vote in her first presidential election in 2024. She said she'll "most likely" be voting for Biden, but if he doesn't release Peltier before then, "I wouldn't be happy about it."
Asked if she had a message for Biden on Peltier, she replied, "Respect our elders."
At least two of Peltier's children were at the protest, Kathy and Chauncey Peltier. So was Norman Patrick Brown, who was with Peltier during that 1975 shootout. He was only 15 at the time, the youngest AIM member there that day.
Brown said it was "really emotional" being at the gathering for Peltier, whose freedom he's been advocating for his entire life.
"I feel like people will never understand the stand he took," said Brown, tearing up. "They don't realize how much love there was by the Lakota people, the Navajo people. The elders thought of him as their son... He stood up against the federal government. The man was fearless, his heart was pure, his love for his people."
Standing a few feet away, Chauncey Peltier said he knew what he would say to Biden if he had five minutes alone with him.
"I would ask him to please release my father from prison and let him go home. That would help the healing of my people [that they] have been going through for 500 years," he said. "That would be a start."
The White House did not respond to a request for comment about Tuesday's protest or about whether Biden is considering clemency for Peltier.
HuffPost has asked the White House about Peltier several times over the last two years. The last time it provided a comment was in February 2022, with this statement from a Biden spokesperson:
"We are aware of Mr. Peltier's request for a pardon and the outreach in support of his request. As many of you know, President Biden has a process for considering all requests for pardon or commutation, which is run through our White House Counsel's Office. I don't have more to share on Mr. Peltier's request at this time."
Peltier's attorney filed a clemency petition in July 2021, which begins the process for the Office of the Pardon Attorney to review his case for being released from prison.
Asked what movement there's been, if any, on Peltier's clemency petition in the last two years, Justice Department spokesperson Dena Iverson pointed HuffPost to a searchable database on its website for those details on Wednesday.
Its status here remains the same as it has been for two years: "Pending."
The FBI, which appears to be the only real obstacle to Peltier's release, provided a statement Wednesday on why it still wants him in prison:
"The FBI remains resolute against the commutation of Leonard Peltier's sentence for murdering FBI Special Agents Jack Coler and Ronald Williams at South Dakota's Pine Ridge Indian Reservation in 1975. We must never forget or put aside that Peltier intentionally and mercilessly murdered these two young men and has never expressed remorse for his ruthless actions.
Peltier's conviction, rightly and fairly obtained, still stands, and has withstood numerous appeals to multiple courts, including the U.S. Supreme Court. No amount of prison time changes the facts surrounding Coler and Williams' deaths and commuting Peltier's sentence now would only serve to diminish the brutality of his crime and the suffering of their surviving families and the FBI family."
But this is the exact same statement the FBI provided to HuffPost a year and a half ago, and every sentence of it is outdated, misleading or flat-out wrong.
HuffPost asked the FBI in a follow-up email to explain all the discrepancies in its statement.
There was never evidence that Peltier murdered anyone, and the prosecutors themselves later admitted they didn't know who did it. Peltier was never convicted of murder; he was convicted of "aiding and abetting" by virtue of being present that day.
The statement also doesn't address the FBI's and U.S. Attorney's Office's now-known egregious misconduct in Peltier's case. The 10th U.S. Circuit Court of Appeals concluded in 2003 that the U.S. government's behavior in Peltier's case "is to be condemned. The government withheld evidence. It intimidated witnesses. These facts are not disputed."
Furthermore, the FBI statement doesn't address the agency's own role in instigating the shoot-out that day, which has been called out over the years by the 10th Circuit, the late Judge Gerald Heaney on the 8th U.S. Circuit Court of Appeals, and former U.S. Attorney James Reynolds.
An FBI spokesperson followed up to say the bureau has no further comment.
Some attendees at Tuesday's rally predicted that Biden's inaction on Peltier will depress voter turnout in Native communities in November 2024.
"Absolutely," said Dallas Goldtooth, 40, an Indigenous rights activist and an actor on the TV series "Reservation Dogs."
"He's completely failing us on this issue of justice for Leonard Peltier," Goldtooth said. "All of us grew up with Peltier on our minds, our hearts, in our mouths. The fact that he's still locked up is something that we organize around. Because we want to see him free, but also we want to see our issues acknowledged by this administration."
Maxine said people in her community regularly talk about how disappointed they are that Biden hasn't released Peltier.
"No one is going to turn out," she speculated. "They just say that they made the wrong choice again. Somebody should have done something."
But others saw Biden in a different light.
Suzan Harjo, a longtime Indigenous rights advocate and 2014 Presidential Medal of Freedom recipient, sat in a wheelchair amid the action. Baking in the sun on the cement, the 78-year-old poet and policy advocate said it was important to her to be there because Peltier has come to embody so much, for so many Indigenous people, for so long.
"Leonard has always been a stand-in for us, for all Native peoples," said Harjo, who had addressed the crowd earlier.
"This isn't some abstract guy," she continued. "He was jailed as a symbol for us, for the freedom-loving Native people and the freedom-fighting Native people. He's been in prison as long as he has been a symbol for us."
Harjo said what many people don't understand is that all Indigenous people carry "generations of hurt and pain" caused by the U.S. government's actions.
"We don't want to see the old days come again. We want this to be a new day, and President Biden is just the kind of person that can make that happen," she said. "I don't call him out; I call on him to do it. I believe in him."
Harjo brings the perspective of someone who worked with Biden on and off for decades during his time in the Senate. Last month, she wrote to him to personally appeal to him to release Peltier. She praised him for being a longtime supporter of restoring Native peoples' rights, from his work on the Indian Child Welfare Act to the American Indian Religious Freedom Act to the Violence Against Women Act.
"I think he will do it," she said of Biden ultimately releasing Peltier. "I think that he's a compassionate man and he'll understand that this is our family we're talking about."

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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 261 del 18 settembre 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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