[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 184



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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 184 del 3 luglio 2023

In questo numero:
1. Abolire la guerra, salvare le vite
2. Marica Tolomelli: Danilo Dolci
3. Amnesty International: Urge clemency for native american activist
4. Raccolta fondi per aiutare la Biblioteca Libertaria "Armando Borghi" a fare fronte ai danni subìti a causa dell'alluvione del 16 e 17 maggio 2023
5. Scriviamo all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere che cessino persecuzioni ed uccisioni
6. Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane
7. Alcuni riferimenti utili
8. Tre tesi
9. Ripetiamo ancora una volta...

1. L'ORA. ABOLIRE LA GUERRA, SALVARE LE VITE

Ogni vittima ha il volto di Abele.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

2. REPETITA IUVANT. MARICA TOLOMELLI: DANILO DOLCI
[Dal sito www.treccani.it riproponiamo la seguente voce estratta dal Dizionario biografico degli italiani (2017)]

Danilo Dolci, poeta e intellettuale-attivista, impegnato su diversi fronti, nacque a Sesana (Trieste) il 28 giugno 1924. Da alcune biografie (Capitini, 1958; Fontanelli, 1976; Barone, 2000) si ricava l'immagine di un'infanzia e una gioventu' sostanzialmente ordinarie per un ragazzo di estrazione sociale medio-borghese, nato sul confine orientale da una madre slovena, Meli Kondely, donna relativamente colta, amante della musica e animata da una profonda fede religiosa, e un padre italiano (Enrico, per la verita' italo-tedesco), ferroviere. Ebbe una sorella minore, Miriam Lippolis, scrittrice, impegnata ancora in tempi recenti a mantenere viva la memoria del fratello (Bisconti, 2013). A causa del lavoro del padre la famiglia dovette presto trasferirsi in Lombardia, dove Danilo frequento' la scuola fino al conseguimento del diploma tecnico (geometra) a Pavia e poi della maturita' artistica a Milano.
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Gli anni della formazione
Tra gli spostamenti lavorativi del padre occorre ricordare quello, breve ma decisivo, a Trappeto, in provincia di Palermo, nei primi anni Quaranta. Per il ragazzo le visite al seguito del padre furono occasione di un primo incontro con mondi molto lontani da quello in cui viveva, compresa una poverta' a lui sconosciuta.
Le esperienze maggiormente incisive per la biografia del giovane furono due: il rifiuto di arruolarsi nell'esercito della Repubblica sociale italiana (RSI), ragione per cui nel 1943 fuggi' in Abruzzo maturando una profonda avversione per la violenza e il militarismo; l'incontro con la comunita' cattolica di Nomadelfia (presso l'ex campo di concentramento di Fossoli, vicino Modena) e il suo animatore, don Zeno Saltini. Quest'ultimo avvenimento segno' una svolta nella vita di Dolci: nel 1950, all'eta' di 26 anni, abbandono' gli studi in architettura quasi completati a Milano, la fidanzata e il lavoro come insegnante presso una scuola serale di Sesto S. Giovanni (dove aveva conosciuto Franco Alasia, suo futuro strettissimo collaboratore) per prendere parte alla vita comunitaria di Nomadelfia. L'esperienza fu profondamente formativa, Dolci visse con grande fervore quel periodo e partecipo' anche alla fondazione di un secondo centro comunitario nella provincia di Grosseto. Li' si era "come ripulito ed essenzializzato", poi pero' se ne distacco', sentiva il bisogno di uscire da una comunita' che era "come un'isola, un nido caldo", per entrare in contatto con "il resto del mondo" (Dolci, 1968, p. 15). Trappeto, "il paese piu' misero che ave[esse] mai visto", gli parve pertanto la destinazione ideale.
Nonostante la centralita' del rapporto con don Saltini, questo passaggio segno' una ormai definitiva presa di distanza dalle forme di dedizione umanitaria e sociale tipiche dell'impegno cattolico, per approdare a una prassi piu' apertamente laica e dettata dalla necessita' di intervenire su realta' inaccettabili per modificarle. Questo atteggiamento avvicinava Dolci ad altre figure animate da una profonda spiritualita' 'metaconfessionale', mentre lo allontanava, necessariamente, dal cattolicesimo istituzionale.
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La Sicilia, punto di incontro tra Nord e Sud e "il bisogno di collaborare alla vita"
L'arrivo in Sicilia, nel gennaio 1952, segno' la fase piu' intensa della sua vita. Nei primi anni Cinquanta la Sicilia era una sorta di metafora della condizione di indigenza, arretratezza e noncuranza che ampi strati di popolazione dell'ex Regno delle due Sicilie erano ancora costretti a sopportare senza che le classi dirigenti italiane - in sostanziale continuita' tra il periodo liberale, quello fascista e quello repubblicano - fossero riuscite o si fossero preoccupate di affrontare in maniera risolutiva. Trappeto e Partinico erano luoghi al contempo concreti, caratterizzati da una miseria indicibile e da un bisogno improrogabile di intervento, ma anche simboli del malessere profondo che attraversava diffusamente l'intero Mezzogiorno. L'esistenza di gravissime condizioni di arretratezza e deprivazione - connesse al problema della squilibrata distribuzione fondiaria - non era ignota alla classe dirigente italiana. Nello stesso periodo in cui Dolci decise di recarsi presso i piu' poveri e di denunciare, attraverso la pubblicazione dei suoi studi - tra i primi e più noti Fare presto (e bene) perche' si muore (Torino 1954); Banditi a Partinico (Bari 1955); Inchiesta a Palermo (Torino 1956) -, una Commissione parlamentare incaricata di condurre un'inchiesta "sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla", condusse le proprie ricerche, tra il maggio 1952 e il giugno 1953, mettendo in luce una realta' di arretratezza che strideva dolorosamente con l'orizzonte di sviluppo e benessere che si stava preannunciando (Braghin, 1978; Fiocco, 2004).
Il fatto che la questione della poverta' fosse oggetto di iniziative politiche, nonche' di una certa attenzione pubblica, contribui' probabilmente ad amplificare la risonanza del dramma di Trappeto, dove nell'ottobre 1952 un bambino poco piu' che neonato mori' di stenti. La vicenda avrebbe potuto essere letta semplicemente come una triste conferma della gravita' del problema della miseria, ma assunse un significato ben piu' ampio nel momento in cui il giovane Danilo Dolci, da poco arrivato, intraprese uno sciopero della fame per esprimere pubblicamente la sua indignazione e necessita' di ribellione. Come avrebbe piu' tardi spiegato, la sua iniziativa non si baso' su presupposti teorici, essa fu piuttosto una istintiva, umana reazione di fronte a una realta' inaccettabile: "Allora cominciai a digiunare. Non c'era un ragionamento preciso, non avevo letto Gandhi, sapevo solo che non potevo accettare che esistesse un paese senza fognature, senza strade. Anzi le fognature erano le strade stesse. Volevo manifestare istintivamente la mia solidarieta'. Avevo la vaga intuizione [...] che nella zona le cose potessero cambiare" (Intervista, Tarozzi, 1995).
La sua intuizione che "le cose potessero cambiare" nascondeva la determinazione, costante nella sua vita, a intervenire sulla realta' per infrangere forme di dominio 'naturalizzate'. Si trattava di un'ambizione niente affatto infondata: quando si trasferi' in Sicilia le regioni meridionali della neonata Repubblica italiana avevano gia' alle spalle una intensa stagione di lotte per la riforma agraria. Dai decreti Gullo del 1944 al lodo De Gasperi del 1946, passando per gli eccidi di Portella delle Ginestre (1947), di Melissa, di Montescaglioso e di Torremaggiore (1949), le terre del Sud erano state oggetto di una conflittualita' sociale e politica asperrima, in cui la posta in gioco piu' immediata risiedeva nella riforma della proprieta' fondiaria, quella a piu' lunga scadenza nell'emancipazione sostanziale della maggior parte della popolazione meridionale.
La Sicilia era in quegli anni parte importante dell'orizzonte spaziale, sociale e politico in cui si adoperavano le sinistre italiane per cercare di intercettare, sostenere e guidare il riscatto sociale cui aspirava la popolazione contadina (Rochefort, 2005). Figure come Girolamo Li Causi (primo segretario regionale del Partito comunista), Raniero Panzieri (dal 1949 in Sicilia, dal 1951 segretario regionale del Partito socialista), per non parlare di Giuseppe Di Vittorio e della sua CGIL, ma anche di intellettuali e attivisti come Carlo Levi o Rocco Scotellaro, furono tra i protagonisti piu' impegnati nello spirito di emancipazione e rinnovamento che animo' profondamente le popolazioni meridionali negli anni della ricostruzione - economica, ma anche e soprattutto politica, nel senso di costruzione della democrazia.
Dolci non era dunque solo nel suo anelito a cambiare le cose - in Italia, nel Mezzogiorno, in Sicilia - ma lo espresse, anzi lo agi', in maniera diversa dalla sinistra istituzionale, non solo in merito alla pronunciata connotazione spirituale (ma mai confessionale) che caratterizzo' soprattutto i primi anni della sua esperienza, ma anche rispetto al metodo. Dopo i primi mesi a Trappeto si impegno' nella realizzazione di un progetto comunitario ed educativo, il Borgo di Dio. Si trattava di una forma di intervento di ispirazione umanitaria-religiosa che rifletteva, ma solo in parte, l'esperienza di Nomadelfia. Anche il Borgo, come Nomadelfia, fu creato per accogliere in primo luogo bambini abbandonati a se stessi e destinati a un futuro sventurato. A differenza del progetto di don Saltini, aspirante a una comunita' esemplare, quello di Dolci mirava tuttavia a innescare sinergie virtuose tra le risorse, le energie e i valori gia' presenti all'interno della comunita'. Il suo intento era infatti quello di "collaborare alla vita", non guidarla - cosi' come il suo amico Aldo Capitini ricordava, citando le stesse parole di Dolci, nella biografia che gli dedico' gia' pochi anni dopo averlo conosciuto (Capitini, 1958, p. 33).
Il suo originale modo di porsi dalla parte degli e con gli oppressi esercito' una straordinaria attrazione su alcuni ambienti sia della sinistra che del cristianesimo sociale. Numerosi giovani intellettuali inseriti in contesti culturali e politici agli antipodi di Trappeto o Partinico furono talmente incuriositi da cio' che stava accadendo nella lontana Sicilia, che vi si recarono di persona, trattenendosi per un certo periodo. Scrive Gabriele Corsani: "In particolare intorno alla Trappeto di Dolci ruotano numerosi gruppi di persone, di Milano, Genova, Bologna, Firenze, Siena e Roma [...]; attraverso loro sono collegati i mondi [...] di Ernesto Bonaiuti, Zeno Saltini, Aldo Capitini, Lamberto Borghi, David Maria Turoldo" (Corsani, 2012, p. 168). Accanto a questi luoghi e a questi nomi occorre ricordare anche una vivace rete di giovani donne, soprattutto insegnanti, pedagogiste e scrittrici che si sentirono fortemente attratte dagli innovativi progetti pedagogici prima di Borgo di Dio e poi, dal 1975, del Centro educativo di Mirto. Tra queste ricordiamo Grazia Fresco, Maria Fermi Sacchetti, Margherita Pieracci, Cristina Vittoria Guerrini (poi nota col nome di Cristina Campo), Maria Chiappelli, Anna Bonetti, Ida Sacchetti (Pieracci Harwell, 2012). E, ancora, la pedagogista svedese Elena Norman, futura seconda moglie di Dolci (con cui ebbe i figli Sereno ed En) dopo la rottura del ventennale matrimonio con Vincenzina Mangano, colei che di fatto medio' l'integrazione di Dolci a Trappeto accogliendolo nella sua famiglia - era vedova con cinque figli - per ampliarla e aggiungervi gli altri cinque avuti con lui (Libera, Amico, Cielo, Chiara, Daniela). Occorre inoltre ricordare anche i legami con Torino, da dove presero le mosse giovani sociologi e intellettuali come Vittorio Rieser e Giovanni Mottura e, per altre ragioni, Goffredo Fofi, per andare a conoscere da vicino l'esperienza dolciana. Nonostante la relativa breve durata del loro soggiorno e alcune rilevanti divergenze, politiche e personali - la collaborazione con una personalita' cosi' forte come Dolci non fu sempre facile - questa esperienza fu fondamentale per coloro che, come Raniero Panzieri che aveva seguito da vicino l'attivita' di Dolci (Rizzo, 2001), pochi anni piu' tardi avrebbero dato vita all'esperienza dei Quaderni Rossi, divenendo un nucleo estremamente fecondo della sinistra eterodossa italiana.
Ecco perche' si ritiene che la Sicilia, la Sicilia di Danilo Dolci in particolare, fu uno snodo cruciale per lo formazione politica di un certo ambiente intellettuale su scala nazionale. Alla meta' degli anni Cinquanta le idee della democrazia di base, dell'intervento non al di sopra ma all'interno delle e con le masse, idee che avrebbero caratterizzato profondamente la 'nuova sinistra' transnazionale negli anni a venire, avevano gia' trovato una prima significativa esperienza nel particolare ambiente politico, culturale e umano da lui creato. In particolare la pratica della 'autoanalisi popolare' - un laborioso processo preliminare alla presa di decisioni collettive cosi' come alla costruzione di volonta' politiche condivise - e 'l'inchiesta', volta a trasformare l'oggetto dell'intervento conoscitivo in soggetto consapevole della propria condizione e artefice del cambiamento, furono esperienze cruciali che avrebbero segnato in maniera determinante il lavoro politico del futuro gruppo torinese, il metodo della 'conricerca' (Rieser, 2008; Mottura, 2014) e nuove inchieste sociali, come quella sugli immigrati meridionali a Torino (Fofi, 1964). L'esperienza con Dolci fu sotto questo punto di vista uno snodo cruciale per la circolazione di idee e pratiche di 'vita associata democratica', che per vie e reti relazionali multidirezionali attraversarono l'intero Paese.
L'interesse e il riconoscimento della particolare rilevanza dell'impegno dolciano esorbito' inoltre dai confini nazionali: ne sono prova non solo le numerose traduzioni dei suoi scritti in diverse lingue, ma anche l'attribuzione di una serie di importanti premi e titoli onorari. Tra questi ricordiamo il premio Lenin per la pace (1958), grazie al quale fondo' il Centro studi e iniziative per la piena occupazione a Partinico, e il premio Sonning per il contributo alla civilizzazione europea (1971), ma l'elenco e' ben piu' ricco - ne riporta dettagliate informazioni la nota biografica di Ragone (Ragone, 2011, pp. 13-50) - e comprende anche prestigiosi premi letterari, come il premio internazionale Viareggio per la raccolta di poesie Creatura di creature (Milano 1979).
Cosa contraddistingueva l'impegno di Dolci al punto di farne una figura di riferimento cosi' significativa e influente in Italia come all'estero? Due ci paiono i tratti piu' essenziali della sua ricca biografia.
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La centralita' del lavoro, premessa di liberta' e democrazia
Scriveva Aldo Capitini nel 1958: "Chi puo' negare che ci sia una linea dal Danilo Dolci che nel gennaio 1952 arrivo' a Trappeto per aiutare quelli 'che non ce la facevano' a vivere, al Danilo Dolci di oggi, tutto impegnato a stimolare tutti a fare dell'Italia una Repubblica veramente fondata sul lavoro?" (Capitini, 1958, p. 29). Dolci colse il senso del lavoro come dimensione cruciale per il riscatto sociale e il superamento di rapporti di prevaricazione sin dai primi mesi del suo arrivo a Trappeto e su tale consapevolezza continuo' a lungo a orientare gran parte del suo impegno. Nel particolare tessuto politico e sociale siciliano il lavoro si caricava infatti di un valore particolare di liberazione da un dominio di matrice feudale che continuava a condannare vasti strati di popolazione all'indigenza, all'ignoranza e alla subordinazione passiva su basi di violenza intimidatrice. Tutto cio' era in buona parte riconducibile al fenomeno mafioso, un problema enorme di fronte al quale Dolci, in stretta collaborazione con Franco Alasia, non si sottrasse, intraprendendo inchieste in grado di rendere noti nomi e modalita' di un sistema che lui defini' clientelare-mafioso (Dolci, 1966; Id., 1968), e che gli costo', come pure ad Alasia, un processo per diffamazione e una condanna poi condonata.
Tornando alla questione del lavoro, emerge quanto le azioni di Dolci fossero in sintonia, nonostante le diverse modalita', con le lotte portate avanti dalla sinistra italiana in quello stesso periodo. Negli anni Cinquanta la questione del lavoro riguardava infatti l'intero Paese, basti ricordare la mobilitazione della CGIL di Di Vittorio, che con il suo Piano del lavoro (1949-50) aveva contribuito non poco a caricare di istanze concrete l'art. 1 della neonata Repubblica italiana (Loreto - Musso, 2014). Un raccordo particolarmente significativo tra l'intervento di Dolci in Sicilia e l'impegno civile e politico della sinistra italiana si ebbe in occasione dello 'sciopero a rovescia', organizzato da Dolci nei primi mesi del 1956 per richiamare l'attenzione sull'assenza di infrastrutture elementari, come le strade, e le effettive possibilita' occupazionali nella provincia palermitana. Non si trattava di una forma di lotta inedita nell'Italia di quel periodo, inedita fu tuttavia la rete di solidarieta' nazionale che si sviluppo' a seguito dell'arresto di Dolci e di quattro sindacalisti coinvolti nello sciopero (Schirripa, 2010, p. 73 sgg.). Il processo a Dolci fu tramutato dal suo illustre difensore Piero Calamandrei in un atto d'accusa contro una classe dirigente che non si premurava di onorare il diritto costituzionale al lavoro sancito dall'art. 4. Grazie alla vasta solidarieta' sviluppatasi numerosi intellettuali, politici, e scrittori si presentarono al processo per deporre in favore degli accusati, testimonianze che l'editore Einaudi pubblico' prontamente nel volume Processo all'art. 4 (Torino 1956) e che a distanza di sessant'anni testimoniano della centralita' ascritta a una certa concezione del lavoro per la costruzione della democrazia nell'Italia postfascista (Fofi, 2006). Una concezione che Dolci e i suoi compagni di lotta espressero come segue in una lettera indirizzata alle piu' alte cariche istituzionali per spiegare le ragioni dello 'sciopero a rovescia' e il relativo digiuno intrapreso: "Non per disperazione oggi digiuniamo, ma nella speranza di contribuire perche' l'Italia diventi un paese civile. Sappiamo che lavorando generosamente siamo la vita. Chi ci impedisce e' assassino: non paghiamo le tasse perche' il nostro paese [...] sia una mala galera in mano ai prepotenti. Firmato: mille cittadini che credono nell'articolo 4 della Costituzione" (Dolci in Spagnoletti, 1977, p. 83).
Il lavoro espressione di vita: questa l'idea che avrebbe guidato lunghe e difficili lotte, ma coronate dal successo, per interventi sul territorio atti a favorire l'occupazione e una vita dignitosa alla popolazione. Dolci alterno' progetti concreti, come la realizzazione delle dighe dello Jato e di Roccamena (Barbera, 1964), a iniziative di ricerca, approfondimento e raccolta di fondi per promuovere il lavoro. Rientravano tra queste sia l'organizzazione di importanti convegni che con la partecipazione di studiosi autorevoli contribuirono a fare della piena occupazione una istanza di respiro nazionale, sia la realizzazione di centri permanenti di studio, come il Centro studi e iniziative per la piena occupazione nel 1958 (poi Centro per lo sviluppo creativo) e il Centro di formazione per la pianificazione organica, dal 1968, volto alla formazione di quadri competenti per l'intervento sul territorio a partire da un confronto costante con la popolazione locale.
Tutti i diversi ambiti di azione erano di pari importanza nell'approccio dolciano alla questione del lavoro. Sul piano economico-produttivo egli mirava a promuovere lo sviluppo di un'agricoltura svincolata dal controllo mafioso e capace di garantire il benessere della popolazione; su quello politico e pedagogico si adoperava invece affinche' gli obiettivi perseguiti si realizzassero attraverso pratiche politiche autenticamente democratiche e nonviolente, contribuendo di conseguenza ad alimentare costantemente la cultura politica della partecipazione.
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La nonviolenza e la partecipazione come pratiche di democrazia
La nonviolenza e' stata a lungo, e giustamente, identificata come la cifra peculiare dell'agire dolciano. Per Dolci stesso la nonviolenza costituiva un valore imprescindibile, su di essa scrisse e fu spesso chiamato a esprimersi esplicitamente. Praticare la nonviolenza significava per lui aprirsi al mondo e lottare per il suo cambiamento con mezzi tali da prevenire il riprodursi della violenza. Il rifiuto di uccidere, l'importanza di sottrarsi a schieramenti ideologici e chiusure pregiudiziali, credere nella possibilita' di infrangere consolidate forme di dominio e sopruso furono i principi cardine che orientarono con estrema coerenza la sua vita e le sue numerosissime iniziative. Il digiuno - a partire da quello dell'ottobre 1952 - divenne con lui una pratica originale ed efficace nel panorama politico degli anni Cinquanta, segnato soprattutto da scioperi e proteste di piazza, oltre che repressioni da parte delle forze dell'ordine, troppo spesso degenerate in omicidi di manifestanti.
Come gia' ricordato, il suo primo sciopero della fame non si rifaceva a presupposti teorici di alcun tipo. La notizia dell'atipica protesta dolciana colpi' invece immediatamente l'attenzione di un precursore della nonviolenza nell'Italia repubblicana, il filosofo Aldo Capitini, il quale da Perugia gli fece pervenire parole di piena approvazione e sostegno. Questa presa di contatto fu non solo il primo passo di una nuova e importante amicizia; l'intenso confronto con Capitini, durato fino alla morte di questi (1968), rappresento' anche l'occasione per avviare l'approfondimento teorico dei presupposti della nonviolenza. Sotto questo profilo Capitini fu un vero e proprio maestro per Dolci e questi, dal canto suo, fu indubbiamente uno dei migliori 'allievi' del filosofo. Come emerge dalla corrispondenza tra i due (Barone - Mazzi, 2008), Capitini vedeva nell'agire di Dolci la migliore concretizzazione dei suoi ideali e della sua concezione di azione nonviolenta. La nonviolenza fu per certi versi la base piu' solida di convergenza tra i due, il nucleo valoriale a cui entrambi attinsero nell'alimentare la loro crescente stima reciproca e profonda amicizia.
Ci pare tuttavia che se si sposta il punto di osservazione dall'iniziale afflato spirituale alle attitudini mostrate nei decenni successivi, e' possibile sostituire progressivamente la cifra della nonviolenza con quella di una radicale consapevolezza democratica. Che si considerino la pratica dell'autoanalisi popolare, le sperimentazioni in ambito educativo, la concezione del metodo maieutico, o ancora, la trasformazione del Centro studi sull'occupazione in Centro per lo sviluppo creativo, si puo' constatare la costante presenza di un elemento profondamente qualificante il suo agire: la ricerca, la promozione, l'alimentazione della partecipazione, del coinvolgimento attivo e della presa della parola da parte di tutti i cittadini - non "paesani", come scriveva nella raccolta Il limone lunare (Bari 1970) - di una comunita'. In questo suo procedere Dolci alimentava circuiti comunicativi circolari e processi decisionali il piu' possibile condivisi, e promuoveva di fatto la cultura della democrazia diretta o democrazia di base, quella stessa che in altri contesti ma nello stesso periodo veniva teorizzata in termini di partecipatory democracy.
In questo aspetto, piu' ancora che nella nonviolenza, si distinse dalle pratiche degli altri attori impegnati in progetti di emancipazione di soggetti subalterni, tra cui, in primis, la sinistra istituzionale. Anche questa, nonostante un rapporto difficile con il tema della violenza rivoluzionaria, mai si fece promotrice di pratiche esaltanti la violenza. Se tra i digiuni di Dolci e le manifestazioni sindacali di piazza vi era insomma una sostanziale condivisione di pratiche nonviolente, la differenza risiedeva invece nell'importanza che egli attribuiva alla partecipazione di base. In questo Dolci si distanziava profondamente dalle modalita' verticistiche tipiche dei partiti dell'Italia repubblicana, necessariamente ancorati ai principi della democrazia rappresentativa, cui pero' spesso aggiungevano un di piu' di centralismo che certamente non stimolava la cultura della partecipazione democratica.
Sotto questo profilo Dolci puo' essere piu' adeguatamente collocato vicino all'orientamento della nuova sinistra, pur se egli mai vi si riconobbe esplicitamente. La sua sensibilita' per la democrazia sostanziale, per la cultura politica della partecipazione e della condivisione, cosi' come emerge anche nello scritto indirizzato Ai piu' giovani (Milano 1967), sempre piu' insofferenti all'ordine sociale esistente, attestano una implicita affinita' con l'orizzonte politico e culturale che nel corso degli anni Sessanta ando' strutturandosi attorno al pensiero della nuova sinistra transnazionale. Una certa affinita' puo' essere riscontrata non solo sul piano astratto dell'orizzonte valoriale, ma anche, e forse in misura ancora maggiore, rispetto alle pratiche della politica dolciana. Pratiche definite significativamente 'antiautoritarie' dal gruppo tedesco di solidarieta' terzomondista Brot fur die Welt (Ragone, 2012, p. 41), implicando un nesso, seppur indiretto, con l'antiautoritarismo caro alla nuova sinistra tedesca. L'antiautoritarismo dolciano si esprimeva particolarmente nell'importanza che egli attribuiva alla comunicazione, intesa come processo necessariamente creativo ed educativo, perche' fondato sullo scambio, confronto e sviluppo continuo di idee e saperi (Dolci, 1985). La crescente attenzione sui molteplici potenziali della comunicazione lo porto' peraltro a farsi involontariamente pioniere dell'uso democratico di un mezzo convenzionale quale la radio. Con la creazione di Radio libera Partinico nella primavera del 1970, per denunciare le condizioni in cui ancora viveva la popolazione colpita dal terremoto del Belice due anni prima, si inaugurava un impiego di questo mezzo come strumento di comunicazione dal basso e multidirezionale, in contrapposizione all'uso monodirezionale e controllato dai poteri pubblici fino ad allora praticato (Lorrai, 2015). Sotto questo profilo Dolci ci appare perfettamente in sintonia con le istanze su cui si sviluppo' la nuova sinistra, nonche' un anticipatore di alcune pratiche che l'avrebbero caratterizzata.
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La parabola di un percorso dedicato alla vita (civile)
Tra il Dolci che nel 1952 abbandono' il "caldo nido" di Nomadelfia per aprirsi al "resto del mondo" a quello dedito, negli anni Settanta, al Centro educativo di Mirto - su cui in piu' occasioni fece convenire i piu' competenti pedagogisti di fama internazionale -, al Dolci che nel 1985 trasformo' il Centro studi per la piena occupazione in Centro per lo sviluppo creativo, si puo' riconoscere il percorso di una vita condotta con estrema coerenza. La volonta' di partecipare alla vita per contribuire a cambiarne le condizioni piu' inaccettabili rappresentano un punto fermo nella biografia di Dolci, anche dopo gli anni Cinquanta, il periodo di maggior incisivita' della sua azione. La motivazione che lo porto' a intraprendere il suo primo digiuno fu la stessa che lo porto' a concentrarsi sui metodi educativi negli ultimi decenni della sua vita. Partendo da problemi concreti e circoscritti - l'indigenza, il dominio mafioso, il governo delle acque e l'organizzazione del territorio - focalizzo' progressivamente il suo intervento sull'educazione, intravedendovi le premesse fondamentali da cui partire per infrangere i meccanismi di riproduzione di ignoranza, dominio, violenza. Anche in questo ambito - incentrato sul concetto a lui caro di maieutica (Dolci, 1996; Ragone, 2011, pp. 177-82; Mangano, 1992) - egli non opero' individualmente, bensi' coinvolse pedagogisti, centri di ricerca, scuole, insegnanti, giovani, istituzioni nazionali e internazionali (gia' nel 1980 fu invitato a prendere parte a un simposio sull'educazione organizzato dall'UNESCO). La laurea honoris causa in scienze dell'educazione conferitagli dall'Universita' di Bologna nel 1996 attesta il riconoscimento istituzionale di cui fu coronato questo percorso.
L'evoluzione di Dolci non rifletteva tuttavia unicamente la sua maturazione interiore. Nel frattempo anche la Sicilia era cambiata, numerosi problemi erano rimasti, ma l'indigenza non era piu' causa di morte, la popolazione si era urbanizzata e integrata, soprattutto emigrando al Nord, nei circuiti dell'economia fordista e dei consumi di massa. I 'banditi' di Partinico si erano in qualche modo emancipati, altri erano forse diventati potenti mafiosi, ma la rudezza del tessuto sociale si era indubbiamente mitigata in virtu' di un processo di mobilita' sociale che aveva attraversato anche la Sicilia. Inoltre, le idee della democrazia di base avevano trovato una potente cassa di risonanza nelle culture giovanili, benche' caricate di connotazioni politiche diverse da quelle dolciane.
Va aggiunto, per concludere, che Dolci non coincise mai pienamente coi ruoli che ricopri' nelle diverse fasi della sua vita. La sua figura presentava punti di incontro e convergenza con mondi tra loro molto distanti - la spiritualita' cristiana, la sinistra marxista ortodossa ed eterodossa, il mondo della cultura e della scienza, la povera gente - senza mai aderire, tuttavia, esclusivamente ad alcuno di questi, all'insegna di una soggettivita' eccezionalmente ricca, che rifiutava appartenenze entro rigidi confini identitari. Ancora alla fine degli anni Novanta, quando lo si poteva ormai identificare come un pedagogista, benche' non smise mai di scrivere poesie, il suo impegno debordante si sposto' sulle attivita' della NATO in Sardegna, mettendone in discussione sia la legalita', sia il grave impatto ambientale. Il Dolci pedagogista si ricongiungeva cosi', secondo un moto circolare in continua espansione, col Dolci antimilitarista e pacifista gia' emerso in gioventu'.
La sua vita fu in effetti un moto intenso e continuo che si concluse nella sua amata Partinico il 30 dicembre 1997.
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Opere
Tra i testi selezionati per la stesura di questa voce biografica si vedano Chi gioca solo, Torino 1966; Ai piu' giovani, Milano 1967; Inventare il futuro, Bari 1968; Palpitare di nessi. Ricerca di educare creativo a un mondo nonviolento, Roma 1985; La struttura maieutica e l'evolverci, Scandicci 1996.
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Fonti e bibliografia
A. Capitini, D. D., Manduria 1958; L. Barbera, La diga di Roccamena, Bari 1964 (nuova ed. Porretta - Bologna 2016); G. Fofi, L'immigrazione meridionale a Torino, Milano 1964; Conversazioni con D. D., a cura di G. Spagnoletti, Milano 1977; Inchiesta sulla miseria in Italia, a cura di P. Braghin, Torino 1978; G. Fontanelli, D. D., Firenze 1984; A. Mangano, D. D. educatore. Un nuovo modo di pensare e di essere nell'era atomica, Fiesole 1992; Intervista di M. Tarozzi a D.D., Come l'ape che si posa su un fiore, in DuemilaUno, X (1995), 49, http://www.centrostudialeph.it/archivio/dolci/web_site/dda/tarozzi.html (6 sett. 2016); G. Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo biografico di D. D., Napoli 2000; D. Rizzo, Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia (1949-1955), Soveria Mannelli 2001; Raccontare D. D. L'immaginazione sociologica, il sottosviluppo, la costruzione della societa' civile, a cura di S. Costantino, Roma 2003; G. Fiocco, L'Italia prima del miracolo economico: l'inchiesta parlamentare sulla miseria, 1951-1954, Manduria 2004; G. Fofi, L'inchiesta sociale in Italia e le sue diramazioni, in Lo straniero, 2005, n. 62-63, pp. 46-50; R. Rochefort, Sicilia anni Cinquanta. Lavoro cultura societa', Palermo 2005 [Paris 1961]; Perche' l'Italia diventi un paese civile. Palermo 1956: il processo a D. D., a cura di G. Fofi, Napoli 2006; Aldo Capitini - Danilo Dolci. Lettere 1952-1968, a cura di G. Barone - S. Mazzi, Roma 2008; V. Rieser, L'inchiesta nella fabbrica e nella societa', in L'inchiesta sociale in Italia, a cura di E. Pugliese, Roma 2008, pp. 55-59; V. Schirripa, Borgo di Dio. La Sicilia di D. D. (1952-1956), Milano 2010; M. Ragone, Le parole di D. D.. Anatomia lessicale-concettuale, Foggia 2011; Verso la citta' territorio. L'esperienza di D. D., a cura di G. Corsani - L. Guidi - G. Pizziolo, Firenze 2012 (in partic. G. Corsani, La nascita del Borgo di Dio. Presentazione dell'opuscolo, pp. 167-70; M. Pieracci Harwell, D. D. nei primi anni '50, pp. 123-37); P. Bisconti, Il ricordo di D. D. attraverso le parole della sorella, 2013, http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2013/02/10/il-ricordo-di-danilo-dolci-attraverso-le-parole-della-sorella-miriam/14496/ (15 agosto 2016); Il Piano del Lavoro del 1949: contesto storico internazionale e problemi interpretativi, a cura di F. Loreto - S. Musso, Roma 2014; G. Mottura, Vittorio Rieser e l'inchiesta, in Inchiesta, 2014, n. 184, pp. 19-20; M. Lorrai, La breve primavera della radio locale, in L'Italia e le sue regioni, a cura di M. Salvati - L. Sciolla, vol. 4, Societa', Roma 2015, pp. 425-42.
Principale sito di riferimento e' quello del Centro sviluppo creativo Danilo Dolci: http://danilodolci.org/

3. INIZIATIVE. AMNESTY INTERNATIONAL: URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
[Dal sito www.amnesty.org riprendiamo e diffondiamo questo appello del 3 aprile 2023]

3 April 2023
URGENT ACTION
URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
Native American activist Leonard Peltier has been imprisoned in the USA for over 46 years, some of which was spent in solitary confinement, serving two life sentences for murder despite concerns over the fairness of his trial. He has always maintained his innocence. Now 78 years old, he contracted COVID-19 in 2022 and suffers from several chronic health ailments, including one that is potentially fatal. Not eligible for parole again until 2024, his lawyers submitted a new petition for clemency in 2021. President Biden must grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
TAKE ACTION: WRITE AN APPEAL IN YOUR OWN WORDS OR USE THIS MODEL LETTER
President Joseph Biden
The White House
1600 Pennsylvania Ave NW
Washington, DC 20500
USA
White House Comment line: (202) 456-1111
Webform*: https://www.whitehouse.gov/contact/
* A US-based address is needed for the White House webform.
International action takers, please use AI USA's address when filling out:
Amnesty International USA
311 West 43rd St. 7th Floor,
New York, NY 10036 USA
Dear President Biden,
Leonard Peltier is a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. In 1975, during a confrontation involving AIM members, two FBI agents were killed. Leonard Peltier was convicted of their murders but has always denied killing the agents.
There are serious concerns about the fairness of proceedings leading to his trial and conviction, including for example the prosecution's withholding of evidence that might have assisted Leonard Peltier's defence.
In light of these concerns, the former US Attorney who supervised the prosecution team post-trial, James Reynolds, has since called for clemency.
Leonard Peltier is now 78 years old, has spent more than 46 years in US prisons, and has been repeatedly denied parole. There are serious concerns about Leonard Peltier's deteriorating health, including potential re-exposure to COVID-19. His lawyers submitted a new petition for clemency in 2021.
I urge you to grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
Yours sincerely,
*
ADDITIONAL INFORMATION
Leonard Peltier, an Anishinaabe-Lakota Native American, was a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. On 26 June 1975, during a confrontation involving AIM members on the Pine Ridge Indian reservation in South Dakota, FBI agents Ronald Williams and Jack Coler were shot dead. Leonard Peltier was convicted of their murders in 1977 and sentenced to two consecutive life sentences. Leonard Peltier has always denied killing the agents.
A key alleged eyewitness to the shootings was Myrtle Poor Bear, a Lakota Native woman who lived at Pine Ridge. Based on her statement that she saw Leonard Peltier kill both FBI agents, Leonard Peltier was extradited from Canada, where he had fled following the shootings. However, Myrtle Poor Bear later retracted her testimony. Although not called as a prosecution witness at trial, the trial judge refused to allow Leonard Peltier's attorneys to call Myrtle Poor Bear as a defense witness on the grounds that her testimony "could be highly prejudicial to the government". In 2000, Myrtle Poor Bear issued a public statement to say that her original testimony was a result of months of threats and harassment from FBI agents.
In 1980 documents were released to Leonard Peltier's lawyers as a result of a lawsuit under the Freedom of Information Act. The documents contained ballistics evidence which might have assisted Leonard Peltier's case, but which had been withheld by the prosecution at trial. However, in 1986, the U.S. Court of Appeal for the Eighth Circuit denied Leonard Peltier a retrial, stating that: "We recognize that there is some evidence in this record of improper conduct on the part of some FBI agents, but we are reluctant to impute even further improprieties to them."
The U.S. Parole Commission has always denied parole to Leonard Peltier on the grounds that he did not accept criminal responsibility for the murders of the two FBI agents. This is even though, after one such hearing, the Commission acknowledged that, "the prosecution has conceded the lack of any direct evidence that you personally participated in the executions of two FBI agents". Leonard Peltier would not be eligible for another parole hearing until 2024. Furthermore, James H. Reynolds, the US Attorney whose office handled the criminal case prosecution and appeal of Leonard Peltier, wrote that he supported clemency "in the best interest of Justice in considering the totality of all matters involved."
Leonard Peltier suffers from a variety of ailments, including kidney disease, Type 2 diabetes, high blood pressure, a heart condition, a degenerative joint disease, and constant shortness of breath and dizziness. A stroke in 1986 left him virtually blind in one eye. In January 2016, doctors diagnosed him with a life-threatening condition: a large and potentially fatal abdominal aortic aneurysm that could rupture at any time and would result in his death. He currently uses a walker due to limited mobility and contracted COVID-19 in 2022. He continues to be at risk of re-infection while in detention.
In 2015, several Nobel Peace Prize winners—including Archbishop Desmond Tutu—called for Leonard Peltier's release. The Standing Rock Sioux Tribe and the National Congress of American Indians have also called for his release. Leonard Peltier's attorney applied for clemency to President Biden in July 2021. President Biden committed to granting clemency on a rolling basis during his administration.
However, as of February 2023, no decision has been made on his application. He has previously sought clemency, most recently from President Obama in 2016, but his petition has been denied each time.
Due to the numerous issues at trial, the exhaustion of all his legal avenues for appeal, the amount of time he has already served, his continued maintenance of innocence along with his chronic health issues, Amnesty International supports calls for clemency for Leonard Peltier.
PREFERRED LANGUAGE TO ADDRESS TARGET: English
You can also write in your own language.
PLEASE TAKE ACTION AS SOON AS POSSIBLE UNTIL: 29 May 2023
Please check with the Amnesty office in your country if you wish to send appeals after the deadline.
NAME AND PRONOUN: Leonard Peltier - He/Him
LINK TO PREVIOUS UA: https://www.amnesty.org/en/documents/amr51/5208/2022/en/

4. APPELLI. RACCOLTA FONDI PER AIUTARE LA BIBLIOTECA LIBERTARIA "ARMANDO BORGHI" A FARE FRONTE AI DANNI SUBITI A CAUSA DELL'ALLUVIONE DEL 16 E 17 MAGGIO 2023
[Dalla Biblioteca Libertaria "Armando Borghi" (e-mail: bibliotecaborghi1916 at gmail.com) riceviamo e diffondiamo con viva solidarieta']

Le inondazioni che il 16 e 17 maggio 2023 hanno colpito molte localita' dell'Emilia Romagna, compresa Castel Bolognese, hanno provocato enormi danni alla Biblioteca Libertaria "Armando Borghi" (in sigla: BLAB).
In questo momento particolarmente difficile della sua vita la BLAB fa appello a tutti coloro che apprezzano la sua attivita'.
Per far fronte ai danni subìti e ripartire serviranno molto lavoro e molti soldi.
Se volete aiutarci a superare questo momento di notevole difficolta', potete inviare un contributo economico fin da ora.
Anche somme modeste possono servire.
Con il vostro aiuto, tutti insieme, ce la possiamo fare.
Per inviare le sottoscrizioni si puo' effettuare un bonifico al conto corrente bancario della BLAB, presso CREDIT AGRICOLE - Agenzia di Castel Bolognese. Il codice IBAN, intestato a Biblioteca Libertaria Armando Borghi - Soc. Coop. e': IT16 C 06230 67530 000030040805

5. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO ALL'AMBASCIATA DELL'IRAN IN ITALIA PER CHIEDERE CHE CESSINO PERSECUZIONI ED UCCISIONI

Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo di scrivere all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere al governo di quel paese che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare le lettere sono i seguenti: iranemb.rom at mfa.gov.ir, iranconsulate.rom at mfa.gov.ir, rom.media at mfa.gov.ir
*
Vi proponiamo un possibile testo essenziale:
Egregio ambasciatore,
le chiediamo di trasmettere al governo del suo Paese questa nostra richiesta che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
E' dovere di ogni persona, di ogni societa', di ogni ordinamento giuridico rispettare la vita, la dignita' e i diritti di tutte le donne e di tutti gli uomini.
Tutti gli esseri umani sono eguali in dignita' e diritti, tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita e alla liberta'.
Siamo solidali con le donne iraniane - e con gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Distinti saluti,
Nome e cognome, luogo e data, recapito di chi scrive.
*
Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo anche di far circolare questa proposta.
Adoperiamoci affinche' tante persone, tante associazioni, tante istituzioni di tutto il mondo chiedano al governo iraniano che cessino persecuzioni e uccisioni.
Sosteniamo le donne iraniane - e gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Grazie di cuore per quanto vorrete fare.

6. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL COORDINAMENTO ITALIANO DI SOSTEGNO ALLE DONNE AFGHANE

Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane (CISDA).
Per contatti: e-mail: cisdaonlus at gmail.com, sito: www.cisda.it

7. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI

Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com

8. REPETITA IUVANT. TRE TESI

La guerra e il fascismo sono la stessa cosa. Solo la lotta di liberazione delle donne puo' difendere e liberare l'umanita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

9. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...

... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.

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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 184 del 3 luglio 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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