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[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 110
- Subject: [Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 110
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Thu, 20 Apr 2023 05:40:38 +0200
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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 110 del 20 aprile 2023
In questo numero:
1. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa?
2. Giobbe Santabarbara: Breve una lettera alle persone amiche - e ad altre ancora - per chiedere loro una cosa
3. Amnesty International: Urge clemency for native american activist
4. Scriviamo all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere che cessino persecuzioni ed uccisioni
5. Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane
6. Alcuni riferimenti utili
7. Tre tesi
8. Ripetiamo ancora una volta...
9. "Gariwo": Vian Dakhil
10. "Gariwo": Nagham Nawzat Hasan
11. "Gariwo": Omar Abdel Jabar
12. Simone Zoppellaro: Ameena Saeed Hasan
13. Simone Zoppellaro: Khaleel al Dakhi
14. Simone Zoppellaro: Mirza Dinnayi
1. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA?
Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
*
Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
*
E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
2. REPETITA IUVANT. GIOBBE SANTABARBARA: BREVE UNA LETTERA ALLE PERSONE AMICHE - E AD ALTRE ANCORA - PER CHIEDERE LORO UNA COSA
Dico subito la cosa che vorrei chiedere a tutte e tutti voi: un nuovo o rinnovato impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
Sono un vecchio militante che ricorda vividamente - ero allora assai giovane - l'occupazione di Alcatraz sul finire degli anni Sessanta, il "Sentiero dei trattati infranti" culminato nell'occupazione del Bureau of Indian Affairs nel 1972, e soprattutto l'occupazione e l'assedio di Wounded Knee del 1973. E' da allora che anch'io sento il dovere di sostenere la lotta delle popolazioni native nordamericane contro il genocidio, l'etnocidio e l'ecocidio di cui sono vittima (e con loro l'umanita' intera e l'intero mondo vivente) da parte del potere razzista, stragista, rapinatore e devastatore bianco. Lungo oltre mezzo secolo non ho saputo fare granche', se non impegnarmi qui in Italia in iniziative che credo siano state almeno coerenti con quella lotta, nella convinzione che tutto si tiene, che tutto e' collegato, o per dirla con una luminosa espressione Lakota: "Mitakuye Oyasin".
Sono stato un lettore di "Akwesasne Notes", la bella, indimenticabile rivista che negli anni '70-'90 fu primario strumento d'informazione su quelle lotte, su quelle esperienze di pensiero e azione. E credo sia stato attraverso "Akwesasne Notes" che conobbi la vicenda di Leonard Peltier. Successivamente, come molte altre persone, lessi il libro di Edda Scozza, quello di Peter Matthiessen e la sua autobiografia.
Da un paio d'anni il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo si sta particolarmente impegnando nella mobilitazione nonviolenta internazionale per la liberazione di Leonard Peltier, ed io con esso.
Leonard Peltier e' detenuto innocente ormai da 47 anni, e la sua salute e' gravemente deteriorata. Dal carcere ha continuato a lottare con gli strumenti della testimonianza e della parola, della poesia e dell'arte, per i diritti dei popoli oppressi, per i diritti umani di tutti gli esseri umani, per la Madre Terra.
Come e' noto la sua liberazione e' stata chiesta nel corso degli anni da personalita' illustri come Nelson Mandela e madre Teresa di Calcutta, come papa Francesco e il Dalai Lama, da istituzioni come il Parlamento Europeo, da associazioni umanitarie come Amnesty International, da milioni (si', milioni) di persone di tutto il mondo.
E come e' altrettanto noto la sua liberazione dipende unicamente dalla concessione della grazia presidenziale da parte del Presidente degli Stati Uniti d'America, a cui quotidianamente pervengono richieste a tal fine (tra le piu' recenti: quella della Commissione giuridica ad hoc dell'Onu; quella unanime del Comitato nazionale del Partito Democratico degli Stati Uniti - il partito cui lo stesso Presidente Biden appartiene).
Dalla provincia italiana non si puo' fare molto, ma quel poco che si puo' fare va fatto.
Cosa chiedo dunque in concreto alle persone amiche - ed alle altre ancora - cui indirizzo questa lettera? Tre cose.
La prima, far conoscere la vicenda di Leonard Peltier e diffondere l'appello per la sua liberazione.
La seconda, scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America per chiedergli di concedere la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
La terza, scrivere a Leonard Peltier e al comitato internazionale che lo sostiene, l'International Leonard Peltier Defense Committee, per esprimere loro il proprio sostegno.
Tutto qui.
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Per scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America: nel sito della Casa Bianca aprire la pagina attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Per scrivere a Leonard Peltier l'indirizzo e': Leonard Peltier, #89637-132, USP Coleman I, P.O. Box 1033, Coleman, FL 33521; trattandosi di un carcere di massima sicurezza possono essere inviate solo lettere postali, e nessun oggetto.
Per scrivere all'International Leonard Peltier Defense Committee: e-mail: contact at whoisleonardpeltier.info
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Grazie per l'attenzione, e un cordiale saluto da
Giobbe Santabarbara
3. INIZIATIVE. AMNESTY INTERNATIONAL: URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
[Dal sito www.amnesty.org riprendiamo e diffondiamo questo appello del 3 aprile 2023]
3 April 2023
URGENT ACTION
URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
Native American activist Leonard Peltier has been imprisoned in the USA for over 46 years, some of which was spent in solitary confinement, serving two life sentences for murder despite concerns over the fairness of his trial. He has always maintained his innocence. Now 78 years old, he contracted COVID-19 in 2022 and suffers from several chronic health ailments, including one that is potentially fatal. Not eligible for parole again until 2024, his lawyers submitted a new petition for clemency in 2021. President Biden must grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
TAKE ACTION: WRITE AN APPEAL IN YOUR OWN WORDS OR USE THIS MODEL LETTER
President Joseph Biden
The White House
1600 Pennsylvania Ave NW
Washington, DC 20500
USA
White House Comment line: (202) 456-1111
Webform*: https://www.whitehouse.gov/contact/
* A US-based address is needed for the White House webform.
International action takers, please use AI USA's address when filling out:
Amnesty International USA
311 West 43rd St. 7th Floor,
New York, NY 10036 USA
Dear President Biden,
Leonard Peltier is a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. In 1975, during a confrontation involving AIM members, two FBI agents were killed. Leonard Peltier was convicted of their murders but has always denied killing the agents.
There are serious concerns about the fairness of proceedings leading to his trial and conviction, including for example the prosecution's withholding of evidence that might have assisted Leonard Peltier's defence.
In light of these concerns, the former US Attorney who supervised the prosecution team post-trial, James Reynolds, has since called for clemency.
Leonard Peltier is now 78 years old, has spent more than 46 years in US prisons, and has been repeatedly denied parole. There are serious concerns about Leonard Peltier's deteriorating health, including potential re-exposure to COVID-19. His lawyers submitted a new petition for clemency in 2021.
I urge you to grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
Yours sincerely,
*
ADDITIONAL INFORMATION
Leonard Peltier, an Anishinaabe-Lakota Native American, was a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. On 26 June 1975, during a confrontation involving AIM members on the Pine Ridge Indian reservation in South Dakota, FBI agents Ronald Williams and Jack Coler were shot dead. Leonard Peltier was convicted of their murders in 1977 and sentenced to two consecutive life sentences. Leonard Peltier has always denied killing the agents.
A key alleged eyewitness to the shootings was Myrtle Poor Bear, a Lakota Native woman who lived at Pine Ridge. Based on her statement that she saw Leonard Peltier kill both FBI agents, Leonard Peltier was extradited from Canada, where he had fled following the shootings. However, Myrtle Poor Bear later retracted her testimony. Although not called as a prosecution witness at trial, the trial judge refused to allow Leonard Peltier's attorneys to call Myrtle Poor Bear as a defense witness on the grounds that her testimony "could be highly prejudicial to the government". In 2000, Myrtle Poor Bear issued a public statement to say that her original testimony was a result of months of threats and harassment from FBI agents.
In 1980 documents were released to Leonard Peltier's lawyers as a result of a lawsuit under the Freedom of Information Act. The documents contained ballistics evidence which might have assisted Leonard Peltier's case, but which had been withheld by the prosecution at trial. However, in 1986, the U.S. Court of Appeal for the Eighth Circuit denied Leonard Peltier a retrial, stating that: "We recognize that there is some evidence in this record of improper conduct on the part of some FBI agents, but we are reluctant to impute even further improprieties to them."
The U.S. Parole Commission has always denied parole to Leonard Peltier on the grounds that he did not accept criminal responsibility for the murders of the two FBI agents. This is even though, after one such hearing, the Commission acknowledged that, "the prosecution has conceded the lack of any direct evidence that you personally participated in the executions of two FBI agents". Leonard Peltier would not be eligible for another parole hearing until 2024. Furthermore, James H. Reynolds, the US Attorney whose office handled the criminal case prosecution and appeal of Leonard Peltier, wrote that he supported clemency "in the best interest of Justice in considering the totality of all matters involved."
Leonard Peltier suffers from a variety of ailments, including kidney disease, Type 2 diabetes, high blood pressure, a heart condition, a degenerative joint disease, and constant shortness of breath and dizziness. A stroke in 1986 left him virtually blind in one eye. In January 2016, doctors diagnosed him with a life-threatening condition: a large and potentially fatal abdominal aortic aneurysm that could rupture at any time and would result in his death. He currently uses a walker due to limited mobility and contracted COVID-19 in 2022. He continues to be at risk of re-infection while in detention.
In 2015, several Nobel Peace Prize winners—including Archbishop Desmond Tutu—called for Leonard Peltier's release. The Standing Rock Sioux Tribe and the National Congress of American Indians have also called for his release. Leonard Peltier's attorney applied for clemency to President Biden in July 2021. President Biden committed to granting clemency on a rolling basis during his administration.
However, as of February 2023, no decision has been made on his application. He has previously sought clemency, most recently from President Obama in 2016, but his petition has been denied each time.
Due to the numerous issues at trial, the exhaustion of all his legal avenues for appeal, the amount of time he has already served, his continued maintenance of innocence along with his chronic health issues, Amnesty International supports calls for clemency for Leonard Peltier.
PREFERRED LANGUAGE TO ADDRESS TARGET: English
You can also write in your own language.
PLEASE TAKE ACTION AS SOON AS POSSIBLE UNTIL: 29 May 2023
Please check with the Amnesty office in your country if you wish to send appeals after the deadline.
NAME AND PRONOUN: Leonard Peltier - He/Him
LINK TO PREVIOUS UA: https://www.amnesty.org/en/documents/amr51/5208/2022/en/
4. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO ALL'AMBASCIATA DELL'IRAN IN ITALIA PER CHIEDERE CHE CESSINO PERSECUZIONI ED UCCISIONI
Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo di scrivere all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere al governo di quel paese che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare le lettere sono i seguenti: iranemb.rom at mfa.gov.ir, iranconsulate.rom at mfa.gov.ir, rom.media at mfa.gov.ir
*
Vi proponiamo un possibile testo essenziale:
Egregio ambasciatore,
le chiediamo di trasmettere al governo del suo Paese questa nostra richiesta che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
E' dovere di ogni persona, di ogni societa', di ogni ordinamento giuridico rispettare la vita, la dignita' e i diritti di tutte le donne e di tutti gli uomini.
Tutti gli esseri umani sono eguali in dignita' e diritti, tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita e alla liberta'.
Siamo solidali con le donne iraniane - e con gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Distinti saluti,
Nome e cognome, luogo e data, recapito di chi scrive.
*
Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo anche di far circolare questa proposta.
Adoperiamoci affinche' tante persone, tante associazioni, tante istituzioni di tutto il mondo chiedano al governo iraniano che cessino persecuzioni e uccisioni.
Sosteniamo le donne iraniane - e gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Grazie di cuore per quanto vorrete fare.
5. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL COORDINAMENTO ITALIANO DI SOSTEGNO ALLE DONNE AFGHANE
Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane (CISDA).
Per contatti: e-mail: cisdaonlus at gmail.com, sito: www.cisda.it
6. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
7. REPETITA IUVANT. TRE TESI
La guerra e il fascismo sono la stessa cosa. Solo la lotta di liberazione delle donne puo' difendere e liberare l'umanita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
8. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
9. TESTIMONI. "GARIWO": VIAN DAKHIL
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Vian Dakhil (1971) deputata yazida contro lo Stato Islamico
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Membro del Parlamento iracheno, e' l'unica yazida a ricoprire questa carica. Dakhil e' apparsa nei titoli dei giornali internazionali il 5 agosto 2014, quando in Parlamento ha rivolto un accorato appello per gli yazidi intrappolati nei Monti del Sinjar, accusando l'ISIS di genocidio contro questo popolo. Il discorso ha avuto un'ampia risonanza soprattutto nel mondo anglosassone, perche' e' stato trasmesso dalla CNN.
Il 9 agosto di quell'anno ha ammonito che senza aiuti immediati gli yazidi sarebbero morti in massa. Il 12, Vian Dakhil viene ferita in un incidente con un elicottero che portava aiuti agli yazidi del Sinjar e di Mosul assediati dallo Stato Islamico. Il pilota e' morto e lei si e' fratturata una gamba, ma per errore era stata annunciata anche la sua morte.
Nello stesso anno l'on. Dakhil ha vinto il premio Politkovskaya "per il coraggio e la determinazione a farsi portavoce della comunita' yazida e di altre donne irachene sotto lo Stato Islamico, nonostante il pericolo che affronta in qualita' di deputata yazida donna che si oppone allo Stato Islamico".
Giardini che onorano Vian Dakhil: Vian Dakhil e' onorata nel Giardino di Milano - Monte Stella.
10. TESTIMONI. "GARIWO": NAGHAM NAWZAT HASAN
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Nagham Nawzat Hasan (1978) dottoressa e attivista yazida che cura corpo e anima di un popolo.
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Nagham Nawzat Hasan di professione e' ginecologa e ostetrica [classe 1978, irachena e yazida]. Lavorava nella citta' di Baashiqa - a 14 km da Mosul - quando nel 2014 e' stata costretta alla fuga a causa dell'avanzata dell'Isis, che avrebbe poi compiuto un vero e proprio genocidio - cosi' come definito dall'ONU - ai danni della popolazione Yazida.
La sua fuga la porta nelle vicinanze di Dohuk, zona controllata dal Kurdistan iracheno, territorio di profughi e rifugiati yazidi. Pochi mesi dopo essersi messa in salvo scopre di due donne yazide arrivate a Dohuk e decide di mettersi in contatto con loro. Da quel momento - spinta dalla volonta' di offrire il suo aiuto e le sue capacita' - decide di dedicare la sua vita lavorativa ad aiutare le donne sopravvissute all'ISIS a riprendersi dalle violenze subite.
Si offre come punto di riferimento medico e psicologico andando nelle loro case - dove spesso si chiudono in loro stesse - e ottenendo una prima apertura. Ascolta le storie atroci di ragazze vendute come schiave o imprigionate per mesi o anni, vittime di tortura e stupro sistematico; la loro condizione la tocca nel profondo - come donna e come yazida. Questi racconti riportano di mariti uccisi e bambini rapiti, rieducati per diventare militanti o vittime del traffico di esseri umani. Come ha raccontato all'UNHCR, Hasan scrive sul suo quadernino i raccapriccianti racconti delle sopravvissute che aiuta, in un rituale che e' anche terapia per se' stessa. Sono piu' di 200 storie, per testimoniare cio' che e' accaduto, come dovere morale per tenere viva la memoria.
Molte donne presentano dolori continui, hanno contratto malattie veneree e versano in uno stato psicologico grave. Lo scopo di Hasan e' quello di far ritrovare la fiducia a queste donne che hanno perso tutto: case, mariti, figli, dignita'. Porta avanti il suo lavoro con passione e umanita', non solo sul campo ma anche a livello internazionale, chiedendo che ci sia maggiore attenzione anche dopo la fine delle violenze, momento in cui si gioca una partita importante per ridare alle donne yazide qualcosa in cui credere e un posto dove stare, premesse fondamentali per ricostruirsi una vita.
Dopo aver creato la sua ONG, "Hope Makers for Women", a fine 2014 ha ricevuto il premio Silver Rose - da parte della European Solidar organisation - per il suo lavoro nel campo dei diritti umani, e nel marzo 2016 e' stata insignita del titolo International Women of Courage Award da parte del Segretario di Stato americano John Kerry.
Figura professionalmente simile a quella del medico congolese Denis Mukwege, gia' Premio Nobel per la Pace e Giusto onorato al Giardino di Milano, ancora oggi Hasan lavora come operatrice umanitaria offrendo le sue capacita' mediche e il suo supporto psicologico nel centro di Dohuk, dove ha curato piu' di mille donne, ricevendo anche il plauso del Premio Nobel per la Pace - e sopravvissuta yazida - Nadia Murad.
Giardini che onorano Nagham Nawzat Hasan: Nagham Nawzat Hasan e' onorata nei Giardini di Duino - Collegio del Mondo Unito dell'Adriatico e L'Aquila - Convitto Nazionale.
11. TESTIMONI. "GARIWO": OMAR ABDEL JABAR
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Omar Abdel Jabar, l'uomo che ha salvato Nadia Murad.
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Nell'estate del 2014, quando Nadia Murad riesce a scappare dalla sua prigione e bussa alla porta di chi la salvera', Mosul e' nelle mani dell'ISIS. Le famiglie che sostengono l'organizzazione jihadista sono molte, anche a seguito del crollo di popolarita' dell'esercito e del governo di Baghdad. Nascondere una ragazza fuggita ai miliziani - una sabiyya - e' un rischio enorme, ma questo non ferma Jabar, che decide, senza pensarci un attimo, di far entrare Nadia in casa sua e di darle rifugio. "Per favore aiutami", dice la ragazza, "mi hanno violentata". Questa scelta, fatta con istintiva umanita', cambiera' per sempre la vita di Jabar.
Quando la diciannovenne gli racconta che cosa le e' successo, l'uomo non prende assolutamente in considerazione quello che forse molti altri abitanti di Mosul avrebbero fatto: riconsegnare la ragazza e prendere i 5.000 dollari di ricompensa offerti dallo Stato Islamico per questi casi. Lui, un semplice padre di famiglia con un lavoro modesto, fa "solo quello che era giusto fare", come piu' tardi dichiarera' al Time. Dopo averla nascosta, arriva il passo piu' rischioso da compiere: aiutare Nadia a fuggire dalla citta'. Jabar contatta il fratello della Murad, che si trova in un campo profughi a 80 miglia di distanza, e insieme progettano il piano per portarla di nascosto fuori da Mosul e trasferirla in un luogo piu' sicuro. Il cugino di Jabar accetta di fornire a Nadia dei documenti falsi, con un nome arabo sunnita. Da quel momento, la giovane yazida sara' la "moglie di Jabar" che si sposta per andare in visita nella sua citta' natale, Kirkuk, ancora guidata dalle forze curde di stampo occidentale.
Nadia ha una notte sola per imparare tutti i dettagli della sua nuova identita', comprese le fattezze di una citta' che non ha mai visitato. Il viaggio in taxi verso i territori controllati dalla forze curde e' tutt'altro che semplice. Le domande dei combattenti dell'ISIS sono pressanti a ogni checkpoint, ma, per fortuna, le loro regole ultraconservatrici non permettono di chiedere a una donna di mostrare il suo volto, cosa che avrebbe immediatamente fatto scoprire l'inganno. "Non avevo idea di come interpretare la parlata di una donna originaria del Kirkuk", scrive Nadia nel suo libro, descrivendo nel dettaglio quei momenti di terrore vissuti insieme al finto marito che le avrebbe salvato la vita, tremando a ogni posto di blocco tappezzato dalle sue foto segnaletiche. Jabar e Nadia superano molti controlli dell'ISIS prima di arrivare a Erbil, capitale del territorio semi-autonomo dei curdi: li' si vedono per l'ultima volta.
L'indomani, gli uomini dello Stato Islamico bussano alla porta della casa di Jabar: lo hanno scoperto e, per forza di cose, deve diventare lui stesso un fuggitivo. Scappa saltando dal tetto di casa sua a quello dei vicini, sparendo in un vicolo. La sua famiglia riesce a convincere l'ISIS del fatto che abbia agito da solo e promette di rinnegarlo. Nel frattempo, Jabar riesce a farsi prestare dei soldi da uno zio e a contattare un amico che dovrebbe farlo allontanare dalla citta' su un camion cisterna di gas insieme al figlio piccolo e alla moglie incinta, con destinazione Europa. Il viaggio risulta pero' troppo pesante per un bambino e una donna in quella condizione: Randa e il figlio decidono quindi di tornare a Mosul. Jabar, diviso da tutti i suoi cari e da un figlio che non vedra' mai nascere, passa alcune settimane in Turchia, riuscendo poi a entrare in Bulgaria, a Sofia, ma qui viene arrestato insieme ad altri due richiedenti asilo. Mentre lui si trova in cella, la Murad si ricongiunge con la sua famiglia e comincia a raccontare al mondo la sua storia.
Solo nel marzo 2015, Jabar riesce ad arrivare in Germania, ma anche qui non e' del tutto al sicuro. Dopo aver gia' dovuto cambiare numero di telefono e tutti gli account social per le continue minacce ricevute da parte di sostenitori dell'ISIS, gli arriva persino un messaggio anonimo che dice "sappiamo che ti nascondi in Germania, stiamo venendo a prenderti". Jabar si trova in una situazione apparentemente senza via d'uscita: non puo' tornare a casa perche', seppure Mosul non sia piu' nelle mani dell'ISIS, non e' ancora sicura, e non ha nemmeno la certezza di poter restare in Germania. L'unica cosa che chiede e' di poter portare la sua famiglia nella piccola cittadina tedesca dove per ora ha trovato rifugio, ma questa possibilita' sembra essere ancora molto lontana. Eppure, per quanto riguarda il suo gesto, non ha rimpianti: "chiunque lo avrebbe fatto", dice.
12. TESTIMONI. SIMONE ZOPPELLARO: AMEENA SAEED HASAN
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Ameena Saeed Hasan, yazida irachena, insieme al marito ha salvato, creando una rete imponente di soccorso, molte centinaia di ragazze e donne yazide dalla schiavitu' dell'ISIS.
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Minoranza religiosa di lingua e cultura curda, gli yazidi – una comunita' di alcune centinaia di migliaia di persone in tutto – a partire dall'agosto 2014 sono vittima nel Nord dell'Iraq di un genocidio da parte degli uomini dello Stato Islamico, il primo riconosciuto dall'ONU e dalla comunita' internazionale nel nuovo millennio. Massacri sistematici degli uomini, che ancora devono in molta parte essere identificati nelle fosse comuni che continuano a essere rinvenute; distruzione di luoghi di culto, delle loro citta' e villaggi; messa in schiavitu' di bambini - convertiti e addestrati come soldati o kamikaze - e di ragazze e bambine, abusate sistematicamente: questi solo alcuni degli aspetti piu' terribili di questo genocidio, compiuto in nome di una versione aberrante delliislam. Un crimine messo in opera con premeditazione e sistematica ferocia, e che tenta di cancellare per sempre ogni traccia di questa minoranza, della sua cultura e religione millenaria, ritenuta - a causa della sua natura sincretistica, altra dall'islam - non ammissibile per i rigidi dettami religiosi professati dagli estremisti. Uno sterminio, quello degli yazidi, che, come gia' avvenuto in passato per altri genocidi, puo' essere compiuto grazie alla collaborazione o all'indifferenza di parte della popolazione, ma anche in ragione del fatto che quello che ama definirsi il mondo libero, ancora una volta, decide di voltarsi dall'altra parte.
In una delle citta' attaccate dai miliziani di Daesh viveva Ameena Saeed Hasan, parlamentare in Iraq e attivista. A differenza di tanti altri, era riuscita a fuggire insieme alla figlia e al marito, Khaleel al Dakhi, un giovane avvocato yazida, prima dell'arrivo dell'ISIS. "Non posso immaginare di non vedere mia figlia due o tre volte al giorno, parlarle, abbracciarla. Ora, ci sono centinaia di bambini come lei che sono stati rapiti", racconta alla stampa il coraggioso al Dakhi. Che decide subito, insieme con la moglie, di non poter stare a guardare.
Quella che inizia come una missione singola per salvare Maha, la figlia 17enne di una coppia che lei e al Dakhi avevano incontrato in un campo profughi, si sviluppa presto - nell'arco di appena due anni - in un'operazione clandestina a tempo pieno, che finisce per allargarsi sempre di piu', fino a includere oltre cento collaboratori. Centinaia le donne, le ragazze e i bambini che Hasan e al Dakhi riescono a salvare grazie a una rete clandestina da loro creata e diretta. Un lavoro pericolosissimo il loro, costato piu' volte torture ed esecuzioni capitali ai loro collaboratori scovati durante le loro pericolosissime missioni: identificare, localizzare e infine liberare quante piu' persone possibile dai territori militarizzati del sedicente Stato Islamico.
Di grandissimo valore, sia documentario e storico che per la ricerca delle donne e i bambini rapiti, l'archivio realizzato dalla Hasan e da al Dakhi, che include informazioni e dati su migliaia di loro.
Il loro lavoro e' valso loro un premio dal gruppo di attivisti statunitensi Human Rights First, oltre alla candidatura di al Dakhi all'Aurora Prize del 2021, gia' vinto in precedenza dall'attivista yazida Mirza Dinnayi. Ameena Saeed Hasan ha coraggiosamente denunciato le violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate contro il popolo yazida. La Hasan si e' anche recata negli Stati Uniti nella primavera del 2015 per partecipare al vertice della Casa Bianca per contrastare l'estremismo violento. Sempre nello stesso anno, fra i vari premi ricevuti, e' stata nominata come Hero Acting to End Modern Slavery dal Dipartimento di Stato americano.
13. TESTIMONI. SIMONE ZOPPELLARO: KHALEEL AL DAKHI
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Khaleel al Dakhi, yazida iracheno, insieme alla moglie ha salvato, creando una rete imponente di soccorso, molte centinaia di ragazze e donne yazide dalla schiavitu' dell'ISIS.
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Minoranza religiosa di lingua e cultura curda, gli yazidi - una comunita' di alcune centinaia di migliaia di persone in tutto - a partire dall'agosto 2014 sono vittima nel Nord dell'Iraq di un genocidio da parte degli uomini dello Stato Islamico, il primo riconosciuto dall'ONU e dalla comunita' internazionale nel nuovo millennio. Massacri sistematici degli uomini, che ancora devono in molta parte essere identificati nelle fosse comuni che continuano a essere rinvenute; distruzione di luoghi di culto, delle loro citta' e villaggi; messa in schiavitu' di bambini - convertiti e addestrati come soldati o kamikaze - e di ragazze e bambine, abusate sistematicamente: questi solo alcuni degli aspetti piu' terribili di questo genocidio, compiuto in nome di una versione aberrante dell'islam. Un crimine messo in opera con premeditazione e sistematica ferocia, e che tenta di cancellare per sempre ogni traccia di questa minoranza, della sua cultura e religione millenaria, ritenuta - a causa della sua natura sincretistica, altra dall'islam - non ammissibile per i rigidi dettami religiosi professati dagli estremisti. Uno sterminio, quello degli yazidi, che, come gia' avvenuto in passato per altri genocidi, puo' essere compiuto grazie alla collaborazione o all'indifferenza di parte della popolazione, ma anche in ragione del fatto che quello che ama definirsi il mondo libero, ancora una volta, decide di voltarsi dall'altra parte.
In una delle citta' attaccate dai miliziani di Daesh viveva Khalil al Dakhi, un giovane avvocato yazida. A differenza di tanti altri, era riuscito a fuggire insieme alla figlia e alla moglie, Ameena Saeed Hasan, parlamentare in Iraq e attivista, prima dell'arrivo dell'ISIS. "Non posso immaginare di non vedere mia figlia due o tre volte al giorno, parlarle, abbracciarla. Ora, ci sono centinaia di bambini come lei che sono stati rapiti", racconta alla stampa il coraggioso al Dakhi. Che decide subito, insieme con la moglie, di non poter stare a guardare.
Quella che inizia come una missione singola per salvare Maha, la figlia 17enne di una coppia che lui e la Hasan avevano incontrato in un campo profughi, si sviluppa presto - nell'arco di appena due anni - in un'operazione clandestina a tempo pieno, che finisce per allargarsi sempre di piu', fino a includere oltre cento collaboratori. Centinaia le donne, le ragazze e i bambini che al Dakhi riesce a salvare grazie a una rete clandestina da lui creata e diretta con l'aiuto della moglie. Un lavoro pericolosissimo il loro, costato piu' volte torture ed esecuzioni capitali ai loro collaboratori scovati durante le loro pericolosissime missioni: identificare, localizzare e infine liberare quante piu' persone possibile dai territori militarizzati del sedicente Stato Islamico.
A raccontare la storia di al Dakhi, anche un documentario prodotto e diretto da Edward Watts, "Escaping ISIS", che e' una delle piu' potenti testimonianze dell'orrore cui sono state e sono ancora sottoposte molte migliaia di donne e bambini. Stupri commessi nei confronti di bambine di appena nove o dieci anni, torture e abusi continui, che finiscono per lasciare - come testimonia il film - persino i sopravvissuti in condizioni terribili, fra suicidi e continui crolli psicofisici.
Di grandissimo valore, sia documentario e storico che per la ricerca delle donne e i bambini rapiti, l'archivio realizzato dalla Hasan e da al Dakhi, che include informazioni e dati su migliaia di loro. "Certamente la mia vita e' in pericolo, ma devo salvare le nostre ragazze e le nostre donne", ha commentato anni fa al Dakhi. "Non ho mai paura, perche' non sono migliore di tutta la mia gente che e' stata uccisa dallo Stato Islamico. Ma cerco di proteggermi perche' c'e' molta della mia gente nelle prigioni dell'ISIS che aspetta che io la salvi. Quando salvo una persona, sento di aver ottenuto una vittoria contro i terroristi".
Il loro lavoro e' valso loro un premio dal gruppo di attivisti statunitensi Human Rights First, oltre alla candidatura di al Dakhi all'Aurora Prize del 2021, gia' vinto in precedenza dall'attivista yazida Mirza Dinnayi. Notevolissima anche l'attivita' della moglie, che ha coraggiosamente denunciato le violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate contro il popolo yazida. La Hasan si e' anche recata negli Stati Uniti nella primavera del 2015 per partecipare al vertice della Casa Bianca per contrastare l'estremismo violento. Sempre nello stesso anno, fra i vari premi ricevuti, e' stata nominata come Hero Acting to End Modern Slavery dal Dipartimento di Stato americano.
14. TESTIMONI. SIMONE ZOPPELLARO: MIRZA DINNAYI
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Mirza Dinnayi (1973) fondatore di un'organizzazione che trasporta perseguitati yazidi dall'Iraq alla Germania dove ricevono cure mediche, ha aiutato diverse centinaia di persone a fuggire dai territori controllati dall'Isis.
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Siamo nell'agosto del 2014, all'alba del primo genocidio del nuovo millennio, quello compiuto contro la minoranza degli yazidi. I miliziani dello Stato Islamico prendono d'assedio la regione del Sinjar, in Iraq, facendo in pochi giorni strage di migliaia di civili, e rapendo altrettante donne e bambini. Mirza Dinnayi, attivista nativo della regione e residente da molti anni in Germania, conoscendo bene il territorio, guida di persona il pilota dell'elicottero impegnato a salvare vite umane da un assedio disumano, dove si muore non solo per le armi, anche per la fame e la sete.
Poco dopo il decollo, l'elicottero di Dinnayi precipita. L'attivista yazida sopravvive per miracolo, con una gamba e costole rotte. "E' stato mentre giacevo tra i rottami, circondato dalla carneficina dell'occupazione dell'ISIS, che mi sono reso conto piu' che mai della posta in gioco, e sono stato spronato ancora di piu' a impegnare la mia vita per salvare i piu' bisognosi della mia comunita'", scrivera' Dinnayi. Trasportato d'urgenza in Germania, grazie a un sistema di soccorso che lui stesso aveva creato per sopravvissuti e vittime, tornera' a breve nel Kurdistan iracheno, su di una sedia a rotelle, per proseguire subito il suo lavoro.
Piu' di mille donne e bambini yazidi, grazie a Dinnayi, vengono evacuati e trasferiti in Germania, dove si presta loro anche assistenza psicologica. Tra loro, anche Lamiya Haji Bashar, futura attivista dei diritti umani e vincitrice del premio Sacharov. "E' il miglior lavoro che si possa fare", raccontera' in un'intervista Dinnayi, nonostante abbia rischiato tante volte di perdere la vita per salvare delle vittime, e nonostante "la loro sofferenza ti restera' impressa per sempre in una parte dell'anima".
E' anche grazie all'impegno di Dinnayi che, a genocidio ancora in corso, Winfried Kretschmann, governatore del Baden-Wurttemberg, decide di aprire le porte alle ragazze yazide che erano state abusate e ridotte in schiavitu' dall'ISIS. Lo stato del sud ovest della Germania, caso unico al mondo, investe 95 milioni di euro, quasi l'1% del suo bilancio annuale, per coprire i costi di selezione, trattamento e trasporto di 1.000 sopravvissute yazide e dei loro figli, e per fornire loro due anni di assistenza e terapia dopo l'arrivo. Fra loro, anche il futuro premio Nobel Nadia Murad che, quando la intervisto nei pressi di Stoccarda nel 2015, mi conferma quanto Kretschmann avesse preso a cuore le sofferenze degli yazidi.
Ed e' sempre Dinnayi, con l'ausilio dello psicologo curdo-tedesco Jan Ilhan Kizilhan, che aveva avuto esperienze di lavoro con vittime di stupro provenienti dal Ruanda e dalla Bosnia, ad effettuare la selezione delle ragazze yazide da portare in Germania per essere protette e assistite. Una responsabilita' enorme, per lui: quando si sparge la voce, in una comunita' sull'orlo del collasso, che Dinnayi ha il potere di offrire una nuova vita in Germania, lontano da persecuzione e violenze, piovono su di lui richieste e profferte di ogni tipo, in molti casi giustificabili, in altri no. Anche il programma di recupero psicologico tedesco non e' affatto semplice e trova, come mi raccontano alcuni assistenti sociali che vi hanno lavorato, diverse resistenze da parte delle vittime; cosa inevitabile, se pensiamo alla difficolta' che ebbero - per lungo tempo - molti sopravvissuti alla Shoah e al genocidio armeno nell'affrontare e raccontare memorie di violenza al limite dell'ineffabile.
Un impegno straordinario, quello di Dinnayi, che ha inizio ben prima del genocidio, quando ancora una volta la piccola comunita' yazida - tante volte perseguitata nei secoli - finisce vittima del fondamentalismo islamico. E' il 14 agosto del 2007, quando quattro veicoli carichi di due tonnellate di esplosivo colpiscono i villaggi yazidi di Qahtaniya e Jazeera. Uno di questi e' un camion cisterna pieno di carburante, il che garantisce la massima devastazione al momento dell'esplosione. Impressionante il numero delle vittime, che ne fa uno degli attentati piu' sanguinosi della storia del Medio Oriente. Si parla di molte centinaia di morti, di piu' di mille secondo le stime dell'ONG Yazda, e di oltre 1.500 feriti. Ridotti a un cumulo di macerie i villaggi coinvolti nell'attentato, mentre il terrore si impadronisce degli yazidi, che capiscono - squarciato ogni velo di dubbio - di essere al centro di una campagna d'odio tale da mettere a rischio la sopravvivenza stessa della loro comunita'.
L'attacco, eseguito dai miliziani di al Qaeda, spinge Mirza Dinnayi a mettersi in azione, partendo sempre dalla Germania: inizia una raccolta di fondi per le vittime e fa pubblicare su un quotidiano tedesco una richiesta di aiuto. Due ospedali tedeschi aderiscono, offrendo assistenza medica gratuita ai bambini feriti. Il problema principale resta il loro trasferimento in Germania, complicato dal fatto che molti di loro non hanno documenti. Questo lo spinge a fondare l'organizzazione Air Bridge Iraq (in tedesco: Luftbrucke Irak), il cui nome si ispira al ponte aereo messo in atto dagli americani nel 1948 per rompere il blocco imposto dai sovietici a Berlino Ovest. Prima ancora che si arrivi al genocidio del 2014, Luftbrucke Irak aiuta 150 bambini e donne yazidi a ricevere asilo e assistenza medica in Germania.
Tanti i riconoscimenti arrivati a Mirza Dinnayi per il suo impegno: dalla nomina ad advisor per le minoranze religiose della presidenza irachena, a premi come la medaglia d'oro Staufer ottenuta dal governatore Baden-Wurttemberg nel 2016, fino all'Aurora Award for Awakening Humanity, ricevuto nel 2019. Un impegno, il suo, di cui hanno fatto tesoro non solo l'Iraq e la Germania, dove la sua esperienza ha aiutato a far nascere e crescere altre realta' e progetti, ma anche l'Armenia, reduce dalla catastrofe umanitaria dell'ultima guerra in Karabakh. Qui, proprio negli ultimi mesi, Dinnayi ha portato la sua esperienza ultradecennale di lavoro con vittime di traumi e violenze.
Un legame di solidarieta' antico, quello fra armeni e yazidi: basti pensare alla figura di Hamu Shiru, leader degli yazidi del Sinjar onorato nel Giardino dei Giusti di Milano, che salvo' la vita di moltissimi armeni durante il genocidio. E, non a caso, l'Armenia e' stata uno dei primi paesi al mondo a riconoscere, con una risoluzione parlamentare, il genocidio degli yazidi. Come ricorda Dinnayi in un'intervista, i sopravvissuti a tutti i genocidi hanno qualcosa di importante in comune: "Chiamati a sopravvivere dal destino, sentono il dovere di combattere per il resto della nostra comunita' umana".
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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 110 del 20 aprile 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 110 del 20 aprile 2023
In questo numero:
1. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa?
2. Giobbe Santabarbara: Breve una lettera alle persone amiche - e ad altre ancora - per chiedere loro una cosa
3. Amnesty International: Urge clemency for native american activist
4. Scriviamo all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere che cessino persecuzioni ed uccisioni
5. Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane
6. Alcuni riferimenti utili
7. Tre tesi
8. Ripetiamo ancora una volta...
9. "Gariwo": Vian Dakhil
10. "Gariwo": Nagham Nawzat Hasan
11. "Gariwo": Omar Abdel Jabar
12. Simone Zoppellaro: Ameena Saeed Hasan
13. Simone Zoppellaro: Khaleel al Dakhi
14. Simone Zoppellaro: Mirza Dinnayi
1. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA?
Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
*
Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
*
E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
2. REPETITA IUVANT. GIOBBE SANTABARBARA: BREVE UNA LETTERA ALLE PERSONE AMICHE - E AD ALTRE ANCORA - PER CHIEDERE LORO UNA COSA
Dico subito la cosa che vorrei chiedere a tutte e tutti voi: un nuovo o rinnovato impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
Sono un vecchio militante che ricorda vividamente - ero allora assai giovane - l'occupazione di Alcatraz sul finire degli anni Sessanta, il "Sentiero dei trattati infranti" culminato nell'occupazione del Bureau of Indian Affairs nel 1972, e soprattutto l'occupazione e l'assedio di Wounded Knee del 1973. E' da allora che anch'io sento il dovere di sostenere la lotta delle popolazioni native nordamericane contro il genocidio, l'etnocidio e l'ecocidio di cui sono vittima (e con loro l'umanita' intera e l'intero mondo vivente) da parte del potere razzista, stragista, rapinatore e devastatore bianco. Lungo oltre mezzo secolo non ho saputo fare granche', se non impegnarmi qui in Italia in iniziative che credo siano state almeno coerenti con quella lotta, nella convinzione che tutto si tiene, che tutto e' collegato, o per dirla con una luminosa espressione Lakota: "Mitakuye Oyasin".
Sono stato un lettore di "Akwesasne Notes", la bella, indimenticabile rivista che negli anni '70-'90 fu primario strumento d'informazione su quelle lotte, su quelle esperienze di pensiero e azione. E credo sia stato attraverso "Akwesasne Notes" che conobbi la vicenda di Leonard Peltier. Successivamente, come molte altre persone, lessi il libro di Edda Scozza, quello di Peter Matthiessen e la sua autobiografia.
Da un paio d'anni il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo si sta particolarmente impegnando nella mobilitazione nonviolenta internazionale per la liberazione di Leonard Peltier, ed io con esso.
Leonard Peltier e' detenuto innocente ormai da 47 anni, e la sua salute e' gravemente deteriorata. Dal carcere ha continuato a lottare con gli strumenti della testimonianza e della parola, della poesia e dell'arte, per i diritti dei popoli oppressi, per i diritti umani di tutti gli esseri umani, per la Madre Terra.
Come e' noto la sua liberazione e' stata chiesta nel corso degli anni da personalita' illustri come Nelson Mandela e madre Teresa di Calcutta, come papa Francesco e il Dalai Lama, da istituzioni come il Parlamento Europeo, da associazioni umanitarie come Amnesty International, da milioni (si', milioni) di persone di tutto il mondo.
E come e' altrettanto noto la sua liberazione dipende unicamente dalla concessione della grazia presidenziale da parte del Presidente degli Stati Uniti d'America, a cui quotidianamente pervengono richieste a tal fine (tra le piu' recenti: quella della Commissione giuridica ad hoc dell'Onu; quella unanime del Comitato nazionale del Partito Democratico degli Stati Uniti - il partito cui lo stesso Presidente Biden appartiene).
Dalla provincia italiana non si puo' fare molto, ma quel poco che si puo' fare va fatto.
Cosa chiedo dunque in concreto alle persone amiche - ed alle altre ancora - cui indirizzo questa lettera? Tre cose.
La prima, far conoscere la vicenda di Leonard Peltier e diffondere l'appello per la sua liberazione.
La seconda, scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America per chiedergli di concedere la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
La terza, scrivere a Leonard Peltier e al comitato internazionale che lo sostiene, l'International Leonard Peltier Defense Committee, per esprimere loro il proprio sostegno.
Tutto qui.
*
Per scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America: nel sito della Casa Bianca aprire la pagina attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Per scrivere a Leonard Peltier l'indirizzo e': Leonard Peltier, #89637-132, USP Coleman I, P.O. Box 1033, Coleman, FL 33521; trattandosi di un carcere di massima sicurezza possono essere inviate solo lettere postali, e nessun oggetto.
Per scrivere all'International Leonard Peltier Defense Committee: e-mail: contact at whoisleonardpeltier.info
*
Grazie per l'attenzione, e un cordiale saluto da
Giobbe Santabarbara
3. INIZIATIVE. AMNESTY INTERNATIONAL: URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
[Dal sito www.amnesty.org riprendiamo e diffondiamo questo appello del 3 aprile 2023]
3 April 2023
URGENT ACTION
URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
Native American activist Leonard Peltier has been imprisoned in the USA for over 46 years, some of which was spent in solitary confinement, serving two life sentences for murder despite concerns over the fairness of his trial. He has always maintained his innocence. Now 78 years old, he contracted COVID-19 in 2022 and suffers from several chronic health ailments, including one that is potentially fatal. Not eligible for parole again until 2024, his lawyers submitted a new petition for clemency in 2021. President Biden must grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
TAKE ACTION: WRITE AN APPEAL IN YOUR OWN WORDS OR USE THIS MODEL LETTER
President Joseph Biden
The White House
1600 Pennsylvania Ave NW
Washington, DC 20500
USA
White House Comment line: (202) 456-1111
Webform*: https://www.whitehouse.gov/contact/
* A US-based address is needed for the White House webform.
International action takers, please use AI USA's address when filling out:
Amnesty International USA
311 West 43rd St. 7th Floor,
New York, NY 10036 USA
Dear President Biden,
Leonard Peltier is a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. In 1975, during a confrontation involving AIM members, two FBI agents were killed. Leonard Peltier was convicted of their murders but has always denied killing the agents.
There are serious concerns about the fairness of proceedings leading to his trial and conviction, including for example the prosecution's withholding of evidence that might have assisted Leonard Peltier's defence.
In light of these concerns, the former US Attorney who supervised the prosecution team post-trial, James Reynolds, has since called for clemency.
Leonard Peltier is now 78 years old, has spent more than 46 years in US prisons, and has been repeatedly denied parole. There are serious concerns about Leonard Peltier's deteriorating health, including potential re-exposure to COVID-19. His lawyers submitted a new petition for clemency in 2021.
I urge you to grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
Yours sincerely,
*
ADDITIONAL INFORMATION
Leonard Peltier, an Anishinaabe-Lakota Native American, was a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. On 26 June 1975, during a confrontation involving AIM members on the Pine Ridge Indian reservation in South Dakota, FBI agents Ronald Williams and Jack Coler were shot dead. Leonard Peltier was convicted of their murders in 1977 and sentenced to two consecutive life sentences. Leonard Peltier has always denied killing the agents.
A key alleged eyewitness to the shootings was Myrtle Poor Bear, a Lakota Native woman who lived at Pine Ridge. Based on her statement that she saw Leonard Peltier kill both FBI agents, Leonard Peltier was extradited from Canada, where he had fled following the shootings. However, Myrtle Poor Bear later retracted her testimony. Although not called as a prosecution witness at trial, the trial judge refused to allow Leonard Peltier's attorneys to call Myrtle Poor Bear as a defense witness on the grounds that her testimony "could be highly prejudicial to the government". In 2000, Myrtle Poor Bear issued a public statement to say that her original testimony was a result of months of threats and harassment from FBI agents.
In 1980 documents were released to Leonard Peltier's lawyers as a result of a lawsuit under the Freedom of Information Act. The documents contained ballistics evidence which might have assisted Leonard Peltier's case, but which had been withheld by the prosecution at trial. However, in 1986, the U.S. Court of Appeal for the Eighth Circuit denied Leonard Peltier a retrial, stating that: "We recognize that there is some evidence in this record of improper conduct on the part of some FBI agents, but we are reluctant to impute even further improprieties to them."
The U.S. Parole Commission has always denied parole to Leonard Peltier on the grounds that he did not accept criminal responsibility for the murders of the two FBI agents. This is even though, after one such hearing, the Commission acknowledged that, "the prosecution has conceded the lack of any direct evidence that you personally participated in the executions of two FBI agents". Leonard Peltier would not be eligible for another parole hearing until 2024. Furthermore, James H. Reynolds, the US Attorney whose office handled the criminal case prosecution and appeal of Leonard Peltier, wrote that he supported clemency "in the best interest of Justice in considering the totality of all matters involved."
Leonard Peltier suffers from a variety of ailments, including kidney disease, Type 2 diabetes, high blood pressure, a heart condition, a degenerative joint disease, and constant shortness of breath and dizziness. A stroke in 1986 left him virtually blind in one eye. In January 2016, doctors diagnosed him with a life-threatening condition: a large and potentially fatal abdominal aortic aneurysm that could rupture at any time and would result in his death. He currently uses a walker due to limited mobility and contracted COVID-19 in 2022. He continues to be at risk of re-infection while in detention.
In 2015, several Nobel Peace Prize winners—including Archbishop Desmond Tutu—called for Leonard Peltier's release. The Standing Rock Sioux Tribe and the National Congress of American Indians have also called for his release. Leonard Peltier's attorney applied for clemency to President Biden in July 2021. President Biden committed to granting clemency on a rolling basis during his administration.
However, as of February 2023, no decision has been made on his application. He has previously sought clemency, most recently from President Obama in 2016, but his petition has been denied each time.
Due to the numerous issues at trial, the exhaustion of all his legal avenues for appeal, the amount of time he has already served, his continued maintenance of innocence along with his chronic health issues, Amnesty International supports calls for clemency for Leonard Peltier.
PREFERRED LANGUAGE TO ADDRESS TARGET: English
You can also write in your own language.
PLEASE TAKE ACTION AS SOON AS POSSIBLE UNTIL: 29 May 2023
Please check with the Amnesty office in your country if you wish to send appeals after the deadline.
NAME AND PRONOUN: Leonard Peltier - He/Him
LINK TO PREVIOUS UA: https://www.amnesty.org/en/documents/amr51/5208/2022/en/
4. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO ALL'AMBASCIATA DELL'IRAN IN ITALIA PER CHIEDERE CHE CESSINO PERSECUZIONI ED UCCISIONI
Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo di scrivere all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere al governo di quel paese che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare le lettere sono i seguenti: iranemb.rom at mfa.gov.ir, iranconsulate.rom at mfa.gov.ir, rom.media at mfa.gov.ir
*
Vi proponiamo un possibile testo essenziale:
Egregio ambasciatore,
le chiediamo di trasmettere al governo del suo Paese questa nostra richiesta che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
E' dovere di ogni persona, di ogni societa', di ogni ordinamento giuridico rispettare la vita, la dignita' e i diritti di tutte le donne e di tutti gli uomini.
Tutti gli esseri umani sono eguali in dignita' e diritti, tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita e alla liberta'.
Siamo solidali con le donne iraniane - e con gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Distinti saluti,
Nome e cognome, luogo e data, recapito di chi scrive.
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Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo anche di far circolare questa proposta.
Adoperiamoci affinche' tante persone, tante associazioni, tante istituzioni di tutto il mondo chiedano al governo iraniano che cessino persecuzioni e uccisioni.
Sosteniamo le donne iraniane - e gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Grazie di cuore per quanto vorrete fare.
5. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL COORDINAMENTO ITALIANO DI SOSTEGNO ALLE DONNE AFGHANE
Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane (CISDA).
Per contatti: e-mail: cisdaonlus at gmail.com, sito: www.cisda.it
6. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
7. REPETITA IUVANT. TRE TESI
La guerra e il fascismo sono la stessa cosa. Solo la lotta di liberazione delle donne puo' difendere e liberare l'umanita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
8. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
9. TESTIMONI. "GARIWO": VIAN DAKHIL
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Vian Dakhil (1971) deputata yazida contro lo Stato Islamico
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Membro del Parlamento iracheno, e' l'unica yazida a ricoprire questa carica. Dakhil e' apparsa nei titoli dei giornali internazionali il 5 agosto 2014, quando in Parlamento ha rivolto un accorato appello per gli yazidi intrappolati nei Monti del Sinjar, accusando l'ISIS di genocidio contro questo popolo. Il discorso ha avuto un'ampia risonanza soprattutto nel mondo anglosassone, perche' e' stato trasmesso dalla CNN.
Il 9 agosto di quell'anno ha ammonito che senza aiuti immediati gli yazidi sarebbero morti in massa. Il 12, Vian Dakhil viene ferita in un incidente con un elicottero che portava aiuti agli yazidi del Sinjar e di Mosul assediati dallo Stato Islamico. Il pilota e' morto e lei si e' fratturata una gamba, ma per errore era stata annunciata anche la sua morte.
Nello stesso anno l'on. Dakhil ha vinto il premio Politkovskaya "per il coraggio e la determinazione a farsi portavoce della comunita' yazida e di altre donne irachene sotto lo Stato Islamico, nonostante il pericolo che affronta in qualita' di deputata yazida donna che si oppone allo Stato Islamico".
Giardini che onorano Vian Dakhil: Vian Dakhil e' onorata nel Giardino di Milano - Monte Stella.
10. TESTIMONI. "GARIWO": NAGHAM NAWZAT HASAN
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Nagham Nawzat Hasan (1978) dottoressa e attivista yazida che cura corpo e anima di un popolo.
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Nagham Nawzat Hasan di professione e' ginecologa e ostetrica [classe 1978, irachena e yazida]. Lavorava nella citta' di Baashiqa - a 14 km da Mosul - quando nel 2014 e' stata costretta alla fuga a causa dell'avanzata dell'Isis, che avrebbe poi compiuto un vero e proprio genocidio - cosi' come definito dall'ONU - ai danni della popolazione Yazida.
La sua fuga la porta nelle vicinanze di Dohuk, zona controllata dal Kurdistan iracheno, territorio di profughi e rifugiati yazidi. Pochi mesi dopo essersi messa in salvo scopre di due donne yazide arrivate a Dohuk e decide di mettersi in contatto con loro. Da quel momento - spinta dalla volonta' di offrire il suo aiuto e le sue capacita' - decide di dedicare la sua vita lavorativa ad aiutare le donne sopravvissute all'ISIS a riprendersi dalle violenze subite.
Si offre come punto di riferimento medico e psicologico andando nelle loro case - dove spesso si chiudono in loro stesse - e ottenendo una prima apertura. Ascolta le storie atroci di ragazze vendute come schiave o imprigionate per mesi o anni, vittime di tortura e stupro sistematico; la loro condizione la tocca nel profondo - come donna e come yazida. Questi racconti riportano di mariti uccisi e bambini rapiti, rieducati per diventare militanti o vittime del traffico di esseri umani. Come ha raccontato all'UNHCR, Hasan scrive sul suo quadernino i raccapriccianti racconti delle sopravvissute che aiuta, in un rituale che e' anche terapia per se' stessa. Sono piu' di 200 storie, per testimoniare cio' che e' accaduto, come dovere morale per tenere viva la memoria.
Molte donne presentano dolori continui, hanno contratto malattie veneree e versano in uno stato psicologico grave. Lo scopo di Hasan e' quello di far ritrovare la fiducia a queste donne che hanno perso tutto: case, mariti, figli, dignita'. Porta avanti il suo lavoro con passione e umanita', non solo sul campo ma anche a livello internazionale, chiedendo che ci sia maggiore attenzione anche dopo la fine delle violenze, momento in cui si gioca una partita importante per ridare alle donne yazide qualcosa in cui credere e un posto dove stare, premesse fondamentali per ricostruirsi una vita.
Dopo aver creato la sua ONG, "Hope Makers for Women", a fine 2014 ha ricevuto il premio Silver Rose - da parte della European Solidar organisation - per il suo lavoro nel campo dei diritti umani, e nel marzo 2016 e' stata insignita del titolo International Women of Courage Award da parte del Segretario di Stato americano John Kerry.
Figura professionalmente simile a quella del medico congolese Denis Mukwege, gia' Premio Nobel per la Pace e Giusto onorato al Giardino di Milano, ancora oggi Hasan lavora come operatrice umanitaria offrendo le sue capacita' mediche e il suo supporto psicologico nel centro di Dohuk, dove ha curato piu' di mille donne, ricevendo anche il plauso del Premio Nobel per la Pace - e sopravvissuta yazida - Nadia Murad.
Giardini che onorano Nagham Nawzat Hasan: Nagham Nawzat Hasan e' onorata nei Giardini di Duino - Collegio del Mondo Unito dell'Adriatico e L'Aquila - Convitto Nazionale.
11. TESTIMONI. "GARIWO": OMAR ABDEL JABAR
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Omar Abdel Jabar, l'uomo che ha salvato Nadia Murad.
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Nell'estate del 2014, quando Nadia Murad riesce a scappare dalla sua prigione e bussa alla porta di chi la salvera', Mosul e' nelle mani dell'ISIS. Le famiglie che sostengono l'organizzazione jihadista sono molte, anche a seguito del crollo di popolarita' dell'esercito e del governo di Baghdad. Nascondere una ragazza fuggita ai miliziani - una sabiyya - e' un rischio enorme, ma questo non ferma Jabar, che decide, senza pensarci un attimo, di far entrare Nadia in casa sua e di darle rifugio. "Per favore aiutami", dice la ragazza, "mi hanno violentata". Questa scelta, fatta con istintiva umanita', cambiera' per sempre la vita di Jabar.
Quando la diciannovenne gli racconta che cosa le e' successo, l'uomo non prende assolutamente in considerazione quello che forse molti altri abitanti di Mosul avrebbero fatto: riconsegnare la ragazza e prendere i 5.000 dollari di ricompensa offerti dallo Stato Islamico per questi casi. Lui, un semplice padre di famiglia con un lavoro modesto, fa "solo quello che era giusto fare", come piu' tardi dichiarera' al Time. Dopo averla nascosta, arriva il passo piu' rischioso da compiere: aiutare Nadia a fuggire dalla citta'. Jabar contatta il fratello della Murad, che si trova in un campo profughi a 80 miglia di distanza, e insieme progettano il piano per portarla di nascosto fuori da Mosul e trasferirla in un luogo piu' sicuro. Il cugino di Jabar accetta di fornire a Nadia dei documenti falsi, con un nome arabo sunnita. Da quel momento, la giovane yazida sara' la "moglie di Jabar" che si sposta per andare in visita nella sua citta' natale, Kirkuk, ancora guidata dalle forze curde di stampo occidentale.
Nadia ha una notte sola per imparare tutti i dettagli della sua nuova identita', comprese le fattezze di una citta' che non ha mai visitato. Il viaggio in taxi verso i territori controllati dalla forze curde e' tutt'altro che semplice. Le domande dei combattenti dell'ISIS sono pressanti a ogni checkpoint, ma, per fortuna, le loro regole ultraconservatrici non permettono di chiedere a una donna di mostrare il suo volto, cosa che avrebbe immediatamente fatto scoprire l'inganno. "Non avevo idea di come interpretare la parlata di una donna originaria del Kirkuk", scrive Nadia nel suo libro, descrivendo nel dettaglio quei momenti di terrore vissuti insieme al finto marito che le avrebbe salvato la vita, tremando a ogni posto di blocco tappezzato dalle sue foto segnaletiche. Jabar e Nadia superano molti controlli dell'ISIS prima di arrivare a Erbil, capitale del territorio semi-autonomo dei curdi: li' si vedono per l'ultima volta.
L'indomani, gli uomini dello Stato Islamico bussano alla porta della casa di Jabar: lo hanno scoperto e, per forza di cose, deve diventare lui stesso un fuggitivo. Scappa saltando dal tetto di casa sua a quello dei vicini, sparendo in un vicolo. La sua famiglia riesce a convincere l'ISIS del fatto che abbia agito da solo e promette di rinnegarlo. Nel frattempo, Jabar riesce a farsi prestare dei soldi da uno zio e a contattare un amico che dovrebbe farlo allontanare dalla citta' su un camion cisterna di gas insieme al figlio piccolo e alla moglie incinta, con destinazione Europa. Il viaggio risulta pero' troppo pesante per un bambino e una donna in quella condizione: Randa e il figlio decidono quindi di tornare a Mosul. Jabar, diviso da tutti i suoi cari e da un figlio che non vedra' mai nascere, passa alcune settimane in Turchia, riuscendo poi a entrare in Bulgaria, a Sofia, ma qui viene arrestato insieme ad altri due richiedenti asilo. Mentre lui si trova in cella, la Murad si ricongiunge con la sua famiglia e comincia a raccontare al mondo la sua storia.
Solo nel marzo 2015, Jabar riesce ad arrivare in Germania, ma anche qui non e' del tutto al sicuro. Dopo aver gia' dovuto cambiare numero di telefono e tutti gli account social per le continue minacce ricevute da parte di sostenitori dell'ISIS, gli arriva persino un messaggio anonimo che dice "sappiamo che ti nascondi in Germania, stiamo venendo a prenderti". Jabar si trova in una situazione apparentemente senza via d'uscita: non puo' tornare a casa perche', seppure Mosul non sia piu' nelle mani dell'ISIS, non e' ancora sicura, e non ha nemmeno la certezza di poter restare in Germania. L'unica cosa che chiede e' di poter portare la sua famiglia nella piccola cittadina tedesca dove per ora ha trovato rifugio, ma questa possibilita' sembra essere ancora molto lontana. Eppure, per quanto riguarda il suo gesto, non ha rimpianti: "chiunque lo avrebbe fatto", dice.
12. TESTIMONI. SIMONE ZOPPELLARO: AMEENA SAEED HASAN
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Ameena Saeed Hasan, yazida irachena, insieme al marito ha salvato, creando una rete imponente di soccorso, molte centinaia di ragazze e donne yazide dalla schiavitu' dell'ISIS.
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Minoranza religiosa di lingua e cultura curda, gli yazidi – una comunita' di alcune centinaia di migliaia di persone in tutto – a partire dall'agosto 2014 sono vittima nel Nord dell'Iraq di un genocidio da parte degli uomini dello Stato Islamico, il primo riconosciuto dall'ONU e dalla comunita' internazionale nel nuovo millennio. Massacri sistematici degli uomini, che ancora devono in molta parte essere identificati nelle fosse comuni che continuano a essere rinvenute; distruzione di luoghi di culto, delle loro citta' e villaggi; messa in schiavitu' di bambini - convertiti e addestrati come soldati o kamikaze - e di ragazze e bambine, abusate sistematicamente: questi solo alcuni degli aspetti piu' terribili di questo genocidio, compiuto in nome di una versione aberrante delliislam. Un crimine messo in opera con premeditazione e sistematica ferocia, e che tenta di cancellare per sempre ogni traccia di questa minoranza, della sua cultura e religione millenaria, ritenuta - a causa della sua natura sincretistica, altra dall'islam - non ammissibile per i rigidi dettami religiosi professati dagli estremisti. Uno sterminio, quello degli yazidi, che, come gia' avvenuto in passato per altri genocidi, puo' essere compiuto grazie alla collaborazione o all'indifferenza di parte della popolazione, ma anche in ragione del fatto che quello che ama definirsi il mondo libero, ancora una volta, decide di voltarsi dall'altra parte.
In una delle citta' attaccate dai miliziani di Daesh viveva Ameena Saeed Hasan, parlamentare in Iraq e attivista. A differenza di tanti altri, era riuscita a fuggire insieme alla figlia e al marito, Khaleel al Dakhi, un giovane avvocato yazida, prima dell'arrivo dell'ISIS. "Non posso immaginare di non vedere mia figlia due o tre volte al giorno, parlarle, abbracciarla. Ora, ci sono centinaia di bambini come lei che sono stati rapiti", racconta alla stampa il coraggioso al Dakhi. Che decide subito, insieme con la moglie, di non poter stare a guardare.
Quella che inizia come una missione singola per salvare Maha, la figlia 17enne di una coppia che lei e al Dakhi avevano incontrato in un campo profughi, si sviluppa presto - nell'arco di appena due anni - in un'operazione clandestina a tempo pieno, che finisce per allargarsi sempre di piu', fino a includere oltre cento collaboratori. Centinaia le donne, le ragazze e i bambini che Hasan e al Dakhi riescono a salvare grazie a una rete clandestina da loro creata e diretta. Un lavoro pericolosissimo il loro, costato piu' volte torture ed esecuzioni capitali ai loro collaboratori scovati durante le loro pericolosissime missioni: identificare, localizzare e infine liberare quante piu' persone possibile dai territori militarizzati del sedicente Stato Islamico.
Di grandissimo valore, sia documentario e storico che per la ricerca delle donne e i bambini rapiti, l'archivio realizzato dalla Hasan e da al Dakhi, che include informazioni e dati su migliaia di loro.
Il loro lavoro e' valso loro un premio dal gruppo di attivisti statunitensi Human Rights First, oltre alla candidatura di al Dakhi all'Aurora Prize del 2021, gia' vinto in precedenza dall'attivista yazida Mirza Dinnayi. Ameena Saeed Hasan ha coraggiosamente denunciato le violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate contro il popolo yazida. La Hasan si e' anche recata negli Stati Uniti nella primavera del 2015 per partecipare al vertice della Casa Bianca per contrastare l'estremismo violento. Sempre nello stesso anno, fra i vari premi ricevuti, e' stata nominata come Hero Acting to End Modern Slavery dal Dipartimento di Stato americano.
13. TESTIMONI. SIMONE ZOPPELLARO: KHALEEL AL DAKHI
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Khaleel al Dakhi, yazida iracheno, insieme alla moglie ha salvato, creando una rete imponente di soccorso, molte centinaia di ragazze e donne yazide dalla schiavitu' dell'ISIS.
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Minoranza religiosa di lingua e cultura curda, gli yazidi - una comunita' di alcune centinaia di migliaia di persone in tutto - a partire dall'agosto 2014 sono vittima nel Nord dell'Iraq di un genocidio da parte degli uomini dello Stato Islamico, il primo riconosciuto dall'ONU e dalla comunita' internazionale nel nuovo millennio. Massacri sistematici degli uomini, che ancora devono in molta parte essere identificati nelle fosse comuni che continuano a essere rinvenute; distruzione di luoghi di culto, delle loro citta' e villaggi; messa in schiavitu' di bambini - convertiti e addestrati come soldati o kamikaze - e di ragazze e bambine, abusate sistematicamente: questi solo alcuni degli aspetti piu' terribili di questo genocidio, compiuto in nome di una versione aberrante dell'islam. Un crimine messo in opera con premeditazione e sistematica ferocia, e che tenta di cancellare per sempre ogni traccia di questa minoranza, della sua cultura e religione millenaria, ritenuta - a causa della sua natura sincretistica, altra dall'islam - non ammissibile per i rigidi dettami religiosi professati dagli estremisti. Uno sterminio, quello degli yazidi, che, come gia' avvenuto in passato per altri genocidi, puo' essere compiuto grazie alla collaborazione o all'indifferenza di parte della popolazione, ma anche in ragione del fatto che quello che ama definirsi il mondo libero, ancora una volta, decide di voltarsi dall'altra parte.
In una delle citta' attaccate dai miliziani di Daesh viveva Khalil al Dakhi, un giovane avvocato yazida. A differenza di tanti altri, era riuscito a fuggire insieme alla figlia e alla moglie, Ameena Saeed Hasan, parlamentare in Iraq e attivista, prima dell'arrivo dell'ISIS. "Non posso immaginare di non vedere mia figlia due o tre volte al giorno, parlarle, abbracciarla. Ora, ci sono centinaia di bambini come lei che sono stati rapiti", racconta alla stampa il coraggioso al Dakhi. Che decide subito, insieme con la moglie, di non poter stare a guardare.
Quella che inizia come una missione singola per salvare Maha, la figlia 17enne di una coppia che lui e la Hasan avevano incontrato in un campo profughi, si sviluppa presto - nell'arco di appena due anni - in un'operazione clandestina a tempo pieno, che finisce per allargarsi sempre di piu', fino a includere oltre cento collaboratori. Centinaia le donne, le ragazze e i bambini che al Dakhi riesce a salvare grazie a una rete clandestina da lui creata e diretta con l'aiuto della moglie. Un lavoro pericolosissimo il loro, costato piu' volte torture ed esecuzioni capitali ai loro collaboratori scovati durante le loro pericolosissime missioni: identificare, localizzare e infine liberare quante piu' persone possibile dai territori militarizzati del sedicente Stato Islamico.
A raccontare la storia di al Dakhi, anche un documentario prodotto e diretto da Edward Watts, "Escaping ISIS", che e' una delle piu' potenti testimonianze dell'orrore cui sono state e sono ancora sottoposte molte migliaia di donne e bambini. Stupri commessi nei confronti di bambine di appena nove o dieci anni, torture e abusi continui, che finiscono per lasciare - come testimonia il film - persino i sopravvissuti in condizioni terribili, fra suicidi e continui crolli psicofisici.
Di grandissimo valore, sia documentario e storico che per la ricerca delle donne e i bambini rapiti, l'archivio realizzato dalla Hasan e da al Dakhi, che include informazioni e dati su migliaia di loro. "Certamente la mia vita e' in pericolo, ma devo salvare le nostre ragazze e le nostre donne", ha commentato anni fa al Dakhi. "Non ho mai paura, perche' non sono migliore di tutta la mia gente che e' stata uccisa dallo Stato Islamico. Ma cerco di proteggermi perche' c'e' molta della mia gente nelle prigioni dell'ISIS che aspetta che io la salvi. Quando salvo una persona, sento di aver ottenuto una vittoria contro i terroristi".
Il loro lavoro e' valso loro un premio dal gruppo di attivisti statunitensi Human Rights First, oltre alla candidatura di al Dakhi all'Aurora Prize del 2021, gia' vinto in precedenza dall'attivista yazida Mirza Dinnayi. Notevolissima anche l'attivita' della moglie, che ha coraggiosamente denunciato le violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate contro il popolo yazida. La Hasan si e' anche recata negli Stati Uniti nella primavera del 2015 per partecipare al vertice della Casa Bianca per contrastare l'estremismo violento. Sempre nello stesso anno, fra i vari premi ricevuti, e' stata nominata come Hero Acting to End Modern Slavery dal Dipartimento di Stato americano.
14. TESTIMONI. SIMONE ZOPPELLARO: MIRZA DINNAYI
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]
Mirza Dinnayi (1973) fondatore di un'organizzazione che trasporta perseguitati yazidi dall'Iraq alla Germania dove ricevono cure mediche, ha aiutato diverse centinaia di persone a fuggire dai territori controllati dall'Isis.
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Siamo nell'agosto del 2014, all'alba del primo genocidio del nuovo millennio, quello compiuto contro la minoranza degli yazidi. I miliziani dello Stato Islamico prendono d'assedio la regione del Sinjar, in Iraq, facendo in pochi giorni strage di migliaia di civili, e rapendo altrettante donne e bambini. Mirza Dinnayi, attivista nativo della regione e residente da molti anni in Germania, conoscendo bene il territorio, guida di persona il pilota dell'elicottero impegnato a salvare vite umane da un assedio disumano, dove si muore non solo per le armi, anche per la fame e la sete.
Poco dopo il decollo, l'elicottero di Dinnayi precipita. L'attivista yazida sopravvive per miracolo, con una gamba e costole rotte. "E' stato mentre giacevo tra i rottami, circondato dalla carneficina dell'occupazione dell'ISIS, che mi sono reso conto piu' che mai della posta in gioco, e sono stato spronato ancora di piu' a impegnare la mia vita per salvare i piu' bisognosi della mia comunita'", scrivera' Dinnayi. Trasportato d'urgenza in Germania, grazie a un sistema di soccorso che lui stesso aveva creato per sopravvissuti e vittime, tornera' a breve nel Kurdistan iracheno, su di una sedia a rotelle, per proseguire subito il suo lavoro.
Piu' di mille donne e bambini yazidi, grazie a Dinnayi, vengono evacuati e trasferiti in Germania, dove si presta loro anche assistenza psicologica. Tra loro, anche Lamiya Haji Bashar, futura attivista dei diritti umani e vincitrice del premio Sacharov. "E' il miglior lavoro che si possa fare", raccontera' in un'intervista Dinnayi, nonostante abbia rischiato tante volte di perdere la vita per salvare delle vittime, e nonostante "la loro sofferenza ti restera' impressa per sempre in una parte dell'anima".
E' anche grazie all'impegno di Dinnayi che, a genocidio ancora in corso, Winfried Kretschmann, governatore del Baden-Wurttemberg, decide di aprire le porte alle ragazze yazide che erano state abusate e ridotte in schiavitu' dall'ISIS. Lo stato del sud ovest della Germania, caso unico al mondo, investe 95 milioni di euro, quasi l'1% del suo bilancio annuale, per coprire i costi di selezione, trattamento e trasporto di 1.000 sopravvissute yazide e dei loro figli, e per fornire loro due anni di assistenza e terapia dopo l'arrivo. Fra loro, anche il futuro premio Nobel Nadia Murad che, quando la intervisto nei pressi di Stoccarda nel 2015, mi conferma quanto Kretschmann avesse preso a cuore le sofferenze degli yazidi.
Ed e' sempre Dinnayi, con l'ausilio dello psicologo curdo-tedesco Jan Ilhan Kizilhan, che aveva avuto esperienze di lavoro con vittime di stupro provenienti dal Ruanda e dalla Bosnia, ad effettuare la selezione delle ragazze yazide da portare in Germania per essere protette e assistite. Una responsabilita' enorme, per lui: quando si sparge la voce, in una comunita' sull'orlo del collasso, che Dinnayi ha il potere di offrire una nuova vita in Germania, lontano da persecuzione e violenze, piovono su di lui richieste e profferte di ogni tipo, in molti casi giustificabili, in altri no. Anche il programma di recupero psicologico tedesco non e' affatto semplice e trova, come mi raccontano alcuni assistenti sociali che vi hanno lavorato, diverse resistenze da parte delle vittime; cosa inevitabile, se pensiamo alla difficolta' che ebbero - per lungo tempo - molti sopravvissuti alla Shoah e al genocidio armeno nell'affrontare e raccontare memorie di violenza al limite dell'ineffabile.
Un impegno straordinario, quello di Dinnayi, che ha inizio ben prima del genocidio, quando ancora una volta la piccola comunita' yazida - tante volte perseguitata nei secoli - finisce vittima del fondamentalismo islamico. E' il 14 agosto del 2007, quando quattro veicoli carichi di due tonnellate di esplosivo colpiscono i villaggi yazidi di Qahtaniya e Jazeera. Uno di questi e' un camion cisterna pieno di carburante, il che garantisce la massima devastazione al momento dell'esplosione. Impressionante il numero delle vittime, che ne fa uno degli attentati piu' sanguinosi della storia del Medio Oriente. Si parla di molte centinaia di morti, di piu' di mille secondo le stime dell'ONG Yazda, e di oltre 1.500 feriti. Ridotti a un cumulo di macerie i villaggi coinvolti nell'attentato, mentre il terrore si impadronisce degli yazidi, che capiscono - squarciato ogni velo di dubbio - di essere al centro di una campagna d'odio tale da mettere a rischio la sopravvivenza stessa della loro comunita'.
L'attacco, eseguito dai miliziani di al Qaeda, spinge Mirza Dinnayi a mettersi in azione, partendo sempre dalla Germania: inizia una raccolta di fondi per le vittime e fa pubblicare su un quotidiano tedesco una richiesta di aiuto. Due ospedali tedeschi aderiscono, offrendo assistenza medica gratuita ai bambini feriti. Il problema principale resta il loro trasferimento in Germania, complicato dal fatto che molti di loro non hanno documenti. Questo lo spinge a fondare l'organizzazione Air Bridge Iraq (in tedesco: Luftbrucke Irak), il cui nome si ispira al ponte aereo messo in atto dagli americani nel 1948 per rompere il blocco imposto dai sovietici a Berlino Ovest. Prima ancora che si arrivi al genocidio del 2014, Luftbrucke Irak aiuta 150 bambini e donne yazidi a ricevere asilo e assistenza medica in Germania.
Tanti i riconoscimenti arrivati a Mirza Dinnayi per il suo impegno: dalla nomina ad advisor per le minoranze religiose della presidenza irachena, a premi come la medaglia d'oro Staufer ottenuta dal governatore Baden-Wurttemberg nel 2016, fino all'Aurora Award for Awakening Humanity, ricevuto nel 2019. Un impegno, il suo, di cui hanno fatto tesoro non solo l'Iraq e la Germania, dove la sua esperienza ha aiutato a far nascere e crescere altre realta' e progetti, ma anche l'Armenia, reduce dalla catastrofe umanitaria dell'ultima guerra in Karabakh. Qui, proprio negli ultimi mesi, Dinnayi ha portato la sua esperienza ultradecennale di lavoro con vittime di traumi e violenze.
Un legame di solidarieta' antico, quello fra armeni e yazidi: basti pensare alla figura di Hamu Shiru, leader degli yazidi del Sinjar onorato nel Giardino dei Giusti di Milano, che salvo' la vita di moltissimi armeni durante il genocidio. E, non a caso, l'Armenia e' stata uno dei primi paesi al mondo a riconoscere, con una risoluzione parlamentare, il genocidio degli yazidi. Come ricorda Dinnayi in un'intervista, i sopravvissuti a tutti i genocidi hanno qualcosa di importante in comune: "Chiamati a sopravvivere dal destino, sentono il dovere di combattere per il resto della nostra comunita' umana".
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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 110 del 20 aprile 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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