[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 99



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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 99 del 9 aprile 2023

In questo numero:
1. Raniero La Valle: La notte sempre piu' fonda
2. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa?
3. Giobbe Santabarbara: Breve una lettera alle persone amiche - e ad altre ancora - per chiedere loro una cosa
4. Bianca Baldassarri: L'inizio di qualcosa di piu' grande
5. Rosa Luxemburg: Militarismo, guerra e classe operaia (1914)

1. L'ORA. RANIERO LA VALLE: LA NOTTE SEMPRE PIU' FONDA
[Dalla newsletter di "Costituente Terra" n. 111 del 5 aprile 2023 (e-mail: notizieda at costituenteterra.com, sito:www.costituenteterra.it ) riprendiamo e diffondiamo]

Cari amici,
Parafrasando il grido di Isaia, "Sentinella, quanto resta della notte?" che Giuseppe Dossetti riprese in un celebre discorso per la commemorazione di Giuseppe Lazzati, dobbiamo dire: a che punto e' la notte?, la notte nella quale siamo sprofondati con questa guerra in Europa e in Ucraina.
Si aggiunge infatti tragedia a tragedia. Citta' distrutte, centinaia di migliaia di soldati caduti, civili uccisi. Respinto, senza nemmeno una lettura, il piano di pace della Cina. E non bastava l'annuncio da parte della Gran Bretagna dell'invio di armi ad uranio impoverito che contamineranno il Donbass per migliaia di anni, e ne deturperanno fisicamente la popolazione eventualmente liberata: martedi' scorso la Finlandia e' entrata nella NATO, e la Russia ha annunciato adeguate contromisure sulla sua frontiera  occidentale; intanto a san Pietroburgo una statuetta imbottita di tritolo fa saltare in aria un certo Tatarsky nella sala dove egli teneva una conferenza, e non si sa se i mandanti siano gli ucraini o russi dissidenti. E vengono anche alla luce i piani dell'Ucraina per la riconquista della Crimea, compresa la base navale russa di Sebastopoli e previa distruzione del ponte che unisce la Russia alla Crimea, un ponte di 16 chilometri, il piu' lungo d'Europa da poco costruito, piani che potrebbero attuarsi pero' solo attraverso una completa disfatta della Russia; progetto peraltro approvato e incoraggiato dagli Stati Uniti (il New York Times scrive che "sono entusiasti" di aiutare la Crimea a farlo) i quali appunto per  annientare la Russia stanno sostenendo e prolungando la guerra in Europa.
Cosi' per il Donbass e per la Crimea combattono due sanguinosi nazionalismi, quello russo e quello ucraino; ma per l'egemonia sul mondo intero si scontrano tre Imperi: sono solo due, secondo il Corriere della Sera, e sono la Russia e la Cina, che pero' Imperi ancora non lo sono, essi sono infatti ancora lontani dal dominare il mondo; ma il terzo, gli Stati Uniti (e il Corriere lo tace) lo e' gia', avendo fatto guerre e colpi di Stato in tutta la terra, e avendo stabilito basi militari in tutti i continenti.
La tragedia diventa ancora piu' severa per il coinvolgimento delle Chiese. Zelensky arriva a mandare agli arresti domiciliari il metropolita Pavel del monastero ortodosso delle Grotte e a mettergli un braccialetto elettronico ad una caviglia, sotto l'accusa di collaborare con la Russia; e cio' equivale all'accusa di esistere come Chiesa, perche' il metropolita arrestato appartiene alla Chiesa rimasta in comunione con Mosca, a differenza della Chiesa autocefala che si e' separata da quel Patriarcato per divenire la Chiesa nazionale ucraina. D'altra parte il patriarca russo Kirill ha dato all'Ucraina il pretesto dello scisma e a Zelensky l'alibi per arrestare Pavel, avendo sposato la politica di Putin e facendosi, come ha detto col suo vivido linguaggio papa Francesco, chierico di Stato e addirittura "chierichetto di Putin", suscitando del patriarca moscovita le ire. Cosi' la guerra ha portato una divisione anche tra le Chiese, e in Ucraina si e' tornati ai fasti della "Chiesa del silenzio" di sovietica memoria.
Dunque questa notte non accenna a finire, anzi diventa sempre piu' fonda, una a una si spengono le stelle del cielo e le costellazioni spariscono tra le nubi; si dice con Kant che la guerra e' secondo natura e la pace un artificio, ma nessuno  mette in atto questo artificio. Basta leggere i giornali: i cuori si sono induriti, e non e' solo una questione di cuore; e' che anche le menti si sono perdute, e i linguaggi, e le politiche, mentre a decidere sono rimaste le armi.
Settantamila persone, pero', hanno ascoltato la domenica delle Palme l'omelia del Papa in piazza san Pietro e in via della Conciliazione; e Francesco ha fatto un discorso struggente, perche' ha evocato l'abbandono di Dio e l'abbandono di cui ci rendiamo responsabili anche noi. Ma il vero abbandono e' che abbiamo ricusato ogni giustizia, perfino quella che noi stessi avevamo proclamato nelle nostre Costituzioni, che vengono tradite ogni giorno, e invece di ripudiare la guerra abbiamo ripudiato la pace.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo sul piano di pace cinese.
Con i piu' cordiali saluti,
Costituente Terra (Raniero La Valle)

2. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA?

Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani,  sempre e solo uccide gli esseri umani,  sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
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Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
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E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

3. REPETITA IUVANT. GIOBBE SANTABARBARA: BREVE UNA LETTERA ALLE PERSONE AMICHE - E AD ALTRE ANCORA - PER CHIEDERE LORO UNA COSA

Dico subito la cosa che vorrei chiedere a tutte e tutti voi: un nuovo o rinnovato impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
Sono un vecchio militante che ricorda vividamente - ero allora assai giovane - l'occupazione di Alcatraz sul finire degli anni Sessanta, il "Sentiero dei trattati infranti" culminato nell'occupazione del Bureau of Indian Affairs nel 1972, e soprattutto l'occupazione e l'assedio di Wounded Knee del 1973. E' da allora che anch'io sento il dovere di sostenere la lotta delle popolazioni native nordamericane contro il genocidio, l'etnocidio e l'ecocidio di cui sono vittima (e con loro l'umanita' intera e l'intero mondo vivente) da parte del potere razzista, stragista, rapinatore e devastatore bianco. Lungo oltre mezzo secolo non ho saputo fare granche', se non impegnarmi qui in Italia in iniziative che credo siano state almeno coerenti con quella lotta, nella convinzione che tutto si tiene, che tutto e' collegato, o per dirla con una luminosa espressione Lakota: "Mitakuye Oyasin".
Sono stato un lettore di "Akwesasne Notes", la bella, indimenticabile rivista che negli anni '70-'90 fu primario strumento d'informazione su quelle lotte, su quelle esperienze di pensiero e azione. E credo sia stato attraverso "Akwesasne Notes" che conobbi la vicenda di Leonard Peltier. Successivamente, come molte altre persone, lessi il libro di Edda Scozza, quello di Peter Matthiessen e la sua autobiografia.
Da un paio d'anni il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo si sta particolarmente impegnando nella mobilitazione nonviolenta internazionale per la liberazione di Leonard Peltier, ed io con esso.
Leonard Peltier e' detenuto innocente ormai da 47 anni, e la sua salute e' gravemente deteriorata. Dal carcere ha continuato a lottare con gli strumenti della testimonianza e della parola, della poesia e dell'arte, per i diritti dei popoli oppressi, per i diritti umani di tutti gli esseri umani, per la Madre Terra.
Come e' noto la sua liberazione e' stata chiesta nel corso degli anni da personalita' illustri come Nelson Mandela e madre Teresa di Calcutta, come papa Francesco e il Dalai Lama, da istituzioni come il Parlamento Europeo, da associazioni umanitarie come Amnesty International, da milioni (si', milioni) di persone di tutto il mondo.
E come e' altrettanto noto la sua liberazione dipende unicamente dalla concessione della grazia presidenziale da parte del Presidente degli Stati Uniti d'America, a cui quotidianamente pervengono richieste a tal fine (tra le piu' recenti: quella della Commissione giuridica ad hoc dell'Onu; quella unanime del Comitato nazionale del Partito Democratico degli Stati Uniti - il partito cui lo stesso Presidente Biden appartiene).
Dalla provincia italiana non si puo' fare molto, ma quel poco che si puo' fare va fatto.
Cosa chiedo dunque in concreto alle persone amiche - ed alle altre ancora - cui indirizzo questa lettera? Tre cose.
La prima, far conoscere la vicenda di Leonard Peltier e diffondere l'appello per la sua liberazione.
La seconda, scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America per chiedergli di concedere la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
La terza, scrivere a Leonard Peltier e al comitato internazionale che lo sostiene, l'International Leonard Peltier Defense Committee, per esprimere loro il proprio sostegno.
Tutto qui.
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Per scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America: nel sito della Casa Bianca aprire la pagina attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Per scrivere a Leonard Peltier l'indirizzo e': Leonard Peltier, #89637-132, USP Coleman I, P.O. Box 1033, Coleman, FL 33521; trattandosi di un carcere di massima sicurezza possono essere inviate solo lettere postali, e nessun oggetto.
Per scrivere all'International Leonard Peltier Defense Committee: e-mail: contact at whoisleonardpeltier.info
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Grazie per l'attenzione, e un cordiale saluto da
Giobbe Santabarbara

4. RIFLESSIONE. BIANCA BALDASSARRI: L'INIZIO DI QUALCOSA DI PIU' GRANDE
[Dal sito della "Libreria delle donne" di Milano riprendiamo e diffondiamo]

In occasione della giornata internazionale della donna, l'iniziativa del collegio Marianum dell'Universita' Cattolica del Sacro Cuore di Milano e' stata quella di visitare la Libreria delle donne e avere l'onore di conoscere Luisa Muraro, filosofa e attivista nonche' ex collegiale del Marianum. Quest'ultimo motivo ha aumentato in me, una delle organizzatrici insieme ai membri della direzione, il desiderio di incontrarla.
L'iniziativa e' stata fortemente voluta da tutta la comunita' collegiale soprattutto dopo aver letto alcuni suoi libri, presenti nella libreria del collegio, e fatto ricerca sulla sua storia e sul suo pensiero. Tutte volevano partecipare e alla fine siamo andate in una "delegazione" di quaranta studentesse.
Io all'inizio ho posto alcune domande a Luisa Muraro, principalmente riguardanti la sua concezione di femminismo della differenza e della lotta che le donne devono fare verso la liberta'. Ho anche domandato se le donne sono riuscite a rompere il "soffitto di cristallo" di cui tanto si parla.
Durante l'incontro Luisa Muraro ha spiegato a noi collegiali come la parita' di genere non debba essere l'obiettivo ultimo, ma solamente il punto di partenza verso la vera realizzazione di se' stesse. La nostra liberta' non puo' essere delimitata da paletti posti dagli uomini, che ci hanno prevaricate per anni, ma ci si deve ergere con forza oltre questi limiti per poi soverchiarli, in una costante ricerca e autodeterminazione del proprio se', della propria liberta'.
Ho capito che parita' di genere e uguaglianza sono due concetti molto diversi, il primo presupporrebbe l'adeguarsi a un confine gia' scelto da qualcuno che non siamo noi e di cui dovremmo passivamente accontentarci, la seconda presuppone invece pari diritti, pari opportunita', non in quanto uomini e donne, ma in quanto esseri umani.
Sul sito di presentazione della Libreria delle donne c'e' scritto: "E' un'impresa femminista che non rivendica la parita', ma, al contrario, dice che la differenza delle donne c'e' e noi la teniamo in gran conto, la coltiviamo con la pratica di relazione e con l'attenzione alla poesia, alla letteratura, alla filosofia". Questa frase mi ha colpito molto perche' secondo me in poche parole spiega che la nostra liberta', che ci caratterizza e costituisce in quanto donne, non puo' avere come unita' di misura e metro di giudizio i risultati degli uomini, dato che noi siamo diverse ed e' giusto sottolinearlo.
Un altro punto saliente di cui si e' dibattuto e' stato quello delle famose "quote rosa", le quali molto spesso sviliscono l'importanza e la bravura di una donna perche', agli occhi di molti, sembra che la donna ricopra quell'incarico li' non per le sue capacita' ma semplicemente per la "quota rosa".
Durante l'incontro sono nate riflessioni spontanee da parte di molte studentesse, una di queste e' stata: "Molte donne preferiscono declinare il nome della propria professione al maschile invece che al femminile, come mai si prende questa scelta? E' giusto parlarne o e' qualcosa di superfluo?". Si e' quindi aperto un dibattito sull'importanza del linguaggio. Il modo in cui parliamo rispecchia quel che pensiamo e in senso lato anche quel che siamo. In quest'ottica si e' dibattuto sulla necessita' di chiamare le cose col proprio nome e, soprattutto, il proprio genere; dunque, si e' parlato dell'appellativo femminile e maschile circa i nomi di mestiere. E' sicuramente piu' importante focalizzarsi su come una donna svolga il proprio lavoro rispetto a quale appellativo di genere usi per definirne il nome. Pero', il volersi sottrarre all'appellativo femminile favorendo quello maschile veicola un messaggio di inferiorita' e insicurezza, come se l'appellativo femminile togliesse prestigio alla carica istituzionale e professionale solo perche' svolta da donne, le quali piuttosto che chiamarsi col proprio nome ("direttrice d'orchestra", "ministra") preferiscono l'appellativo maschile che non ne "snaturi" l'importanza, il potere.
E' stato un incontro molto interessante, mi ha dato tanti spunti di riflessione, in particolar modo sul concetto di parita' di genere che io fino ad ora avevo sempre ritenuto l'atteso traguardo e mai come l'inizio di qualcosa di piu' grande. Mi e' rimasta tanta voglia di sapere cos'e' realmente il femminismo e cosa e' riuscito a ottenere in questi anni di lotta, ma soprattutto di cercare di capire cosa io voglio ottenere e come, grazie alla partecipazione della nuova generazione di donne, riuscirci.

5. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: MILITARISMO, GUERRA E CLASSE OPERAIA (1914)
[Dal sito www.marxists.org riprendiamo e riproponiamo ancora una volta il testo (estratto da Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976, pp. 397-407) dell'autodifesa politica di Rosa Luxemburg dinanzi alla II sezione penale del Tribunale di Francoforte il 20 febbraio 1914. L'autodifesa fu successivamente stampata nell'opuscolo "Militarismus, Krieg und Arbeiterklasse" (testo su cui e' condotta la traduzione).
Rosa Luxemburg, 1871-1919, e' una delle piu' limpide figure del movimento dei lavoratori e dell'impegno contro la guerra e contro l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu gettato in un canale e ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti da Bertolt Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verita' / i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'"; Epitaffio per Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea polacca / Che combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli oppressori tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di Rosa Luxemburg: segnaliamo almeno due fondamentali raccolte di scritti in italiano: Scritti scelti, Einaudi, Torino 1975, 1976; Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976 (con una ampia, fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa Luxemburg: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori, Milano 1977; Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli, Milano 1987; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore, Milano 1970; Daniel Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia, Milano 1974; AA. VV., Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta, Milano 1977]

I miei difensori hanno giuridicamente chiarito in modo esauriente gli elementi di fatto dell'accusa nella loro futilita'. Vorrei chiarire quindi l'accusa sotto un altro punto di vista. Tanto nella arringa odierna del procuratore di stato quanto nella sua accusa scritta ha una parte importante non soltanto il tenore letterale delle mie espressioni incriminate, ma ancor piu' la chiosa e la tendenza che avrebbe dovuto essere inerente a queste parole. Ripetutamente e con il massimo vigore e' stato rilevato dal procuratore di stato cio' che secondo il suo parere io avrei voluto e saputo, allorche' facevo le mie dichiarazioni in quelle riunioni. Ora, nei riguardi del momento psicologico interno del mio dire, sulla mia coscienza, nessuno puo' essere piu' competente di me e piu' di me in condizione di dare il chiarimento piu' completo e di fondo.
E io voglio premettere un rilievo: ben volentieri sono disposta a dare un totale chiarimento al procuratore di stato e a loro, signori giudici. Per eliminare il fattore principale, vorrei spiegare come cio' che il procuratore di stato, appoggiato dalle dichiarazioni dei suoi principali testimoni, ha descritto come corso delle mie idee, come mie intenzioni e miei sentimenti, non sia che una caricatura piatta, priva di spirito, tanto dei miei discorsi come in generale del metodo di agitazione socialdemocratico. Sentendo l'esposizione del procuratore di stato mi veniva da ridere interiormente e pensavo: qui abbiamo di nuovo un esempio classico di come una cultura normale sia insufficiente a comprendere il pensiero socialdemocratico, il nostro mondo ideale in tutta la sua complessita', sottigliezza scientifica e profondita' storica quando l'appartenenza a una classe sociale ne impedisce la visione. Se loro, signori giudici, avessero chiesto al piu' semplice, illetterato operaio delle migliaia che frequentano le mie riunioni, avrebbero ottenuto da lui un quadro ben differente, avrebbero tratto ben altra impressione dei miei discorsi. Si', i semplici uomini e donne del popolo lavoratore sono in grado di afferrare il nostro pensiero, che invece nel cervello di un procuratore di stato prussiano si riflette come in uno specchio curvo in forma di caricatura. Voglio adesso dimostrare cio' piu' minutamente in alcuni punti.
Il procuratore di stato ha ripetuto varie volte che io avrei "aizzato smodatamente" le migliaia di miei ascoltatori, gia' prima di quella frase incriminata che avrebbe rappresentato il culmine del mio discorso. Io dico: signor procuratore, noi socialdemocratici non aizziamo nessuno! Cosa vuol dire "aizzare"? Ho forse tentato di inculcare agli uditori qualcosa come questo: se voi giungerete in guerra come tedeschi in paese nemico, per esempio in Cina, fate in modo che nessun cinese dopo cento anni osi guardare un tedesco di traverso? (1) Se avessi parlato cosi', si potrebbe parlare di aizzamento. Ho forse tentato di ispirare nelle masse l'oscurantismo nazionale, lo sciovinismo, il disprezzo e l'odio per altre razze e popoli? Anche questo sarebbe stato certamente un aizzamento.
Ma io non ho parlato cosi' e cosi' non parla mai un socialdemocratico esperto. Quello che io ho fatto in quelle riunioni di Francoforte e quello che noi socialdemocratici facciamo sempre con la parola e con gli scritti e' di illuminare le masse operaie, renderle coscienti dei loro interessi di classe e dei loro compiti storici, far loro presenti le grandi linee dello sviluppo storico, le tendenze dei rivolgimenti economici politici e sociali che si compiono in seno alla nostra odierna societa', che porteranno necessariamente a far si' che a un certo momento della evoluzione l'attuale ordinamento sociale venga eliminato e sostituito dal superiore ordinamento socialistico. E cosi' noi, ponendoci sul terreno delle prospettive storiche che ha un'efficacia mobilitante, agitiamo e solleviamo anche la vita morale delle masse. Partendo dallo stesso grande punto di vista, noi procediamo - in quanto per noi socialdemocratici tutto porta a una concezione della vita armonica, coerente, posta su basi scientifiche - nella nostra agitazione contro la guerra e contro il militarismo. E se il signor procuratore coi suoi meschini testimoni principali non concepisce tutto cio' che come un semplice lavoro di aizzamento, questa concezione rozza e semplicistica e' dovuta unicamente e soltanto alla incapacita' del procuratore di stato di pensare in termini socialdemocratici.
Il procuratore di stato ha inoltre ripetutamente parlato dei miei pretesi accenni all'"assassinio dei superiori". Questi nascondevano, ma tutti comprendevano, l'accenno all'uccisione degli ufficiali, chiarendo cosi' in modo particolare la mia anima nera e la pericolosita' dei miei intendimenti. Io li prego di ammettere per un momento persino l'esattezza delle espressioni che mi sono state messe in bocca; in questo caso loro debbono riconoscere, dopo qualche riflessione, che proprio su questo punto il procuratore - nel lodevole tentativo di dipingermi il piu' nero che fosse possibile - e' andato completamente fuori strada. Infatti quando e contro quali "superiori" avrei incitato all'assassinio? La stessa accusa asserisce che io avrei raccomandato l'introduzione in Germania del sistema della milizia; avrei indicato come l'elemento essenziale di questo sistema, il dovere di consegnare alle truppe perche' le portino a casa, le armi personali come avviene in Svizzera. Ed a cio' - notare: a cio' - avrei aggiunto che le armi potevano poi andare anche in un senso diverso di quello gradito ai governanti. E' quindi chiaro: il procuratore mi accusa di aver incitato all'assassinio non dei superiori dell'attuale sistema militare tedesco, bensi' dei superiori della futura milizia tedesca! La nostra propaganda in favore del sistema della milizia viene combattuta al massimo e nell'accusa mi viene ascritta come delitto. E in pari tempo il procuratore di stato si sente indotto ad occuparsi della vita degli ufficiali di questo sistema della milizia cosi' rigorosamente proibito, che io vado mettendo in pericolo. Ancora un passo e il signor procuratore, nel fervore dello scontro, elevera' contro di me l'accusa di incitare ad attentati contro il Presidente della futura repubblica tedesca!
Che cosa ho detto in realta' del cosiddetto assassinio dei superiori? Qualcosa di assolutamente diverso! Nel mio discorso avevo accennato al fatto che l'attuale militarismo viene solitamente motivato dai suoi paladini ufficiali con la frase della necessaria difesa della patria. Se questo interesse della patria fosse inteso onestamente e sinceramente, allora - cosi' dicevo - le classi dominanti non avrebbero altro da fare che mettere in pratica la vecchia rivendicazione programmatica della socialdemocrazia, il sistema della milizia. Poiche' soltanto questa sarebbe l'unica sicura garanzia della difesa della patria, in quanto solamente il popolo libero, che entra in campo contro il nemico per propria decisione, e' un baluardo sufficiente e fidato per la liberta' e l'indipendenza della patria. Soltanto allora si potrebbe dire "Cara patria puoi stare tranquilla". Perche' dunque, chiedevo io, i paladini ufficiali della patria non vogliono sentir parlare di questo unico sistema efficace di difesa? Soltanto perche' ad essi non importa ne' in prima ne' in seconda linea della difesa della patria, quanto delle guerre di conquista imperialistica per le quali la milizia certo non serve. In piu' le classi dominanti hanno timore di mettere le armi in mano al popolo lavoratore, perche' la cattiva coscienza degli sfruttatori fa loro temere che le armi potrebbero andare anche in un senso non gradito ai governanti.
Cosi' quello che io formulavo quale timore delle classi governanti, mi viene imputato dal procuratore di stato, sulla base della parola dei suoi impacciati testimoni principali, come mio asserto personale. E' questa una nuova dimostrazione di quale guazzabuglio abbia causato nel suo cervello l'incapacita' assoluta di seguire il corso del pensiero socialdemocratico.
Del pari assolutamente falsa e' l'affermazione dell'accusa che io avrei raccomandato l'esempio olandese, secondo il quale nell'esercito coloniale il soldato e' libero di abbattere il superiore che lo maltratti. In realta', quella volta parlando in merito al militarismo e al maltrattamento dei soldati, citavo il nostro indimenticabile Bebel ricordando come uno dei capitoli piu' importanti della sua attivita' sia stato la lotta in seno al Reichstag contro il maltrattamento dei soldati. Per illustrare l'argomento citai allora vari discorsi di Bebel tratti dai resoconti stenografici delle sedute al Reichstag - i quali, per quanto mi consta, sono legalmente permessi -. Fra gli altri, quello del 1893 sui costumi dell'esercito coloniale olandese. Loro vedono, miei signori, come anche qui il signor procuratore nel suo zelo abbia preso un abbaglio: la sua accusa in ogni caso non doveva essere contestata a me ma a un altro.
Vengo ora al punto piu' rilevante dell'accusa. Il procuratore di stato ricava il suo attacco principale, cioe' l'affermazione che nel discorso incriminato io avrei incitato i soldati in caso di guerra a non sparare sul nemico contrariamente agli ordini, da una deduzione che gli sembra evidentemente di inconfutabile forza probante e di logica stringente. Egli deduce quanto segue: poiche' io facevo dell'agitazione contro il militarismo, poiche' io volevo impedire la guerra, non potevo evidentemente seguire altra via, non potevo avere in vista altro mezzo efficace che quello di intimare direttamente ai soldati: se vi si ordina di sparare, non sparate! Davvero signori giudici: quale conclusione convincente, quale logica stringente!
Tuttavia mi si permetta di dichiarare: questa logica e questa conclusione risultano dalla concezione del procuratore di stato, non dalla mia, non da quella della socialdemocrazia. A questo punto li prego di prestare particolare attenzione. Io dico: la conclusione che l'unico mezzo efficace per evitare le guerre consista nel rivolgersi direttamente ai soldati e di incitarli a non sparare - questa conclusione e' soltanto l'altra faccia di quella concezione secondo cui, fintantoche' il soldato obbedisce agli ordini dei suoi superiori, tutto nello Stato e' ben sistemato, secondo cui - per dirla in breve - il fondamento del potere statale e del militarismo e' rappresentato dall'obbedienza cadaverica del soldato. Questa concezione del signor procuratore trova un armonioso completamento ad esempio in quel discorso pubblicato ufficialmente dal massimo signore della guerra, secondo il quale il kaiser, ricevendo il re dei greci a Postdam il 6 novembre dello scorso anno, ha detto che la vittoria dell'esercito greco dimostra "che i principi seguiti dal nostro comando generale e dalle nostre truppe, se esattamente applicati, portano sempre alla vittoria". Il comando generale con i suoi "principi" ed il soldato con la sua obbedienza cadaverica - ecco le basi della condotta della guerra e la garanzia della vittoria. Ora, noi socialdemocratici non siamo precisamente di questa opinione. Noi pensiamo piuttosto che per l'insorgere e per l'esito delle guerre non siano decisivi soltanto l'esercito, i "comandi" dall'alto e l'obbedienza cieca in basso, ma che sia la grande massa del popolo lavoratore che decide e che deve decidere. Noi siamo d'opinione che le guerre possono venire condotte solo quando e solo finche' la massa del popolo lavoratore o le fa con entusiasmo, perche' le ritiene cosa giusta o necessaria, o almeno le sopporta pazientemente. Quando invece la grande maggioranza della popolazione lavoratrice arriva a convincersi - e svegliare in essa questo convincimento, questa coscienza e' proprio il compito che ci poniamo noi socialdemocratici - quando, dico, la maggioranza del popolo giunge a convincersi che le guerre sono un fenomeno barbaro, profondamente immorale, reazionario e nemico del popolo, allora le guerre sono diventate impossibili - ed il soldato obbedisca pure in principio ai comandi dei superiori! Secondo il concetto del procuratore di stato la parte che fa la guerra e' l'esercito, secondo il nostro, e' il popolo. Questo ha da decidere se le guerre vanno fatte o no. E' alla massa degli uomini e delle donne che lavorano, vecchi e giovani, che spetta decidere circa l'essere o non essere del militarismo attuale, e non a quella piccola particella di questo popolo che sta nel cosiddetto abito del re (2).
E se ho detto questo, ho contemporaneamente una classica testimonianza in mano, che questa e' in realta' la mia, la nostra concezione.
Per caso sono in grado di rispondere alla domanda del procuratore di stato di Francoforte: chi avessi inteso allorche', in un mio discorso tenuto a Francoforte, dissi: "noi non facciamo questo". Il 17 aprile 1910 ho parlato qui, al Circo Schumann, davanti a circa 6.000 persone, sulla lotta per il diritto di voto in Prussia - come sanno, allora la nostra lotta era al suo apice e trovo nel testo stenografico di quel discorso a p. 10 il seguente passo:
"Egregi ascoltatori! Io dico: nell'attuale lotta per il diritto di voto, come in tutte le questioni politiche importanti del progresso in Germania, siamo tutti soli, abbandonati a noi stessi. Ma chi siamo "noi"? "Noi" siamo i milioni di proletari e proletarie di Prussia e Germania. Si', noi siamo piu' di un numero. Noi siamo i milioni di coloro del cui lavoro manuale vive la societa'. E basta che questo semplice fatto metta radici nella coscienza delle piu' larghe masse del proletariato tedesco, perche' venga infine il momento che in Prussia sia dimostrato alla reazione imperante che il mondo puo' ben fare a meno degli Junker dell'Elba orientale, ed anche dei conti del Centro, e dei consiglieri segreti ed occorrendo anche dei procuratori di stato (agitazione), ma che non puo' esistere ventiquattro ore, se gli operai incrociano le braccia".
Loro vedono che io esprimo chiaramente quale sia secondo il nostro modo di vedere il centro di gravita' della vita politica e dei destini dello Stato: nella coscienza, nella volonta' chiaramente formata, nella decisione della grande massa lavoratrice. E proprio cosi' pure concepiamo la questione del militarismo. Se la classe operaia giunge alla maturita' e alla decisione di non permettere piu' guerre, le guerre sono diventate impossibili.
Ma io ho ancora altre dimostrazioni del fatto che noi comprendiamo cosi' e non in altro modo l'agitazione antimilitaristica. Io debbo stupirmi: il procuratore di stato si da' grande pena per distillare con interpretazioni, ipotesi, deduzioni arbitrarie dalle mie parole in qual guisa io abbia potuto pensare di agire contro la guerra. Aveva invece a disposizione materiale dimostrativo in quantita'. Noi non conduciamo la nostra agitazione antimilitaristica nella segreta oscurita', nascostamente - no, alla piu' chiara luce della pubblicita'. Da decenni la lotta contro il militarismo forma l'oggetto principale della nostra agitazione. Fin dalla vecchia Internazionale e' oggetto di discussioni e voti di quasi tutti i congressi, come pure dei congressi del partito tedesco. Il procuratore di stato non avrebbe che da affondare le mani nella piena realta' della vita: in qualunque punto avesse afferrato, sarebbe sempre interessante. Non mi e' possibile, sfortunatamente, esporre qui tutto l'ampio materiale relativo. Mi permettano tuttavia di citare l'essenziale.
Gia' il congresso di Bruxelles dell'Internazionale, nell'anno 1868, indica misure pratiche per impedire la guerra. Nella sua risoluzione e' detto fra l'altro:
"Che i popoli possono gia' attualmente limitare il numero delle guerre, opponendosi a coloro che le guerre fanno e dichiarano;
"che questo diritto spetta in modo particolare alle classi operaie, che sono quasi le sole che vengono chiamate al servizio militare e che per questa ragione sono le sole che possano dare una sanzione;
"che a tale scopo esse hanno a disposizione un mezzo pratico, legale e di immediata realizzazione;
"che la societa' non potrebbe infatti continuare a vivere se la produzione venisse a cessare per qualche tempo. I lavoratori-produttori non avrebbero quindi che da cessare di produrre per rendere impossibili ai governi personali e dispotici di porre in atto le loro imprese;
"il congresso di Bruxelles dell'Associazione internazionale dei lavoratori dichiara di protestare energicamente contro la guerra ed invita tutte le sezioni dell'associazione nei singoli paesi, come pure tutte le societa' operaie e le organizzazioni operaie senza distinzione, ad agire con il massimo impegno onde evitare una guerra fra popolo e popolo che, al giorno d'oggi, in quanto guerra fatta fra lavoratori, quindi fratelli e cittadini, sarebbe da ritenersi una guerra civile.
"Il congresso raccomanda ai lavoratori specialmente la sospensione del lavoro nel caso che nei loro rispettivi paesi scoppiasse una guerra".
Lascio da parte le altre numerose risoluzioni della vecchia Internazionale e passo al congresso della nuova Internazionale. E il congresso di Zurigo del 1893 dichiarava:
"La posizione dei lavoratori nei confronti della guerra e' nettamente definita dalle conclusioni del congresso di Bruxelles sul militarismo. La socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale deve opporsi in tutti i paesi e con tutte le sue forze alle brame schiavistiche della classe dominante; rinsaldare sempre piu' fermamente il legame di solidarieta' fra i lavoratori di tutti i paesi; operare senza tregua per l'eliminazione del capitalismo che divide l'umanita' in due campi nemici e aizza i popoli gli uni contro gli altri. Con il superamento del dominio di classe scompare anche la guerra. La caduta del capitalismo e' la pace del mondo".
Il congresso di Londra del 1896 dichiara:
"Soltanto la classe operaia puo' avere la seria volonta' e conseguire il potere di stabilire la pace nel mondo. A tale scopo chiede:
1. Contemporanea abolizione degli eserciti permanenti in tutti gli Stati e istituzione dell'armamento popolare.
2. Istituzione di un tribunale arbitrale internazionale, le cui decisioni abbiano forza di legge.
3. Decisione definitiva su guerra o pace direttamente da parte del popolo, nel caso che i governi non intendessero accettare la decisione del tribunale arbitrale".
Il congresso di Parigi del 1900 consiglia specialmente come mezzo pratico di lotta contro il militarismo:
"Che i partiti socialisti intraprendano ovunque l'educazione e la organizzazione dei giovani allo scopo di combattere il militarismo e proseguano nello sforzo con il massimo fervore".
Mi permettano ancora di riportare un passo importante della risoluzione del congresso di Stoccarda del 1907, nel quale e' raccolta con grande plasticita' tutta una serie di misure pratiche da prendersi da parte della socialdemocrazia nella lotta contro la guerra. E' detto:
"In realta', a partire dal congresso internazionale di Bruxelles il proletariato ha intrapreso le piu' svariate forme di azione nella sua lotta instancabile contro il militarismo con crescente energia e successo, rifiutando i mezzi per l'armamento di terra e di mare, tentando di democratizzare l'organizzazione militare, nell'intento di evitare lo scoppio di guerre o di farle cessare, nonche' in quello di sfruttare gli squilibri della societa' provocati dalla guerra a vantaggio della liberazione della classe operaia: cosi' specialmente l'accordo dei sindacati inglesi e francesi dopo l'incidente di Fascioda, per assicurare la pace e per il ristabilimento di amichevoli relazioni fra Francia ed Inghilterra; l'atteggiamento dei partiti socialisti al parlamento tedesco e a quello francese nel corso della crisi marocchina; le manifestazioni avvenute allo stesso scopo ad opera dei socialisti francesi e tedeschi; l'azione comune dei socialisti austriaci e italiani che si riunivano a Trieste per evitare un conflitto fra i due Stati; inoltre, l'intervento energico delle masse operaie socialiste svedesi al fine di impedire un attacco alla Norvegia; da ultimo l'eroico sacrificio e le lotte di massa degli operai e dei contadini socialisti di Russia e Polonia per opporsi alla guerra scatenata dallo zarismo, per farla cessare e per utilizzare la crisi per la liberazione dei paesi e delle classi lavoratrici. Tutti questi sforzi testimoniano la potenza crescente del proletariato e il suo crescente impulso ad assicurare il mantenimento della pace mediante interventi decisivi".
Ed ora io chiedo: trovano lor signori in tutte queste risoluzioni e conclusioni anche una sola intimazione che voglia significare che noi ci mettiamo davanti ai soldati e gridiamo loro: non sparate! E perche'? Forse perche' temiamo le conseguenze di una simile agitazione, gli articoli punitivi? Oh, saremmo gente misera e dappoco se per paura delle conseguenze tralasciassimo qualche cosa che avessimo riconosciuta necessaria e utile. No, noi non lo facciamo perche' diciamo: quelli che sono nel cosiddetto abito del re sono soltanto una parte della popolazione lavoratrice e se questa raggiunge la necessaria coscienza che la guerra e' riprovevole e dannosa al popolo, allora anche i soldati comprenderanno (da soli), senza le nostre intimazioni, quel che devono fare nel caso specifico.
Loro vedono, signori, come la nostra agitazione contro il militarismo non sia tanto povera e semplicistica come la immagina il signor procuratore. Abbiamo a nostra disposizione molti e diversi mezzi d'azione: educazione dei giovani - e noi questo mezzo applichiamo con energia e risultato duraturo, nonostante tutte le difficolta' che ci vengono frapposte -, propaganda in favore del sistema della milizia, riunioni di massa, dimostrazioni di piazza... E per ultimo: guardino all'Italia. Come hanno risposto laggiu' i lavoratori coscienti all'avventura tripolina? Con uno sciopero dimostrativo di massa, che e' stato condotto nel modo piu' brillante. E come ha reagito di conseguenza la socialdemocrazia tedesca? Il 12 novembre 1912 gli operai berlinesi votavano in dodici assemblee una risoluzione nella quale ringraziavano i compagni italiani per lo sciopero di massa.
Gia', lo sciopero di massa! dice il procuratore di stato. E' proprio qui che egli crede di avermi afferrata di nuovo, nelle mie pericolosissime idee di distruzione di governi. Il procuratore di stato basava oggi la sua accusa specialmente insistendo sulla mia opera di agitazione per lo sciopero di massa, al quale egli legava le piu' spaventose prospettive di rovesciamento violento, quali possono esistere soltanto nella fantasia di un procuratore di stato prussiano. Signor procuratore di stato, se io potessi presupporre in lei la minima possibilita' di afferrare una piu' nobile concezione storica, il nesso delle idee socialdemocratiche, le spiegherei, come faccio con successo in ogni riunione popolare, che gli scioperi di massa in quanto rappresentano un momento determinato nella evoluzione delle condizioni attuali, non vengono "fatti", cosi' come non si "fanno" le rivoluzioni. Gli scioperi di massa sono una tappa della lotta di classe, alla quale ci porta ad ogni modo con necessita' naturale il nostro sviluppo attuale. Tutto il nostro compito, della socialdemocrazia, a questo riguardo consiste nel rendere chiara alla coscienza della classe operaia questa tendenza dello sviluppo, affinche' i lavoratori siano all'altezza dei loro compiti, una massa di popolo educata, disciplinata, matura, decisa e attiva.
Anche qui, come loro vedono, quando il procuratore di stato nell'accusa agita il fantasma dello sciopero di massa quale egli lo concepisce, vuol punirmi in realta' per i suoi pensieri e non per i miei.
Ora voglio concludere. Una cosa soltanto vorrei rilevare ancora. Nella sua esposizione, il signor procuratore ha dedicato molta attenzione specialmente alla mia piccola persona. Mi ha descritta come un grande pericolo per la sicurezza dell'ordine statale, non ha nemmeno disdegnato di scendere a un livello volgare e mi ha chiamata "Rosa rossa". Ha anche osato insinuare sospetti nei riguardi del mio onore personale, esponendo il timore che io fuggissi nel caso la sua proposta di condanna venisse accolta. Signor procuratore, non mi degno di rispondere per la mia persona a tutti i suoi attacchi. Ma una cosa voglio dirle: Lei non conosce la socialdemocrazia. (Il presidente, interrompendo: "Noi non possiamo ascoltare qui un discorso politico"). Nel solo 1913 molti suoi colleghi hanno lavorato col sudore alla fronte, in modo da riversare sulla nostra stampa un totale di 60 mesi di carcere. Ha forse lei sentito dire che uno solo dei condannati abbia tentato la fuga per timore del castigo? Crede lei che questa infinita' di condanne abbia portato anche un solo socialdemocratico a vacillare, oppure lo abbia scosso nell'adempimento del suo dovere? Oh no, la nostra opera se ne ride di tutti i raggiri dei suoi paragrafi punitivi, essa cresce e prospera nonostante tutti i procuratori di stato!
Per ultimo, ancora una parola soltanto sull'attacco inqualificabile che ricade sul suo autore. Il procuratore di stato ha detto testualmente - me lo son notato - che egli propone l'arresto immediato perche' "sarebbe inconcepibile che l'accusata non tentasse la fuga". Cio' vuol dire in altre parole: se io, procuratore di stato, avessi da scontare un anno di carcere, io tenterei la fuga. Signor procuratore, le credo, lei fuggirebbe. Un socialdemocratico non fugge. Egli conferma i suoi atti e se ne ride dei suoi castighi. E adesso mi condannino.
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Note
1. Rosa Luxemburg allude qui ironicamente al famoso discorso dell'imperatore Guglielmo II, rivolto ai soldati tedeschi in partenza per la Cina per partecipare alla spedizione internazionale contro la rivolta dei Boxer.
2. Divisa militare.

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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 99 del 9 aprile 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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