[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 80



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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 80 del 21 marzo 2023

In questo numero:
1. Un appello di donne: Addio alle armi. Nel mondo con uno sguardo femminile amorevole e irriducibile
2. Una lettera per la liberazione di Leonard Peltier
3. Alcuni riferimenti utili
4. Maria Malatesta: Bianca Guidetti Serra

1. REPETITA IUVANT. UN APPELLO DI DONNE: ADDIO ALLE ARMI. NEL MONDO CON UNO SGUARDO FEMMINILE AMOREVOLE E IRRIDUCIBILE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo e diffondiamo il seguente appello del 2 febbraio 2023]

Per un otto marzo memorabile facciamo parlare la lingua-ragione, la lingua madre, fonte della vita, contro le non-ragioni di tutte le guerre. Da anni scriviamo e ripetiamo che gli uomini "non sanno confliggere e fanno la guerra". Assistiamo in Ucraina a una guerra sanguinosa e temeraria. A farla non e' piu' il patriarcato come l'hanno conosciuto le nostre madri e le nostre nonne. Il mondo e' cambiato, grazie alle donne, ma non abbastanza: oggi il patriarcato non c'e' piu', ma gli e' subentrata la fratria, fatta di confraternite maschili che possono includere anche sorelle. La fratria fa la guerra e non ascolta la lingua-ragione, e popoli che parlano la stessa lingua si scannano col contributo delle armi di tutti i governi aderenti alla Nato. Diciamo basta all'invio di armi di qualsiasi tipo. Basta alla guerra per procura. Basta alla devastazione dell'Ucraina. Basta col nichilismo distruttivo che prende a bersaglio i corpi delle donne e dei loro figli in tutto il mondo. Basta coi vecchi potenti che mandano al macello giovani vite, in nome dell'identita', della "democrazia" e della sicurezza dei confini.
Noi non staremo nel coro degli uomini incolti e delle donne che li seguono e li imitano. E' tempo di dire addio alle armi, a tutte le armi e a tutte le guerre. In tempo di autentica pace si confligge con le armi della parola e l'intelligenza d'amore. E' tempo di gridare il nostro desiderio di vita e liberta'.
Liberta' dalla guerra, si', ma non solo: anche in luoghi apparentemente in pace, la fratria nella sua ricerca di nuovi orizzonti di profitto e nel suo disprezzo per la fonte della vita vuole cancellare tutte le differenze e rendere il mondo un deserto asessuato di surrogati e robot che sostituiscano la ricchezza delle relazioni di corpi sessuati. Noi che amiamo la vita diciamo no alla mercificazione dei corpi con le piu' sofisticate tecnologie. Poniamo fine alla pulsione mortifera dell'ultraliberismo.
Ci piace ricordare le parole che Rosa Luxemburg scrisse in una lettera dal carcere nel 1918:
C'e' ancora molto da vivere e tanto di grande da affrontare. Stiamo assistendo all'affondare del vecchio mondo, ogni giorno ne scompare un pezzo. E' un crollo gigantesco, e molti non se ne accorgono, pensano di essere ancora sulla terraferma.
Facciamo in modo che dal crollo del vecchio mondo, retto dai paradigmi della forza, del dominio, della violenza, nasca una nuova convivenza che abbia a fondamento l'attenzione, la cura, l'amore del vivente.
Diamo vita in questo 8 marzo 2023 a iniziative che vadano in questa direzione.
A Milano ne discutiamo sabato 11 marzo alle 11,00 in un'assemblea pubblica di donne alla Casa Rossa, v. Monte Lungo 2 (MM1 Turro).
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Per contatti: addioallearmi2023 at gmail.com
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Laura Minguzzi, Silvia Baratella, Cristina Gramolini, Stella Zaltieri Pirola, Lucia Giansiracusa, Daniela Dioguardi, Roberta Trucco, Daniela Danna, Paola Mammani, Flavia Franceschini, Marilena Zirotti, Danila Giardina, Rosi Castellese, Mariella Pasinati, Anna La Mattina, Agata Schiera, Fausta Ferruzza, Virginia Dessy, Daniela Musumeci, Anna De Filippi, Stefania Macaluso, Mimma Glorioso, Eliana Romano, Bice Grillo, Ida La Porta, Francesca Traina, Anna Marrone, Mimma Grillo, Luciana Tavernini, Pina Mandolfo, Nunziatina Spatafora, Maria Castiglioni, Giovanna Minardi, Rita Calabrese, Concetta Pizzurro, Giovanna Camertoni, Roberta Vannucci, Adele Longo, Katia Ricci, Anna Potito, Rosy Daniello, Isa Solimando, Franca Fortunato, Nadia Schavecher

2. REPETITA IUVANT. UNA LETTERA PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER

Di seguito una proposta di testo della lettera da inviare al Presidente degli Stati Uniti d'America recante la richiesta della grazia presidenziale per Leonard Peltier, e le istruzioni per inviarla attraverso il sito della Casa Bianca.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: copiare e incollare il messaggio seguente:
Mr. President,
Although I reside far from your country, I am aware of the injustice that has persisted for 47 years against Leonard Peltier, who was denied a review of his trial even after exculpatory evidence emerged for the events of June 26, 1975 on the Pine Ridge (SD) reservation where two federal agents and a Native American lost their lives.
I therefore appeal to your supreme authority to pardon this man, now elderly and ill, after nearly half a century of imprisonment.
I thank you in advance for your positive decision, with best regards.
Traduzione italiana del testo che precede:
Signor Presidente,
sebbene io risieda lontano dal Suo Paese, sono consapevole dell'ingiustizia che persiste da 47 anni nei confronti di Leonard Peltier, al quale e' stata negata la revisione del processo anche dopo che sono emerse prove a discarico per gli eventi del 26 giugno 1975 nella riserva di Pine Ridge (South Dakota) in cui persero la vita due agenti federali e un nativo americano.
Mi appello quindi alla Sua suprema autorita' affinche' conceda la grazia a questo uomo, ormai anziano e malato, dopo quasi mezzo secolo di detenzione.
La ringrazio fin d'ora per la Sua decisione positiva, con i migliori saluti.
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Allegati:
1. una minima notizia biografica su Leonard Peltier;
2. una minima notizia bibliografica su Leonard Peltier.
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1. una minima notizia biografica su Leonard Peltier
Leonard Peltier nasce a Grand Forks, nel North Dakota, il 12 settembre 1944.
Nell'infanzia, nell'adolescenza e nella prima giovinezza subisce pressoche' tutte le vessazioni, tutte le umiliazioni, tutti i traumi e l'emarginazione che il potere razzista bianco infligge ai nativi americani. Nella sua autobiografia questo processo di brutale alienazione ed inferiorizzazione e' descritto in pagine profonde e commoventi.
Nei primi anni Settanta incontra l'American Indian Movement (Aim), fondato nel 1968 proprio per difendere i diritti e restituire coscienza della propria dignita' ai nativi americani; e con l'impegno nell'Aim riscopre l'orgoglio di essere indiano - la propria identita', il valore della propria cultura, e quindi la lotta per la riconquista dei diritti del proprio popolo e di tutti i popoli oppressi.
Partecipa nel 1972 al "Sentiero dei trattati infranti", la carovana di migliaia di indiani che attraversa gli Stati Uniti e si conclude a Washington con la presentazione delle rivendicazioni contenute nel documento detto dei "Venti punti" che il governo Nixon non degna di considerazione, e con l'occupazione del Bureau of Indian Affairs.
Dopo l'occupazione nel 1973 da parte dell'Aim di Wounded Knee (il luogo del massacro del 1890 assurto a simbolo della memoria del genocidio delle popolazioni native commesso dal potere razzista e colonialista bianco)  nella riserva di Pine Ridge - in cui Wounded Knee si trova - si scatena la repressione: i nativi tradizionalisti ed i militanti dell'Aim unitisi a loro nel rivendicare l'identita', la dignita' e i diritti degli indiani, vengono perseguitati e massacrati dagli squadroni della morte del corrotto presidente del consiglio tribale Dick Wilson: uno stillicidio di assassinii in cui i sicari della polizia privata di Wilson (i famigerati "Goons") sono favoreggiati dall'Fbi che ha deciso di perseguitare l'Aim ed eliminarne i militanti con qualunque mezzo.
Nel 1975 per difendersi dalle continue aggressioni dei Goons di Wilson, alcuni residenti tradizionalisti chiedono l'aiuto dell'Aim, un cui gruppo di militanti viene ospitato nel ranch della famiglia Jumping Bull in cui organizza un campo di spiritualita'.
Proprio in quel lasso di tempo Dick Wilson sta anche trattando in segreto la cessione di una consistente parte del territorio della riserva alle compagnie minerarie.
Il 26 giugno 1975 avviene l'"incidente a Oglala", ovvero la sparatoria scatenata dall'Fbi che si conclude con la morte di due agenti dell'Fbi, Jack Coler e Ronald Williams, e di un giovane militante dell'Aim, Joe Stuntz, e la successiva fuga dei militanti dell'Aim superstiti guidati da Leonard Peltier che riescono ad eludere l'accerchiamento da parte dell'Fbi e degli squadroni della morte di Wilson.
Mentre nessuna inchiesta viene aperta sulla morte della giovane vittima indiana della sparatoria, cosi' come nessuna adeguata inchiesta era stata aperta sulle morti degli altri nativi assassinati nei mesi e negli anni precedenti da parte dei Goons, l'Fbi scatena una vasta e accanita caccia all'uomo per vendicare la morte dei suoi due agenti: in un primo momento vengono imputati dell'uccisione dei due agenti quattro persone: Jimmy Eagle, Dino Butler, Leonard Peltier e Bob Robideau.
Dino Butler e Bob Robideau vengono arrestati non molto tempo dopo, processati a Rapid City ed assolti perche' viene loro riconosciuta la legittima difesa.
A quel punto l'Fbi decide di rinunciare a perseguire Jimmy Eagle e di concentrare le accuse su Leonard Peltier, che nel frattempo e' riuscito a riparare in Canada; li' viene arrestato ed estradato negli Usa sulla base di due affidavit di una "testimone" che lo accusano menzogneramente del duplice omicidio; la cosiddetta "testimone" successivamente rivelera' di essere stata costretta dall'Fbi a dichiarare e sottoscrivere quelle flagranti falsita'.
Peltier viene processato non a Rapid City come i suoi compagni gia' assolti per legittima difesa ma a Fargo, da una giuria di soli bianchi, in un contesto razzista fomentato dall'Fbi.
Viene condannato a due ergastoli nonostante sia ormai evidente che le testimonianze contro di lui erano false, estorte ai testimoni dall'Fbi con gravi minacce, e nonostante che le cosiddette prove contro di lui fossero altrettanto false.
Successivamente infatti, grazie al Freedom of Information Act, fu possibile accedere a documenti che l'Fbi aveva tenuto nascosti e scoprire che non era affatto il cosiddetto "fucile di Peltier" ad aver ucciso i due agenti.
In carcere, si organizza un tentativo di ucciderlo, che viene sventato in modo rocambolesco; ma anche se riesce a salvarsi la vita Leonard Peltier viene sottoposto a un regime particolarmente vessatorio e le sue condizioni di salute ben presto si aggravano.
Tuttavia anche dal carcere, anche in condizioni di particolare durezza, Leonard Peltier riesce a svolgere un'intensa attivita' di testimonianza, di sensibilizzazione, di militanza, finanche di beneficenza; un'attivita' non solo di riflessione e d'impegno morale, sociale e politico, ma anche artistica e letteraria; nel corso degli anni diventa sempre piu' un punto di riferimento in tutto il mondo, come lo fu Nelson Mandela negli anni di prigionia nelle carceri del regime dell'apartheid.
La sua liberazione viene chiesta da illustri personalita', ma e' costantemente negata da parte di chi ha il potere di concederla. Analogamente la richiesta di un nuovo pronunciamento giudiziario e' sempre respinta, cosi' come gli vengono negate tutte le altre guarentigie riconosciute a tutti i detenuti.
Nel 1983 e poi in seconda edizione nel 1991 viene pubblicato il libro di Peter Matthiessen che fa piena luce sulla persecuzione subita da Leonard Peltier.
Nel 1999 viene pubblicata l'autobiografia di Leonard Peltier (presto tradotta anche in francese, italiano, spagnolo e tedesco).
Ma nei primi anni Duemila il processo per la tragica morte di un'altra militante del'Aim, Anna Mae Aquash, viene strumentalizzato dall'Fbi per orchestrare una nuova squallida e grottesca campagna diffamatoria e persecutoria nei confronti di Leonard Peltier. E nel 2009 un agente speciale che aveva avuto un ruolo fondamentale nella "guerra sporca" dell'Fbi contro l'Aim, Joseph Trimbach, da' alle stampe un libro che e' una vera e propria "summa" delle accuse contro Leonard Peltier.
Tuttavia e' ormai chiarissimo che Peltier e' innocente, e la prova definitiva dell'innocenza la da' proprio il libro di Trimbach: in quest'opera il cui scopo dichiarato e' dimostrare che l'Aim e' nient'altro che un'organizzazione criminale e terroristica, e che Leonard Peltier e' nient'altro che un efferato assassino, l'autore non solo non presenta alcuna vera prova contro Peltier, ma di fatto conferma cosi' che prove contro Peltier non ci sono.
Ma gli anni continuano a passare e la solidarieta' con Leonard Peltier non riesce ad ottenerne la liberazione. Occlusa proditoriamente la via giudiziaria, resta solo la grazia presidenziale, ma quando alcuni presidenti statunitensi lasciano intendere di essere disposti a prendere in considerazione un atto di clemenza che restituirebbe la liberta' a Leonard Peltier la reazione dell'Fbi e' minacciosa. Clinton prima e Obama poi rinunciano. Pavidita' dinanzi alla capacita' di intimidazione anche nei confronti della Casa bianca da parte dell'Fbi?
E giungiamo ad oggi: Leonard Peltier, che e' gia' affetto da gravi patologie, alcuni mesi fa e' stato anche malato di covid: nuovamente chiediamo al presidente degli Stati Uniti che sia liberato e riceva cure adeguate. Non muoia in carcere un uomo innocente, non muoia in carcere un eroico lottatore per i diritti umani di tutti gli esseri umani e per la difesa del mondo vivente.
Leonard Peltier deve essere liberato non solo perche' e' anziano e malato, ma perche' e' innocente.
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2. una minima notizia bibliografica su Leonard Peltier
- Edda Scozza, Il coraggio d'essere indiano. Leonard Peltier prigioniero degli Stati Uniti, Erre Emme, Pomezia (Roma) 1996 (ora Roberto Massari Editore, Bolsena Vt).
- Peter Matthiessen, In the Spirit of Crazy Horse, 1980, Penguin Books, New York 1992 e successive ristampe; in edizione italiana: Peter Matthiessen, Nello spirito di Cavallo Pazzo, Frassinelli, Milano 1994.
- Leonard Peltier (con la collaborazione di Harvey Arden), Prison writings. My life is my sun dance, St. Martin's Griffin, New York 1999; in edizione italiana: Leonard Peltier, La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, Roma 2005.
- Jim Messerschmidt, The Trial of Leonard Peltier, South End Press, Cambridge, MA, 1983, 1989, 2002 (disponibile in edizione digitale nel sito dell'"International Leonard Peltier Defense Committee": www.whoisleonardpeltier.info)-
- Bruce E. Johansen, Encyclopedia of the American Indian Movement, Greenwood, Santa Barbara - Denver - Oxford, 2013 e piu' volte ristampata.
- Ward Churchill e Jim Vander Wall, Agents of Repression: The FBI's Secret Wars Against the Black Panther Party and the American Indian Movement, South End Press, Boulder, Colorado, 1988, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022.
- Ward Churchill e Jim Vander Wall, The COINTELPRO Papers: Documents from the FBI's Secret Wars Against Dissent in the United States, South End Press, Boulder, Colorado, 1990, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022.
- Joseph H. Trimbach e John M. Trimbach, American Indian Mafia. An FBI Agent's True Story About Wounded Knee, Leonard Peltier, and the American Indian Movement (AIM), Outskirts Press, Denver 2009.
- Roxanne Dunbar-Ortiz, An Indigenous Peoples' History of the United States, Beacon Press, Boston 2014.
- Dick Bancroft e Laura Waterman Wittstock, We Are Still Here. A photographic history of the American Indian Movement, Minnesota Historical Society Press, 2013.
- Michael Koch e Michael Schiffmann, Ein leben fur Freiheit. Leonard Peltier und der indianische Widerstand, TraumFaenger Verlag, Hohenthann 2016.

3. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI

Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com

4. MAESTRE. MARIA MALATESTA: BIANCA GUIDETTI SERRA
[Riproponiamo dal Dizionario biografico degli italiani (2018), nel sito www.treccani.it]

Bianca Guidetti Serra nacque a Torino il 19 agosto 1919, primogenita di Carlo, avvocato e di Clotilde Toretta.
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La famiglia e gli anni della formazione
Le origini della famiglia erano modeste. Il nonno materno era un falegname torinese; quello paterno un piccolo proprietario terriero dell'Alessandrino emigrato in Argentina; la madre faceva la sarta. A far ascendere la famiglia al livello della media borghesia fu il padre che al ritorno da Buenos Aires si laureò in Giurisprudenza e si mise ad esercitare la professione di avvocato. Nei pochi accenni che Guidetti Serra dedicò alla figura paterna nella sua autobiografia è messo in evidenza l'influsso culturale che ebbe su di lei e su Carla, la sorella più piccola che scelse di compiere studi artistici, diplomandosi all'Accademia di belle arti dove fu allieva del pittore Felice Casorati. A lei invece trasmise il capitale culturale rappresentato dalla professione di avvocato. Rimasta orfana del padre nel 1938 all'età di diciannove anni, in quello stesso anno conseguì la maturità classica e si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, compiendo una scelta inconsueta per il tempo. Nel 1936 le iscritte a Giurisprudenza erano il 3,1% del complesso degli iscritti, mentre il censimento generale della popolazione del 1931 registrava lo 0,6% di donne che svolgevano la professione di avvocato e di procuratori su un totale di 27.951 esercenti. La liberalizzazione dell'accesso delle donne all'avvocatura decretata nel 1919 era stata seguita durante il fascismo da una nuova chiusura. Le poche donne che imboccavano gli studi giuridici e le pochissime che si avventuravano nell'esercizio della professione legale avevano alle spalle reti familiari composte da padri, fratelli o mariti che garantivano poi la possibilità di lavorare all'interno di studi legali. Per Bianca il sostegno paterno non poté andare oltre il condizionamento del suo immaginario. La perdita del capofamiglia, che era un avvocato conosciuto ma non ricco, cambiò la vita delle tre donne. Le loro entrate si ridussero drasticamente, tanto che la madre si rimise a fare la sarta e Bianca trovò impiego come assistente sociale presso le industrie del Torinese per conto dell'Unione industriale. Il contatto con la realtà di fabbrica e i problemi sociali che a essa erano collegati suscitò in lei un interesse nei confronti dell'universo operaio che non venne mai meno e che esercitò un forte influsso sulle sue scelte politiche e sulla futura professione.
Nonostante le difficoltà conseguì la laurea nel 1943, con una tesi dedicata al senso morale dei minori, preparata intervistando quaranta detenuti dell'istituto di correzione Ferrante Aporti e, per costruire un confronto, altrettanti studenti del famoso liceo classico D'Azeglio.
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La Resistenza e l'adesione al Partito comunista
Guidetti Serra appartenne a quella generazione di avvocati militanti europei che gravitavano nell'area della sinistra e che formarono la loro  coscienza politica durante la seconda guerra mondiale. La lotta contro il nazifascismo fu decisiva nei confronti del loro orientamento politico e condizionò le modalità di esercizio della professione forense dopo la guerra.
Aderì al Partito comunista (allora PCd'I) prima di entrare nella Resistenza e non viceversa, come invece accadde ad altri avvocati militanti italiani e non. L'incontro con un aderente al PCd'I e la scelta di aderire all'organizzazione, infatti, avvenne davanti ai cancelli della FIAT nel marzo 1943, nel corso dei grandi scioperi operai che diedero una spallata decisiva alla crisi finale del regime. Alla caduta del fascismo lavorò alla formazione dei Gruppi di difesa della donna e per l'assistenza ai combattenti della libertà, nei quali la lotta per la riconquista collettiva della libertà si univa alla rivendicazione dei diritti delle donne, esperienza destinata anch'essa a influenzarla lungamente.
Dotata di una personalità spiccatamente indipendente, già in questi anni fu capace di grandi gesti di autonomia.
Nel 1938 aveva conosciuto Alberto Salmoni, divenuto suo marito nel maggio 1945, che la introdusse nel milieu intellettuale ebraico, dove intrecciò amicizie di lunga data come quella con Primo Levi. Al pari di molti altri ebrei torinesi, Salmoni era vicino al gruppo di Giustizia e Libertà, nelle cui fila compì la sua esperienza resistenziale. Non poteva condividire, dunque, la scelta di Bianca di aderire al PCd'I, ma lei non si fece influenzare e restò una militante comunista fino a quando maturò le ragioni per allontanarsi dal partito.
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Dalla parte delle donne e l'inizio della professione di avvocata
La Resistenza e i Gruppi di difesa costituirono una scelta di campo politica, dalla parte delle donne e in difesa dei loro diritti. Un femminismo concreto, quello di Guidetti Serra, non ideologico, basato su battaglie puntuali, su esperienze di vita vissuta, a cui restò sempre fedele. Donne, operaie, compagne: soggetti deboli perché provviste di meno diritti ma forti nella solidarietà e nelle lotte, a cui tributò gli onori raccogliendone le memorie della lotta partigiana. Compagne, due volumi di interviste (Torino 1977) che raccontano in modo diretto o indiretto le storia di quarantanove donne in gran parte operaie, militanti e antifasciste che parteciparono alla lotta di liberazione anche al prezzo della loro vita, sono un documento eloquente del segno lasciato sull'avvocata da un'esperienza resistenziale vissuta al femminile. È significativo che ad essa ritornasse negli anni Settanta per cercare nel ricordo di quella Resistenza l'aiuto per comprendere il presente e per superarne le difficoltà, ma anche per il bisogno di riannodare la memoria delle donne della generazione precedente al nuovo femminismo.
Alla fine della guerra proseguì il suo impegno nell'Unione donne italiane (UDI), in cui confluirono i Gruppi di difesa degli anni della Resistenza. Lavorò anche presso la Camera del lavoro di Torino, dove fu responsabile della commissione femminile, si occupò del sindacato dei tessili ed era impiegata presso l'Ufficio legale.
Il ruolo di funzionaria del sindacato le andava stretto e dopo aver superato nel 1947 l'esame da procuratore legale (che all'epoca era il primo scoglio da affrontare per diventare, dopo sei anni di esercizio professionale, avvocato), iniziò a far pratica presso lo studio di un legale comunista. Nel 1951 si mise in proprio, ricevendo i clienti in casa seduta alla scrivania che era stata di suo padre. Decise che si sarebbe dedicata al diritto penale. Si trattava di un'altra scelta ardimentosa fatta in un'epoca nella quale le avvocate continuavano a essere delle mosche bianche (nel 1951 erano l'1,2% su 29.924 esercenti), costrette ad affrontare i pregiudizi dei colleghi e dei giudici, che negli anni Cinquanta costituivano una casta chiusa e totalmente maschile (l'ingresso delle donne nella magistratura fu autorizzato nel 1963). Le poche donne che esercitavano l'avvocatura si occupavano prevalentemente di diritto di famiglia, ritenuto più confacente per il 'sesso debole'. Anche Bianca Guidetti Serra si cimentò in questa specializzazione spendendosi in difesa delle donne e dei minori, ma il suo campo privilegiato fu il diritto penale. Come avvocato penalista predilesse le cause che le consentivano di difendere i diritti dei soggetti che per la loro collocazione sociale ne erano privi o ne venivano facilmente espropriati: i diritti degli operai in fabbrica, i diritti delle donne e dei minori, i diritti dei carcerati a una reclusione umana, i diritti di coloro che protestavano contro le ingiustizie del sistema, infine, il diritto fondamentale in un ordinamento democratico ad avere una difesa e un giusto processo.
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Diritto alla difesa per tutti: i minori maltrattati
Dagli anni Sessanta, quando stava affermandosi come avvocata, il suo nome fu legato a casi giudiziari che rappresentarono dei punti di svolta nella storia italiana del Novecento. I processi che ne scaturirono cambiarono, indipendentemente dall'esito, l'opinione pubblica. Si impegnò a fondo prima o dopo la loro celebrazione perché diventassero degli affaires attorno ai quali costruire delle arene di discussione collettiva capaci di denunciare le ingiustizie e sollecitare l'emanazione di provvedimenti legislativi in grado di porvi rimedio.
Dei bambini si era occupata dai tempi in cui faceva parte della Commissione provinciale di assistenza del Partito comunista torinese che la mise a contatto con l'infanzia abbandonata. Nel 1962 fondò assieme a Francesco Santanera l'ANFAA (Associazione nazionale famiglie adottive e affilianti), in difesa dei diritti del bambino e per l'equiparazione tra famiglie adottive e famiglie naturali. All'epoca, infatti, l'adozione non recideva il legame con i genitori biologici che, nonostante li avessero abbandonati, potevano sempre rivendicare un diritto sui figli adottati mettendo a rischio la loro stabilità. L'ANFAA elaborò un progetto di legge che si affiancò ad altre iniziative parlamentari; si creò un fronte comune che nel 1967 riuscì ad ottenere la legge che dichiarava lo stato di adottabilità con la conseguente rottura con i genitori biologici nei casi di conclamato abbandono e consentiva l'adozione, con eguali diritti, anche in presenza di figli naturali della coppia. La lotta a sostegno dei minori abbandonati mise l'ANFAA a contatto con gli istituti di assistenza che li custodivano, un universo che nascondeva inauditi maltrattamenti e soprusi. Guidetti Serra patrocinò la nascita di una nuova associazione, l'Unione contro l'emarginazione sociale (UCES), volta a infrangere il muro di silenzio che copriva gli abusi. Grazie all'UCES potè costituirsi nei processi come parte civile in rappresentanza dei familiari dei bambini maltrattati. L'Istituto Maria Assunta in Cielo di Prato, retta dai padri celestini, fu l'emblema di un sistema nel quale la corruzione e lo sfruttamento degli assistiti si univano a forme di sadismo tali da arrivare all'omicidio. Un 'paese', non un caso isolato, che l'avvocata raccontò in un libro in cui è raccolta la documentazione più significativa dei processi a cui partecipò (Il paese dei celestini. Istituti di assistenza sotto processo, a cura di B. Guidetti Serra - F. Santanera, Torino 1973).
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Per il diritto all'aborto
Come altre avvocate militanti europee, anche Guidetti Serra fu coinvolta in uno dei temi più scottanti che contrassegnarono negli anni Sessanta e Settanta il percorso di emancipazione delle donne, ossia il diritto di porre fine a una gravidanza indesiderata. In Francia il processo istruito nel 1972 contro Marie-Claire Chevalier vide schierate famosissime avvocate femministe come Gisèle Halimi e ancor più famose intellettuali come Simone de Beauvoir e si trasformò in un atto d'accusa contro la criminalizzazione dell'aborto. In Italia il procedimento giudiziario istruito nei confronti di Gigliola Pierobon fu celebrato a Padova nel 1973 in un contesto ostile e chiuso al riconoscimento dei diritti della donna sul suo corpo. A differenza di quanto accadde in Francia, esso non divenne un vero affaire malgrado la presenza di gruppi femministi dentro e fuori dal tribunale; fu comunque l'inizio della campagna a favore della legalizzazione dell'aborto conclusasi con l'emanazione della legge del 1978. Guidetti Serra accettò di difendere, assieme all'avvocato Vincenzo Todesco, Gigliola Pierobon imputata, quando era già sposata e con figli, di essersi procurata da minorenne un aborto clandestino. I due avvocati tentarono una linea di difesa innovativa, ispirata a quanto stava accadendo in Francia. Essi chiesero nella sostanza ai giudici di accettare l'esistenza di una nuova maturità che si era fatta strada in seno alla società. Nonostante gli sforzi della difesa Pierobon, a differenza della Chevalier, fu condannata. Ma si trattò di una condanna simbolica, successivamente annullata dal perdono giudiziale.
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Contro l'ergastolo
Nel processo alla banda Cavallero iniziato nel 1967, Guidetti Serra difese Adriano Rovoletto, uno dei quattro banditi che avevano seminato il terrore nella Milano degli anni Sessanta. I capi d'accusa che gravavano sugli imputati erano tali per cui l'esito era scontato. Ma fu proprio l'ergastolo con cui si concluse il processo a prefigurare una nuova forma di impegno militante per l'avvocata torinese che aveva sfidato l'opinione pubblica benpensante difendendo un bandito e che aveva cercato di comprendere le motivazioni ideologiche di chi si richiamava al mito della Resistenza traducendolo in atti di banditismo contro una società in cui non si riconosceva. Rimasta in contatto con gli ex membri della banda che erano in carcere, decise assieme a loro di coinvolgere altri ergastolani dopo il fallimento del referendum del 1981 sull'abrogazione della pena carceraria a vita, la voce dei quali non si era fatta sentire durante la campagna referendaria. Per due anni raccolse storie e testimonianze dei condannati; il materiale le fu rubato e alla perdita supplirono due lunghe interviste fatte a Sante Nortarnicola e Pietro Cavallero pubblicate, assieme a stralci del carteggio tra l'avvocata e gli ex membri della banda, in un saggio del 1994 (La banda Cavallero all'ergastolo, in Storie di giustizia, ingiustizia, galera, a cura di B. Guidetti Serra, Milano 1994, pp. 41-81).
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Contro la fabbrica spia e la fabbrica morte
Allargatasi nel frattempo la famiglia con l'arrivo del figlio Fabrizio, nel 1960, Bianca Guidetti Serra si occupò negli anni successivi molto di operai e alcuni dei processi che la videro in prima fila rappresentarono dei punti di svolta nella storia di Torino e dell'intero Paese. Il primo fu il processo per i fatti di piazza Statuto. Il 2 luglio 1962 gli operai della FIAT infransero il silenzio in cui il clima repressivo degli anni Cinquanta li aveva costretti, per protestare contro l'accordo contrattuale separato firmato dalla UIL e dal 'sindacato giallo' SIDA (Sindacato italiano dell'automobile). Nei disordini che ne scaturirono vi era tutta la rabbia degli operai, molti dei quali meridionali, contro le condizioni lavorative e ambientali che li opprimevano. L'arena rappresentata dal tribunale e l'azione indefessa svolta dai difensori consentirono che le loro ragioni divenissero di pubblico dominio.
Nel processo per le schedature FIAT svolse un ruolo di primo piano sia nella costruzione di un'opinione pubblica informata sui gravissimi fatti, sia nella decisione dei sindacati che rappresentavano i lavoratori della fabbrica torinese di costituirsi come parte civile in difesa dei loro diritti di libertà (politica sindacale, religiosa e della sfera privata) che erano stati violati in modo inaudito. Lo scandalo scoppiò nel 1970, quando un dipendente licenziato intentò causa alla FIAT e rivelò al pretore che il vero compito che aveva svolto dal 1953 era consistito nel raccogliere informazioni sui dipendenti dell'azienda e su coloro che ambivano a diventarlo, con l'aiuto di poliziotti, carabinieri, preti e spie interne. Assieme alla sentenza emessa nel 1971, il pretore emise un'ordinanza di sequestro dei documenti custoditi nell'archivio dell'azienda. La scoperta fu sconvolgente: migliaia di schede, piene di dati sensibili erano state compilate dagli anni Cinquanta ai primi anni Settanta, nonostante lo Statuto dei lavoratori, appena emanato, vietasse la raccolta di informazioni di natura politica, sindacale e religiosa. L'azione penale, avviata dopo il rinvenimento del materiale incriminato, incontrò subito degli ostacoli: i vertici della magistratura decisero infatti che le condizioni ambientali non permettevano al processo di essere celebrato a Torino e ne decisero il trasferimento a Napoli. Una cortina di silenzio calò sul procedimento giudiziario e Guidetti Serra si adoperò per ottenere il maggior numero di informazioni. Quando seppe che la prima udienza era stata fissata a Napoli per il 19 gennaio 1976, convinse i sindacati a costituirsi come parte civile. Per un anno e mezzo fece la spola tra Napoli e Torino, sperimentando sulla propria pelle cosa significasse per un avvocato il trasferimento di un processo ad altra sede per legittima suspicione, metodo usato in altri famosi casi giudiziari come la strage di piazza Fontana o il disastro del Vajont. Il processo per le schedature FIAT si chiuse con trentasette condanne, cancellate in appello perché sopraggiunta la prescrizione. Ma era uno di quei processi che meritavano di essere celebrati al di là del risultato perché rappresentavano dei «momenti di verità» (Le schedature FIAT. Cronache di un processo e altre cronache, Torino 1984, p. 3), attraverso cui l'opinione pubblica aveva scoperto il sistema di controllo sociale che la FIAT aveva applicato alle sue fabbriche ed esteso alla stessa città di Torino. È significativo che Einaudi, l'editore di Guidetti Serra, si fosse opposto alla sua decisione di intitolare Le schedature Fiat il volume in cui raccontava la vicenda corredandola dei documenti più significativi relativi all'affaire. Il libro fu poi pubblicato con il titolo incriminato da un altro editore.
La fabbrica spia e la fabbrica della morte furono due aspetti di una medesima realtà che l'avvocata ebbe modo di indagare a fondo in tutta la sua tragicità, svolgendo anche nel campo della tutela della salute sul lavoro il ruolo di pioniera. Il nuovo clima di consapevolezza dei diritti diffusosi negli anni Settanta aiutò a infrangere il muro di silenzio che aveva occultato fino ad allora le morti dei lavoratori, dei loro familiari e degli abitanti dei luoghi dove venivano riversati i rifiuti industriali. Le prime denunce arrivarono nel 1972, quando fu evidente che anche i corsi d'acqua dell'area di Ciriè, vicino a Torino, erano stati contaminati dagli scarichi dell'IPCA (Industria Piemontese dei Colori di Anilina). Anche in questo caso persuase il sindacato a costituirsi come parte civile accanto alle parti lese. Il processo all'IPCA, iniziato nel 1977, rappresentò un evento epocale perché si concluse con la condanna di quattro dirigenti e di un medico di fabbrica, ai quali fu riconosciuta per la prima volta la responsabilità di aver provocato le malattie che avevano colpito i lavoratori. Sempre in veste di rappresentante di parte civile per conto del sindacato, partecipò anche alle prime fasi del processo contro la fabbrica Eternit di Casale Monferrato, tristemente famosa per aver causato centinaia di morti tra i lavoratori, i loro familiari e la cittadinanza con la sua produzione di amianto, i cui effetti cancerogeni erano noti da tempo ai vertici dell'azienda ma che - come accadde in casi simili - erano stati tenuti nascosti. Fu anche promotrice, come prima firmataria in Parlamento, della legge di messa al bando dell'amianto tuttora in vigore.
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Diritto alla difesa per tutti: processi alle bande armate
La partecipazione ai processi contro i crimini connessi all'ambiente e alla salute fecero di Bianca Guidetti Serra un'avvocata à part entière. Ma il terreno più difficile e rischioso, che mise più duramente alla prova la sua di vocazione militante, fu quello dei processi istruiti negli anni Settanta e Ottanta contro gli aderenti alle organizzazioni armate di estrema sinistra. Appartenne a quel ristretto gruppo di avvocati riuniti nei collettivi politici giuridici che si fecero carico della difesa di tutti coloro che furono denunciati per aver partecipato alle lotte che dal 1967 al 1971-72 interessarono la società in nome di un mutamento radicale del sistema di potere dominante. Spendendosi in un'attività frenetica svolta nei tribunali di tutta l'Italia, l'avvocata fu testimone dei fermenti e delle istanze di cambiamento di quegli anni. Difese esponenti del movimento studentesco, operai in lotta nelle fabbriche, detenuti che si ribellavano contro la disumanità del regime carcerario, braccianti e contadini calabresi che avevano occupato terre incolte, obiettori di coscienza che rifiutavano la leva obbligatoria, militanti di Lotta continua, Potere operaio e altri gruppi della sinistra extraparlamentare, accusati di cospirazione politica e associazione a delinquere. Molte delle istanze portate avanti da quei giovani erano parte della cultura e sensibilità dell'avvocata torinese, che intravide in loro gli eredi della stagione politica a cui essa aveva partecipato. Ma questa solidarietà con le istanze di protesta e di cambiamento che animarono i 'Sessantottini' venne meno quando il conflitto sociale si radicalizzò e alcuni gruppi spostarono il livello dello scontro sul piano della lotta armata.
Ricostruendo la memoria di quegli anni dichiarò di aver colto in ritardo i segni del mutamento in atto che pure erano sotto i sui occhi. Difensore di un imputato di omicidio nel processo contro il gruppo genovese XXII ottobre, celebrato nel 1972, non capì di trovarsi di fronte a un primo tentativo di organizzazione militare. Quando vennero istruiti i primi processi contro i gruppi armati di estrema sinistra, l'avvocata torinese continuò a essere cercata come difensore grazie alla fama che si era conquistata durante il Sessantotto negli ambienti della sinistra extraparlamentare. In una delle pagine più coinvolgenti della sua autobiografia si soffermò sul dilemma dell'avvocato, chiamato a difendere in un processo politico imputati di fatti in «profondo e radicale dissenso» (Bianca la rossa, Torino 2009, p. 198) con l'etica e le convinzioni politiche che gli appartengono. E raccontò di averlo risolto decidendo di non sottrarsi al suo compito di difensore schierandosi, in quel drammatico contesto, a tutela del diritto alla difesa, che la Costituzione (art. 24) riconosce a ogni tipo di imputato. Fu una scelta difficile e per nulla scontata. Molti avvocati che avevano difeso i militanti del Sessantotto si defilarono e il gruppo di coloro che a livello nazionale accettarono di rappresentare in giudizio imputati di reati connessi al terrorismo si ridusse drasticamente. Guidetti Serra partecipò a numerosi processi attenendosi a una linea di condotta rigorosa che si era data e che si basava su alcuni punti fermi: scegliere caso per caso; fare una difesa tecnica e non politica; non lasciarsi imporre dall'assistito la linea di difesa, che in questi casi era generalmente quella dell'organizzazione di appartenenza, pena lo scioglimento del mandato. La sua fermezza la mise al di sopra di ogni sospetto e la preservò dalla sorte che toccò ad altri avvocati, denunciati dai pentiti e divenuti a loro volta imputati perché ritenuti colpevoli di connivenza con i brigatisti quando non addirittura di partecipazione a banda armata.
Anche in questa fase drammatica della storia d'Italia e della sua professione non venne meno alla sua vocazione di storica. Si deva a lei la prima e insuperata ricostruzione del processo ai capi storici delle Brigate Rosse (Il ruolo dell'avvocato attraverso la cronaca di un processo, I-II, in Quaderni piacentini, XVII (1978), nn. 67-68, pp. 49-74; ivi, n. 79, pp. 49-68), iniziato nel 1976 e interrotto più volte a causa degli omicidi commessi dagli esponenti delle Brigate rosse rimaste a piede libero, tra cui quello di Fulvio Croce, presidente dell'Ordine degli avvocati di Torino che in tale funzione, per consentire lo svolgimento del processo di fronte al rifiuto della difesa da parte degli imputati, aveva accettato la nomina a capo della formale difesa d'ufficio. Del nuovo collegio di difesa che si costituì senza esitazioni dopo il suo assassinio faceva parte anche Guidetti Serra. In quel processo furono rovesciate tutte le regole procedurali. I capi storici delle Brigate rosse, ispiratisi alle teorie del Fronte di liberazione nazionale algerino, intesero usare il processo come uno strumento di guerra. Ricusarono i loro avvocati e pretesero di difendersi da soli per ribaltare il loro ruolo di accusati in quello di accusatori dello Stato. La questione dell'autodifesa, non prevista dall'ordinamento giuridico, aveva risvolti costituzionali complessi. Fu risolta nella pratica dando la parola agli imputati e concedendo loro anche la possibilità di fare domande ai testimoni. I difensori d'ufficio restarono in aula a vigilare sul regolare svolgimento del processo restando impassibili davanti alle provocazioni degli imputati. Al termine del dibattimento non pronunciarono alcuna arringa, ma stilarono una memoria che ripercorreva le posizioni da loro assunte durante il suo svolgimento. Il testo fu letto ad alta voce dal presidente dell'Ordine degli avvocati torinesi, Gian Vittorio Gabri, che aveva preso il posto di Croce. Alla fine egli lesse i nomi dei firmatari e ad uno ad uno i venti difensori d'ufficio si alzarono in piedi a simboleggiare con quel gesto solenne il fatto di restare, ancorché ricusati, i rappresentanti dei diritti degli imputati.
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In politica
Gli avvocati militanti hanno intessuto una pluralità di rapporti con la politica, a seconda dei paesi e dei periodi storici in cui operavano. Dove vi era un forte Partito comunista, molti furono organici ad esso, seguendone le direttive quando si trattava di svolgere il ruolo di difensore in processi di tipo politico. Fino a che restò iscritta, Bianca Guidetti Serra ebbe con il PCI una relazione improntata a un criticismo crescente mano a mano che l'apparato si centralizzava e verticalizzava a discapito della democrazia interna. L'invasione dell'Ungheria da parte dell'URSS fu la goccia che fece traboccare un vaso già colmo. Non rinnovò più la tessera e divenne una 'militante senza partito'. La rottura con il PCI fu dolorosissima perché significò tagliare i ponti con una parte importante della sua storia politica e personale, ma non comportò da parte sua un abbandono definitivo della politica istituzionalizzata, a cui tornò alla soglia della vecchiaia. Nel 1985 entrò nel consiglio comunale di Torino eletta come indipendente nelle liste di Democrazia proletaria; due anni dopo si dimise perché fu eletta nella stessa lista come deputato. Restò alla Camera dei deputati dal 1987 al 1990: insofferente del clima di Montecitorio e dello spreco di tempo e di energie che la carica comportava commisurato agli scarsi risultati concreti che si ottenevano. Tornò nel 1990 in consiglio comunale a Torino come indipendente del Partito democratico della sinistra e vi restò fino al 1999, prima all'opposizione (fino al 1993), poi a sostegno della giunta guidata da Valentino Castellani. La relazione inquieta che ebbe con i partiti politici è per molti versi la conferma che il modo di fare politica a lei più confacente fu l'esercizio della professione forense, nel qual profuse impegno e passione dentro e fuori i tribunali.
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Un'avvocata à part entière
Bianca Guidetti Serra è un perfetto esempio di 'intellettuale specifico', definizione coniata nel 1971 da Michel Foucault per indicare quell'intellettuale che esplica il suo impegno nel sociale ed esprime la sua politicizzazione mettendo al servizio delle lotte per il cambiamento della società la competenza professionale di cui è depositario in quanto medico, avvocato, insegnante, architetto ecc.
L'attività processuale che la impegnò per più di cinquant'anni definisce in modo esemplare il profilo dell'avvocato militante e della sua evoluzione mano a mano che mutavano le urgenze, le ingiustizie, le discriminazioni all'interno della società italiana e si aprivano nuovi fronti di lotta.
Fu in una parola un avvocato militante che privilegiò di svolgere le funzioni di rappresentazione e di difesa all'interno di processi politici. Questa definizione non è presente nei codici e tuttavia, come affermò Guidetti Serra, essa «indica con chiarezza tutte quelle cause in cui sono in gioco motivazioni ideologiche, civili e sociali» (B. Guidetti Serra con S. Mobiglia, Bianca la rossa, Torino 2009, p.198). Come altri avvocati europei e statunitensi che nella seconda metà del Novecento scelsero questa via, lottò in prima persona perché si realizzasse quel mutamento sociale, culturale e legislativo che avrebbe consentito l'ampliamento della sfera dei diritti e la loro estensione a categorie sempre più numerose di cittadini. Grazie alla sua professione essa ricoprì il duplice ruolo di attore e di testimone delle trasformazioni avvenute nell'Italia repubblicana.
Il valore aggiunto che la contraddistinse rispetto al modello più diffuso di avvocato militante sta nel fatto di essere stata un'intellettuale che ha intrecciato l'attività forense a quella culturale.
Fondatrice e animatrice di istituzioni culturali quali il Centro studi Piero Gobetti di Torino (a cui ha lasciato in deposito il suo archivio), compì attraverso la scrittura un'opera straordinaria di conservazione della memoria dei soggetti che difese come avvocato e delle battaglie che combatté nei tribunali e nella società perché a tutti fosse riconosciuto, per usare un'espressione di Stefano Rodotà, «il diritto di avere diritti» (Rodotà, 2015). Vi è però una differenza fondamentale tra l'avvocata torinese e i giuristi che, come Rodotà, furono ugualmente impegnati su questo fronte. Costoro usarono come arma il saggio, non solamente quello di stampo accademico rivolto agli specialisti, ma anche in versione semplificata e più comunicativa perché destinata al grande pubblico. Guidetti Serra privilegiò invece come forma di testimonianza e di lotta la storia degli individui incontrati nel corso della sua vita professionale e delle sue esperienze politiche e che attraverso la narrazione riscattò dall'oblio. La sua vocazione di avvocata militante trovò così l'espressione più compiuta nel racconto di casi giudiziari, di imputati, di battaglie condotte per denunciare ingiustizie e soprusi, pubblicando fonti giudiziarie prima che venissero sepolte negli archivi, interviste, carteggi e altri materiali di grande interesse per gli storici.
Bianca Guidetti Serra continuò ad esercitare l'avvocatura fino al 2001.
Morì il 24 giugno 2014 all'età di novantacinque anni.
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Fonti e bibliografia
G. Manzini, B. G. S. L'avvocato, in La mia professione, a cura di C. Stajano, Roma-Bari 1986, pp. 101-125; A. Cammelli - A. di Francia, Studenti, università, professioni:1861-1993, in Storia d'Italia, Annali 10, I professionisti, a cura di M. Malatesta, Torino 1996, pp. 7-77; F. Tacchi, Eva togata. Donne e professioni giuridiche in Italia dall'Unità a oggi, Torino 2009, ad indic.; M. Malatesta, Défenses militantes. Avocats et violence politique dans l'Italie des années 1970 et 1980, in Le Mouvement social, 2012, n. 240, pp. 85-103; L. Perini, Il corpo del reato. Parigi 1972-Padova 1973: storia di due processi per aborto, Bologna 2014; S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma- Bari 2015; M. Malatesta, Avvocati militanti. Francia e Italia nel XX secolo, in Contemporanea, 2016, n. 4, pp. 565-597.

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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 80 del 21 marzo 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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