[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 607



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 607 del 24 ottobre 2022

In questo numero:
1. Papa Francesco: In nome di Dio, fermate la guerra
2. PeaceLink, "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo, Movimento Nonviolento: 4 novembre: non festa ma lutto
3. Alcuni testi di Primo Levi
4. Ripetiamo ancora una volta...
5. Omero Dellistorti: L'osservatore di gechi
6. Omero Dellistorti: Al bar

1. L'ORA. PAPA FRANCESCO: IN NOME DI DIO, FERMATE LA GUERRA
[Dal quotidiano "La stampa" del 16 ottobre 2022 riprendiamo e diffondiamo]

Anticipiamo un brano del libro che Papa Francesco pubblica alla soglia del decimo anno di pontificato. Nel volume "Vi chiedo in nome di Dio. Dieci preghiere per un futuro di speranza", a cura di Hernan Reyes Alcaide (Piemme, uscito martedi' 18 ottobre 2022), il Pontefice lancia un appello universale a costruire insieme un orizzonte di pace, un mondo migliore.
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Piu' di duemila anni fa il poeta Virgilio ha plasmato questo verso: "Non da' salvezza la guerra!". Si fa fatica a credere che da allora il mondo non abbia tratto insegnamenti dalla barbarie che abita i conflitti tra fratelli, compatrioti e paesi. La guerra e' il segno piu' chiaro della disumanita'.
Quel grido accorato risuona ancora. Per anni non abbiamo prestato orecchio alle voci di uomini e donne che si prodigavano per fermare ogni tipo di conflitti armati. Il magistero della Chiesa non ha risparmiato parole nel condannare la crudelta' della guerra e, nel corso del XIX e del XX secolo, i miei predecessori l'hanno definita "un flagello", che "mai" puo' risolvere i problemi tra le nazioni; hanno affermato che la sua esplosione e' una "inutile strage" con cui "tutto puo' essere perduto" e che, in definitiva, "e' sempre una sconfitta dell'umanita'". Oggi, mentre chiedo in nome di Dio che si metta fine alla follia crudele della guerra, considero inoltre la sua persistenza tra noi come il vero fallimento della politica.
La guerra in Ucraina, che ha messo le coscienze di milioni di persone del centro dell'Occidente davanti alla cruda realta' di una tragedia umanitaria che gia' esisteva da tempo e simultaneamente in vari paesi, ci ha mostrato la malvagita' dell'orrore bellico. Nel secolo scorso, in appena un trentennio, l'umanita' si e' scontrata per due volte con la tragedia di una guerra mondiale. Sono ancora tra noi persone che portano incisi nei loro corpi gli orrori di quella follia fratricida. Molti popoli hanno impiegato decenni a riprendersi dalle rovine economiche e sociali provocate dai conflitti. Oggi assistiamo a una terza guerra mondiale a pezzi, che tuttavia minacciano di diventare sempre piu' grandi, fino ad assumere la forma di un conflitto globale.
Al rifiuto esplicito dei miei predecessori, gli eventi dei primi due decenni di questo secolo mi obbligano ad aggiungere, senza ambiguita', che non esiste occasione in cui una guerra si possa considerare giusta. Non c'e' mai posto per la barbarie bellica. Tantomeno quando la contesa acquisisce uno dei suoi volti piu' iniqui: quello delle cosiddette "guerre preventive". La storia recente ci ha dato esempi, perfino, di "guerre manipolate", nelle quali per giustificare attacchi ad altri paesi sono stati creati falsi pretesti e sono state contraffatte le prove. Per questo chiedo alle autorita' politiche di porre freno alle guerre in corso, di non manipolare le informazioni e di non ingannare i loro popoli per raggiungere obiettivi bellici.
La guerra non e' mai giustificata. Infatti non sara' mai una soluzione: basti pensare al potere distruttivo degli armamenti moderni per immaginare quanto siano alti i rischi che una simile contesa scateni scontri mille volte superiori alla supposta utilita' che alcuni vi scorgono.
La guerra e' anche una risposta inefficace: non risolve mai i problemi che intende superare. Forse lo Yemen, la Libia o la Siria, per citare alcuni esempi contemporanei, stanno meglio rispetto a prima dei conflitti?
Se qualcuno pensa che la guerra possa essere la risposta, sara' perche' sbaglia le domande. Il fatto che noi a tutt'oggi ci troviamo ad assistere a conflitti armati, a invasioni o a offensive lampo tra paesi, manifesta la mancanza di memoria collettiva. Forse il XX secolo non ci ha insegnato il rischio che corre tutta la famiglia umana davanti alla spirale bellica?
Se davvero siamo tutti impegnati a porre fine ai conflitti armati, manteniamo viva la memoria in modo da agire in tempo e fermarli quando sono in gestazione, prima che divampino con l'uso della forza militare. E per riuscirci servono dialogo, negoziati, ascolto, abilita' e creativita' diplomatica, e una politica lungimirante capace di costruire un sistema di convivenza che non sia basato sul potere delle armi o sulla dissuasione.
E poiche' la guerra "non e' un fantasma del passato, ma e' diventata una minaccia costante" (lettera enciclica Fratelli tutti, 256), torno a ricordare lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, il quale diceva che oggi e' imprescindibile compiere una "trasfusione di memoria" e invitava a prendere qualche distanza dal presente per udire la voce dei nostri antenati.
Ascoltiamo quella voce per non vedere mai piu' le facce della guerra. Infatti la follia bellica resta impressa nella vita di chi la subisce in prima persona: pensiamo ai volti di ogni madre e di ogni figlio costretti a fuggire disperatamente; a ogni famiglia violata; a ogni persona catalogata come "danno collaterale" degli attacchi, senza alcun rispetto per la sua vita.
Vedo contraddizione tra quanti rivendicano le loro radici cristiane ma poi fomentano conflitti bellici come modi per risolvere gli interessi di parte. No! Un buon politico deve sempre puntare sulla pace; un buon cristiano deve sempre scegliere la via del dialogo. Se arriviamo alla guerra e' perche' la politica ha fallito. E ogni guerra che scoppia e' anche un fallimento dell'umanita'.
Per questo dobbiamo raddoppiare gli sforzi per costruire una pace durevole. Ci avvarremo della memoria, della verita' e della giustizia. E' necessario che tutti insieme apriamo la via a una speranza comune. Tutti possiamo, e dobbiamo, prendere parte a questo processo sociale di costruzione della pace. Esso ha inizio in ciascuna delle nostre comunita' e si innalza come un grido verso le autorita' locali, nazionali e mondiali. Infatti e' da loro che dipendono le iniziative adeguate per frenare la guerra. E a loro, facendo questa mia richiesta in nome di Dio, domando anche che si dica basta alla produzione e al commercio internazionale di armi.
La spesa mondiale in armamenti e' uno degli scandali morali piu' gravi dell'epoca presente. Manifesta inoltre quanta contraddizione vi sia tra parlare di pace e, allo stesso tempo, promuovere o consentire il commercio di armi.
E' tanto piu' immorale che paesi tra i cosiddetti sviluppati a volte sbarrino le porte alle persone che fuggono dalle guerre da loro stessi promosse con la vendita di armamenti. Accade anche qui in Europa ed e' un tradimento dello spirito dei padri fondatori.
La corsa agli armamenti fa da riprova della smemoratezza che ci puo' invadere. O, peggio ancora, dell'insensibilita'. Nel 2021, in piena pandemia, la spesa militare mondiale ha superato per la prima volta i 2.000 milioni di dollari. A fornire questi dati e' un importante centro di ricerca di Stoccolma, ed essi ci mostrano come per ogni 100 dollari spesi nel mondo, 2,2 siano stati destinati alle armi.
Con la guerra ci sono milioni di persone che perdono tutto, ma anche pochi che guadagnano milioni. E' sconfortante anche solo sospettare che molte delle guerre moderne si facciano per promuovere armi. Cosi' non si puo' andare avanti. Ai responsabili delle nazioni, in nome di Dio, chiedo di impegnarsi risolutamente a porre fine al commercio di armi che causa tante vittime innocenti. Abbiano il coraggio e la creativita' di rimpiazzare la fabbricazione di armamenti con industrie che promuovano la fratellanza, il bene comune universale e lo sviluppo umano integrale dei loro popoli. Al pensiero dell'industria bellica e di tutto il suo sistema, mi piace ricordare i piccoli gesti del popolo che, anche tramite atti individuali, non smette di far vedere quanto la vera volonta' dell'umanita' sia di liberarsi dalle guerre.
Ma al di la' del problema del commercio internazionale di armamenti destinati a guerre e conflitti, non meno preoccupante e' la crescente facilita' con cui in molti paesi si puo' entrare in possesso delle armi denominate "di uso personale", in genere di piccolo calibro, ma a volte anche fucili di assalto o di grande potenza. Quanti casi abbiamo visto di bambini morti per avere maneggiato armi nelle loro case, quanti massacri sono stati perpetrati per il facile accesso che a esse c'e' in alcune nazioni?
Legale o illegale, su vasta scala o nei supermercati, il commercio di armi e' un grave problema diffuso nel mondo. Sarebbe bene che questi dibattiti avessero piu' visibilita' e che si cercassero consensi internazionali affinche', a livello globale, fossero poste restrizioni sulla produzione, la commercializzazione e la detenzione di questi strumenti di morte.
Quando parliamo di pace e di sicurezza a livello mondiale, la prima organizzazione a cui pensiamo e' quella delle Nazioni Unite (l'Onu) e, in particolare, il suo Consiglio di sicurezza. La guerra in Ucraina ha posto ancora una volta in evidenza quanto sia necessario che l'attuale assetto multilaterale trovi strade piu' agili ed efficaci per la soluzione dei conflitti.
In tempi di guerra e' essenziale sostenere che ci serve piu' multilateralismo e un multilateralismo migliore.
L'Onu e' stata edificata su una Carta che intendeva dare forma al rifiuto degli orrori che l'umanita' ha sperimentato nelle due guerre del XX secolo. Sebbene la minaccia che essi si ripresentino sia ancora viva, d'altra parte il mondo oggi non e' piu' lo stesso, ed e' dunque necessario ripensare queste istituzioni in modo che rispondano alla nuova realta' esistente e siano frutto del piu' alto consenso possibile.
E' divenuto piu' che palese quanto queste riforme siano necessarie dopo la pandemia, quando l'attuale sistema multilaterale ha evidenziato tutti i suoi limiti. Dalla distribuzione dei vaccini abbiamo avuto un chiaro esempio di come a volte la legge del piu' forte pesi piu' della solidarieta'.
Ci si prospetta, dunque, un'occasione imperdibile per pensare e condurre riforme organiche, volte a fare recuperare alle organizzazioni internazionali la loro vocazione essenziale a servire la famiglia umana, a prendersi cura della Casa comune e a tutelare la vita di ogni persona e la pace.
Ma non voglio addossare tutta la questione alle organizzazioni, che in definitiva non sono piu' - ma del resto neanche meno - che un ambito in cui gli stati che le compongono si riuniscono e ne determinano la politica e le attivita'. Sta qui la base della delegittimazione e del degrado degli organismi internazionali: gli stati hanno smarrito la capacita' di ascoltarsi a vicenda per prendere decisioni consensuali e favorevoli al bene comune universale. Nessuna intelaiatura legale puo' sostenersi in assenza dell'impegno degli interlocutori, della loro disponibilita' a una discussione leale e sincera, della volonta' di accettare le inevitabili concessioni che nascono dal dialogo tra le parti. Se i paesi membri di questi organismi non mostrano la volonta' politica di farli funzionare, siamo davanti a un evidente passo indietro.
Vediamo, invece, che essi preferiscono imporre le proprie idee o interessi in maniera molte volte inconsulta.
Soltanto se sfruttiamo l'occasione del dopo pandemia per reimpostare questi organismi potremo creare istituzioni con cui affrontare le grandi sfide, sempre piu' urgenti, che ci si prospettano, come il cambiamento climatico o l'uso pacifico dell'energia nucleare.
In questo senso, cosi' come nella mia lettera enciclica Laudato si' esortavo a promuovere una "ecologia integrale", allo stesso modo credo che il dibattito sulla ristrutturazione degli organismi internazionali debba ispirarsi al concetto di "sicurezza integrale". Vale a dire, non piu' limitata ai canoni degli armamenti e della forza militare, bensi' consapevole del fatto che in un mondo giunto a un livello di interconnessione come l'attuale e' impossibile possedere, per esempio, una effettiva sicurezza alimentare senza quella ambientale, sanitaria, economica e sociale. E su questa ermeneutica deve basarsi ogni istituzione globale che cercheremo di riprogettare, invocando sempre il dialogo, l'apertura alla fiducia tra i paesi e il rispetto interculturale e multilaterale.
In un contesto contrassegnato dall'urgenza, e in un orizzonte di condanna della follia bellica e di esortazione a ridefinire la cornice internazionale delle relazioni tra stati, non possiamo ignorare la spada di Damocle che pesa sull'umanita' sotto la forma degli armamenti di distruzione di massa, come quelli nucleari.
Davanti a un simile scenario ci domandiamo: chi possiede questi armamenti? Quali controlli ci sono? Come si pone freno alla logica che fa perno sull'accumulo di testate nucleari a fini di dissuasione?
In questo contesto faccio mia la condanna di san Paolo VI verso questo tipo di armamento, che dopo oltre mezzo secolo non e' divenuta meno attuale: "Le armi, quelle terribili specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarieta' e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli".
Non c'e' motivo di restare condannati al terrore della distruzione atomica. Possiamo trovare vie che non ci lascino appesi a una imminente catastrofe nucleare causata da pochi. Forgiare un mondo senza armi nucleari e' possibile, dato che ne abbiamo la volonta' e gli strumenti; ed e' necessario, vista la minaccia che questo tipo di armamento comporta per la sopravvivenza dell'umanita'.
Avere armi nucleari e atomiche e' immorale. Sbaglia strada chi pensa che siano una scorciatoia piu' sicura del dialogo, del rispetto e della fiducia, ovvero gli unici sentieri che porterebbero l'umanita' alla garanzia di una convivenza pacifica e fraterna. Oggi e' inaccettabile e inconcepibile che si continuino a scialacquare risorse per produrre questo genere di armi mentre si profila una grave crisi che ha conseguenze sanitarie, alimentari e climatiche e riguardo alla quale nessun investimento sara' mai abbastanza.
L'esistenza delle armi nucleari e atomiche mette a rischio la sopravvivenza della vita umana sulla terra. E quindi qualsiasi richiesta in nome di Dio affinche' venga frenata la follia della guerra comprende anche una supplica a estirpare dal pianeta quell'armamento. Il reverendo Martin Luther King lo ha espresso con chiarezza nell'ultimo discorso che pronuncio' prima di essere assassinato: "Non si tratta piu' di scegliere tra violenza e nonviolenza, ma tra nonviolenza e non esistenza". La scelta sta a noi.

2. INIZIATIVE. PEACELINK, "CENTRO DI RICERCA PER LA PACE" DI VITERBO, MOVIMENTO NONVIOLENTO: 4 NOVEMBRE: NON FESTA MA LUTTO

4 novembre: non festa ma lutto
Proponiamo che il 4 novembre si svolgano commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, di ieri e di oggi.
Le commemorazioni devono essere un solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze:
per ridurre drasticamente le spese militari, per abolire le testate nucleari, per fermare le fabbriche di armi.
18 ottobre 2022
PeaceLink - "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo - Movimento Nonviolento
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Vogliamo prevenire le guerre di domani. Siamo contro le guerre di oggi. Non dimentichiamo le guerre di ieri.
Le guerre di oggi sono combattute con le armi costruite ieri. Le armi costruite oggi alimenteranno le guerre di domani.
Il disarmo, a partire da noi stessi (disarmo unilaterale), e' la strategia per costruire la pace.
Fare memoria delle guerre del passato e' doveroso per non ripetere gli stessi tragici errori.
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Sabato 5 novembre si terra' a Roma una grande manifestazione per la pace, promossa dal cartello "Europe for Peace", alla quale parteciperemo. Sara' una manifestazione popolare e di popolo che chiede: "Cessate il fuoco subito - Negoziato per la pace - Mettiamo al bando le armi nuclari - Solidarietà con le vittime di tutte le guerre".
Il giorno precedente, 4 novembre, ricorre l'anniversario della fine della Prima guerra mondiale, una "inutile strage" come disse il Pontefice di allora.
Tante altre "inutili stragi" seguirono, fino alla odierna strage in Ucraina. E' la guerra nel cuore dell'Europa, che prosegue da allora.
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La data del 4 novembre viene celebrata con continuita' dal fascismo fino ad oggi, per richiamare l'unita' dell'Italia sotto il segno della guerra e dell'esercito. "Giornata dell'Unita' Nazionale e delle Forze Armate" nell'anniversario della fine di un tragico conflitto che costò al nostro paese un milione e duecentomila morti (600.000 civili e 600.000 militari): per la prima volta nella storia a morire a causa della guerra non furono solo i militari al fronte, ma in pari numero i civili vittime di bombardamenti o di stenti, malattie, epidemie causate dalla guerra stessa.
Vogliamo ricordare e onorare quei morti rinnovando l'impegno contro ogni guerra e la sua preparazione, dunque contro le guerre di oggi, contro le armi costruite per le guerre di domani. Solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise.
Meno armi piu' difesa della vita, ridurre drasticamente le spese militari e devolvere i fondi per abolire la fame, la poverta', l'inquinamento del pianeta.
Per questo chiediamo una drastica riduzione delle spese militari che gravano sul bilancio dello stato italiano.
Per questo sosteniamo la richiesta che l'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la messa al bando delle armi nucleari.
Per questo sosteniamo la Campagna "Un'altra difesa e' possibile", che prevede l'istituzione di un Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta.
Pace, disarmo, smilitarizzazione. Tutela della vita degli umani e della Terra.
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Proponiamo che il 4 novembre si svolgano commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze. Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente.
Occorre quindi che si svolgano in orari distanti e assolutamente distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri armati, quei poteri che quelle vittime fecero morire.
Ed occorre che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio.
Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perché convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. A tutte le persone amiche della nonviolenza chiediamo di diffondere questa proposta e contribuire a questa iniziativa.
Contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni.
Per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Solo la pace salva le vite. Salvare le vite e' il primo dovere.
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Movimento Nonviolento
per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. e fax: 0458009803, e-mail: an at nonviolenti.org, siti: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it
PeaceLink
per contatti: e-mail: info at peacelink.it, abruzzo at peacelink.it, sito: www.peacelink.it
"Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
per contatti: e-mail: centropacevt at gmail.com, web: mailing list nonviolenza at peacelink.it

3. MAESTRI. ALCUNI TESTI DI PRIMO LEVI
[Riproponiamo ancora una volta i seguenti testi.
Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi: fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti, cui si e' aggiunto un terzo volume, Opere complete III, Einaudi, Torino 2018, sempre a cura di Marco Belpoliti, che raccoglie conversazioni, interviste, dichiarazioni, bibliografia e indici. Tra le opere su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994; Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992; Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997; Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992; Anna Bravo, Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1976. Cfr. anche il sito del Centro Internazionale di Studi Primo Levi (www.primolevi.it)]

Primo Levi: Shema'
[Da Primo Levi, Ad ora incerta (ma e' anche l'epigrafe che apre Se questo e' un uomo), ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 525]

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo e' un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un si' o per un no.
Considerate se questa e' una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza piu' forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.

Meditate che questo e' stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

10 gennaio 1946

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Primo Levi: Alzarsi
[Da Primo Levi, Ad ora incerta (ma e' anche l'epigrafe che apre La tregua), ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 526]

Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
Tornare; mangiare; raccontare.
Finche' suonava breve sommesso
Il comando dell'alba:
"Wstawac":
E si spezzava in petto il cuore.

Ora abbiamo ritrovato la casa,
Il nostro ventre e' sazio,
Abbiamo finito di raccontare.
E' tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
"Wstawac".

11 gennaio 1946

*

Primo Levi: Si immagini ora un uomo...
[Da Primo Levi, Se questo e' un uomo, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 21]

Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sara' un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignita' e discernimento, poiche' accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potra' a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinita' umana; nel caso piu' fortunato, in base ad un puro giudizio di utilita'. Si comprendera' allora il duplice significato del termine "Campo di annientamento"...

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Primo Levi: Che appunto perche'...
[Da Primo Levi, Se questo e' un uomo, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 35]

Che appunto perche' il Lager e' una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si puo' sopravvivere, e percio' si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere e' importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l'impalcatura, la forma della civilta'. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facolta' ci e' rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perche' e' l'ultima: la facolta' di negare il nostro consenso.

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Primo Levi: Verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945
[Da Primo Levi, La tregua, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, pp. 205-206]

La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla (...).
Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi (...).
Non salutavano, non sorridevano, apparivano oppressi, oltre che da pieta', da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volonta' buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa.

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Primo Levi: Hurbinek
[Da Primo Levi, La tregua, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 216]

Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all'ultimo respiro, per conquistarsi l'entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senzanome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek mori' ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole.

*

Primo Levi: Approdo
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 542]

Felice l'uomo che ha raggiunto il porto,
Che lascia dietro se' mari e tempeste,
I cui sogni sono morti o mai nati;
E siede e beve all'osteria di Brema,
Presso al camino, ed ha buona pace.
Felice l'uomo come una fiamma spenta,
Felice l'uomo come sabbia d'estuario,
Che ha deposto il carico e si e' tersa la fronte
E riposa al margine del cammino.
Non teme ne' spera ne' aspetta,
Ma guarda fisso il sole che tramonta.

10 settembre 1964

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Primo Levi: La bambina di Pompei
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 549]

Poiche' l'angoscia di ciascuno e' la nostra
Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
Che ti sei stretta convulsamente a tua madre
Quasi volessi ripenetrare in lei
Quando al meriggio il cielo si e' fatto nero.
Invano, perche' l'aria volta in veleno
E' filtrata a cercarti per le finestre serrate
Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
Lieta gia' del tuo canto e del tuo timido riso.
Sono passati i secoli, la cenere si e' pietrificata
A incarcerare per sempre codeste membra gentili.
Cosi' tu rimani tra noi, contorto calco di gesso,
Agonia senza fine, terribile testimonianza
Di quanto importi agli dei l'orgoglioso nostro seme.
Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
Della fanciulla d'Olanda murata fra quattro mura
Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
La sua cenere muta e' stata dispersa dal vento,
La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.
Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli,
Vittima sacrificata sull'altare della paura.
Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
Tristi custodi segreti del tuono definitivo,
Ci bastano d'assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate.

20 novembre 1978

*

Primo Levi: Non ci sono demoni...
[Da Primo Levi, La ricerca delle radici, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 1519]

Non ci sono demoni, gli assassini di milioni di innocenti sono gente come noi, hanno il nostro viso, ci rassomigliano. Non hanno sangue diverso dal nostro, ma hanno infilato, consapevolmente o no, una strada rischiosa, la strada dell'ossequio e del consenso, che e' senza ritorno.

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Primo Levi: Partigia
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 561]

Dove siete, partigia di tutte le valli,
Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?
Molti dormono in tombe decorose,
Quelli che restano hanno i capelli bianchi
E raccontano ai figli dei figli
Come, al tempo remoto delle certezze,
Hanno rotto l'assedio dei tedeschi
La' dove adesso sale la seggiovia.
Alcuni comprano e vendono terreni,
Altri rosicchiano la pensione dell'Inps
O si raggrinzano negli enti locali.
In piedi, vecchi: per noi non c'e' congedo.
Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,
Lenti, ansanti, con le ginocchia legate,
Con molti inverni nel filo della schiena.
Il pendio del sentiero ci sara' duro,
Ci sara' duro il giaciglio, duro il pane.
Ci guarderemo senza riconoscerci,
Diffidenti l'uno dell'altro, queruli, ombrosi.
Come allora, staremo di sentinella
Perche' nell'alba non ci sorprenda il nemico.
Quale nemico? Ognuno e' nemico di ognuno,
Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,
La mano destra nemica della sinistra.
In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:
La nostra guerra non e' mai finita.

23 luglio 1981

*

Primo Levi: Il superstite
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 576]

a B. V.

Since then, at an uncertain hour,
Dopo di allora, ad ora incerta,
Quella pena ritorna,
E se non trova chi lo ascolti
Gli brucia in petto il cuore.
Rivede i visi dei suoi compagni
Lividi nella prima luce,
Grigi di polvere di cemento,
Indistinti per nebbia,
Tinti di morte nei sonni inquieti:
A notte menano le mascelle
Sotto la mora greve dei sogni
Masticando una rapa che non c'e'.
"Indietro, via di qui, gente sommersa,
Andate. Non ho soppiantato nessuno,
Non ho usurpato il pane di nessuno,
Nessuno e' morto in vece mia. Nessuno.
Ritornate alla vostra nebbia.
Non e' mia colpa se vivo e respiro
E mangio e bevo e dormo e vesto panni".

4 febbraio 1984

*

Primo Levi: Contro il dolore
[Da Primo Levi, L'altrui mestiere, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 675]

E' difficile compito di ogni uomo diminuire per quanto puo' la tremenda mole di questa "sostanza" che inquina ogni vita, il dolore in tutte le sue forme; ed e' strano, ma bello, che a questo imperativo si giunga anche a partire da presupposti radicalmente diversi.

*

Primo Levi: Canto dei morti invano
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 615]

Sedete e contrattate
A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purche' trattiate e contrattiate
Le vite dei vostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L'esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d'Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl'innocenti straziati a Bologna.
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perche' siamo i vinti.
Invulnerabili perche' gia' spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finche' la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.

14 gennaio 1985

*

Primo Levi: Agli amici
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 623]

Cari amici, qui dico amici
Nel senso vasto della parola:
Moglie, sorella, sodali, parenti,
Compagne e compagni di scuola,
Persone viste una volta sola
O praticate per tutta la vita:
Purche' fra noi, per almeno un momento,
Sia stato teso un segmento,
Una corda ben definita.

Dico per voi, compagni d'un cammino
Folto, non privo di fatica,
E per voi pure, che avete perduto
L'anima, l'animo, la voglia di vita.
O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu
Che mi leggi: ricorda il tempo
Prima che s'indurisse la cera,
Quando ognuno era come un sigillo.
Di noi ciascuno reca l'impronta
Dell'amico incontrato per via;
In ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene od il male
In saggezza o in follia
Ognuno stampato da ognuno.

Ora che il tempo urge da presso,
Che le imprese sono finite,
A voi tutti l'augurio sommesso
Che l'autunno sia lungo e mite.

16 dicembre 1985

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Primo Levi: La vergogna del mondo
[Da Primo Levi, I sommersi e i salvati, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, pp. 1157-1158]

E c'e' un'altra vergogna piu' vasta, la vergogna del mondo. E' stato detto memorabilmente da John Donne, e citato innumerevoli volte, a proposito e non, che "nessun uomo e' un'isola", e che ogni campana di morte suona per ognuno. Eppure c'e' chi davanti alla colpa altrui, o alla propria, volge le spalle, cosi' da non vederla e non sentirsene toccato: cosi' hanno fatto la maggior parte dei tedeschi nei dodici anni hitleriani, nell'illusione che il non vedere fosse un non sapere, e che il non sapere li alleviasse dalla loro quota di complicita' o di connivenza. Ma a noi lo schermo dell'ignoranza voluta, il "partial shelter" di T. S. Eliot, e' stato negato: non abbiamo potuto non vedere. Il mare di dolore, passato e presente, ci circondava, ed il suo livello e' salito di anno in anno fino quasi a sommergerci. Era inutile chiudere gli occhi o volgergli le spalle, perche' era tutto intorno, in ogni direzione fino all'orizzonte. Non ci era possibile, ne' abbiamo voluto, essere isole; i giusti fra noi, non piu' ne' meno numerosi che in qualsiasi altro gruppo umano, hanno provato rimorso, vergogna, dolore insomma, per la colpa che altri e non loro avevano commessa, ed in cui si sono sentiti coinvolti, perche' sentivano che quanto era avvenuto intorno a loro, ed in loro presenza, e in loro, era irrevocabile. Non avrebbe potuto essere lavato mai piu'; avrebbe dimostrato che l'uomo, il genere umano, noi insomma, eravamo potenzialmente capaci di costruire una mole infinita di dolore; e che il dolore e' la sola forza che si crei dal nulla, senza spesa e senza fatica. Basta non vedere, non ascoltare, non fare.

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Primo Levi: Il nocciolo di quanto abbiamo da dire
[Da Primo Levi, I sommersi e i salvati, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, pp. 1149-1150]

L'esperienza di cui siamo portatori noi superstiti dei Lager nazisti e' estranea alle nuove generazioni dell'Occidente, e sempre piu' estranea si va facendo a mano a mano che passano gli anni (...).
Per noi, parlare con i giovani e' sempre piu' difficile. Lo percepiamo come un dovere, ed insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. Dobbiamo essere ascoltati: al di sopra delle nostre esperienze individuali, siamo stati collettivamente testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, fondamentale appunto perche' inaspettato, non previsto da nessuno. E' avvenuto contro ogni previsione; e' avvenuto in Europa; incredibilmente, e' avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura culturale di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso; eppure Adolf Hitler e' stato obbedito ed osannato fino alla catastrofe. E' avvenuto, quindi puo' accadere di nuovo: questo e' il nocciolo di quanto abbiamo da dire.

*

Primo Levi: Al visitatore
[Da Primo Levi, testo pubblicato per l'inaugurazione del Memorial in onore degli italiani caduti nei campi di sterminio nazisti, ora in Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, pp. 1335-1336]

La storia della Deportazione e dei campi di sterminio, la storia di questo luogo, non puo' essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dai primi incendi delle Camere del Lavoro nell'Italia del 1921, ai roghi di libri sulle piazze della Germania del 1933, alla fiamma nefanda dei crematori di Birkenau, corre un nesso non interrotto. E' vecchia sapienza, e gia' cosi' aveva ammonito Heine, ebreo e tedesco: chi brucia libri finisce col bruciare uomini, la violenza e' un seme che non si estingue.
E' triste ma doveroso rammentarlo, agli altri ed a noi stessi: il primo esperimento europeo di soffocazione del movimento operaio e di sabotaggio della democrazia e' nato in Italia. E' il fascismo, scatenato dalla crisi del primo dopoguerra, dal mito della "vittoria mutilata", ed alimentato da antiche miserie e colpe; e dal fascismo nasce un delirio che si estendera', il culto dell'uomo provvidenziale, l'entusiasmo organizzato ed imposto, ogni decisione affidata all'arbitrio di un solo.
Ma non tutti gli italiani sono stati fascisti: lo testimoniamo noi, gli italiani che siamo morti qui. Accanto al fascismo, altro filo mai interrotto, e' nato in Italia, prima che altrove, l'antifascismo. Insieme con noi testimoniano tutti coloro che contro il fascismo hanno combattuto e che a causa del fascismo hanno sofferto, i martiri operai di Torino del 1923, i carcerati, i confinati, gli esuli, ed i nostri fratelli di tutte le fedi politiche che sono morti per resistere al fascismo restaurato dall'invasore nazionalsocialista.
E testimoniano insieme a noi altri italiani ancora, quelli che sono caduti su tutti i fronti della II Guerra Mondiale, combattendo malvolentieri e disperatamente contro un nemico che non era il loro nemico, ed accorgendosi troppo tardi dell'inganno. Sono anche loro vittime del fascismo: vittime inconsapevoli.
Noi non siamo stati inconsapevoli. Alcuni fra noi erano partigiani; combattenti politici; sono stati catturati e deportati negli ultimi mesi di guerra, e sono morti qui, mentre il Terzo Reich crollava, straziati dal pensiero della liberazione cosi' vicina.
La maggior parte fra noi erano ebrei: ebrei provenienti da tutte le citta' italiane, ed anche ebrei stranieri, polacchi, ungheresi, jugoslavi, cechi, tedeschi, che nell'Italia fascista, costretta all'antisemitismo dalle leggi di Mussolini, avevano incontrato la benevolenza e la civile ospitalita' del popolo italiano. Erano ricchi e poveri, uomini e donne, sani e malati.
C'erano bambini fra noi, molti, e c'erano vecchi alle soglie della morte, ma tutti siamo stati caricati come merci sui vagoni, e la nostra sorte, la sorte di chi varcava i cancelli di Auschwitz, e' stata la stessa per tutti. Non era mai successo, neppure nei secoli piu' oscuri, che si sterminassero esseri umani a milioni, come insetti dannosi: che si mandassero a morte i bambini e i moribondi. Noi, figli di cristiani ed ebrei (ma non amiamo queste distinzioni) di un paese che e' stato civile, e che civile e' ritornato dopo la notte del fascismo, qui lo testimoniamo.
In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si e' toccato il fondo delle barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia stata inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fa che il frutto orrendo dell'odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, ne' domani ne' mai.

4. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...

... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.

5. LA SOLITA ALLEGORIA. OMERO DELLISTORTI: L'OSSERVATORE DI GECHI

Da quando sto in pensione non esco piu' di casa. Finalmente.
Guardo la televisione e per la spesa ci pensa la signora Cesira che mi fa anche le pulizie e mi va a pagare le bollette. Se non ci fosse la signora Cesira...
Qualche volta ordino una pizza con questi fattorini in bicicletta, o in motorino, cosi', per essere pure io alla moda. Che poi a me della moda non me ne e' mai fregato niente, pero' cosi' per sfizio. Ogni tanto. La pizza. Mi e' sempra piaciuta la pizza.
Quando non guardo la televisione, di sera, mi metto davanti alla finestra della cucina che ci ho la zanzariera. Se non ci fosse la zanzariera l'umanita' non ci avrebbe tempo per riposarsi perche' le zanzare ti si magnano vivo. Invece per fortuna hanno inventato la zanzariera. Secondo me bisognava dargli un premio a chi l'ha inventata. Magari gliel'hanno pure dato, che ne so.
A una cert'ora arriva un geco. E si piazza li', sulla zanzariera. E aspetta. Cosi' come aspetto io. Fermo che pare morto, proprio come me. Finche' una falena, una zanzara, un altro insetto scemo si ferma sulla zanzariera. E allora il geco prima sta fermo ancora un bel po', poi si avvicina lento lento, poi una specie di salto e se lo pappa in un boccone solo. Mi chiedo come fa a fare quel salto senza cascare dalla zanzariera.
Io le cose del mondo le studio perche' mi piace capire com'e' che funzionano. Ci ragiono sopra. La gente non ci pensa mai perche' perde tempo con un sacco di scemenze. Io invece osservo la natura e imparo.
Ho imparato un mucchio di cose a guardare i gechi che si pappano le zanzare con un boccone solo.
Adesso mica sono cosi' fesso da scriverle qui le cose che ho imparato.
Quando finii al gabbio la prima volta da giovane la prima regola che ho imparato e' di non dire mai niente, niente. Chiedetelo all'avvocato vostro e vedete se non vi dice cosi' pure lui.

6. LE SOLITE STORIE. OMERO DELLISTORTI: AL BAR

Tutto quello che so della vita l'ho imparato al bar.
Io lo dico sempre: che ce li mandano a fare i regazzini a scuola che tanto non imparano niente.
S'impara solo dalla vita vera, e la vita vera dove sta? Eh? Dove sta? Sta qui la vita vera, al bar. Ce lo sanno tutti.
*
Per esempio quelli che giocano a quintiglio: impari che devi stare zitto, zitto sempre. Come un sottomarino. Quando la partita e' finita, allora si', si parla, si strilla, si fa quello che si deve fare. Ma mentre si gioca si gioca zitti. E si pensa. A quintiglio vince chi pensa, non e' come gli altri giochi.
Per esempio Ciampicone: che a vederlo se non lo sai neppure ci fai caso, e invece e' quello che e'. Una volta un forestiero gli chiese una cosa, lo sanno tutti quello che successe. Lo sanno tutti e non lo dice nessuno. Quello e' Ciampicone.
Per esempio Carrarmato, che lo chiamavano cosi' per via degli scarponi con le suole a carrarmato. Che fu la prova che era stato lui. Magari se si metteva un paio di scarpe senza il carrarmato ancora lo cercavano chi aveva ammazzato la moglie. Oppure magari a lui gli andava di lasciarci la firma, che ne sai come e' fatta la gente, la gente fa le cose piu' strane.
Per esempio Trinchevvia, che fini' che lo misero sotto. Era sicuro che finiva cosi', di notte a zig e zag per strada primo o poi qualcuno che ti mette sotto le ruote lo trovi.
*
C'e' da fare un lavoretto? E chi te lo dice? Te lo dicono al bar, dove senno'?
Vuoi vedere le partite? E chi ce l'ha la televisione con tutte le partite? Il bar.
Ti va di leggerti il giornale la mattina aggratisse? Al bar.
Non ci hai voglia di andare a casa a dormire? Resti al bar, che tanto non chiude mai.
Ti serve uno che dice che sei stato tutto il giorno e tutta la notte al bar? Lo dicono tutti, perche' e' la regola del bar che se le guardie lo chiedono e' cosi' che si risponde. Tutti. Pure quelli che magari ci hai fatto a coltellate il giorno prima. Il bar non ti tradisce.
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La vita, la vita, dicono. E che e' la vita? E' il bar e poi quella schifezza che c'e' fuori.

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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 607 del 24 ottobre 2022
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