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[Nonviolenza] Telegrammi. 4566
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4566
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Wed, 17 Aug 2022 17:13:12 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4566 del 18 agosto 2022
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. 17 agosto 2022. Nella "settimana di studio e di testimonianza per la liberazione di Leonard Peltier" oggi rileggiamo "Il guardiano notturno" di Louise Erdrich
2. Pasquale Pugliese: Effetto farfalla. Un anno dopo la fuga da Kabul
3. Omero Dellistorti: Certe preghiere
4. Omero Dellistorti: Non fo per dire
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. INCONTRI. 17 AGOSTO 2022. NELLA "SETTIMANA DI STUDIO E DI TESTIMONIANZA PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER" OGGI RILEGGIAMO "IL GUARDIANO NOTTURNO" DI LOUISE ERDRICH
Mercoledi' 17 agosto 2022, nell'ambito della "settimana di studio e di testimonianza per la liberazione di Leonard Peltier", si e' svolto a Cura di Vetralla (Vt) un incontro di studio dedicato al libro di Louise Erdrich, Il guardiano notturno, Feltrinelli, Milano 2021, pp. 432, traduzione di Andrea Buzzi.
Il romanzo ha ricevuto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2021.
L'autrice e' una delle piu' importanti scrittrici native americane; nata nel 1954 da padre di origine tedesca e da madre di origine Ojibwa (Chippewa), ha pubblicato molti libri: romanzi, racconti, poesie, saggi, letteratura per l'infanzia, ricevendo molti prestigiosi riconoscimenti.
*
Il romanzo, dedicato "ad Aunishenaubay, Patrice Gourneau; a sua figlia Rita, mia madre; e a tutti i capi indiani d'America che si batterono contro l'estinzione", e' ambientato nel periodo - gli anni '50 del Novecento - in cui l'establishment statunitense tento' di annientare definitivamente i nativi americani con la politica di "Indian Termination" che mirava ad abolire definitivamente tutti i trattati stipulati dal governo statunitense con le nazioni che abitavano il continente prima dell'invasione europea e sottrarre cosi' alle popolazioni native le residue terre delle riserve per gettare tutti i nativi nelle discariche umane dei ghetti urbani: il completamento del genocidio.
La politica governativa di "Indian Termination" si protrasse tra la meta' degli anni '40 (dopo la conclusione della seconda guerra mondiale) e la meta' degli anni '60 del Novecento, ed ebbe il suo culmine negli anni '50; fu contrastata eroicamente dalle nazioni originarie americane e da chi seppe porsi al loro ascolto e alla loro sequela. Successivamente la Resistenza dei nativi americani crebbe fino a uno straordinario sviluppo, fino alla grande - ed altresi' drammatica - stagione di lotte degli anni '60-'70, di cui Leonard Peltier - di cui chiediamo la liberazione - e' un luminoso testimone.
Scrive Louise Erdrich in apertura del libro, a p. 7: "Il primo agosto 1953 il Congresso degli Stati Uniti annuncio' la House Concurrent Resolution 108, una proposta di legge per abrogare i trattati bilaterali stipulati con le nazioni indiane d'America "finche' crescera' l'erba e scorreranno i fiumi". L'annuncio implicava l'estinzione ultima di tutte le tribu' indiane e l'estinzione immediata di cinque tribu', compresa la tribu' dei chippewa della Turtle Mountain.
"Nel suo ruolo di presidente tribale, mio nonno Patrick Gourneau lotto' contro l'estinzione, lavorando nel frattempo come guardiano notturno. Come il mio personaggio Thomas Wazhashk, dormiva pochissimo. Questo e' un libro di fantasia. Ho cercato tuttavia di mantenermi fedele alla vita straordinaria di mio nonno. Eventuali imprecisioni sono tutte mie. A parte Thomas e la Turtle Mountain Jewel Bearing Plant, l'unico altro personaggio importante che somigli a qualcuno, vivo o morto, e' il senatore Arthur V. Watkins, implacabile fautore della spoliazione dei nativi nonche' colui che sottopose mio nonno a interrogatorio".
Cosi' l'autrice, che a conclusione del volume, nella "Postfazione e ringraziamenti" (pp. 422-427) aggiunge: "Aunishenaubay, Patrice Gourneau, e' stato presidente del Consiglio direttivo della tribu' dei chippewa della Turtle Mountain alla meta' degli anni '50, ritenuta l'eta' d'oro dell'America, in realta' un'epoca in cui regnava Jim Crow [le infami "leggi Jim Crow", come e' noto, furono virulenta e feroce espressione del potere razzista e schiavista bianco per mantenere la segregazione razziale e legittimare ogni violenza da parte dei poteri dominanti - ndr] e in cui gli indiani d'America toccarono il punto piu' basso del loro potere: le nostre religioni tradizionali messe fuori legge, la nostra base territoriale continuamente e illegalmente sottoposta a razzie (come succede ancora oggi) da compagnie di sfruttamento delle risorse, le nostre lingue indebolite dalle scuole governative. I nostri capi erano anche tenuti a rispondere ai funzionari governativi assimilazionisti: a titolo di mero esempio, basta guardare il "Comitato consultivo" nella designazione di mio nonno. Lui e gli altri membri tribali non avevano praticamente alcuna autorita'. Il loro scopo doveva essere quello di orientare l'Ufficio per gli affari indiani, ma coglievano ogni occasione per rappresentare il loro popolo. Gli anni '50 furono un'epoca in cui quel po' di terra residua e i diritti sanciti da trattati furono facili prede. Con il boom abitativo del dopoguerra, le magnifiche foreste di Klamath e Menominee divennero particolarmente appetibili. Non e' un caso che quelle tribu' fossero le prime nella lista di quelle da estinguere.
"Fra il 1953 e il 1954 mio nonno scrisse una serie di lettere straordinarie. Erano indirizzate ai miei genitori. Mia madre le dette a me perche' le conservassi (...).
"Primo portavoce ojibwemowin, mio nonno era figlio di Keeshkemunishiw, il Martin Pescatore, e nipote di Joseph Gourneau, Kasigiwit, capo guerriero della tribu' pembina degli ojibwe. Avevano vissuto cacciando bisonti da un capo all'altro delle pianure, fino al Montana. Mio nonno apparteneva alla prima generazione nata nella riserva. La sua famiglia compi' la disperata, difficoltosa transizione all'agricoltura. Alla fine ci riusci'. (...) Non appena venne a conoscenza della Legge estinzione, capi' immediatamente che si trattava, come e' stato detto, di un nuovo fronte nella guerra agli indiani.
""Buona parte della normativa in questione, se venisse approvata, significherebbe la fine dei nostri ultimi possedimenti in questo continente e distruggerebbe la dignita' e l'identita' dei primi abitanti di questa terra prosperosa", disse Joe Garry, al tempo presidente del National Congress of American Indians.
""Questo nuovo disegno di legge e' piu' o meno la cosa peggiore che gli indiani si trovano a dover fronteggiare", diceva mio nonno.
"Sebbene molte volte avessi letto le sue lettere in cerca di conforto o di ispirazione, alla fine pensai di rileggerle collegandole al voluminoso materiale di ricerca sull'era dell'estinzione che avevo accumulato. Quando lo feci, collocando le sue lettere accuratamente datate all'interno del percorso nel tempo del disegno di legge, che lasciava alle tribu' solo pochi mesi per rispondere al Congresso, mi resi conto che mio nonno, insieme ad altri nella tribu', amici accorti come Martin Cane Vecchio Cross e alleati non indiani, aveva compiuto un'impresa che aveva modificato il corso dell'estinzione, sfidando la forza devastante della spinta federale a recidere le promesse legali, sacre e immutabili sancite da trattati fra nazioni. Fra le tribu' inizialmente in lista per l'estinzione, la delegazione della Turtle Mountain fu la prima a mettere insieme una strenua difesa e a spuntarla. (...) Mi feci anche un'idea di che cosa fosse costato a lui, alla nostra famiglia e alla terra indiana il suo impegno per realizzare un compito apparentemente impossibile, bloccare l'estinzione.
"Centotredici nazioni tribali in tutto subirono il disastro dell'estinzione; oltre mezzo milione di ettari di terre indiane ando' perduto. Fiumi di denaro finirono a societa' private, mentre molte persone appartenenti alle tribu' estinte morirono precocemente, in poverta'. Non una sola tribu' ne trasse vantaggio. Alla fine, settantotto nazioni tribali, compresi i menominee, guidati da Ada Deer, riconquistarono il riconoscimento federale; dieci ottennero lo status ma non il riconoscimento federale; trentuno tribu' sono senza terra; ventiquattro sono considerate estinte. La recente autobiografia di Ada Deer, "Making a Difference: My Fight for Native Rights and Social Justice", e' un'eccellente lettura sull'argomento".
Cosi' ancora l'autrice.
Ma tra questi brani di verita' che aprono e chiudono il libro c'e' ovviamente un intero romanzo dal ricco intreccio e dalla molteplici tematiche esposte dall'autrice con profondita', nitore e delicatezza grandi; un romanzo appassionante e prezioso la cui lettura caldamente raccomandiamo.
*
Rinnoviamo ancora una volta la richiesta che sia liberato Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 46 anni prigioniero innocente.
Alleghiamo in calce un appello alla Presidente del Parlamento Europeo e al Segretario Generale delle Nazioni Unite.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.
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Allegato primo: Appello alla Presidente del Parlamento Europeo, on. Roberta Metsola: president at ep.europa.eu
Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
il suo indimenticabile predecessore, il Presidente David Sassoli, si impegno' affinche' il Presidente degli Stati Uniti d'America compisse un atto di clemenza che restituisse la liberta' a Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra, da 46 anni detenuto innocente nelle carceri statunitensi a seguito di un processo-farsa in cui fu assurdamente condannato per un crimine che non ha mai commesso sulla base di "prove" false e di "testimonianze" altrettante false, come successivamente ammisero i suoi stessi accusatori e giudici. Nonostante la sua innocenza sia ormai da tutti riconosciuta, Leonard Peltier continua ad essere detenuto.
Con un intervento pubblicato su twitter e una dichiarazione alla stampa di cui e' disponibile la registrazione video il Presidente Sassoli il 23 agosto 2021 espresse pubblicamente la richiesta al Presidente degli Stati Uniti d'America di concedere la grazia a Leonard Peltier.
Nel suo tweet del 23 agosto 2021 il Presidente Sassoli scriveva, in italiano e in inglese:
"Inviero' una lettera alle autorita' statunitensi chiedendo clemenza per Leonard Peltier, attivista per i diritti umani dell'American Indian Movement, in carcere da 45 anni.
Spero che le autorita' accolgano il mio invito. I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
"I will send a letter to the US authorities asking for clemency for Leonard Peltier. A human rights activist of the American Indian Movement, he has been imprisoned for 45 years.
I hope the authorities will take up my invitation. Human rights must be defended always, everywhere".
Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
gia' nel 1994 e poi ancora nel 1999 il Parlamento Europeo delibero' risoluzioni per la liberazione di Leonard Peltier.
Qui di seguito si trascrive integralmente la Risoluzione del Parlamento Europeo dell'11 febbraio 1999 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. C 150 del 28/05/1999 pag. 0384, B4-0169, 0175, 0179 e 0199/99):
"Risoluzione sul caso di Leonard Peltier
Il Parlamento europeo,
- vista la sua risoluzione del 15 dicembre 1994 sulla grazia per Leonard Peltier (GU C 18 del 23.1.1995, pag. 183),
A. considerando il ruolo svolto da Leonard Peltier nella difesa dei diritti dei popoli indigeni,
B. considerando che Leonard Peltier e' stato condannato nel 1977 a due ergastoli dopo essere stato estradato dal Canada, benche' non vi fosse alcuna prova della sua colpevolezza,
C. considerando che Amnesty International ha ripetutamente espresso le proprie preoccupazioni circa l'equita' del processo che ha condotto alla condanna di Leonard Peltier,
D. considerando che il governo degli Stati Uniti ha ormai ammesso che gli affidavit utilizzati per arrestare e estradare Leonard Peltier dal Canada erano falsi e che il Pubblico ministero statunitense Lynn Crooks ha affermato che il governo degli Stati Uniti non aveva alcuna prova di chi aveva ucciso gli agenti,
E. considerando che dopo 23 anni trascorsi nei penitenziari federali, le condizioni di salute di Leonard Peltier si sono seriamente aggravate e che secondo il giudizio di specialisti la sua vita potrebbe essere in pericolo se non ricevera' adeguate cure mediche,
F. considerando che le autorita' penitenziarie continuano a negargli adeguate cure mediche in violazione del diritto umanitario internazionale e i suoi diritti costituzionali,
G. rilevando che Leonard Peltier ha esaurito tutte le possibilita' di appello concessegli dal diritto statunitense,
1. insiste ancora una volta affinche' venga concessa a Leonard Peltier la grazia presidenziale;
2. insiste affinche' Leonard Peltier sia trasferito in una clinica dove possa ricevere le cure mediche del caso;
3. ribadisce la sua richiesta di un'indagine sulle irregolarita' giudiziarie che hanno portato alla reclusione di Leonard Peltier;
4. incarica la sua delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti di sollevare il caso di Leonard Peltier iscrivendolo all'ordine del giorno del prossimo incontro con i parlamentari americani;
5. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al Congresso statunitense e al Presidente degli Stati Uniti d'America".
Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
la liberazione di Leonard Peltier e' stata chiesta gia' da molti anni da prestigiose istituzioni, innumerevoli associazioni democratiche, milioni di persone di tutto il mondo tra cui illustri personalita' come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Desmond Tutu e numerosi altri Premi Nobel.
Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
dia seguito all'iniziativa del Parlamento Europeo e del Presidente Sassoli, e chieda al Presidente degli Stati Uniti d'America di compiere finalmente l'atto di clemenza che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
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Allegato secondo: Appello al Segretario Generale delle Nazioni Unite, on. Antonio Guterres: sgcentral at un.org
Egregio Segretario Generale delle Nazioni Unite, on. Antonio Guterres,
uniamo la nostra voce a quella di quanti hanno gia' chiesto un suo intervento presso il Presidente degli Stati Uniti d'America affinche' compia un atto di clemenza restituendo la liberta' a Leonard Peltier attraverso lo strumento giuridico della grazia presidenziale.
Chiediamo questo suo intervento perche' la vicenda di Leonard Peltier riguarda l'umanita' intera.
Come Lei gia' sapra', Leonard Peltier e' un illustre attivista nativo americano, generoso e coraggioso difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra, da 46 anni detenuto per delitti che non ha commesso.
Gli stessi suoi accusatori che ne ottennero la condanna al termine di uno scandalosissimo processo-farsa basato su cosiddette "prove" dimostratesi assolutamente false e su cosiddette "testimonianze" dimostratesi anch'esse assolutamente false, hanno successivamente riconosciuto che la condanna e la conseguente detenzione di Leonard Peltier e' ingiusta e persecutoria, insensata e disumana, ed hanno chiesto loro stessi la sua liberazione.
Eppure, nonostante che la sua innocenza sia ormai certezza condivisa dall'umanita' intera, Leonard Peltier - ormai anziano e con gravi problemi di salute - continua ad essere detenuto per delitti che non ha mai commesso.
Sicuramente ricordera' che la liberazione di Leonard Peltier e' stata chiesta da milioni di persone di tutto il mondo, tra le quali figure luminose come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Desmond Tutu.
Ricordera' sicuramente anche che la liberazione di Leonard Peltier e' stata chiesta da innumerevoli istituzioni, tra le quali il Parlamento Europeo con ben due risoluzioni fin dagli anni '90 del secolo scorso.
Ci e' particolarmente grato ricordare anche l'iniziativa del compianto Presidente del Parlamento Europeo, on. David Sassoli, recentemente deceduto, che il 23 agosto 2021 scriveva, in italiano e in inglese:
"Inviero' una lettera alle autorita' statunitensi chiedendo clemenza per Leonard Peltier, attivista per i diritti umani dell'American Indian Movement, in carcere da 45 anni. Spero che le autorita' accolgano il mio invito. I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
"I will send a letter to the US authorities asking for clemency for Leonard Peltier. A human rights activist of the American Indian Movement, he has been imprisoned for 45 years. I hope the authorities will take up my invitation. Human rights must be defended always, everywhere".
Gli sforzi di milioni di esseri umani, l'impegno di innumerevoli associazioni - tra cui in primo luogo Amnesty International -, il voto di autorevolissime istituzioni, non hanno ottenuto fin qui che Leonard Peltier venisse liberato.
Occorre evidentemente un'iniziativa ulteriore.
Sia Lei, che rappresenta l'Organizzazione delle Nazioni Unite, quindi l'istituzione rappresentativa di tutti i paesi e i popoli del mondo, a promuovere questa iniziativa.
Sia Lei a chiedere al Presidente degli Stati Uniti d'America di restituire la liberta' a Leonard Peltier.
2. RIFLESSIONE. PASQUALE PUGLIESE: EFFETTO FARFALLA. UN ANNO DOPO LA FUGA DA KABUL
[Dal sito www.pasqualepugliese.wordpress.com riprendiamo e diffondiamo questo intervento del 28 maggio 2022.
Pasquale Pugliese, come e' noto, e' una delle voci piu' autorevoli della nonviolenza in Italia]
"Eppure l'Afghanistan ci perseguitera' perche' e' la cartina di tornasole della nostra immoralita', delle nostre pretese di civilta', della nostra incapacita' di capire che la violenza genera solo violenza"
(Tiziano Terzani)
Quando il meteorologo Edward Lorenz – con la domanda "puo' il battito d'ali di una farfalla in Brasile generare un uragano in Texas?" – ipotizzo' il principio che sarebbe diventato universalmente noto come "effetto farfalla", forse non aveva del tutto chiaro che stava esprimendo un concetto che si applica a tutti i sistemi complessi, non solo – come ormai ci e' drammaticamente chiaro – a quelli climatici. Ma anche, per esempio, al sistema delle relazioni internazionali tra gli Stati, nelle loro influenze reciproche, in particolare quando si pretende di esercitare – senza conseguenze e contraccolpi – politiche di potenza regionali o addirittura globali. Per questo, anche per comprendere pienamente alcune delle ragioni del ritorno della guerra aperta in Europa, con l’invasione russa del territorio ucraino, e' necessario fare qualche passo indietro. Acquisire profondita' e prospettiva, ossia complessita' di visione, per sottrarsi al presentismo nel quale siamo immersi, nella bulimia del flusso informatico continuo dove notizia nuova scaccia notizia "vecchia", in una sovrapposizione di istantanee semplificanti, nelle quali si perdono i nessi e le articolazioni. Cioe', precisamente, la capacita' di comprendere pienamente cio' che accade qui ed ora.
*
20 anni di guerra in Afghanistan: per la rabbia e l'orgoglio o per lucida follia?
Quanto accaduto dal punto di vista mediatico a partire dal febbraio 2022, con l'improvvisa esplosione sui mezzi di comunicazione della guerra in Ucraina in riferimento all'aggressione russa, senza che negli otto anni precedenti fosse stato minimamente raccontato il conflitto armato in corso nella regione di confine tra Ucraina e Russa del Donbass, e' sul piano comunicativo – mutatis mutandis – la riproposizione di quanto avvenuto solo alcuni mesi prima, nell'agosto del 2021, quando canali televisivi e piattaforme social sono stati inondati improvvisamente da drammatiche immagini e informazioni provenienti dall'Afghanistan, in riferimento alla ritirata statunitense ed occidentale dalla ventennale occupazione militare che non era stata raccontata negli anni precedenti, se non nei mesi iniziali. E, dunque, sostanzialmente rimossa dalla consapevolezza generale.
Per comprendere quanto accadde nei giorni della fuga da Kabul – e mettere a fuoco la cornice di quanto accade nei nostri – bisogna fare un flashback, un salto indietro di oltre venti anni, tra l'11 settembre e il 7 ottobre del 2001, quando si scateno' in Occidente la furia vendicatrice per l'attacco terroristico alle Twin Towers di New York che prevedeva per il presidente George Bush jr una guerra di occupazione contro uno Stato sovrano, in qualche modo riconducibile ai cosiddetti "nemici dell'Occidente": la scelta cadde sull'Afghanistan, nonostante nessuno degli attentatori fosse cittadino afghano e il rifugio dove fu scovato e ucciso Osama Bin Laden, terrorista saudita che rivendico' quell'attentato, fu trovato dieci anni dopo nell'alleato Pakistan... Guerra alla quale – nonostante la contrarieta' delle Nazioni Unite – i governi occidentali e la relativa stampa "libera" si accodarono, "senza se e senza ma", guidati non dalla ragione e dalla saggezza ma da "la rabbia e l'orgoglio", come il titolo di un famoso articolo sul Corriere della sera – e poi del relativo libro – della giornalista e scrittrice Oriana Fallaci, che ne sostenne e fomento' la crociata.
Furono ignorate, invece, tutte le voci ragionevoli e sagge contrarie alla guerra a cominciare da quella di Tiziano Terzani, il grande giornalista e scrittore che provo' a rispondere cosi' – profeticamente, direi – dalle stesse pagine del Corriere della Sera (che allora usava ospitare anche opinioni differenti), ad Oriana Fallaci ed a tutti i fondamentalisti della guerra:
"Quel che sta accadendo e' nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. E' una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d'aver davanti prima dell'11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilita' di nulla, tanto meno all'inevitabilita' della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre piu' tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor piu' determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor piu' terribile violenza – ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguira' necessariamente una loro ancora piu' orribile e poi un'altra nostra e cosi' via. Perche' non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari "intelligente", di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui" (1).
Fu ignorata anche la voce di Gino Strada, il fondatore di Emergency, che rispondeva cosi' il 7 ottobre del 2001 da Kabul a Gianni Mura che lo intervistava telefonicamente per il quotidiano la Repubblica, sotto le bombe occidentali: "Senta, e' da quando siamo piccoli che ce la menano col si vis pacem para bellum dei latini. Non e' vero, e' vero l'esatto contrario. Se vuoi la pace prepara la pace. Con la guerra si prepara solo la prossima guerra". Concetto che avrebbe ribadito venti anni dopo nel suo ultimo intervento su La Stampa dove, qualche giorno prima della morte (2) – e pochi giorni prima della fuga statunitense da Kabul – ha fatto un tragico bilancio della ventennale occupazione:
"La guerra all'Afghanistan e' stata – ne' piu' ne' meno – una guerra di aggressione iniziata all'indomani dell’attacco dell'11 settembre, dagli Stati Uniti a cui si sono accodati tutti i Paesi occidentali. Il 7 novembre 2001, il 92 per cento circa dei parlamentari italiani approvo' una risoluzione a favore della guerra. Chi allora si opponeva alla partecipazione dell'Italia alla missione militare, contraria alla Costituzione oltre che a qualunque logica, veniva accusato pubblicamente di essere un traditore dell'Occidente, un amico dei terroristi, un'anima bella nel migliore dei casi. L'intervento della coalizione internazionale si tradusse, nei primi tre mesi del 2001, solo a Kabul e dintorni, in un numero vittime civili superiore agli attentati di New York. Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l'esito di quell'aggressione e' sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di vista. Oltre alle 241mila vittime e ai 5 milioni di sfollati, tra interni e richiedenti asilo, l'Afghanistan oggi e' un Paese che sta per precipitare di nuovo in una guerra civile, i talebani sono piu' forti di prima, le truppe internazionali sono state sconfitte e la loro presenza e autorevolezza nell'area e' ancora piu' debole che nel 2001" (3).
Furono ignorate anche le trecentomila persone che il 14 ottobre del 2001 marciarono da Perugia ad Assisi, sulle orme di Aldo Capitini, per manifestare il ripudio costituzionale della guerra; furono ignorate le cinquecentomila persone che manifestarono a Firenze il 9 novembre del 2002, anche contro l'ulteriore guerra di aggressione contro l'Iraq che gia' si stava preparando, con la costruzione delle false prove delle inesistenti "armi di distruzione di massa"; furono ignorate le tre milioni di persone che invasero pacificamente Roma il 16 febbraio del 2003, insieme a cento milioni di altre persone che manifestavano in tutte le capitali del pianeta, in quella che il New York Time defini' "l'altra superpotenza mondiale", contro entrambe le guerre che avrebbero funestato i primi due decenni del XXI secolo. E le cui conseguenze allungano le loro ombre sul presente e le allungheranno ancora sul futuro. Le tremende immagini di quei giorni delle persone cadute dagli aerei USA in fuga da Kabul ai quali si erano disperatamente aggrappate hanno simbolicamente chiuso – centinaia di migliaia di morti dopo – il girone infernale aperto con le persone che si gettavano disperatamente dalle Twin Towers per sfuggire alle fiamme. La follia di chi ha pensato che la guerra fosse il mezzo giusto per raggiungere il fine della giustizia e' stato pari solo all'ignavia di tutti quelli che ci hanno creduto, alla debolezza di quelli che, evidentemente, non si sono opposti per tempo e abbastanza ed alla malafede di coloro che hanno giustificato e difeso quella fallacia logica, prima che morale.
*
Chi ha vinto e chi ha perso
Ma per comprendere fino in fondo come si e' arrivati a quelle scene di fuga dell'agosto 2021, bisogna ulteriormente allargare lo sguardo sul rapporto degli Stati Uniti con i talebani che non cominciava ventuno anni fa con l'invasione armata dell'Afghanistan, bensi' negli anni '80 del secolo scorso quando il presidente Ronald Reagan incontrava ripetutamente allo "studio ovale" e finanziava abbondantemente i mujaheddin (i guerrieri santi) – compreso un certo Bin Laden, allora alleato – perche' facessero la jihād (la guerra santa) contro la Repubblica Democratica dell'Afganistan, in funzione antisovietica. Che questo avrebbe comportato la fine dell'emancipazione delle donne afghane, conquistata in quegli anni di governi filo-socialisti, era l'ultima delle preoccupazioni occidentali. Fino all'occupazione militare di quel martoriato paese nel 2001. Tutte le guerre del resto passano e si svolgono, anche, tragicamente sui corpi delle donne.
In quella guerra chiusa nell'agosto 2021, dunque, non hanno vinto gli statunitensi, che dopo vent'anni di occupazione militare e 2.300 miliardi di dollari bruciati sono tornati a casa lasciando il caos dietro di se'. Non hanno vinto gli afghani, che hanno avuto centinaia di migliaia di vittime tra il terrorismo della guerra e la guerra del terrorismo e sono stati lasciati in balìa dei signori dell'oppio. Non hanno vinto i talebani, che hanno preso in mano il governo di un paese martoriato e devastato. Non hanno vinto le donne afghane, che erano state rigettate nel medioevo proprio da quelli che venti anni fa si erano imposti come "liberatori", salvo abbandonarle al loro destino quando hanno deciso che era ora di andarsene. In Afghanistan hanno perso tutti, tranne coloro che nelle guerre vincono sempre: il complesso militare-industriale, quell'industria bellica che in vent'anni di guerra ha visto straordinariamente lievitare i propri profitti di morte, raddoppiandoli, e il proprio potere di influenza sulle decisioni dei governi.
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Il fallimento della strategia bellica dichiarata e la nostra falsa coscienza
In quei giorni estivi di fuga si sviluppo' sui quotidiani italiani, tra gli altri commenti piu' o meno "autorevoli", anche un surreale confronto a distanza tra l'ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese (4) e il politologo Gianfranco Pasquino (5) sulla esportabilita' o meno della democrazia, in riferimento al "fallimento della ventennale missione americana in Afghanistan" (Cassese), rispetto al quale c'erano almeno due punti deboli che hanno inficiato le rispettive argomentazioni, come spesso accade in questi casi, e che e' utile riportare perche' anticipano, per certi versi, questioni in ballo anche nella guerra in corso in Ucraina. Il primo punto debole e' che si e' trattato di un mero confronto accademico, seppur sviluppato sui quotidiani, senza alcun riferimento alla realtà concreta, perche' – se in vent'anni non fosse stato sufficientemente chiaro – lo stesso presidente USA Joe Biden, con la franchezza che lo contraddistingue, si era incaricato nella conferenza stampa alla Casa Bianca del 17 agosto 2021 di chiarire definitivamente l'obiettivo della guerra afghana, annunciando l'imminente ritiro delle truppe di occupazione USA: "lo state-bulding non e' mai stato l'obiettivo della nostra missione nel Paese, che era centrata su attivita' di anti-terrorismo e non sulla creazione di una democrazia" (6). Il secondo punto debole e' dato dall'assenza nel confronto di una riflessione sul rapporto tra mezzi e fini: il tema fondamentale di tutte le guerre, ossia – nello specifico della guerra in Afghanistan – non tanto la questione della legittimita' o meno di esportare in astratto la democrazia e i suoi valori, ma se questo fine possa essere raggiunto attraverso il concretissimo e devastante mezzo della guerra. Era di questo che si trattava. Ed e' di questo che, in fondo, si tratta ancora sui diversi scacchieri internazionali dove si confrontano per l'egemonia le superpotenze nucleari USA, Russia e Cina.
In verita', come hanno ulteriormente dimostrato anche gli attentati all'aeroporto di Kabul nei giorni della precipitosa smobilitazione statunitense, la guerra in Afghanistan non e' stata efficace neanche nella mera "attivita' anti-terrorismo" indicata dal presidente Biden. Anzi le quasi 200 vittime dell'ultimo attacco dell'agosto 2021 a Kabul, mentre gli statunitensi prendevano letteralmente il volo, si sono andate ad aggiungere alle centinaia di migliaia di vittime del terrorismo, dilagato in tutto il mondo nei vent'anni di guerra globale al... terrorismo. Il terrorismo della guerra non solo non ha fermato ma ha potenziato la guerra del terrorismo: non solo non e' servita ad esportare e costruire alcuna democrazia – ne' in Afghanistan, ne' in Iraq, ne' in Libia, ne' da nessun'altra parte dove questo era stato proclamato – ma, contraddicendo la retorica bellica, e' stata contro-produttiva anche rispetto all'obiettivo minimo di combattere quel terrorismo che invece si e' moltiplicato ed ha colpito ovunque, come registra anno dopo anno il Global Terrorism Index (7). E' stato il fallimento completo di una strategia irrazionale rispetto agli obiettivi dichiarati. La verita', dunque, e' che – nonostante i fiumi di retorica versati per due decenni – i venti anni di guerra in Afghanistan sono serviti, di fatto, solo a riversare migliaia di miliardi nelle casse dell'industria bellica internazionale. Che hanno prodotto sangue, terrore e caos, in un prevedibile – e previsto, come abbiamo visto – crescendo di tragedia e follia collettiva.
Infine, mentre nell'agosto del 2021 i media internazionali si sono meritoriamente preoccupati di raccogliere le drammatiche immagini e testimonianze dell'aeroporto di Kabul assediato da coloro che cercavano disperatamente di fuggire dal paese – come dal febbraio 2022 avrebbero fatto con i profughi ucraini in fuga dai territori di guerra – e' opportuno ricordare che il Rapporto dell'Alto commissariato ONU per i rifugiati proprio nel giugno precedente aveva comunicato che il numero di persone in fuga da guerre e persecuzioni in tutto il mondo nel 2020 aveva superato gli 82 milioni, di 3 milioni in piu' rispetto all'anno precedente, diventate 100 milioni l'anno successivo... Quindi sarebbe opportuno che agenzie, giornali e televisioni, uscissero dallo strabismo mediatico ed allargassero l'obiettivo sui profughi di tutte le guerre, delle quali sono i drammatici effetti collaterali e rispetto ai quali, di norma – invece di organizzare ponti aerei – tutti i giorni i governi alzano muri, fili spinati, lager ed onde del mare. Distinguendo talvolta tra profughi buoni, da accogliere, e profughi cattivi, da respingere. Lontani dalle telecamere e dalla nostra coscienza. Falsa coscienza, per lo piu'.
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Violenza su violenza. Il ventennale dimenticato dell'inizio di una guerra vergognosa
Come insegna Johan Galtung, tra le diverse dimensioni dell'esercizio diretto e indiretto della violenza, la piu' profonda e pervasiva e' la violenza culturale (8), che genera l'immaginario simbolico e produce senso comune. Una delle "armi" piu' potenti della violenza culturale e' la costruzione e l'uso selettivo della memoria pubblica condivisa, che decide e separa cio' che dev'essere ricordato da cio' che, invece, non deve esserlo. Per esempio, dopo l'agosto della fuga da Kabul, l'11 settembre 2021, nell'occasione del ventennale degli attentati terroristici a New York che, con il crollo delle Torri gemelle, hanno provocato 2977 vittime, la stampa internazionale per giorni ha ricordato quell'evento con dirette, edizioni straordinarie di magazine, approfondimenti di varia natura: una memoria giustamente celebrata dopo due decenni pieni. In conseguenza di quell'attacco kamikaze, poche settimane dopo, gia' il 7 ottobre 2001 cominciavano i bombardamenti anglo-statunitensi su Kabul con i quali iniziava la ventennale e illegale guerra di occupazione occidentale durata, appunto, fino all'agosto 2021: stesso e conseguente anniversario pieno ma memoria – al contrario – rimossa, senza alcun bilancio, valutazione pubblica o riconoscimento di responsabilita' politiche per l'immane disastro globale.
Poiche' quella occupazione militare, anziche' la liberta' duratura annunciata (Enduring freedom si chiamava la guerra), ha distrutto tutto per non cambiare niente – se non, ribadiamolo ancora, per i fatturati dell'industria bellica internazionale – e' evidente che per i governi che l'hanno voluta e finanziata per due decenni e per i media maintream che ne hanno, inizialmente, sostenuto e legittimato l'avvio e, successivamente, ignorato crimini e misfatti, "e' bene e pio si taccia ormai anche il nome" – come fa dire Umberto Eco ad Adso ne Il nome della rosa – ma, dopo la celebrazione mondiale del ventennale dell'11 settembre, l'osceno silenzio che ha avvolto quello conseguente del 7 ottobre, e' una violenza culturale continuata nel tempo. Senza contare l'assenza di alcun minimo cenno di aver appreso la lezione paradigmatica dell'Afghanistan sul fallimento della guerra come strumento regolatore dei conflitti – in verita' gia' ripudiata dalla Costituzione italiana – per la quale il ventennale dell'inizio dei bombardamenti avrebbe potuto/dovuto essere l'occasione. Ed, invece, da li' a poco la guerra sarebbe tornata anche sul territorio europeo, dando nuovo slancio all'industria bellica, orfana della guerra precedente, anziché impulso agli sforzi ed ai dispositivi di mediazione. Del resto, come scriveva Antonio Gramsci, "la storia insegna ma non ha scolari" (9).
Si puo' ravvisare, inoltre, in quel silenzio anche la continuazione di un pesante e strutturale razzismo informativo in base al quale non tutte le vite sono ugualmente degne di lutto e di racconto: a fronte dei fiumi di retorica versati per le vittime occidentali dell'atto di guerra terrorista, le infinitamente superiori vittime afghane ed irakene di vent'anni di terroristici atti di guerra, delle quali non si conosce ne il nome ne il numero esatto, non solo non sono state degne di narrazione mentre i fatti accadevano – e chi lo ha fatto, come Julian Assange con WikiLeaks, oggi subisce anche un'incredibile ed esemplare tortura giudiziaria – ma non sono neanche degne di memoria. Del resto solo poche settimane dopo, tra gennaio e febbraio del 2022 – dopo aver ignorato i profughi afghani, irakeni, siriani e pachistani respinti nel gelo invernale ai confini tra Bielorussia e Polonia, vittime delle nostre guerre – il circo mediatico avrebbe trovato un'altra "guerra giusta" da raccontare, momento per momento, esplosa all'improvviso sugli schermi mediatici. Quella di difesa del governo ucraino dall'occupante russo, senza averne mai narrato in nessun modo gli "antefatti", come si studiavano a scuola prima di affrontare con l'Iliade un'altra cronaca di guerra decennale, di alcune migliaia di anni prima.
Naturalmente, nessun antefatto puo' giustificare l'occupazione militare russa, ma le relazioni internazionali sono un sistema complesso, dove il "battito d'ali di una farfalla in Brasile puo' generare un uragano nel Texas". Cosi' come un missile nucleare lanciato da un continente puo' sortire effetti devastanti in un altro, come si e' ripreso a minacciare tra le potenze atomiche, ma in modalita' estremamente meno elegante – quanto piu' semplificata e distruttiva – di una farfalla. Meglio non dimenticarlo.
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Note
1. 4 ottobre 2001, oggi si trova nella raccolta Lettere contro la guerra, Tea, Milano 2002.
2. Avvenuta il 13 agosto 2021.
3. La Stampa, 13 agosto 2021.
4. La democrazia e i diritti sono un "valore universale", Corriere della sera, 22 agosto 2021.
5. Perche' non esiste alcun regime politico preferibile alla democrazia, Domani, 24 agosto 2021.
6. Cfr www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/biden-afghanistan-de3733d5-97d8-417a-9ab4-35a4c3295f6d.html
7. Vedi www.visionofhumanity.org/maps/global-terrorism-index/#/
8. Vedi, per esempio, Disarmare il virus della violenza. Annotazioni per una fuoriuscita nonviolenta dall'epoca delle pandemie, GoWare, 2021.
9. L'Ordine Nuovo, 11 marzo 1921, anno I, n. 70.
3. I CIVILI CONVERSARI. OMERO DELLISTORTI: CERTE PREGHIERE
- Enno', enno', a me certe cose, certe soperchierie, ecco, certe soperchierie a me non mi vanno proprio giu'.
- E che e' successo?
- Che e' sucesso, che e' successo, mo' te lo dico io che e' successo.
- Dimmi, dimmi.
- Stavo guardando la televisione e giravo canale sperando di trovare qualche spogliarello, no?
- Lo strittise.
- Eh?
- Lo strittise, sarebbe lo spogliarello, ma adesso si dice in americano, lo strittise.
- Eh, quello. Giro, giro, e mi capita, indovina che? Uno vestito da prete.
- Che faceva lo strittise?
- No, che faceva la predica.
- Peggio.
- Peggio si'.
- E allora?
- Allora prima che fo in tempo a cambia' canale quello dice: "preghiamo per tutti i peccatori".
- I peccatori?
- I peccatori, si'.
- Ma via...
- Ti dico di si'. Roba da matti. Invece di pregare per la gente perbene quello pregava per i peccatori.
- Non c'e' piu' religione.
- E io che dicevo? Non c'e' piu' religione. Il duce ci vorrebbe, il duce, per riportare un po' di buoncostume.
- E per mettere in galera i clandestini. Il blocco navale ci vuole.
- Il blocco navale e i lavori forzati, che ci ho giusto qualche ettaro di terra e mi farebbero comodo pure a me, che ne so, magari un par di cento schiavi, con quello che li frusta e tutto.
- Pure le schiave, eh.
- Pure le schiave, e' chiaro.
- E poi l'hai trovato lo strittise?
- L'ho trovato si', con un po' di pazienza si trova tutto in televisione.
- Pure su internet.
- E che non ce lo so? Certe sventole.
- Internet e' proprio una bella invenzione.
- Pure la grappa, eh.
- Eh.
- Eh.
4. NUOVI RACCONTI CRUDELI. OMERO DELLISTORTI: NON FO PER DIRE
Non fo per dire ma mio figlio fa le corse. Automobilistiche. L'avrete pure visto in televisione.
Non fo per dire ma la mia famiglia saranno trecent'anni e piu' che ci abbiamo le terre. Le terre e pure il blasone. Voi manco lo sapete che e' un blasone, che ve lo dico a fa'.
Non fo per dire ma potete chiedere a tutti qui in giro chi e' il miglior giocatore di bestia e biribissi, chiedete e vedete se non vi dicono tutti che sono io. E che ci ho un coltello colla lama lunga quarantacinque centimetri quarantacinque che se volete la potete misurare col metro.
Non fo per dire ma proprio io, proprio io sono quello che ammazzo' la moglie piantandole un chiodo da staccionata proprio in fronte. Proprio in fronte glielo piantai, che glielo tenevo appoggiato li' con una mano, con quell'altra la tenevo ferma schiacciata addosso al muro, e poi con una testata, una testata sola, e il chiodo le entro' e le usci' dall'altra parte, con due scrocchi che parevano uno solo.
Non fo per dire ma questa e' la volta buona che concorro alle elezioni pure io, che sono sempre stato un patriota e ci ho pure l'orologio col ritratto del duce. D'oro, eh.
Non fo per dire.
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Emil Habibi, Il pessottimista, Bompiani, Milano 2002, pp. XVI + 186.
- Maria Chiara Levorato, Le emozioni della lettura, Il Mulino, Bologna 2000, pp. 280.
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Riedizioni
- Hector Garcia e Francesc Miralles, Il metodo Ikigai, Mondadori, Milano 2018, Rcs, Milano 2022, pp. 156, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
- Marcello Simoni, Angeli e diavoli, Einaudi, Torino 2021, Gedi, Torino 2022, pp. IV + 122, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").
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Maestre
- Luciana Castellina, Cinquant'anni d'Europa. Una lettura antiretorica, Utet, Torino 2007, pp. X + 244.
- Luciana Castellina, Eurollywood. Il difficile ingresso della cultura nella costruzione dell'Europa, Ets, Pisa 2008, pp. 244.
- Luciana Castellina, La scoperta del mondo, Nottetempo, Milano 2011, pp. 300.
- Luciana Castellina, Ribelliamoci. L'alternativa va costruita, Aliberti, Roma 2011, pp. 80.
- Luciana Castellina, Siberiana, Nottetempo, Milano 2012, 2013, pp. 188.
- Luciana Castellina, Manuale antiretorico dell'Unione Europea. Da dove viene (e dove va) quest'Europa, Manifestolibri, Roma 2016, pp. 176.
- Luciana Castellina, Amori comunisti, Nottetempo, Milano 2018, pp. 272.
- Milena Agus, Luciana Castellina, Guardati dalla mia fame, Nottetempo, Milano 2014, pp. 216.
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
7. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4566 del 18 agosto 2022
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Numero 4566 del 18 agosto 2022
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. 17 agosto 2022. Nella "settimana di studio e di testimonianza per la liberazione di Leonard Peltier" oggi rileggiamo "Il guardiano notturno" di Louise Erdrich
2. Pasquale Pugliese: Effetto farfalla. Un anno dopo la fuga da Kabul
3. Omero Dellistorti: Certe preghiere
4. Omero Dellistorti: Non fo per dire
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. INCONTRI. 17 AGOSTO 2022. NELLA "SETTIMANA DI STUDIO E DI TESTIMONIANZA PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER" OGGI RILEGGIAMO "IL GUARDIANO NOTTURNO" DI LOUISE ERDRICH
Mercoledi' 17 agosto 2022, nell'ambito della "settimana di studio e di testimonianza per la liberazione di Leonard Peltier", si e' svolto a Cura di Vetralla (Vt) un incontro di studio dedicato al libro di Louise Erdrich, Il guardiano notturno, Feltrinelli, Milano 2021, pp. 432, traduzione di Andrea Buzzi.
Il romanzo ha ricevuto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2021.
L'autrice e' una delle piu' importanti scrittrici native americane; nata nel 1954 da padre di origine tedesca e da madre di origine Ojibwa (Chippewa), ha pubblicato molti libri: romanzi, racconti, poesie, saggi, letteratura per l'infanzia, ricevendo molti prestigiosi riconoscimenti.
*
Il romanzo, dedicato "ad Aunishenaubay, Patrice Gourneau; a sua figlia Rita, mia madre; e a tutti i capi indiani d'America che si batterono contro l'estinzione", e' ambientato nel periodo - gli anni '50 del Novecento - in cui l'establishment statunitense tento' di annientare definitivamente i nativi americani con la politica di "Indian Termination" che mirava ad abolire definitivamente tutti i trattati stipulati dal governo statunitense con le nazioni che abitavano il continente prima dell'invasione europea e sottrarre cosi' alle popolazioni native le residue terre delle riserve per gettare tutti i nativi nelle discariche umane dei ghetti urbani: il completamento del genocidio.
La politica governativa di "Indian Termination" si protrasse tra la meta' degli anni '40 (dopo la conclusione della seconda guerra mondiale) e la meta' degli anni '60 del Novecento, ed ebbe il suo culmine negli anni '50; fu contrastata eroicamente dalle nazioni originarie americane e da chi seppe porsi al loro ascolto e alla loro sequela. Successivamente la Resistenza dei nativi americani crebbe fino a uno straordinario sviluppo, fino alla grande - ed altresi' drammatica - stagione di lotte degli anni '60-'70, di cui Leonard Peltier - di cui chiediamo la liberazione - e' un luminoso testimone.
Scrive Louise Erdrich in apertura del libro, a p. 7: "Il primo agosto 1953 il Congresso degli Stati Uniti annuncio' la House Concurrent Resolution 108, una proposta di legge per abrogare i trattati bilaterali stipulati con le nazioni indiane d'America "finche' crescera' l'erba e scorreranno i fiumi". L'annuncio implicava l'estinzione ultima di tutte le tribu' indiane e l'estinzione immediata di cinque tribu', compresa la tribu' dei chippewa della Turtle Mountain.
"Nel suo ruolo di presidente tribale, mio nonno Patrick Gourneau lotto' contro l'estinzione, lavorando nel frattempo come guardiano notturno. Come il mio personaggio Thomas Wazhashk, dormiva pochissimo. Questo e' un libro di fantasia. Ho cercato tuttavia di mantenermi fedele alla vita straordinaria di mio nonno. Eventuali imprecisioni sono tutte mie. A parte Thomas e la Turtle Mountain Jewel Bearing Plant, l'unico altro personaggio importante che somigli a qualcuno, vivo o morto, e' il senatore Arthur V. Watkins, implacabile fautore della spoliazione dei nativi nonche' colui che sottopose mio nonno a interrogatorio".
Cosi' l'autrice, che a conclusione del volume, nella "Postfazione e ringraziamenti" (pp. 422-427) aggiunge: "Aunishenaubay, Patrice Gourneau, e' stato presidente del Consiglio direttivo della tribu' dei chippewa della Turtle Mountain alla meta' degli anni '50, ritenuta l'eta' d'oro dell'America, in realta' un'epoca in cui regnava Jim Crow [le infami "leggi Jim Crow", come e' noto, furono virulenta e feroce espressione del potere razzista e schiavista bianco per mantenere la segregazione razziale e legittimare ogni violenza da parte dei poteri dominanti - ndr] e in cui gli indiani d'America toccarono il punto piu' basso del loro potere: le nostre religioni tradizionali messe fuori legge, la nostra base territoriale continuamente e illegalmente sottoposta a razzie (come succede ancora oggi) da compagnie di sfruttamento delle risorse, le nostre lingue indebolite dalle scuole governative. I nostri capi erano anche tenuti a rispondere ai funzionari governativi assimilazionisti: a titolo di mero esempio, basta guardare il "Comitato consultivo" nella designazione di mio nonno. Lui e gli altri membri tribali non avevano praticamente alcuna autorita'. Il loro scopo doveva essere quello di orientare l'Ufficio per gli affari indiani, ma coglievano ogni occasione per rappresentare il loro popolo. Gli anni '50 furono un'epoca in cui quel po' di terra residua e i diritti sanciti da trattati furono facili prede. Con il boom abitativo del dopoguerra, le magnifiche foreste di Klamath e Menominee divennero particolarmente appetibili. Non e' un caso che quelle tribu' fossero le prime nella lista di quelle da estinguere.
"Fra il 1953 e il 1954 mio nonno scrisse una serie di lettere straordinarie. Erano indirizzate ai miei genitori. Mia madre le dette a me perche' le conservassi (...).
"Primo portavoce ojibwemowin, mio nonno era figlio di Keeshkemunishiw, il Martin Pescatore, e nipote di Joseph Gourneau, Kasigiwit, capo guerriero della tribu' pembina degli ojibwe. Avevano vissuto cacciando bisonti da un capo all'altro delle pianure, fino al Montana. Mio nonno apparteneva alla prima generazione nata nella riserva. La sua famiglia compi' la disperata, difficoltosa transizione all'agricoltura. Alla fine ci riusci'. (...) Non appena venne a conoscenza della Legge estinzione, capi' immediatamente che si trattava, come e' stato detto, di un nuovo fronte nella guerra agli indiani.
""Buona parte della normativa in questione, se venisse approvata, significherebbe la fine dei nostri ultimi possedimenti in questo continente e distruggerebbe la dignita' e l'identita' dei primi abitanti di questa terra prosperosa", disse Joe Garry, al tempo presidente del National Congress of American Indians.
""Questo nuovo disegno di legge e' piu' o meno la cosa peggiore che gli indiani si trovano a dover fronteggiare", diceva mio nonno.
"Sebbene molte volte avessi letto le sue lettere in cerca di conforto o di ispirazione, alla fine pensai di rileggerle collegandole al voluminoso materiale di ricerca sull'era dell'estinzione che avevo accumulato. Quando lo feci, collocando le sue lettere accuratamente datate all'interno del percorso nel tempo del disegno di legge, che lasciava alle tribu' solo pochi mesi per rispondere al Congresso, mi resi conto che mio nonno, insieme ad altri nella tribu', amici accorti come Martin Cane Vecchio Cross e alleati non indiani, aveva compiuto un'impresa che aveva modificato il corso dell'estinzione, sfidando la forza devastante della spinta federale a recidere le promesse legali, sacre e immutabili sancite da trattati fra nazioni. Fra le tribu' inizialmente in lista per l'estinzione, la delegazione della Turtle Mountain fu la prima a mettere insieme una strenua difesa e a spuntarla. (...) Mi feci anche un'idea di che cosa fosse costato a lui, alla nostra famiglia e alla terra indiana il suo impegno per realizzare un compito apparentemente impossibile, bloccare l'estinzione.
"Centotredici nazioni tribali in tutto subirono il disastro dell'estinzione; oltre mezzo milione di ettari di terre indiane ando' perduto. Fiumi di denaro finirono a societa' private, mentre molte persone appartenenti alle tribu' estinte morirono precocemente, in poverta'. Non una sola tribu' ne trasse vantaggio. Alla fine, settantotto nazioni tribali, compresi i menominee, guidati da Ada Deer, riconquistarono il riconoscimento federale; dieci ottennero lo status ma non il riconoscimento federale; trentuno tribu' sono senza terra; ventiquattro sono considerate estinte. La recente autobiografia di Ada Deer, "Making a Difference: My Fight for Native Rights and Social Justice", e' un'eccellente lettura sull'argomento".
Cosi' ancora l'autrice.
Ma tra questi brani di verita' che aprono e chiudono il libro c'e' ovviamente un intero romanzo dal ricco intreccio e dalla molteplici tematiche esposte dall'autrice con profondita', nitore e delicatezza grandi; un romanzo appassionante e prezioso la cui lettura caldamente raccomandiamo.
*
Rinnoviamo ancora una volta la richiesta che sia liberato Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 46 anni prigioniero innocente.
Alleghiamo in calce un appello alla Presidente del Parlamento Europeo e al Segretario Generale delle Nazioni Unite.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.
* * *
Allegato primo: Appello alla Presidente del Parlamento Europeo, on. Roberta Metsola: president at ep.europa.eu
Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
il suo indimenticabile predecessore, il Presidente David Sassoli, si impegno' affinche' il Presidente degli Stati Uniti d'America compisse un atto di clemenza che restituisse la liberta' a Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra, da 46 anni detenuto innocente nelle carceri statunitensi a seguito di un processo-farsa in cui fu assurdamente condannato per un crimine che non ha mai commesso sulla base di "prove" false e di "testimonianze" altrettante false, come successivamente ammisero i suoi stessi accusatori e giudici. Nonostante la sua innocenza sia ormai da tutti riconosciuta, Leonard Peltier continua ad essere detenuto.
Con un intervento pubblicato su twitter e una dichiarazione alla stampa di cui e' disponibile la registrazione video il Presidente Sassoli il 23 agosto 2021 espresse pubblicamente la richiesta al Presidente degli Stati Uniti d'America di concedere la grazia a Leonard Peltier.
Nel suo tweet del 23 agosto 2021 il Presidente Sassoli scriveva, in italiano e in inglese:
"Inviero' una lettera alle autorita' statunitensi chiedendo clemenza per Leonard Peltier, attivista per i diritti umani dell'American Indian Movement, in carcere da 45 anni.
Spero che le autorita' accolgano il mio invito. I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
"I will send a letter to the US authorities asking for clemency for Leonard Peltier. A human rights activist of the American Indian Movement, he has been imprisoned for 45 years.
I hope the authorities will take up my invitation. Human rights must be defended always, everywhere".
Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
gia' nel 1994 e poi ancora nel 1999 il Parlamento Europeo delibero' risoluzioni per la liberazione di Leonard Peltier.
Qui di seguito si trascrive integralmente la Risoluzione del Parlamento Europeo dell'11 febbraio 1999 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. C 150 del 28/05/1999 pag. 0384, B4-0169, 0175, 0179 e 0199/99):
"Risoluzione sul caso di Leonard Peltier
Il Parlamento europeo,
- vista la sua risoluzione del 15 dicembre 1994 sulla grazia per Leonard Peltier (GU C 18 del 23.1.1995, pag. 183),
A. considerando il ruolo svolto da Leonard Peltier nella difesa dei diritti dei popoli indigeni,
B. considerando che Leonard Peltier e' stato condannato nel 1977 a due ergastoli dopo essere stato estradato dal Canada, benche' non vi fosse alcuna prova della sua colpevolezza,
C. considerando che Amnesty International ha ripetutamente espresso le proprie preoccupazioni circa l'equita' del processo che ha condotto alla condanna di Leonard Peltier,
D. considerando che il governo degli Stati Uniti ha ormai ammesso che gli affidavit utilizzati per arrestare e estradare Leonard Peltier dal Canada erano falsi e che il Pubblico ministero statunitense Lynn Crooks ha affermato che il governo degli Stati Uniti non aveva alcuna prova di chi aveva ucciso gli agenti,
E. considerando che dopo 23 anni trascorsi nei penitenziari federali, le condizioni di salute di Leonard Peltier si sono seriamente aggravate e che secondo il giudizio di specialisti la sua vita potrebbe essere in pericolo se non ricevera' adeguate cure mediche,
F. considerando che le autorita' penitenziarie continuano a negargli adeguate cure mediche in violazione del diritto umanitario internazionale e i suoi diritti costituzionali,
G. rilevando che Leonard Peltier ha esaurito tutte le possibilita' di appello concessegli dal diritto statunitense,
1. insiste ancora una volta affinche' venga concessa a Leonard Peltier la grazia presidenziale;
2. insiste affinche' Leonard Peltier sia trasferito in una clinica dove possa ricevere le cure mediche del caso;
3. ribadisce la sua richiesta di un'indagine sulle irregolarita' giudiziarie che hanno portato alla reclusione di Leonard Peltier;
4. incarica la sua delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti di sollevare il caso di Leonard Peltier iscrivendolo all'ordine del giorno del prossimo incontro con i parlamentari americani;
5. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al Congresso statunitense e al Presidente degli Stati Uniti d'America".
Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
la liberazione di Leonard Peltier e' stata chiesta gia' da molti anni da prestigiose istituzioni, innumerevoli associazioni democratiche, milioni di persone di tutto il mondo tra cui illustri personalita' come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Desmond Tutu e numerosi altri Premi Nobel.
Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
dia seguito all'iniziativa del Parlamento Europeo e del Presidente Sassoli, e chieda al Presidente degli Stati Uniti d'America di compiere finalmente l'atto di clemenza che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
* * *
Allegato secondo: Appello al Segretario Generale delle Nazioni Unite, on. Antonio Guterres: sgcentral at un.org
Egregio Segretario Generale delle Nazioni Unite, on. Antonio Guterres,
uniamo la nostra voce a quella di quanti hanno gia' chiesto un suo intervento presso il Presidente degli Stati Uniti d'America affinche' compia un atto di clemenza restituendo la liberta' a Leonard Peltier attraverso lo strumento giuridico della grazia presidenziale.
Chiediamo questo suo intervento perche' la vicenda di Leonard Peltier riguarda l'umanita' intera.
Come Lei gia' sapra', Leonard Peltier e' un illustre attivista nativo americano, generoso e coraggioso difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra, da 46 anni detenuto per delitti che non ha commesso.
Gli stessi suoi accusatori che ne ottennero la condanna al termine di uno scandalosissimo processo-farsa basato su cosiddette "prove" dimostratesi assolutamente false e su cosiddette "testimonianze" dimostratesi anch'esse assolutamente false, hanno successivamente riconosciuto che la condanna e la conseguente detenzione di Leonard Peltier e' ingiusta e persecutoria, insensata e disumana, ed hanno chiesto loro stessi la sua liberazione.
Eppure, nonostante che la sua innocenza sia ormai certezza condivisa dall'umanita' intera, Leonard Peltier - ormai anziano e con gravi problemi di salute - continua ad essere detenuto per delitti che non ha mai commesso.
Sicuramente ricordera' che la liberazione di Leonard Peltier e' stata chiesta da milioni di persone di tutto il mondo, tra le quali figure luminose come Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, Desmond Tutu.
Ricordera' sicuramente anche che la liberazione di Leonard Peltier e' stata chiesta da innumerevoli istituzioni, tra le quali il Parlamento Europeo con ben due risoluzioni fin dagli anni '90 del secolo scorso.
Ci e' particolarmente grato ricordare anche l'iniziativa del compianto Presidente del Parlamento Europeo, on. David Sassoli, recentemente deceduto, che il 23 agosto 2021 scriveva, in italiano e in inglese:
"Inviero' una lettera alle autorita' statunitensi chiedendo clemenza per Leonard Peltier, attivista per i diritti umani dell'American Indian Movement, in carcere da 45 anni. Spero che le autorita' accolgano il mio invito. I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
"I will send a letter to the US authorities asking for clemency for Leonard Peltier. A human rights activist of the American Indian Movement, he has been imprisoned for 45 years. I hope the authorities will take up my invitation. Human rights must be defended always, everywhere".
Gli sforzi di milioni di esseri umani, l'impegno di innumerevoli associazioni - tra cui in primo luogo Amnesty International -, il voto di autorevolissime istituzioni, non hanno ottenuto fin qui che Leonard Peltier venisse liberato.
Occorre evidentemente un'iniziativa ulteriore.
Sia Lei, che rappresenta l'Organizzazione delle Nazioni Unite, quindi l'istituzione rappresentativa di tutti i paesi e i popoli del mondo, a promuovere questa iniziativa.
Sia Lei a chiedere al Presidente degli Stati Uniti d'America di restituire la liberta' a Leonard Peltier.
2. RIFLESSIONE. PASQUALE PUGLIESE: EFFETTO FARFALLA. UN ANNO DOPO LA FUGA DA KABUL
[Dal sito www.pasqualepugliese.wordpress.com riprendiamo e diffondiamo questo intervento del 28 maggio 2022.
Pasquale Pugliese, come e' noto, e' una delle voci piu' autorevoli della nonviolenza in Italia]
"Eppure l'Afghanistan ci perseguitera' perche' e' la cartina di tornasole della nostra immoralita', delle nostre pretese di civilta', della nostra incapacita' di capire che la violenza genera solo violenza"
(Tiziano Terzani)
Quando il meteorologo Edward Lorenz – con la domanda "puo' il battito d'ali di una farfalla in Brasile generare un uragano in Texas?" – ipotizzo' il principio che sarebbe diventato universalmente noto come "effetto farfalla", forse non aveva del tutto chiaro che stava esprimendo un concetto che si applica a tutti i sistemi complessi, non solo – come ormai ci e' drammaticamente chiaro – a quelli climatici. Ma anche, per esempio, al sistema delle relazioni internazionali tra gli Stati, nelle loro influenze reciproche, in particolare quando si pretende di esercitare – senza conseguenze e contraccolpi – politiche di potenza regionali o addirittura globali. Per questo, anche per comprendere pienamente alcune delle ragioni del ritorno della guerra aperta in Europa, con l’invasione russa del territorio ucraino, e' necessario fare qualche passo indietro. Acquisire profondita' e prospettiva, ossia complessita' di visione, per sottrarsi al presentismo nel quale siamo immersi, nella bulimia del flusso informatico continuo dove notizia nuova scaccia notizia "vecchia", in una sovrapposizione di istantanee semplificanti, nelle quali si perdono i nessi e le articolazioni. Cioe', precisamente, la capacita' di comprendere pienamente cio' che accade qui ed ora.
*
20 anni di guerra in Afghanistan: per la rabbia e l'orgoglio o per lucida follia?
Quanto accaduto dal punto di vista mediatico a partire dal febbraio 2022, con l'improvvisa esplosione sui mezzi di comunicazione della guerra in Ucraina in riferimento all'aggressione russa, senza che negli otto anni precedenti fosse stato minimamente raccontato il conflitto armato in corso nella regione di confine tra Ucraina e Russa del Donbass, e' sul piano comunicativo – mutatis mutandis – la riproposizione di quanto avvenuto solo alcuni mesi prima, nell'agosto del 2021, quando canali televisivi e piattaforme social sono stati inondati improvvisamente da drammatiche immagini e informazioni provenienti dall'Afghanistan, in riferimento alla ritirata statunitense ed occidentale dalla ventennale occupazione militare che non era stata raccontata negli anni precedenti, se non nei mesi iniziali. E, dunque, sostanzialmente rimossa dalla consapevolezza generale.
Per comprendere quanto accadde nei giorni della fuga da Kabul – e mettere a fuoco la cornice di quanto accade nei nostri – bisogna fare un flashback, un salto indietro di oltre venti anni, tra l'11 settembre e il 7 ottobre del 2001, quando si scateno' in Occidente la furia vendicatrice per l'attacco terroristico alle Twin Towers di New York che prevedeva per il presidente George Bush jr una guerra di occupazione contro uno Stato sovrano, in qualche modo riconducibile ai cosiddetti "nemici dell'Occidente": la scelta cadde sull'Afghanistan, nonostante nessuno degli attentatori fosse cittadino afghano e il rifugio dove fu scovato e ucciso Osama Bin Laden, terrorista saudita che rivendico' quell'attentato, fu trovato dieci anni dopo nell'alleato Pakistan... Guerra alla quale – nonostante la contrarieta' delle Nazioni Unite – i governi occidentali e la relativa stampa "libera" si accodarono, "senza se e senza ma", guidati non dalla ragione e dalla saggezza ma da "la rabbia e l'orgoglio", come il titolo di un famoso articolo sul Corriere della sera – e poi del relativo libro – della giornalista e scrittrice Oriana Fallaci, che ne sostenne e fomento' la crociata.
Furono ignorate, invece, tutte le voci ragionevoli e sagge contrarie alla guerra a cominciare da quella di Tiziano Terzani, il grande giornalista e scrittore che provo' a rispondere cosi' – profeticamente, direi – dalle stesse pagine del Corriere della Sera (che allora usava ospitare anche opinioni differenti), ad Oriana Fallaci ed a tutti i fondamentalisti della guerra:
"Quel che sta accadendo e' nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. E' una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d'aver davanti prima dell'11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilita' di nulla, tanto meno all'inevitabilita' della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre piu' tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor piu' determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor piu' terribile violenza – ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguira' necessariamente una loro ancora piu' orribile e poi un'altra nostra e cosi' via. Perche' non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari "intelligente", di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui" (1).
Fu ignorata anche la voce di Gino Strada, il fondatore di Emergency, che rispondeva cosi' il 7 ottobre del 2001 da Kabul a Gianni Mura che lo intervistava telefonicamente per il quotidiano la Repubblica, sotto le bombe occidentali: "Senta, e' da quando siamo piccoli che ce la menano col si vis pacem para bellum dei latini. Non e' vero, e' vero l'esatto contrario. Se vuoi la pace prepara la pace. Con la guerra si prepara solo la prossima guerra". Concetto che avrebbe ribadito venti anni dopo nel suo ultimo intervento su La Stampa dove, qualche giorno prima della morte (2) – e pochi giorni prima della fuga statunitense da Kabul – ha fatto un tragico bilancio della ventennale occupazione:
"La guerra all'Afghanistan e' stata – ne' piu' ne' meno – una guerra di aggressione iniziata all'indomani dell’attacco dell'11 settembre, dagli Stati Uniti a cui si sono accodati tutti i Paesi occidentali. Il 7 novembre 2001, il 92 per cento circa dei parlamentari italiani approvo' una risoluzione a favore della guerra. Chi allora si opponeva alla partecipazione dell'Italia alla missione militare, contraria alla Costituzione oltre che a qualunque logica, veniva accusato pubblicamente di essere un traditore dell'Occidente, un amico dei terroristi, un'anima bella nel migliore dei casi. L'intervento della coalizione internazionale si tradusse, nei primi tre mesi del 2001, solo a Kabul e dintorni, in un numero vittime civili superiore agli attentati di New York. Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l'esito di quell'aggressione e' sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di vista. Oltre alle 241mila vittime e ai 5 milioni di sfollati, tra interni e richiedenti asilo, l'Afghanistan oggi e' un Paese che sta per precipitare di nuovo in una guerra civile, i talebani sono piu' forti di prima, le truppe internazionali sono state sconfitte e la loro presenza e autorevolezza nell'area e' ancora piu' debole che nel 2001" (3).
Furono ignorate anche le trecentomila persone che il 14 ottobre del 2001 marciarono da Perugia ad Assisi, sulle orme di Aldo Capitini, per manifestare il ripudio costituzionale della guerra; furono ignorate le cinquecentomila persone che manifestarono a Firenze il 9 novembre del 2002, anche contro l'ulteriore guerra di aggressione contro l'Iraq che gia' si stava preparando, con la costruzione delle false prove delle inesistenti "armi di distruzione di massa"; furono ignorate le tre milioni di persone che invasero pacificamente Roma il 16 febbraio del 2003, insieme a cento milioni di altre persone che manifestavano in tutte le capitali del pianeta, in quella che il New York Time defini' "l'altra superpotenza mondiale", contro entrambe le guerre che avrebbero funestato i primi due decenni del XXI secolo. E le cui conseguenze allungano le loro ombre sul presente e le allungheranno ancora sul futuro. Le tremende immagini di quei giorni delle persone cadute dagli aerei USA in fuga da Kabul ai quali si erano disperatamente aggrappate hanno simbolicamente chiuso – centinaia di migliaia di morti dopo – il girone infernale aperto con le persone che si gettavano disperatamente dalle Twin Towers per sfuggire alle fiamme. La follia di chi ha pensato che la guerra fosse il mezzo giusto per raggiungere il fine della giustizia e' stato pari solo all'ignavia di tutti quelli che ci hanno creduto, alla debolezza di quelli che, evidentemente, non si sono opposti per tempo e abbastanza ed alla malafede di coloro che hanno giustificato e difeso quella fallacia logica, prima che morale.
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Chi ha vinto e chi ha perso
Ma per comprendere fino in fondo come si e' arrivati a quelle scene di fuga dell'agosto 2021, bisogna ulteriormente allargare lo sguardo sul rapporto degli Stati Uniti con i talebani che non cominciava ventuno anni fa con l'invasione armata dell'Afghanistan, bensi' negli anni '80 del secolo scorso quando il presidente Ronald Reagan incontrava ripetutamente allo "studio ovale" e finanziava abbondantemente i mujaheddin (i guerrieri santi) – compreso un certo Bin Laden, allora alleato – perche' facessero la jihād (la guerra santa) contro la Repubblica Democratica dell'Afganistan, in funzione antisovietica. Che questo avrebbe comportato la fine dell'emancipazione delle donne afghane, conquistata in quegli anni di governi filo-socialisti, era l'ultima delle preoccupazioni occidentali. Fino all'occupazione militare di quel martoriato paese nel 2001. Tutte le guerre del resto passano e si svolgono, anche, tragicamente sui corpi delle donne.
In quella guerra chiusa nell'agosto 2021, dunque, non hanno vinto gli statunitensi, che dopo vent'anni di occupazione militare e 2.300 miliardi di dollari bruciati sono tornati a casa lasciando il caos dietro di se'. Non hanno vinto gli afghani, che hanno avuto centinaia di migliaia di vittime tra il terrorismo della guerra e la guerra del terrorismo e sono stati lasciati in balìa dei signori dell'oppio. Non hanno vinto i talebani, che hanno preso in mano il governo di un paese martoriato e devastato. Non hanno vinto le donne afghane, che erano state rigettate nel medioevo proprio da quelli che venti anni fa si erano imposti come "liberatori", salvo abbandonarle al loro destino quando hanno deciso che era ora di andarsene. In Afghanistan hanno perso tutti, tranne coloro che nelle guerre vincono sempre: il complesso militare-industriale, quell'industria bellica che in vent'anni di guerra ha visto straordinariamente lievitare i propri profitti di morte, raddoppiandoli, e il proprio potere di influenza sulle decisioni dei governi.
*
Il fallimento della strategia bellica dichiarata e la nostra falsa coscienza
In quei giorni estivi di fuga si sviluppo' sui quotidiani italiani, tra gli altri commenti piu' o meno "autorevoli", anche un surreale confronto a distanza tra l'ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese (4) e il politologo Gianfranco Pasquino (5) sulla esportabilita' o meno della democrazia, in riferimento al "fallimento della ventennale missione americana in Afghanistan" (Cassese), rispetto al quale c'erano almeno due punti deboli che hanno inficiato le rispettive argomentazioni, come spesso accade in questi casi, e che e' utile riportare perche' anticipano, per certi versi, questioni in ballo anche nella guerra in corso in Ucraina. Il primo punto debole e' che si e' trattato di un mero confronto accademico, seppur sviluppato sui quotidiani, senza alcun riferimento alla realtà concreta, perche' – se in vent'anni non fosse stato sufficientemente chiaro – lo stesso presidente USA Joe Biden, con la franchezza che lo contraddistingue, si era incaricato nella conferenza stampa alla Casa Bianca del 17 agosto 2021 di chiarire definitivamente l'obiettivo della guerra afghana, annunciando l'imminente ritiro delle truppe di occupazione USA: "lo state-bulding non e' mai stato l'obiettivo della nostra missione nel Paese, che era centrata su attivita' di anti-terrorismo e non sulla creazione di una democrazia" (6). Il secondo punto debole e' dato dall'assenza nel confronto di una riflessione sul rapporto tra mezzi e fini: il tema fondamentale di tutte le guerre, ossia – nello specifico della guerra in Afghanistan – non tanto la questione della legittimita' o meno di esportare in astratto la democrazia e i suoi valori, ma se questo fine possa essere raggiunto attraverso il concretissimo e devastante mezzo della guerra. Era di questo che si trattava. Ed e' di questo che, in fondo, si tratta ancora sui diversi scacchieri internazionali dove si confrontano per l'egemonia le superpotenze nucleari USA, Russia e Cina.
In verita', come hanno ulteriormente dimostrato anche gli attentati all'aeroporto di Kabul nei giorni della precipitosa smobilitazione statunitense, la guerra in Afghanistan non e' stata efficace neanche nella mera "attivita' anti-terrorismo" indicata dal presidente Biden. Anzi le quasi 200 vittime dell'ultimo attacco dell'agosto 2021 a Kabul, mentre gli statunitensi prendevano letteralmente il volo, si sono andate ad aggiungere alle centinaia di migliaia di vittime del terrorismo, dilagato in tutto il mondo nei vent'anni di guerra globale al... terrorismo. Il terrorismo della guerra non solo non ha fermato ma ha potenziato la guerra del terrorismo: non solo non e' servita ad esportare e costruire alcuna democrazia – ne' in Afghanistan, ne' in Iraq, ne' in Libia, ne' da nessun'altra parte dove questo era stato proclamato – ma, contraddicendo la retorica bellica, e' stata contro-produttiva anche rispetto all'obiettivo minimo di combattere quel terrorismo che invece si e' moltiplicato ed ha colpito ovunque, come registra anno dopo anno il Global Terrorism Index (7). E' stato il fallimento completo di una strategia irrazionale rispetto agli obiettivi dichiarati. La verita', dunque, e' che – nonostante i fiumi di retorica versati per due decenni – i venti anni di guerra in Afghanistan sono serviti, di fatto, solo a riversare migliaia di miliardi nelle casse dell'industria bellica internazionale. Che hanno prodotto sangue, terrore e caos, in un prevedibile – e previsto, come abbiamo visto – crescendo di tragedia e follia collettiva.
Infine, mentre nell'agosto del 2021 i media internazionali si sono meritoriamente preoccupati di raccogliere le drammatiche immagini e testimonianze dell'aeroporto di Kabul assediato da coloro che cercavano disperatamente di fuggire dal paese – come dal febbraio 2022 avrebbero fatto con i profughi ucraini in fuga dai territori di guerra – e' opportuno ricordare che il Rapporto dell'Alto commissariato ONU per i rifugiati proprio nel giugno precedente aveva comunicato che il numero di persone in fuga da guerre e persecuzioni in tutto il mondo nel 2020 aveva superato gli 82 milioni, di 3 milioni in piu' rispetto all'anno precedente, diventate 100 milioni l'anno successivo... Quindi sarebbe opportuno che agenzie, giornali e televisioni, uscissero dallo strabismo mediatico ed allargassero l'obiettivo sui profughi di tutte le guerre, delle quali sono i drammatici effetti collaterali e rispetto ai quali, di norma – invece di organizzare ponti aerei – tutti i giorni i governi alzano muri, fili spinati, lager ed onde del mare. Distinguendo talvolta tra profughi buoni, da accogliere, e profughi cattivi, da respingere. Lontani dalle telecamere e dalla nostra coscienza. Falsa coscienza, per lo piu'.
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Violenza su violenza. Il ventennale dimenticato dell'inizio di una guerra vergognosa
Come insegna Johan Galtung, tra le diverse dimensioni dell'esercizio diretto e indiretto della violenza, la piu' profonda e pervasiva e' la violenza culturale (8), che genera l'immaginario simbolico e produce senso comune. Una delle "armi" piu' potenti della violenza culturale e' la costruzione e l'uso selettivo della memoria pubblica condivisa, che decide e separa cio' che dev'essere ricordato da cio' che, invece, non deve esserlo. Per esempio, dopo l'agosto della fuga da Kabul, l'11 settembre 2021, nell'occasione del ventennale degli attentati terroristici a New York che, con il crollo delle Torri gemelle, hanno provocato 2977 vittime, la stampa internazionale per giorni ha ricordato quell'evento con dirette, edizioni straordinarie di magazine, approfondimenti di varia natura: una memoria giustamente celebrata dopo due decenni pieni. In conseguenza di quell'attacco kamikaze, poche settimane dopo, gia' il 7 ottobre 2001 cominciavano i bombardamenti anglo-statunitensi su Kabul con i quali iniziava la ventennale e illegale guerra di occupazione occidentale durata, appunto, fino all'agosto 2021: stesso e conseguente anniversario pieno ma memoria – al contrario – rimossa, senza alcun bilancio, valutazione pubblica o riconoscimento di responsabilita' politiche per l'immane disastro globale.
Poiche' quella occupazione militare, anziche' la liberta' duratura annunciata (Enduring freedom si chiamava la guerra), ha distrutto tutto per non cambiare niente – se non, ribadiamolo ancora, per i fatturati dell'industria bellica internazionale – e' evidente che per i governi che l'hanno voluta e finanziata per due decenni e per i media maintream che ne hanno, inizialmente, sostenuto e legittimato l'avvio e, successivamente, ignorato crimini e misfatti, "e' bene e pio si taccia ormai anche il nome" – come fa dire Umberto Eco ad Adso ne Il nome della rosa – ma, dopo la celebrazione mondiale del ventennale dell'11 settembre, l'osceno silenzio che ha avvolto quello conseguente del 7 ottobre, e' una violenza culturale continuata nel tempo. Senza contare l'assenza di alcun minimo cenno di aver appreso la lezione paradigmatica dell'Afghanistan sul fallimento della guerra come strumento regolatore dei conflitti – in verita' gia' ripudiata dalla Costituzione italiana – per la quale il ventennale dell'inizio dei bombardamenti avrebbe potuto/dovuto essere l'occasione. Ed, invece, da li' a poco la guerra sarebbe tornata anche sul territorio europeo, dando nuovo slancio all'industria bellica, orfana della guerra precedente, anziché impulso agli sforzi ed ai dispositivi di mediazione. Del resto, come scriveva Antonio Gramsci, "la storia insegna ma non ha scolari" (9).
Si puo' ravvisare, inoltre, in quel silenzio anche la continuazione di un pesante e strutturale razzismo informativo in base al quale non tutte le vite sono ugualmente degne di lutto e di racconto: a fronte dei fiumi di retorica versati per le vittime occidentali dell'atto di guerra terrorista, le infinitamente superiori vittime afghane ed irakene di vent'anni di terroristici atti di guerra, delle quali non si conosce ne il nome ne il numero esatto, non solo non sono state degne di narrazione mentre i fatti accadevano – e chi lo ha fatto, come Julian Assange con WikiLeaks, oggi subisce anche un'incredibile ed esemplare tortura giudiziaria – ma non sono neanche degne di memoria. Del resto solo poche settimane dopo, tra gennaio e febbraio del 2022 – dopo aver ignorato i profughi afghani, irakeni, siriani e pachistani respinti nel gelo invernale ai confini tra Bielorussia e Polonia, vittime delle nostre guerre – il circo mediatico avrebbe trovato un'altra "guerra giusta" da raccontare, momento per momento, esplosa all'improvviso sugli schermi mediatici. Quella di difesa del governo ucraino dall'occupante russo, senza averne mai narrato in nessun modo gli "antefatti", come si studiavano a scuola prima di affrontare con l'Iliade un'altra cronaca di guerra decennale, di alcune migliaia di anni prima.
Naturalmente, nessun antefatto puo' giustificare l'occupazione militare russa, ma le relazioni internazionali sono un sistema complesso, dove il "battito d'ali di una farfalla in Brasile puo' generare un uragano nel Texas". Cosi' come un missile nucleare lanciato da un continente puo' sortire effetti devastanti in un altro, come si e' ripreso a minacciare tra le potenze atomiche, ma in modalita' estremamente meno elegante – quanto piu' semplificata e distruttiva – di una farfalla. Meglio non dimenticarlo.
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Note
1. 4 ottobre 2001, oggi si trova nella raccolta Lettere contro la guerra, Tea, Milano 2002.
2. Avvenuta il 13 agosto 2021.
3. La Stampa, 13 agosto 2021.
4. La democrazia e i diritti sono un "valore universale", Corriere della sera, 22 agosto 2021.
5. Perche' non esiste alcun regime politico preferibile alla democrazia, Domani, 24 agosto 2021.
6. Cfr www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/biden-afghanistan-de3733d5-97d8-417a-9ab4-35a4c3295f6d.html
7. Vedi www.visionofhumanity.org/maps/global-terrorism-index/#/
8. Vedi, per esempio, Disarmare il virus della violenza. Annotazioni per una fuoriuscita nonviolenta dall'epoca delle pandemie, GoWare, 2021.
9. L'Ordine Nuovo, 11 marzo 1921, anno I, n. 70.
3. I CIVILI CONVERSARI. OMERO DELLISTORTI: CERTE PREGHIERE
- Enno', enno', a me certe cose, certe soperchierie, ecco, certe soperchierie a me non mi vanno proprio giu'.
- E che e' successo?
- Che e' sucesso, che e' successo, mo' te lo dico io che e' successo.
- Dimmi, dimmi.
- Stavo guardando la televisione e giravo canale sperando di trovare qualche spogliarello, no?
- Lo strittise.
- Eh?
- Lo strittise, sarebbe lo spogliarello, ma adesso si dice in americano, lo strittise.
- Eh, quello. Giro, giro, e mi capita, indovina che? Uno vestito da prete.
- Che faceva lo strittise?
- No, che faceva la predica.
- Peggio.
- Peggio si'.
- E allora?
- Allora prima che fo in tempo a cambia' canale quello dice: "preghiamo per tutti i peccatori".
- I peccatori?
- I peccatori, si'.
- Ma via...
- Ti dico di si'. Roba da matti. Invece di pregare per la gente perbene quello pregava per i peccatori.
- Non c'e' piu' religione.
- E io che dicevo? Non c'e' piu' religione. Il duce ci vorrebbe, il duce, per riportare un po' di buoncostume.
- E per mettere in galera i clandestini. Il blocco navale ci vuole.
- Il blocco navale e i lavori forzati, che ci ho giusto qualche ettaro di terra e mi farebbero comodo pure a me, che ne so, magari un par di cento schiavi, con quello che li frusta e tutto.
- Pure le schiave, eh.
- Pure le schiave, e' chiaro.
- E poi l'hai trovato lo strittise?
- L'ho trovato si', con un po' di pazienza si trova tutto in televisione.
- Pure su internet.
- E che non ce lo so? Certe sventole.
- Internet e' proprio una bella invenzione.
- Pure la grappa, eh.
- Eh.
- Eh.
4. NUOVI RACCONTI CRUDELI. OMERO DELLISTORTI: NON FO PER DIRE
Non fo per dire ma mio figlio fa le corse. Automobilistiche. L'avrete pure visto in televisione.
Non fo per dire ma la mia famiglia saranno trecent'anni e piu' che ci abbiamo le terre. Le terre e pure il blasone. Voi manco lo sapete che e' un blasone, che ve lo dico a fa'.
Non fo per dire ma potete chiedere a tutti qui in giro chi e' il miglior giocatore di bestia e biribissi, chiedete e vedete se non vi dicono tutti che sono io. E che ci ho un coltello colla lama lunga quarantacinque centimetri quarantacinque che se volete la potete misurare col metro.
Non fo per dire ma proprio io, proprio io sono quello che ammazzo' la moglie piantandole un chiodo da staccionata proprio in fronte. Proprio in fronte glielo piantai, che glielo tenevo appoggiato li' con una mano, con quell'altra la tenevo ferma schiacciata addosso al muro, e poi con una testata, una testata sola, e il chiodo le entro' e le usci' dall'altra parte, con due scrocchi che parevano uno solo.
Non fo per dire ma questa e' la volta buona che concorro alle elezioni pure io, che sono sempre stato un patriota e ci ho pure l'orologio col ritratto del duce. D'oro, eh.
Non fo per dire.
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Emil Habibi, Il pessottimista, Bompiani, Milano 2002, pp. XVI + 186.
- Maria Chiara Levorato, Le emozioni della lettura, Il Mulino, Bologna 2000, pp. 280.
*
Riedizioni
- Hector Garcia e Francesc Miralles, Il metodo Ikigai, Mondadori, Milano 2018, Rcs, Milano 2022, pp. 156, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
- Marcello Simoni, Angeli e diavoli, Einaudi, Torino 2021, Gedi, Torino 2022, pp. IV + 122, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").
*
Maestre
- Luciana Castellina, Cinquant'anni d'Europa. Una lettura antiretorica, Utet, Torino 2007, pp. X + 244.
- Luciana Castellina, Eurollywood. Il difficile ingresso della cultura nella costruzione dell'Europa, Ets, Pisa 2008, pp. 244.
- Luciana Castellina, La scoperta del mondo, Nottetempo, Milano 2011, pp. 300.
- Luciana Castellina, Ribelliamoci. L'alternativa va costruita, Aliberti, Roma 2011, pp. 80.
- Luciana Castellina, Siberiana, Nottetempo, Milano 2012, 2013, pp. 188.
- Luciana Castellina, Manuale antiretorico dell'Unione Europea. Da dove viene (e dove va) quest'Europa, Manifestolibri, Roma 2016, pp. 176.
- Luciana Castellina, Amori comunisti, Nottetempo, Milano 2018, pp. 272.
- Milena Agus, Luciana Castellina, Guardati dalla mia fame, Nottetempo, Milano 2014, pp. 216.
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
7. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4566 del 18 agosto 2022
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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