[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 114



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
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Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
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Numero 114 del 16 giugno 2021

In questo numero:
Claudio Cesa: Benedetto Croce storico e politico

MAESTRI. CLAUDIO CESA: BENEDETTO CROCE STORICO E POLITICO
[Da Il contributo italiano alla storia del pensiero: storia e politica (2013) nel sito www.treccani.it]

Nella storia culturale italiana del Novecento, Benedetto Croce non ha nessuno che gli stia accanto, perche' nessuno, e per un cosi' lungo periodo, ha coltivato contemporaneamente le scienze filosofiche, le ricerche storiche, la critica letteraria, intervenendo inoltre nei dibattiti contemporanei, in un confronto spesso polemico con quasi tutti gli intellettuali eminenti del suo tempo, italiani e non italiani. Nei suoi scritti storico-politici egli non si preoccupo' mai di esprimersi, come si direbbe oggi, in modo politicamente corretto. A decenni di distanza val sempre la pena di rileggere quei volumi, redatti in un italiano impeccabile, per trarne stimolo non conformistico.
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La vita
Nato a Pescasseroli, in provincia dell'Aquila, il 25 febbraio 1866, in una famiglia di agiati proprietari terrieri, Benedetto Croce trascorse quasi tutta la sua vita a Napoli; nel luglio 1883 consegui' la licenza liceale e, pochi giorni dopo, il 28 luglio, perse i genitori e la sorella Maria nel terremoto di Casamicciola; egli stesso rimase molte ore sotto le macerie. Essendo ancora minorenne, ne assunse la tutela Silvio Spaventa, zio per parte di padre, nella cui casa romana Croce trascorse circa due anni; qui conobbe Antonio Labriola, di cui anche segui' le lezioni all'universita'. Gia' nel biennio romano si era dato a studi eruditi, che lo occuparono esclusivamente dopo che, nel 1886, torno' a stabilirsi a Napoli: i temi principali, la storia letteraria e politica dell'Italia meridionale, dall'eta' aragonese alla fine del Settecento.
Gia' negli anni liceali aveva letto Francesco De Sanctis; a illustrarne e continuarne l'opera Croce attese tutta la vita; per lui De Sanctis era uno "storico di prim'ordine", storico "del contenuto ideale della vita in quanto si manifesta nelle opere letterarie" (B. Croce, Scritti su Francesco De Sanctis, a cura di T. Tagliaferri, F. Tessitore, II vol., 2007, p. 62); tra il 1896 e il 1898 ne pubblico' tre volumi di scritti. La sua prima opera teorica che ebbe risonanza anche fuori d'Italia fu la 'memoria' del 1893 su La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte; e alla meditazione sulla storia fu ulteriormente stimolato dalla lettura (1895) del saggio di Labriola In memoria del Manifesto dei comunisti, del quale si fece editore; nel 1896 incominciarono gli scambi epistolari con Giovanni Gentile, preludio di una stretta amicizia che si interruppe nel 1924.
Del 1900 sono le Tesi fondamentali di un'estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, cui faceva seguito la grande Estetica del 1902, ove sono gia' presenti i lineamenti del 'sistema' di filosofia dello spirito; prima di redigere gli altri due volumi destinati a darlo per intero, la Logica e la Filosofia della pratica (1909), Croce tradusse e studio' intensamente Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Nel 1903 incomincio' a uscire "La critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia", con fascicoli a rigorosa cadenza bimestrale: fu con essa che Croce assunse rapidamente un posto di primo piano nella cultura italiana, non soltanto come pensatore e storico, ma anche come portatore di un suo ideale di cultura e di moralita', dichiaratamente ispirata alla tradizione del Risorgimento. Nella Introduzione egli proponeva un "ponderato ritorno a tradizioni di pensiero, che furono disgraziatamente interrotte dopo il compimento della rivoluzione italiana, e nelle quali rifulgeva l'idea della sintesi spirituale, l'idea dell’humanitas" ("La critica", 1903, 1, p. 5).
I saggi che vennero pubblicati nella prima serie vertevano principalmente sulla letteratura (Croce) e sulla filosofia (Gentile) in Italia nella seconda metà del XIX sec.; un bilancio critico per aprire la strada a una fase nuova; e, per aprire a orientamenti attuali, i saggi erano seguiti da recensioni di opere contemporanee, italiane e straniere. Nel dicembre 1901 erano iniziati i rapporti con Giovanni Laterza, che divenne l'editore, dal 1906, della "Critica" e delle opere di Croce, ma anche delle grandi collane dei Classici della filosofia moderna e degli Scrittori d'Italia, i cui volumi Croce programmava e curava con estrema attenzione.
Nel 1910 Croce fu nominato senatore del Regno; lo fu per censo, ma fu una sorta di riconoscimento ufficiale della posizione che ormai aveva assunto anche nella cultura europea. Gia' nel primo decennio del secolo l'Estetica era tradotta in inglese, francese, tedesco, il Saggio sullo Hegel in francese e tedesco, il Materialismo storico in francese; e nel 1909 gli fu proposto di scrivere, per una serie tedesca di manuali filosofici istituzionali, una "filosofia della storia", che poi sara', invece, la Teoria e storia della storiografia.
Nell'aprile 1915, alla vigilia dell'intervento, scrisse il Contributo alla critica di me stesso, facendo un consuntivo ideale che si concludeva con una non celata inquietudine per il prossimo futuro; durante la guerra, oltre a molti scritti di orientamento politico e morale, redasse una delle sue opere piu' importanti, la Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono. Nel 1920 fu chiamato da Giovanni Giolitti, con il quale non aveva avuto precedentemente alcun rapporto, a far parte del suo ultimo gabinetto, come ministro dell'Istruzione; dopo la marcia su Roma mantenne, verso il governo Mussolini, un atteggiamento inizialmente riservato, che divenne aperta opposizione dalla fine del 1924. Nel 1929 parlo' in Senato contro l'approvazione dei Patti lateranensi e, dalle pagine della "Critica", condusse una tenace polemica su temi filosofici e storici che avevano, allora, anche un significato politico: divenne cosi' l'esponente maggiore dell'opposizione interna. In questo periodo, che Croce disse la sua seconda giovinezza, egli compose le sue piu' note opere storiche (la "grande tetralogia") e La storia come pensiero e come azione.
Dopo la caduta del regime e l'armistizio del settembre 1943, Croce s'impegno' intensamente onde si prendessero misure che consentissero all'Italia di uscire dallo stato di nazione sconfitta; valore simbolico aveva per lui l'abdicazione di Vittorio Emanuele III, e questa sua proposta venne accolta al congresso dei partiti antifascisti svoltosi a Bari nel gennaio del 1944. Ottenuta l'assicurazione che l'abdicazione sarebbe avvenuta dopo la liberazione di Roma, accetto' di entrare, come ministro senza portafoglio, nei governi Badoglio e poi Bonomi (aprile-luglio 1944). Fu in seguito presidente del ricostituito Partito liberale e membro della Consulta nazionale (1945-46); eletto all'Assemblea costituente, tenne incisivi discorsi contro l'approvazione dell'articolo 7 della Costituzione (sui rapporti tra Stato e Chiesa) e contro l'approvazione del trattato di pace, i cui termini gli sembravano offensivi della dignita' nazionale; nel maggio 1948 torno' in Senato.
In quel turbolento periodo, non aveva abbandonato gli studi e la sua opera di promozione di essi; nel febbraio 1947 venne fondato l'Istituto italiano per gli studi storici, alla cui direzione chiamo' Federico Chabod; chiusa "La critica" alla fine del 1944, fece uscire, senza periodicita' fissa, i "Quaderni della 'Critica'" (1945-1951); nel 1952 pubblico' le sue Schede nella rivista "Lo spettatore italiano", anima della quale era la figlia Elena, con il genero Raimondo Craveri. Mori' a Napoli il 20 novembre 1952.
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Tra De Sanctis e Labriola
"La politica del mio paese mi stava innanzi come spettacolo al quale non mai mi proposi di partecipare con l'azione" (B. Croce, Etica e politica, 19432, p. 376); e anche quel sentimento di passione politica che gli era nato durante lo studio del marxismo (1895-98) "non duro'"; tornai "alla mia vera natura [che] era quella dell'uomo di studio e di pensiero" (p. 383). Se si collegano queste dichiarazioni di Croce, consegnate al Contributo alla critica di me stesso, con cio' che egli disse piu' tardi, della sua opera come ministro dell'ultimo gabinetto Giolitti, di aver "sopportato" (Carteggio Croce-Vossler, 1951, p. 309) quel carico come una sorta di servizio militare, si potrebbe ritenere che Croce, sino a quando, nel 1924, incomincio' a dichiarare il suo dissenso nei confronti del fascismo, fosse stato un "epicureo che medita su le forme del pensiero, ignaro della vita" (A. Labriola, Carteggio, a cura di S. Miccolis, IV vol., 2004, p. 497), un "letterato", come gli rimproverava Labriola nel 1898.
Non importa qui riferire la risposta, un po' piccata, di Croce a questi rilievi; si deve constatare peraltro che l'operosita' che egli profuse nel primo quindicennio del Novecento fece di lui un maestro di moralita', esplicantesi nella teoria filosofica come nella critica letteraria, e che non disdegnava di affrontare questioni di politica spicciola e di criticare frontalmente, su punti specifici, le ideologie liberiste e socialiste. Si trattava di una consapevole opera di "educazione", ispirata ai due personaggi che quel lodatore dell'autodidattismo sempre riconobbe come maestri: anzitutto De Sanctis, ma anche Labriola. Di entrambi Croce riconosceva l'inadeguatezza come politici "pratici", ma apprezzava il loro intendimento di proporre un rinnovamento delle categorie morali per l'Italia postunitaria, per la "nuova Italia". Come loro continuatore egli si poneva, con l'intento di portare la cultura italiana al livello delle piu' avanzate culture europee, valorizzando, anche, quel che di eccellente gli italiani dell'Ottocento avevano fatto, e che non aveva trovato riconoscimento al di la' delle Alpi per la scarsa considerazione di cui l'Italia godeva.
Il primo scritto di Croce che si puo' dire programmatico, La critica letteraria. Questioni teoriche (1894), si concludeva rilevando la "deficienza" degli studi letterari in Italia – imputata soprattutto al progressivo abbandono del rapporto con la scienza estetica tedesca; l'invito di Croce era di colmare quella lacuna. Quattro anni dopo, nel saggio Francesco De Sanctis e i suoi critici recenti (1898), riprendeva, da Giustino Fortunato, l'immagine del De Sanctis "educatore", che "ai giovani non inculcava la gloria per la gloria, ch'e' la vanita', la guerra per la guerra, ch'e' l'assassinio; ma il lavoro, la coltura, la dirittura del carattere" (Scritti su Francesco De Sanctis, cit., II vol., p. 166). Diversamente dal pur, da Croce, tanto ammirato Giosue Carducci, De Sanctis aveva lucidamente visto che, conseguita l'Unita' d'Italia, il "patriottismo" non era piu' nell'andare sulle barricate, bensi' nel lavoro quotidiano, onde cessare di vivere "sul nostro passato e del lavoro [intellettuale] altrui" (F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, a cura di N. Gallo, 1958, II vol., p. 975). Non e' una forzatura ritenere che Croce giunse al medesimo risultato per la propria esperienza di studioso, ma essendo ben memore di cio' che De Sanctis piu' volte aveva detto.
Quanto a Labriola, questi, anche piu' di De Sanctis, auspicava che l'Italia si mettesse al passo delle grandi potenze; e l'opera sua, di teorico e propagandista del marxismo, muoveva dalla convinzione che l'educazione politica del proletariato, tradotta in organizzazione, e in opposizione senza compromessi, ma anche senza velleita' insurrezionalistiche, "moti inconsulti delle moltitudini inconscie" (A. Labriola, Carteggio, cit., V vol., 2006, p. 179), avrebbe spinto la debole borghesia italiana ad assolvere piu' degnamente il proprio compito; era la prospettiva di un progresso dialettico, combattente, si dovrebbe anzi dire, perche', senza negare la possibilita' di realizzazione dell'ideale socialista della fratellanza umana, Labriola non riteneva, ne' desiderava, che quel futuro fosse da prendersi come criterio dell'operare presente.
Quanto De Sanctis e Labriola si unificassero idealmente nella mente di Croce, si puo' vedere da un passo (1897) che pare quasi anacronistico: "Quell'indirizzo che ora si chiama [...] del materialismo storico [...] ha spesso nel De Sanctis un rappresentante non dottrinario. E cio' sembrera' naturale quando si pensi che quell'indirizzo e' nato dalla suggestione dell'esperienza storica" (Scritti su Francesco De Sanctis, cit., II vol., p. 113).
La storia: giudizi, interpretazioni, teorie valgono in quanto siano nutriti di storia; la quale, se coltivata in felice disposizione d'animo ("giustezza del sentimento", "intuito"), rettifica gli errori dottrinali o li redime; senso storico, inoltre, e' sinonimo di "senso pratico e politico" (p. 149), potenzia la capacita' di vedere cosa, in ogni situazione data, abbia mosso la volonta'. Cosi', De Sanctis "vagheggiava il progresso, ma il progresso cauto, che tien conto [...] delle verita' effettuali; il progresso preceduto dalle analisi di Niccolo' Machiavelli" (p. 114); e anche Karl Marx insegna "pur con le sue proposizioni approssimate nel contenuto e paradossali nella forma, a penetrare in cio' ch'e' la societa' nella sua realta' effettuale", per cui merita "a titolo d'onore" di esser detto il "Machiavelli del proletariato" (B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, 196110, p. 113). Sullo sfondo di questa ripetuta evocazione di Machiavelli, c'e' anche De Sanctis, con la sua insistenza su Machiavelli come «il primo tipo dell'uomo moderno" (F. De Sanctis, Saggi critici, a cura di L. Russo, II vol., 1965, p. 320), che aveva saputo guardare la realta' senza schemi precostituiti, leggendo anche il passato sulla base della sua esperienza presente. E Croce si ricordo' forse di questo anche in occasione del suo primo scritto teorico, La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte, ove la storia era distinta dall'arte "in senso stretto" in quanto narrazione del "realmente accaduto" (B. Croce, Primi saggi, 19513, p. 36).
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Storia, cronaca e false storie
Croce non si appago' della formula appena citata, la quale sembrava, tra l'altro, la parafrasi di un celebre detto di Leopold von Ranke, evocato poi piu' volte e, da ultimo, come la divisa di una storiografia "senza problema storico". Non si puo' seguire qui l'elaborazione della filosofia dello spirito, consegnata nei tre volumi apparsi tra il 1902 e il 1909; bastera' dire che la storia, fin dalla memoria accademica sulla logica (1904-1905) viene presentata come il "risultato cui mette capo non solo l'arte, ma la filosofia"; la storia e' sintesi di intuizione e concetto, e "presuppone e compie la scienza, cioe' la filosofia" (B. Croce, Memorie accademiche, s.a., p. 199). A servirsi di una formulazione che non e' crociana, si potrebbe dire che la coscienza storica e' il momento nel quale si completa l'educazione dell'uomo; e in tale coscienza Croce vedeva, anche, la confluenza delle principali "rivoluzioni" dell'eta' moderna, Rinascimento, Illuminismo, Romanticismo; e qui vale la pena di rilevare, di passaggio, come non sia corretta la critica, rivolta a Croce, di aver sottovalutato l'Illuminismo. A quest'ultimo, anzi, viene attribuito il merito di aver perfezionato l'opera del Rinascimento, con una piu' netta affermazione dei "valori spirituali", di aver prodotto "un effettivo incremento nella vita, e percio' nella concezione storica stessa" (B. Croce, Teoria e storia della storiografia, 19435, pp. 231 e 241): "vita", nel linguaggio crociano, e' sinonimo di "spirito", il solo universale, il quale si esplica attraverso le infinite individualita'; e l'individualita' "non e' altro che il veicolo dell'universalita', la sua effettualita'", che va giudicato per cio' che, perseguendo i propri fini, attua "per l'idea vera della liberta' e dell'umanita'" (B. Croce, Saggio sullo Hegel, 19675, p. 43).
E' un enunciato di pretto sapore hegeliano, che ha stimolato obiezioni di carattere filosofico per il duplice significato che puo' avere "liberta'": facolta' di scelta del singolo, oppure cifra dell'intero mondo spirituale? Ma, per una teoria della storiografia, e' piu' interessante un ulteriore passo dell'argomentazione crociana; si e' visto che la coscienza storica e' il punto piu' alto della consapevolezza umana: ebbene, c'e' un "circolo" tra il momento della vita e quello della riflessione storica – da cui la celebre affermazione che ogni storia "pensata" e' "contemporanea", "viva", e percio' distinta da quella "ricordata nelle astratte parole che erano un tempo concrete e la esprimevano" (B. Croce, Teoria e storia, cit., pp. 10-11); e ancora, nella storiografia la vita e' pensiero, e non sentimento: "vita che si fa pensiero" (p. 28); di qui, adesso, la dichiarata identita' di storia e filosofia.
Il significato di questa formula (che ha la sua origine nel rapporto, sempre dialettico, con il pensiero di Gentile) e' che l'uomo di studi, l'"intellettuale", non e' pensabile fuori del rapporto con gli accadimenti del suo tempo; egli deve, certo, servire la "verita'", che e' un valore non contingente, ma non puo' illudersi di raggiungerla in una regione eterea, estranea ai conflitti del presente. Il che implica, anche, l'impegno ad assumere una posizione critica nei confronti sia della tradizione sia delle ideologie consolidate. E' caratteristico che, nello scritto preso come titolo di questo paragrafo (la prima stesura dei capitoli 1-3 di Teoria e storia della storiografia), si trovi un inciso riguardante la debolezza dei libri italiani sul Risorgimento, che "aspetta ancora gli storici" (p. 31); il criterio dell'auspicata "storia vera" avrebbe dovuto essere "la Cultura, la Civilta', il Progresso", ovvero la narrazione pensata di cio' che, nell'ottica di quei "valori", era stato fatto nei decenni risorgimentali; e qui va citata una confessione, di quegli stessi anni, di aver "imparato a risentire [...] il valore di certa idealita' del Risorgimento italiano che i patrioti e liberali tra il 1875 e il 1895 avevano reso odiose, perche' [...] se n'erano valsi ad orpello di ogni sorta di cupidigie" (B. Croce, Cultura e vita morale, 1993, p. 189).
Si tratta di una ripresa dei giudizi negativi che, sulla Sinistra al potere, Croce aveva raccolto, in gioventu', dalla bocca di Silvio Spaventa e di Labriola. E, contro le forme protonovecentesche di quella Sinistra, Croce polemizzo' in proprio, nelle pagine implacabili, animate da un ironico sarcasmo, sulla "morte del socialismo" e sulla "mentalita' massonica". Qui si trattava di demistificare ideologie che pretendevano di esprimere valori eterni, i quali pero', nella mente stessa di coloro che li professavano, non trovavano alcuna applicazione reale, e quindi erano ingenuita', o, piu' spesso, ipocrisie; e il peggio era che quei termini ("la ragione, la liberta', l'umanita', la fratellanza, la tolleranza") scimmiottavano "valori di cultura", superiori ai "valori storici" (p. 143). E' una forma precoce della protesta di quindici anni dopo contro l'uso politico dell'attualismo, ma in tutt'altra temperie.
Nel 1911-12, contro gli ideologi alla francese, Croce si faceva rappresentante dei valori "storici", identificati nella patria e nelle sue istituzioni, perche' "i doveri generali non si attuano se non [...] quando si facciano a noi prossimi". Non c'e', insomma, l'uomo in generale, ma l'italiano, il francese, il tedesco ecc. di quel determinato momento storico, vincolato agli interessi della comunita' cui appartiene; e quest'ultimo dato non e' una contingenza, anche se nessuno sa che cosa cio' possa implicare. Questo concetto Croce espresse con una frase potente, che gli accadde di ripetere anche altre volte: "Noi siamo, nella vita, come guarnigioni e sentinelle poste qua e la' dallo Spirito del mondo; al quale male serviremmo abbandonando i posti che ci ha affidati, per rendergli un omaggio astratto e inerte, a lui non gradito" (p. 181).
L'ammonimento non era volto soltanto al radicalismo internazionalista e umanitario; che anzi Croce, nel 1907, notava come certi avversari del socialismo finivano per "negare la civilta'", presentando, sotto vari travestimenti verbali, "gli ineffabili ideali della forza per la forza, dell'imperialismo, dell'aristocraticismo"; era "insincerita'", "fabbrica del vuoto" quella di chi vagheggiava una "Italia borgiana e corsara" (B. Croce, La letteratura della nuova Italia, IV vol., 1960, pp. 211, 195, 201). A tutto cio', appunto, egli contrapponeva le idealita' del Risorgimento; se, dopo il 1875, c'era stata una triste decadenza del costume politico, il periodo "carducciano", sino al 1890, era ancora animato dai sentimenti "elementari" dell'umanita'; dopo, si era fatta strada una mentalita' "estetizzante", "decadentistica", "misticheggiante", di "malati di nervi", diceva rudemente. Qualificata in questo modo, era la sua stessa generazione – e quella immediatamente successiva – che stava facendo le sue prove nei primi anni del XX secolo. Nel 1914, nel volume Le lettere, Renato Serra scrisse che l'opera di Croce aveva "dominato dall'alto il pensiero di questa generazione" (p. 140), ma dominato, non voleva dire che lo avesse del tutto orientato. Di cio', Croce era del resto consapevole.
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Le pagine sulla guerra
Per Croce, come per quasi tutti, l'inizio della Prima guerra mondiale (agosto 1914) fu una sorpresa. Il governo italiano aveva dichiarato la sua neutralita', ma nel Paese, rapidamente messi ai margini coloro che volevano, in nome della Triplice, schierarsi con gli imperi centrali, erano sempre piu' attivi i gruppi interventisti, nei quali confluivano democratici, repubblicani, socialisti e anche nazionalisti. Croce collaboro' invece al periodico "Italia nostra", che negava ai moti di piazza il diritto di influenzare la politica estera, e voleva che un eventuale intervento fosse valutato e deciso dagli organi costituzionali. Si e' detto che, questo, era il segno di una mentalita' arcaica; in realta' Croce aveva visto subito che tra gli "apostoli del credo bellicoso" (B. Croce, L'Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra, 19503, p. 19) c'erano proprio quei "profeti" di un indeterminato "nuovo" che egli aveva criticato negli anni precedenti.
Nel maggio 1915 l'Italia entro' in guerra; durante questo periodo Croce redasse pagine (molte delle quali raccolte nel volume Pagine sulla guerra, 1919, poi ristampato con il titolo L'Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra nel 1928) che un autorevole studioso del suo pensiero defini' "uno dei libri piu' affascinanti [...] e talvolta piu' inquietanti della letteratura europea relativa al primo conflitto mondiale" (Sasso 1975, p. 460). La guerra, per lui, non era un conflitto ideologico, di principi (per es., quello autoritario, degli imperi centrali, e quello democratico, delle potenze dell'Intesa), ma di Stati, una sorta di periodico fenomeno naturale "tanto poco morale o immorale quanto un terremoto" (L'Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra, cit., p. 91), nel quale i contendenti, hobbesianamente definiti Leviatani, mettevano alla prova il loro istinto di conservazione. A essi "noi abbiamo il dovere di servire e di obbedire" (p. 166); e proprio i sacrifici che i popoli sopportavano per questa obbedienza, gli facevano dire che la guerra aveva lo scopo implicito di "maturare piu' alta forma di civilta'" (p. 46), "lotta di Bene con Bene per assurgere a piu' alto Bene" (p. 84).
E' semplicismo tacciare questi enunciati di 'idealistico' ottimismo; almeno sino al 1917 Croce ritenne che la guerra fosse, se e' lecito dire, controllabile dai governi, e che il suo esito sarebbe stato soltanto una modificazione dell'equilibrio europeo; in essa egli, che pure era stato contrario agli interventismi, vedeva l'occasione per il popolo italiano di "esercitare la sua degna parte nella storia, risoluto a non farsi a niun patto ricacciare tra i popoli secondari e passivi" (p. 128), e di lasciarsi alle spalle la "stentatezza" (p. 138) della sua storia recente. Un fenomeno naturale, dunque, come estremo stimolo per le energie umane.
C'e' un breve scritto, dell'estate 1916, ove si delinea una contrapposizione frontale tra la "concezione trascendente e cristiana", della quale pure si apprezza la "sublimita'", e la concezione "della realta' come svolgimento e lotta"; tale concezione, che impone all'uomo di "difendere la causa del popolo del quale esso e' parte", e' "religiosa", "di quella religione, che e' insieme filosofia" (pp. 132-33); e', insomma, la religione dei moderni, Hegel integrato da Machiavelli. Si badi pero' che questo dovere e' "politico", e non coinvolge "la scienza e la morale" (p. 112); di qui la costante protesta contro chi, prendendo a pretesto la guerra contro la Germania, pretendeva di negare il valore del pensiero tedesco nella cultura europea. Questo limite per la politica si riproponeva, in altro modo, anche per gli Stati; Croce non esitava a dire "scientifica" la teoria dello Stato come potenza, e dichiarava vuoto moralismo invocare criteri che vincolassero il comportamento degli Stati; i limiti "sono limiti e freni che [lo Stato] trova in se' stesso" (p. 107); non si tratta, pero', di un assioma che legittimi ogni azione, in quanto atti non strettamente necessari alla conservazione dello Stato mostrano che, in esso, si e' attenuata la capacita' di discernimento, e che gli uomini che lo dirigono non sono pari al loro dovere, non promuovono il rigoglio della vita che aveva spinto i popoli ad accettare la "religiosa ecatombe".
A partire, come si e' detto, dal 1917, quando si vide che il conflitto era ormai a oltranza, e che si voleva la distruzione del nemico, Croce comincio' a prendere atto che la guerra non era riuscita a indurre quella severa disciplina interiore che gli immani sacrifici avrebbero suggerito; constatava che "i giovani delle trincee" leggevano "soprattutto roba futuristica"; piu' tardi, a proposito di uno dei contributi della letteratura di guerra, notava che chi aveva "sofferto" "il contatto con l'Assoluto" si era fatto diverso "dall'uomo della vita ordinaria". Non condannava, perche' rispettava quella esperienza, ma neppure era disposto ad accettarla come una base alternativa al modello culturale da lui coltivato, e che auspicava si ristabilisse; tanto che, nel 1919, esortava i reduci "a guardare l'Italia solo attraverso l'Europa" (p. 298).
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La "grande tetralogia" e la storia etico-politica
La fine della guerra, e poi il convulso triennio tra le elezioni del 1919 e la marcia su Roma, videro Croce coinvolto in modo anche attivo, come ministro, nella vita politica italiana; all'inizio del governo Mussolini, dette, in Senato, voto favorevole, e appoggio' con la sua autorita' la riforma scolastica intrapresa da Gentile. La rottura personale con questi (ottobre 1924) precedette di poche settimane il suo aperto passaggio all'opposizione; e oppositore fu intransigentemente, per tutto il ventennio. Sarebbe pero' limitativo vedere soltanto sotto questo segno la sua operosita' intellettuale, e storiografica; anche negli altri Paesi europei, pur governati da sistemi parlamentari, egli vedeva all'opera tendenze preoccupanti; la Germania stentava a trovare un assetto stabile, e il successo che vi aveva riscosso Der Untergang des Abendlandes (1918-1922) di Oswald Spengler (che pure il suo amico Karl Vossler leggeva non senza interesse) gli pareva "comprovare" lo scadimento della cultura tedesca; e anche peggio andavano le cose negli altri Paesi europei: l'affermarsi del bolscevismo in Russia, l'arroganza della Francia, il sempre maggior diffondersi del materialismo industrialistico. Comunque, fino al 1933, il fascismo al potere era un fenomeno soltanto italiano; e le grandi opere storiche che Croce pubblico' in meno di un decennio (Storia del Regno di Napoli, 1925, che molti storici 'di mestiere', quali Chabod e Walter Maturi, considerarono il suo capolavoro; Storia d'Italia dal 1871 al 1915, del 1928; Storia dell'eta' barocca in Italia, 1929; Storia d'Europa nel secolo decimonono, 1932) erano si' il raccogliere le fila di studi piu' che quarantennali, ma anche la riflessione su fasi sia di decadenza sia di progresso; di quest'ultimo, l'audacia del pensiero e l'impulso artistico preparavano il terreno; a tradurlo in opere e istituzioni era l'impegno politico, che sapesse farsi "fede".
L'opera sul Regno di Napoli e', dichiaratamente, uno "studio di storia politica" (B. Croce, Storia del Regno di Napoli, 1931 (2), p. IX), di un territorio, e di un popolo composto da gruppi etnici differenti, governato da dinastie quasi sempre straniere di origine; dal momento stesso dell'inizio del Regno, con la dinastia angioina, Croce vede all'opera i fattori che lo fecero quasi sempre fragile: l'incapacita' dei baroni, che costituivano la "classe preponderante e dirigente" (p. 66), a servire un interesse generale, a "sacrificarsi" allo Stato, e, dall'altro lato, la debolezza del "cosiddetto ceto medio", non soltanto privo del sostegno regio, ma contrastante il baronaggio soltanto sul piano della contesa legale; e "gli avvocati sono avvocati, e non uomini politici". Fu quando, tra fine Seicento e inizio Settecento, emersero personalita' (Giannone!) animate da "zelo riformatore" e da "spirito pugnace" (p. 176) che incomincio' a formarsi la "nazione", composta fondamentalmente da intellettuali, "la sola classe politica del Mezzogiorno d'Italia" (p. 258); fu questa classe che sprono' alle riforme, che si fece militante, con gran tributo di sangue, tra il 1798 e il 1815, che lancio' per prima la parola d'ordine dell'Italia unita. Va rilevato che e' attraverso i riformatori e i rivoluzionari meridionali che Croce ha delineato il cammino verso lo Stato unitario, sino al 1860, osservando che un'analoga tensione morale non esisteva in altre parti della penisola; con l'eccezione del Piemonte sabaudo che, per il suo costante spirito di espansione, non era stato infettato da "quell'ideale della tranquillita'" (p. 265) che aveva contribuito alla decadenza degli altri Stati italiani. Quegli "uomini di dottrina e di pensiero" erano la "nobilta'" di nascita della nuova Italia, e andavano sempre tenuti presenti come antidoto al "nazionalismo" che minacciava "la purezza di questa nostra tradizione" (p. 267).
C'e' un'ideale connessione tra la Storia del Regno di Napoli e gli scritti che Croce venne redigendo tra il 1924 e il 1926 per presentare la sua concezione della politica in alternativa a quella che, in vari modi, era proposta dagli intellettuali o dai pubblicisti fascisti. Il filosofo non rinnegava il "realismo" di tipo germanico ("concetto piu' alto") professato dieci anni prima; tornava a ribadire che gli Stati erano "forze della natura [...] che l'individuo etico dirige e attualizza, ma non crea" (B. Croce, Etica e politica, cit., p. 179); aggiungendo pero' subito "e nel dirigerle spende tesori d'intelletto e di volonta' e in cio' si mostra, pur nel servirle, a esse superiore". La superiorita' consisteva nel considerare la forza, e il potere, come un mezzo, e non come un fine; bisognava concepire "dialetticamente" il rapporto tra i due lati della politica, economico ed etico, tra la "necessita'" di azioni da compiersi per il bene della "patria" e la contingenza di azioni ispirate dalla sete di potere. Il discrimine non era facile, ma Croce lo indicava proprio sull'esempio di Machiavelli, che aveva si' scoperto l'autonomia della politica, ma aveva anche accompagnato questa "asserzione" con "acre amarezza" (p. 251); e tanto piu' questa amarezza si doveva sentire dopo l'affermarsi, nella cultura europea, della concezione storicistica come svolgimento e progresso, e non come ritorno ciclico. Hegel aveva definito lo Stato universo etico, che era una categoria spirituale; Croce voleva pero' che tale categoria venisse articolata nelle sue componenti, individui piuttosto che istituzioni: lo Stato e' il processo delle azioni degli individui che vivono in esso. Ancora: se si riconosce la lotta tra gli Stati "non si puo' non riconoscerla dentro ciascuno Stato [...] come lotta tra governo e governati" (p. 262); e non era concepibile che la "lotta" mirasse all'annientamento di una delle parti; quest'ultima prospettiva era esemplificata esplicitamente nel regime comunista, e implicitamente in quello fascista, cui Croce opponeva la concezione "liberale", "storicistica" "metapolitica", "cosa affatto moderna" (pp. 291 e 285). Essa non era legata al "liberismo economico", ed era compatibile con provvedimenti "socialisti", purche' questi fossero "salutari all'uno, ai piu' e a tutti, all'uomo nella sua forza e dignita' di uomo"; e veniva ammessa anche la formula "paradossale" di un "socialismo liberale" (pp. 319-20).
L'evocazione della "dignita'" dell'uomo significava accentuare l'attenzione per il momento morale, e la produzione di vita non poteva mai da questo essere scompagnata. Il motivo emerge in concomitanza con una sempre piu' intensa riflessione di Croce sul tema della decadenza, sondato attraverso varie figure storiche: e' noto il giudizio sulla Controriforma, che non produsse avanzamento morale perche' opera esclusivamente "politica". Piu' complessa la ricerca degli "spiriti di decadenza" che avevano operato nella piu' recente storia d'Italia, e d'Europa. La Storia d'Italia dedicava si' due capitoli al rigoglio economico e culturale del primo decennio del Novecento, ma registrava, anche, nel trentennio precedente, una "decadenza nel vigore e nella larghezza del pensiero" (B. Croce, Storia d'Italia dal 1871 al 1915, 196614, p. 139), manifestatasi con la disistima nella quale era caduta l'opera di De Sanctis, e con il diffondersi di una mentalita' utilitaria e meschina; gli uomini politici migliori, Quintino Sella, e lo stesso Francesco Crispi, si muovevano sotto l'impulso del pensiero che avevano "respirato" nella loro gioventu'.
L'Italia era il caso di una tendenza molto piu' generale: nel saggio Contrasti d'ideali politici dopo il 1870 (1927), Croce constatava che in tutta Europa, allora, "fu scossa la fede nella liberta'" (Etica e politica, cit., p. 303); e val la pena di notare che, in esso, egli non esito' a dire la guerra 1914-18 "priva d'ogni ragione ideale", sostituto, o "prologo", dei sommovimenti propagandati dai movimenti rivoluzionari. La celebre lezione di Oxford (settembre 1930), intitolata Antistoricismo, continuava a svolgere il tema: prendeva le mosse dal "futurismo" per designare le velleita' di rompere con ogni passato, parlava della nuova "barbarie", esito anch'essa della guerra, che aveva disabituato dalla "lotta civile", e concludeva che nei movimenti che agitavano l'Europa non si vedeva alcun preannunzio di una nuova vita spirituale; la chiusa rievocava suggestivamente la fine del mondo romano, ricordando che era piu' degno prendere come modello Boezio, una vittima "civile", piuttosto che Totila, il bellicoso re dei Goti.
Nella Storia d'Europa la storia etico-politica diventa, come noto' Chabod, etico-religiosa, il lungo contrasto di due opposte "fedi" che si erano riflesse anche in due avvenimenti analoghi, eppure diversi: il compimento dell'Unita' d'Italia, "il capolavoro dei movimenti liberali-nazionali del secolo decimonono", e quello dell'unita' germanica, opera "esclusivamente politica", "processo inverso a quello accaduto in Italia" (B. Croce, Storia d'Europa nel secolo decimonono, 19538, pp. 220 e 242). Era stato il modo in cui quest'ultima si era realizzata a rendere impossibile una "liberale unione europea", cioe', a scanso di anacronismi, una convivenza pacifica non soltanto perche' non scossa da guerre (come di fatto fu), ma perche' libera, anche, da periodiche velleita' di egemonia o di rivincita. Pure, il periodo 1870-1914 viene detto "eta' liberale" per il progresso civile ed economico, la riduzione dell'influenza della Chiesa negli affari mondani, l'accresciuta forza delle istituzioni rappresentative, per la trasformazione del movimento socialista da rivoluzionario a riformista. Il limite fondamentale era pero' che "al fare pratico, che si moveva negli ordini liberali [...] non andava congiunta l'alta coscienza di quel fare", e che "la mera forma istituzionale e giuridica [...] non basta a segnare la liberta' di un popolo" (pp. 311 e 275). Era la replica anticipata a chi piu' tardi lo avrebbe accusato di non aver fornito gli elementi per comprendere come Stati con istituzioni liberali si fossero repentinamente adattati a regimi dittatoriali; una risposta integrata dalle pagine sul passaggio, in Francia, tra il 1848 e il 1852, dalla Repubblica democratica al Secondo impero.
Nell'Europa dell'Ottocento era venuta meno la "fede" nella liberta', e si era diffusa invece, nei ceti intellettuali e nelle ideologie che li ispiravano, una "malattia" che spregiava il passato, oppure lo mitizzava, che "innalzava a ideale [...] la mera e astratta energia e vitalita'" (p. 252). La guerra del 1914-18 aveva ulteriormente rafforzato queste tendenze, anzi, aveva indotto un movimento a ritroso: il socialismo era tornato a essere rivoluzionario, il cattolicesimo aveva recuperato influenza politica, il sentimento nazionale si era fatto "febbre", e non "ideale". A sollievo di questa non lieta situazione presente, Croce ribadiva che liberalismo significava umanita'; non importava che l'avvenire prossimo non gli sembrasse propizio, perche' esso aveva dalla sua parte "l'eterno".
Nella chiusa della Storia d'Europa, Croce aveva auspicato che si avviasse un "processo di unione europea" (p. 354) che liberasse dalla "psicologia" dei nazionalismi; in esso, egli vedeva la condizione, e il mezzo, perche' negli animi tornasse a vivere l'idea liberale. Le cose andarono nella direzione opposta; pochi mesi dopo (1933) Adolf Hitler saliva al potere, e nel 1939 ebbe inizio la Seconda guerra mondiale, nella quale, sino alla fine del 1941, la Germania parve vicina all'egemonia sull'Europa continentale. Venne poi il rovesciamento della situazione militare; nel 1943, caduto Benito Mussolini, l'Italia usci' dall'alleanza tedesca, e Croce, mettendo in gioco tutto il suo personale prestigio, si impegno' a fondo per accreditare e promuovere il passaggio dell'Italia nell'alleanza antihitleriana. A partire dalla meta' del 1945, si ebbe il faticoso avviarsi della normalizzazione, subito resa meno tranquilla dal profilarsi della guerra fredda e dal contrasto, in Italia, tra la coalizione guidata dalla Democrazia cristiana e quella capeggiata dal Partito comunista. La polemica che Croce aveva condotto contro i fascismi europei prese a bersaglio, adesso, i partiti della sinistra, pur non mancando di mettere in guardia contro un ritorno di clericalismo.
Piu' che di cio', che ha interesse soltanto per la biografia dell'ultimo Croce, occorre dar conto delle sue riflessioni "storiche" sulla situazione spirituale del presente; esse non rinnegarono nulla di cio' che egli aveva scritto nei decenni precedenti, ma vi apportarono significative specificazioni, con una decisa affermazione del momento "morale". E non va taciuta, anche per le discussioni che suscito', la sua nuova formulazione della categoria dell'economico, adesso detta "vitalita'", presentata in una dura tensione dialettica tra il suo essere, da una parte, "forza affatto amorale", che la poesia trasfigura e il pensiero conosce, ma che "svela sempre la sua forza propria" (B. Croce, Indagini su Hegel, 1952, p. 134), tanto da sospingere l'umanita' verso la barbarie, ed essere, dall'altra parte, "forma spirituale" cui si devono gli stimoli a rompere periodicamente le strutture consolidate; l'esempio, canonico, e' il passaggio dal Medioevo al Rinascimento. A coloro (ed erano molti) che accusavano il pensiero storicista di aver dissolto l'idea di un mondo ordinato (il diritto naturale), aprendo cosi' la strada a secoli di ferro, Croce ribatteva che concepire la storia come libero, e quindi imprevedibile, svolgimento era un principio irrinunciabile. Dava pero', di quel divenire, la chiave, era la tradizione culturale dell'Occidente: Grecia, Roma, cristianesimo, civilta' moderna; ed era la rottura di quella tradizione a fargli temere che incombesse una crisi quale l'Europa non aveva mai conosciuto.
Il breve saggio La fine della civilta', apparso nel 1946 nel secondo dei "Quaderni della 'Critica'", voleva esorcizzare quella prospettiva; ma tante sue pagine di questi anni testimoniano come essa gli fosse ben presente, e quasi lo opprimesse. "Decadentismo" (e intendeva le varie tendenze culturali che avevano alimentato i fascismi) e "materialismo storico" gli sembravano confluire nell'aver indotto "l'indifferenza verso i sempre venerati valori umani", "una sorta di allegria di distruzione che tiene del diabolico"; in tutte le epoche della vicenda umana c'era si' stata lotta "tra una forma piu' alta e un'altra piu' bassa dell'umanita'", ma non c'era mai stata "la negazione delle radici stesse dell'uomo, come accade nella lotta attuale", tanto da legittimare il timore di una nuova eta' "oscura", nella quale "sara' fiaccata, come non fu mai, la tradizione della storia europea" (B. Croce, Filosofia e storiografia, 1949, pp. 332-33).
Contro questa degenerazione, l'unica resistenza possibile era quella individuale, morale. Ancora una ventina di anni prima, Croce non dubitava che spettasse alla suprema struttura giuridica, lo Stato, assegnare al singolo il dovere cui adempiere; in questo senso egli aveva potuto anche accettare che lo Stato si dicesse etico; adesso non voleva piu' quell'aggettivo, perche', allo Stato, si doveva si' prestare ossequio, ma non "amore"; l'amore si doveva piuttosto alla "patria", e per cio' che essa avesse fatto in pro "dell'umanita' e della civilta'" (pp. 241-42). Di piu': l'amore per la patria dispensava dai doveri verso lo Stato, quando questi avesse impiegato la sua forza oltre quei limiti "posti ad ogni atto dell'uomo".
La Seconda guerra mondiale Croce aveva definito "guerra di religione"; ed era proprio dalla resistenza che uomini religiosi avevano opposto all'autorita' statale che egli traeva gli esempi storici avvaloranti la sua tesi; il portato di essa era pero' assai vasto, in quanto, trovando lo Stato, quale limite pregiudiziale, la coscienza individuale, non si poteva piu' attribuire alla politica, e ai maggiori protagonisti di essa, gli individui "cosmico-storici", quel ruolo che, sulle orme di Hegel, Croce aveva precedentemente loro assegnato. Messa in discussione l'identificazione, una volta implicita, tra Stato e patria, quest'ultima diventava il suolo sentimentale e culturale dal quale il singolo poteva attingere forza per resistere ai Leviatani, che ormai si identificavano con i movimenti politici di massa e con i partiti ideologici; a chi osservava che questi almeno coinvolgevano un gran numero di cittadini nell'impegno politico, Croce ribatteva che le "grandi masse" erano "attente solo alla loro utilita'" (p. 3).
In corrispondenza, anche le definizioni della storia mutarono: storia religiosa o morale "o etico-politica, come abbiamo preferito denominarla", era la storia della civilta'; storia puramente politica o economica era la storia degli Stati. Sarebbe errato trarre, dai detti riferiti, la conclusione che, negli ultimi anni della sua vita, Croce valutasse soltanto negativamente la politica, o spingesse a cancellare quei tratti caratteristici dello Stato che aveva enunciato cosi' energicamente nel primo quarto del secolo; non sarebbe difficile mettere insieme un buon numero di passi comprovanti la permanenza, in lui, di quasi tutti i suoi convincimenti antichi: basti, come esempio, il suo ribadire che "la guerra e' una legge eterna del mondo, che si attua di qua e di la' da ogni ordinamento giuridico" (B. Croce, Scritti e discorsi politici, II vol., 1963, pp. 404-405), come fece nel discorso Contro l'approvazione del dettato della pace e del resto fieramente si era detto "patriota italiano". A conferire peraltro quel senso di consapevolezza di una inarrestabile crisi, che si trova nei suoi scritti ultimi, e' la certezza che, dopo le due guerre mondiali, la sua Europa non esisteva piu'.
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Opere
Lo stesso Croce provvide a organizzare l'edizione dei suoi scritti, presso l'editrice Laterza (Bari), articolata in quattro sezioni: Filosofia dello spirito (4 voll.); Saggi filosofici (14 voll.); Scritti di storia letteraria e politica (44 voll.); Scritti vari (13 voll.). Per informazioni sulle vicende di ciascuno scritto, si vedano F. Nicolini, L'"editio ne varietur" delle opere di Benedetto Croce, Napoli 1960, nonche' S. Borsari, L'opera di Benedetto Croce. Bibliografia, Napoli 1964.
Dalla fine degli anni Ottanta e' stata proseguita dall'editore Adelphi (Milano) la pubblicazione di varie tra le piu' significative opere, a cura di Giuseppe Galasso. Dal 1991 e' incominciata l'Edizione nazionale presso Bibliopolis (Napoli); a oggi sono usciti 22 volumi. In edizione critica gli Scritti su Francesco De Sanctis, a cura di T. Tagliaferri, F. Tessitore, 2 voll., Napoli 2007.
Il seguente elenco delle opere e' ordinato secondo la data di pubblicazione nel corpus delle edizioni Laterza:
Materialismo storico ed economia marxistica (1907).
La rivoluzione napoletana del 1799 (1912).
Saggio sullo Hegel (1913).
Cultura e vita morale (1914).
Teoria e storia della storiografia (1917).
Primi saggi (1919).
Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono (1921).
Storia del Regno di Napoli (1925).
L'Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra (1928).
Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928).
Storia dell'eta' barocca in Italia (1929).
Etica e politica, aggiuntovi il Contributo alla critica di me stesso (1931).
Storia d'Europa nel secolo decimonono (1932).
Ultimi saggi (1935).
La storia come pensiero e come azione (1938).
Il carattere della filosofia moderna (1941).
Filosofia e storiografia (1949).
Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici (1952).
Scritti e discorsi politici (1943-1947), 2 voll. (1963).
Carteggio Croce-Vossler 1899-1949 (1983).
Si vedano inoltre:
Taccuini di lavoro, 1906-1919, 6 voll., Napoli 1987 (l'Indice dei nomi e' stato pubblicato nel 2011).
Nel 1925 Adelchi Attisani aveva ripubblicato le 'memorie' accademiche del 1900 e del 1904-05: La prima forma della Estetica e della Logica, Messina-Roma, s.a.
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Bibliografia
Per una rassegna degli studi, si rinvia in primo luogo ai seguenti repertori:
E. Cione, Bibliografia crociana, Milano 1956, pp. 305-438.
C. Ocone, Bibliografia ragionata degli scritti su Benedetto Croce, Napoli 1993.
S. Bonechi, B. Croce - G. Gentile. Bibliografia 1980-1993, "Giornale critico della filosofia italiana", 1994, 2-3, pp. 534-631.
In particolare, tra gli studi, si vedano:
F. Chabod, Croce storico, "Rivista storica italiana", 1953, 4, pp. 473-530.
A. Mautino, La formazione della filosofia politica di Benedetto Croce, Bari 1953 (3).
N. Bobbio, Politica e cultura, Torino 1955, pp. 100-20 e 211-68.
G. Galasso, Croce, Gramsci e altri storici, Milano 1969.
M. Bazzoli, Fonti del pensiero politico di Benedetto Croce, Milano 1971.
D. Faucci, La filosofia politica di Croce e di Gentile, Firenze 1974.
G. Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli 1975.
G. Sasso, La "Storia d'Italia" di Benedetto Croce. Cinquant'anni dopo, Napoli 1979.
G. Sasso, Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, Bologna 1989.
G. Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Milano 1990.
"La cultura", 1993, 2, nr. monografico: Studi su Croce.
G. Sasso, Filosofia e idealismo, 6 voll., Napoli, 1994-2012.
M. Visentin, Sul liberalismo di Croce, "La cultura", 1995, 3, pp. 399-431.
G. Sartori, Studi crociani, 2 voll., Bologna 1997.
M. Ciliberto, Figure in chiaroscuro, Roma 2001, pp. 219-83.
M. Maggi, 'L'Italia che non muore'. La politica di Croce nella crisi nazionale, Napoli 2001.
D. Conte, Storia universale e patologia dello spirito. Saggio su Croce, Bologna 2005.
F. Tessitore, La ricerca dello storicismo. Studi su Benedetto Croce, Bologna 2012.

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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 114 del 16 giugno 2021
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