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[Nonviolenza] Telegrammi. 4121
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4121
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Sun, 30 May 2021 17:47:30 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4121 del 31 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Paolo Maurensig
2. Aurelio Musi: Antonio Gramsci
3. L'"Associazione per i Diritti umani" intervista Donatella Di Cesare sul suo libro "Tortura"
4. Emanuele Trevi presenta "Tortura" di Donatella Di Cesare
5. Ripetiamo ancora una volta...
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. LUTTI. PAOLO MAURENSIG
E' deceduto Paolo Maurensig, scrittore.
Con gratitudine lo ricordiamo.
2. STORIA. AURELIO MUSI: ANTONIO GRAMSCI
[Da Il Contributo italiano alla storia del pensiero – Storia e Politica (2013) nel sito www.treccani.it]
Tra i maggiori intellettuali italiani della prima meta' del Novecento, Antonio Gramsci fu uno dei fondatori del Partito comunista d'Italia (1921). Per le sue idee, all'avvento del fascismo, venne condannato a piu' di venti anni di carcere. Durante la reclusione, che lo porto' infine alla morte, scrisse un'assidua e amplissima serie di appunti e note, occasionali o programmate, piu' sparse o piu' unitarie, brevi e non brevi, notevoli per l'impegno e la portata della riflessione teorica e storica, in una prospettiva marxistica non scolastica, presentata, e non solo per ragioni di mascheramento imposto dal carcere, soprattutto come "filosofia della prassi". L'eredità intellettuale che egli pote' cosi' lasciare nei suoi 'quaderni carcerari' apparve in tutto il suo rilievo quando nel dopoguerra quei testi furono pubblicati e divennero un punto di riferimento del pensiero del tempo, facendo di lui uno dei massimi rinnovatori della cultura italiana postfascista, non senza una notevole importanza anche sul piano internazionale. In particolare, ebbero un'immediata e rilevante influenza le sue riflessioni sulla storia italiana del Risorgimento e dell'Unita'.
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La vita
Nato ad Ales (Cagliari) il 22 gennaio 1891, Antonio Gramsci dopo il liceo classico frequento' la facolta' di Lettere dell'Universita' di Torino. Iscritto al Partito socialista dal 1913, lavoro' come redattore al "Grido del popolo" e all'"Avanti!", prima di fondare, insieme a Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e Angelo Tasca, il settimanale "L'Ordine nuovo", nel 1919; due anni dopo, partecipo' alla fondazione del Partito comunista d'Italia (PCd'I).
Nel 1922, entrato a far parte dell'Esecutivo del Komintern, Gramsci si trasferi' a Mosca, dove conobbe Julija Schucht, che sarebbe divenuta sua moglie. Nel 1924, fondato il quotidiano "L'Unita'", torno' in Italia come deputato e, nell'agosto dello stesso anno, divenne segretario del PCd'I. Arrestato nel 1926, nel 1928 fu condannato a piu' di venti anni di reclusione, che sconto' prevalentemente nel carcere di Turi (Bari), dove ebbe inizio la stesura dei suoi Quaderni, cui si dedico' fino alla meta' del 1935. Durante il carcere fini' per trovarsi in discussioni e dissensi con il suo stesso partito, allora del tutto condizionato dalla sua obbedienza stalinista. Nel 1934, a causa delle cattive condizioni di salute, era stato trasferito in una clinica di Formia, ottenendo in seguito la liberta' condizionata. Mori' a Roma, nella clinica Quisisana, il 27 aprile 1937.
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Storico europeo e italiano
La biografia intellettuale di Gramsci presenta, fra gli altri, un carattere che, generalmente, viene scarsamente considerato nella vastissima letteratura gramsciana: egli e' stato, infatti, uno storico europeo e italiano al tempo stesso, perche' ha saputo collocarsi in un orizzonte e una sensibilita' internazionali, comuni a molti intellettuali dei primi decenni del XX sec., riflettendo con originalita' sui problemi della storia nazionale. Ci si riferisce qui a un orizzonte in cui il nesso fra storia e vita, tra passato e presente e' stato al centro dell'attenzione e dell'interesse di molti studiosi: basti pensare alla cultura storicistica, a intellettuali come Max Weber ed Ernst Troeltsch, al rinnovamento storiografico prodotto dalla rivista "Annales" in Francia (penso in particolare a Marc Bloch), a Benedetto Croce. Il concetto di vita non e' stato naturalisticamente inteso, ben s'intende, ma profondamente calato nella realta' storica, rivelandosi solo cosi' capace di restituire i suoi molteplici significati, tutti declinati nella sua dimensione spazio-temporale in grado di assumere il posto centrale in una considerazione integrale, priva di steccati disciplinari, della conoscenza umana. Il concetto di storia contemporanea in Croce appartiene precisamente a questo contesto, a questo spirito del tempo in cui il rapporto passato-presente e' trasfigurato dal pensiero dell'attualita' della vita nell'atto in cui riflette su un fatto, un problema, un processo storico. E le categorie, i modelli, le concettualizzazioni non sono astrazioni, ma intimamente calati nella realta' storica che vogliono rappresentare.
Gramsci ha dato un contributo di grande rilievo in questa direzione: la filosofia della prassi e' stato il suo modo di tradurre e interpretare il rapporto tra vita e storia; la formulazione di categorie quali blocco storico, egemonia, rivoluzione passiva, moderno principe e cosi' via ha trovato la sua legittimazione solo nella considerazione storica, a sua volta funzionale all'azione politica.
Gramsci europeo, dunque, ma a partire dalla considerazione della storia italiana, unitariamente intesa dal Medioevo all'Ottocento, che assorbe quasi integralmente la sua attivita' di storico. Il problema politico del Risorgimento e' allora centrale nella prospettiva gramsciana. Il dirigente comunista individua "il blocco storico delle forze conservatrici, cogliendone la chiusura economico-corporativa come prosecuzione di un'antica stratificazione che aveva posto limiti precisi alla funzione svolta da esse nel Risorgimento"; identifica altresi' "gli elementi costitutivi di un nuovo blocco storico che le circostanze della vita italiana nel periodo post-risorgimentale avevano gia' variamente mobilitato sulla scena politica nazionale e che si trattava ora di coordinare in stretta unita' e di rendere consapevoli del loro compito" (Galasso 1978, p. 168).
Se questa e' la caratterizzazione storico-politica del discorso di Gramsci, non appaiono condivisibili quelle interpretazioni che ne prescindono completamente. Un esempio in tale direzione e' l'opera di Alberto Burgio (2003). Egli ritiene che Gramsci si dedicherebbe all'analisi storica solo per capire il funzionamento delle singole formazioni sociali, in particolare di quella capitalistica. L'approccio strutturalista, che considera i concetti gramsciani astrazioni decontestualizzate, induce l'autore a una critica radicale dell'interpretazione storicista. Nei Quaderni sarebbe allora contenuta per Burgio una teoria critica della modernita'.
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Il problema del Risorgimento
Il Quaderno 19, scritto da Gramsci tra il 1934 e il 1935, e' pressoche' interamente dedicato al Risorgimento. A dimostrazione del fatto che egli e' dotato di una robusta coscienza storica, di una straordinaria lucidita' nella progettazione intellettuale e che considera la prospettiva unitaria di lungo periodo fondamentale nella vicenda italiana, e' il punto di partenza dell'analisi: un progetto di ricerca e una proposta di periodizzazione.
Una doppia serie di ricerche. Una sull'eta' del Risorgimento e una seconda sulla precedente storia che ha avuto luogo nella penisola italiana, in quanto ha creato elementi culturali che hanno avuto una ripercussione nell'Eta' del Risorgimento (ripercussione positiva e negativa) e continuano a operare (sia pure come dati ideologici di propaganda) anche nella vita nazionale italiana cosi' come e' stata formata dal Risorgimento. Questa seconda serie dovrebbe essere una raccolta di saggi su quelle epoche della storia europea e mondiale che hanno avuto un riflesso sulla penisola (A. Gramsci, Quaderni del carcere, ed. critica a cura di V. Gerratana, 1975, p. 1959).
Gli esempi a questo riguardo non sono saggi separati, ma formano un itinerario periodizzante: dai significati della parola Italia nei tempi diversi; al passaggio dalla Repubblica all'impero romano che modifica radicalmente "la posizione relativa di Roma e della penisola nell'equilibrio del mondo classico, togliendo all'Italia l'egemonia territoriale e trasferendo la funzione egemonica a una classe imperiale cioe' supernazionale" (p. 1959); al Medioevo o eta' dei Comuni "in cui si costituiscono molecolarmente i nuovi gruppi sociali cittadini, senza che il processo raggiunga la fase piu' alta di maturazione come in Francia, in Ispagna, ecc." (p. 1960); all'eta' del mercantilismo e delle monarchie assolute, che per l'Italia ha una scarsa portata nazionale perche' essa e' soggetta a potenze straniere, "mentre nelle grandi nazioni europee i nuovi gruppi sociali cittadini, inserendosi potentemente nella struttura statale a tendenza unitaria, rinvigoriscono la struttura stessa e l'unitarismo, introducono un nuovo equilibrio nelle forze sociali e si creano le condizioni di uno sviluppo rapidamente progressivo" (p. 1960).
Tutte le questioni trattate – e si ribadisce cosi' la premessa di queste note sul nesso vita-storia – "saranno presentate come viventi e operanti anche nel presente, come forze in movimento, sempre attuali" (p. 1960).
Dopo aver discusso la letteratura sulle origini, Gramsci passa alle interpretazioni del Risorgimento. Una prima serie e' di carattere politico immediato, ideologico e non storico. Gramsci distingue "un gruppo di interpretazioni in senso stretto", da Alfredo Oriani a Mario Missiroli, Piero Gobetti e Guido Dorso, un "gruppo di carattere piu' sostanziale e serio" come quelle di Croce, Arrigo Solmi, Luigi Salvatorelli, le interpretazioni di Curzio Malaparte e Carlo Curcio. Un altro gruppo importante e' costituito dai libri di Gaetano Mosca, Pasquale Turiello, Luigi Zini, Giorgio Arcoleo e gli articoli apparsi sulla "Nuova antologia": e' una letteratura conseguenza della caduta della Destra storica, dell'avvento al potere della Sinistra e delle innovazioni 'di fatto' introdotte nel regime costituzionale per avviarlo a una forma di regime parlamentare.
I caratteri comuni a tutta questa letteratura secondo Gramsci sono i seguenti: la pretesa di trovare un'unita' nazionale, almeno di fatto, da Roma al periodo contemporaneo, riflesso di una "torbida volonta' di credere, un elemento di fanatismo ideologico che deve risanare le debolezze di struttura e impedire un temuto tracollo"; l'eccessiva importanza attribuita agli intellettuali "piccoli borghesi in confronto delle classi economiche arretrate e politicamente incapaci"; la "storia feticistica", per cui "diventano protagonisti della storia personaggi astratti e mitologici" (Quaderni del carcere, cit., pp. 1979-80).
Il problema di ricercare le origini storiche di un evento concreto e circostanziato, la formazione dello Stato moderno italiano nel secolo XIX, viene trasformato in quello di vedere questo Stato, come Unita' o come Nazione o genericamente come Italia, in tutta la storia precedente cosi' come il pollo deve esistere nell'uovo fecondato (p. 1981).
In un altro luogo dello stesso Quaderno, Gramsci stigmatizza la storia come biografia nazionale. Essa scambia il desiderio con la realta', pensa l'Italia come qualcosa di astratto e concreto allo stesso tempo "come la bella matrona delle oleografie popolari, che influiscono piu' che non si creda nella psicologia di certi strati del popolo positivamente e negativamente (ma sempre in modo irrazionale), come la madre di cui gli italiani sono i figli. Con un passaggio che sembra brusco e irrazionale, ma ha indubbiamente efficacia, la biografia della madre si trasforma nella biografia collettiva dei figli buoni, contrapposti ai figli degeneri, deviati, ecc." (p. 2069).
Presentazione doppiamente antistorica: perche' contraddice la realta' e perche' sminuisce la figura e l'originalita' degli uomini del Risorgimento. Ma la critica di Gramsci si abbatte pure su L'Eta' del Risorgimento italiano (1931) di Adolfo Omodeo: un'untuosa santificazione del periodo liberale. Il difetto maggiore di tutte queste interpretazioni e' il loro carattere ideologico: non suscitano forze politiche attuali, non aiutano "le forze in isviluppo a divenire piu' consapevoli di se stesse e quindi piu' concretamente attive e fattive" (pp. 1983-84). Come ha notato Galasso, Gramsci non accetta qui l'interpretazione del Risorgimento in termini di "conquista regia": "egli coglie perfettamente il significato di ammodernamento e di liberazione delle energie nazionali connesso intimamente alla grande pagina di storia vissuta dall'Italia nel secolo XIX" (Galasso 1978, p. 127).
E valuta adeguatamente lo sforzo compiuto dagli uomini del Risorgimento sia verso i nemici esterni sia verso quelli interni che si opponevano all'unificazione.
Non e' possibile vedere in Gramsci sic et simpliciter uno dei tanti revisionisti del Risorgimento, uno degli episodi di quel processo al Risorgimento di cui si e' tanto parlato. Il processo ci sembra, invece, che Gramsci lo faccia non al Risorgimento, e neppure alla soluzione risorgimentale, della cui necessita' e positivita' storica nelle condizioni date egli si rende pienamente conto, bensi' al partito d'azione, da un lato, e alla politica dello Stato italiano unitario, post-risorgimentale, dall'altro lato (Galasso 1978, p. 129).
E' questa posizione che spiega anche l'oscillazione esistente fra la critica all'interpretazione del Risorgimento inteso come "conquista regia" in alcuni luoghi, quelli nei quali viene discussa la letteratura risorgimentale, e la sua sostanziale accettazione in altri. Diventa allora centrale nell'intera riflessione storica di Gramsci "il problema della direzione politica nella formazione e nello sviluppo della nazione e dello Stato moderno in Italia. Tutto il problema della connessione tra le varie correnti politiche del Risorgimento, cioe' dei loro rapporti reciproci e dei loro rapporti con i gruppi sociali omogenei o subordinati esistenti nelle varie sezioni (o settori) storiche del territorio nazionale, si riduce a questo dato di fatto fondamentale: i moderati rappresentavano un gruppo sociale relativamente omogeneo, per cui la loro direzione subi' oscillazioni relativamente limitate (e in ogni caso secondo una linea di sviluppo organicamente progressivo), mentre il cosi' detto Partito d'Azione non si appoggiava specificamente a nessuna classe storica e le oscillazioni subite dai suoi organi dirigenti in ultima analisi si componevano secondo gli interessi dei moderati: cioe' storicamente il Partito d'Azione fu guidato dai moderati" (Quaderni del carcere, cit., p. 2010).
E' questo il punto centrale dell'analisi di Gramsci non solo per il merito e per il contenuto, ma anche per il metodo. Egli infatti, proprio in relazione al rapporto tra moderati e Partito d'azione, precisa il significato di due concetti che usera' largamente nelle sue argomentazioni: gruppo sociale dominante e gruppo sociale dirigente. Il dominio e' esercitato sui gruppi avversari anche con la forza armata, la direzione intellettuale e morale sui gruppi affini e alleati. Ma "un gruppo sociale puo' e anzi deve essere dirigente gia' prima di conquistare il potere governativo (e' questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante, ma deve continuare ad essere anche dirigente. I moderati continuarono a dirigere il Partito d'Azione anche dopo il 1870 e il 1876 e il cosi' detto trasformismo non e' stato che l'espressione parlamentare di questa azione egemonica intellettuale, morale e politica" (pp. 2010-11).
Altro concetto, utilizzato non in astratto, ma per comprendere l'egemonia moderata, e' quello di apparato: cioe' il meccanismo, l'insieme di strumenti di esercizio dell'egemonia che, nel caso dei moderati, furono liberali, cioe' individuali e privati, non mediati da un programma di partito, ma perfettamente adeguati ai gruppi sociali rappresentati "di cui i moderati erano il ceto dirigente, gli intellettuali in senso organico" (p. 2011). I moderati esercitarono un potere di attrazione che il Partito d'azione non poteva avere. Esso sarebbe potuto diventare una forza autonoma solo se fosse riuscito a contrapporsi con "un programma organico di governo che riflettesse le rivendicazioni essenziali delle masse popolari, in primo luogo dei contadini: all'attrazione spontanea esercitata dai moderati avrebbe dovuto contrapporre una resistenza e una controffensiva organizzate secondo un piano" (p. 2013).
Giuseppe Galasso si e' posto la domanda su che cosa rimanga della critica di Gramsci al Partito d'azione. Egli ha individuato una tensione non risolta nel pensiero storico di Gramsci "tra i due poli di un ragionamento strettamente storiografico, da un lato, e di una petizione di principio su una possibilita' non sfruttata dai protagonisti, dall'altro lato" (Galasso 1978, p. 144). Al primo polo c'e' la valutazione positiva, storicistica, del moto risorgimentale, in particolare dell'azione svolta dai moderati soggettivamente e nelle condizioni date. Al secondo polo Gramsci denuncia per principio e condanna l'azione svolta dalla sinistra risorgimentale per "un motivo profondo ed essenziale di insoddisfazione e di ripulsa per tutto il corso preso dalla storia nazionale nel punto che costituisce il centro degli interessi storiografici di Gramsci" (Galasso 1978, p. 144).
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Storia/filosofia, storia/politica
I motivi di questa tensione bipolare si comprendono alla luce della considerazione dei rapporti fra storia e filosofia, filosofia e politica. Gramsci va oltre Croce: egli accetta la sua idea della contemporaneita' della storia, ma prospetta una piu' radicale identita' tra storia e politica realizzata, non fallita. Se il politico e' uno storico che opera nel presente interpretando il passato, allora lo storico e' un politico. Gramsci allarga quindi la portata della formula crociana. Ma bisogna rendersi conto che "quando il Croce parla degli elementi che determinano la contemporaneita' della storia, parla di interessi della vita morale (in cui la politica e' assorbita e risolta) o culturale; quando, invece, ne parla Gramsci, parla di interessi immediati della vita politica e sociale in senso stretto" (Galasso 1978, pp. 147-48).
Se nel discorso storico di Gramsci l'interesse per la politica determina un'innegabile tensione, che spesso resta irrisolta e provoca contraddizioni, oscillazioni, incertezze, va comunque riaffermata, al di la' di essa, "una profonda unita' metodologica e culturale del pensiero di Gramsci, se si tengono presenti i suoi concetti di fondazione scientifica dell'azione politica e di rapporto tra politica e storia. In ultima analisi, quindi, l'intero discorso storico-politico di Gramsci non esce fuori dal quadro del discorso storico e le implicazioni di teoria politica e gli schemi di azione politica che Gramsci ne trae non pretendono e non sono riducibili ad un significato o valore concettuali diversi da quelli dei canoni di ricerca storica che Gramsci pure evince dallo stesso discorso" (Galasso 1978, p. 219).
E' qui dunque il carattere autenticamente rivoluzionario dello storicismo gramsciano e del suo progetto filosofico come "gnoseologia della politica" (Buci-Glucksmann 1975; trad. it. 1976, p. 172). Anche la critica del concetto di ideologia sia come "illusione" nel senso crociano, sia come "sistema di idee" che riproduce la struttura economico-sociale secondo l'interpretazione deterministica, soprattutto di Nikolaj I. Bucharin, si collega al discorso storico-politico che approda al valore attivo delle ideologie. La rifondazione di Gramsci parte dalla critica al positivismo e al meccanicismo nella doppia versione del revisionismo idealistico (Georges Sorel e Croce) e del revisionismo del marxismo ufficiale. Il suo obiettivo e' quello di colmare il vuoto di una reale tradizione ideologica e culturale di massa a partire da una ricognizione puntuale del terreno nazionale, del Risorgimento e della formazione dello Stato unitario. Questa ricognizione e' propedeutica alla lotta contro il blocco storico dominante che ha proseguito l'azione dei moderati vittoriosi nel confronto risorgimentale. Ecco perche' Croce, in quanto chiave intellettuale di volta di questo blocco, diventa l'interlocutore privilegiato di Gramsci.
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Nord e Sud
L'insoddisfazione della linea del meridionalismo classico, che giunge, pur con profonde novita', fino a Francesco Saverio Nitti, e che puo' essere sintetizzata nel mito del buon governo e dell'industrializzazione promossa dall'intervento statale, fu fortemente messa in discussione dai partigiani della 'rivoluzione meridionale': Gaetano Salvemini, Dorso, Gramsci. Pur da posizioni di partenza diverse, – il primo socialista sui generis, il secondo erede e originale interprete del pensiero democratico, il terzo cofondatore del Partito comunista italiano nel 1921 e maggiore esponente del marxismo teorico italiano – essi rivendicarono l'esigenza di una piu' attiva partecipazione delle elites e delle masse per portare a soluzione la questione meridionale.
Per Salvemini solo con una politicizzazione generale delle masse, e cioe' dei contadini meridionali, e con l'identificazione di una strategia di alleanza di classe nel resto del Paese si poteva aggredire la questione meridionale considerata soprattutto una questione di potere. L'analisi piu' originale riguardava proprio quest'ultimo punto. Una grande proprieta' latifondistica, generalmente in mano alla vecchia aristocrazia feudale e alla grande borghesia agraria fusasi con essa, deteneva tanto la maggiore ricchezza quanto l'effettivo potere. Questa classe si era strettamente alleata con il capitalismo settentrionale, garantendo a esso l'appoggio incondizionato della rappresentanza parlamentare meridionale alla sua politica, soprattutto in materia finanziaria e doganale, a cui l'industria settentrionale era legata da un interesse vitale. In cambio i latifondisti meridionali ricevevano carta bianca per la loro azione oppressiva nel Mezzogiorno e pieno sostegno per i loro interessi, che si trattasse sia di contratti agrari sia di dazio sul grano. Dunque, il proletariato rurale meridionale, alleato con il proletariato industriale del Nord, doveva essere il protagonista della sua emancipazione.
Dorso affidava invece alla "borghesia umanistica", al ceto intellettuale, al decentramento e al self government il compito di disfare il blocco agrario meridionale e liberare le masse contadine dal suo potere.
Gramsci, dopo aver criticato il Risorgimento e le modalita' di realizzazione dell'Unita' italiana, identificando entrambi con una "rivoluzione agraria mancata", riprendeva l'indicazione di Salvemini, relativa all'alleanza tra contadini del Sud e operai del Nord, ma con finalita' strategiche completamente diverse. Per Salvemini quell'alleanza doveva servire a fondare una democrazia rurale di piccoli proprietari nel Sud e a liberare la classe operaia settentrionale da una struttura industriale fondata sui monopoli e sul protezionismo: dunque democrazia rurale e spazio alla libera concorrenza interna e internazionale. Per Gramsci quell'alleanza doveva invece servire a distruggere l'intero sistema per costruire il socialismo. Secondo Gramsci il proletariato avrebbe distrutto il blocco agrario meridionale nella misura in cui fosse riuscito, attraverso il suo partito, a organizzare in formazioni autonome e indipendenti masse di contadini poveri. E sarebbe riuscito in tale compito anche in relazione alla sua capacita' di disgregare il blocco intellettuale, armatura flessibile, ma resistentissima del blocco agrario.
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Passato e presente
Qual e' il significato complessivo della meditazione storica di Gramsci?
La meditazione di Gramsci sul Risorgimento e' e vuole essere politica, impostazione cioe' di un discorso sulle forze dominanti nella societa' italiana e su quelle che ad esse si oppongono; una politica costruita scientificamente, ossia sulla critica scientifica di tutto il passato (Galasso 1978, p. 153).
Il presente e' allora critica del passato e suo superamento: decide cio' che e' vivo e cio' che e' morto. L'esaurimento storico si riconosce non da fattori contingenti, "ma deve corrispondere alle componenti di fondo della storia e della tradizione nazionale che sono attive nel momento in cui ci si volge al passato. A questo punto il circolo dei pensieri di Gramsci appare completo. Egli si volge alla storia del Risorgimento perche' non crede in un'azione politica che non scaturisca dalla intelligenza storica; e critica il Risorgimento, non nella prospettiva del processo al Risorgimento alla Missiroli o alla Gobetti, bensi' nella prospettiva di cio' che il presente dimostra non piu' attuale, e quindi da poter essere gettato via, dell'opera delle generazioni precedenti" (Galasso 1978, p. 134).
Il cinquantennio unitario e', da questo punto di vista, la cartina di tornasole del pensiero storico di Gramsci. Il trasformismo e' considerato dal dirigente sardo la continuazione, ma anche il deterioramento dell'azione egemonica dei moderati, che hanno trasformato l'egemonia in dominio, decapitando le elites nemiche. Francesco Crispi e' il vero uomo della nuova borghesia, non l'anticipatore del nazionalfascismo, ma un esponente del Risorgimento che spinge in avanti la societa' italiana. Lucido e' anche il giudizio sul giolittismo: continuita' con Crispi, da un lato, ma piu' larga partecipazione alla vita statale attraverso il parlamento, con un approfondimento del solco tra Nord e Sud del Paese. A cinquant'anni di distanza dall'Unita', l'esaurimento storico per Gramsci e' pienamente evidente: "il mantenimento del blocco industriale-agrario attraverso cinquant'anni di storia italiana unitaria e' esso ad inficiare la soluzione risorgimentale, non gia' una insufficienza intrinseca della soluzione stessa [...] E' il presente a dar luce al passato, ma questa luce va proiettata sull'intero arco storico delle forze in campo, e non soltanto sull'arco della loro funzione di forze dominanti" (Galasso 1978, p. 155).
Alla luce delle precedenti considerazioni appare ancor piu' chiara l'unitarieta' della storia italiana nel senso a essa attribuito da Gramsci. A partire dal comune medievale come fase economico-corporativa dello Stato, la funzione storica della prima borghesia italiana, la funzione direttiva della citta' in epoca comunale, la critica serrata alla retorica degli storici e all'esaltazione della 'liberta'' cittadina. Il cosmopolitismo degli intellettuali si accentua poi nell'epoca della Controriforma, caratterizzata dall'assenza di un moderno Stato-nazione in Italia, anche per il dominio di potenze straniere, a differenza di altre realta' europee. Con queste premesse, il Risorgimento, positivo come soluzione unitaria, mostra tuttavia i limiti di una rivoluzione mancata per le responsabilita' del Partito d'azione, per non aver affrontato la questione agraria, per aver approfondito le distorsioni fra citta' e campagna nel cinquantennio unitario.
"Il programma di Giolitti e dei liberali democratici tendeva a creare nel Nord un blocco urbano di industriali e operai che fosse la base di un sistema protezionistico e rafforzasse l'economia e l'egemonia settentrionale. Il Mezzogiorno era ridotto a un mercato di vendita semicoloniale, a una fonte di risparmio e di imposte ed era tenuto disciplinato con due serie di misure: misure poliziesche di repressione spietata di ogni movimento di massa con gli eccidi periodici di contadini [...]; misure poliziesche-politiche: favori personali al ceto degli intellettuali o paglietta, sotto forma di impieghi nelle pubbliche amministrazioni, di permessi di saccheggio impunito delle amministrazioni locali, di una legislazione ecclesiastica applicata meno rigidamente che altrove" (Quaderni del carcere, cit., pp. 2038-39).
Un ragionamento dunque che va dal presente al passato, perche' la storia e' politica attuale in nuce: "una storia non di ipotesi, ma di realta' che scaturiscono dal conoscere cio' che del passato e' vivo e cio' che e' morto, cio' che puo' essere gettato via e cio' che deve essere conservato" (Galasso 1978, pp. 156-57).
Aver concentrato l'attenzione sui problemi della storia italiana non puo' indurre a dimenticare che Gramsci ci ha lasciato pagine illuminanti su tanti altri temi di storia europea ed extraeuropea, con spunti che meriterebbero oggi ulteriori riprese e approfondimenti. Non si tratta di osservazioni che scaturiscono dall'erudizione, pur straordinaria se si tien conto delle condizioni in cui svolse attivita' intellettuale il dirigente politico. Colpisce soprattutto la formidabile capacita' di intuizione e la sensibilita' a utilizzare la prospettiva comparativa nell'analisi dei processi storici. Basta scorrere l'indice analitico dell'edizione critica dei Quaderni per averne significative conferme.
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Opere
Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio, E. Fubini, Torino 1965.
Socialismo e fascismo. L’Ordine nuovo 1921-1922, Torino 1966.
La costruzione del Partito comunista 1923-1926, Torino 1971.
Quaderni del carcere, Edizione critica dell'Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, 4 voll., Torino 1975.
Cronache torinesi 1913-1917, a cura di S. Caprioglio, Torino 1980.
La citta' futura 1917-1918, a cura di S. Caprioglio, Torino 1982.
Il nostro Marx 1918-1919, a cura di S. Caprioglio, Torino 1984.
L'Ordine Nuovo 1919-1920, a cura di V. Gerratana, A.A. Santucci, Torino 1987.
Lettere 1908-1926, a cura di A.A. Santucci, Torino 1992.
A. Gramsci, T. Schucht, Lettere 1926-1935, a cura di A. Natoli, C. Daniele, Torino 1997.
Quaderni di traduzioni (1929-1932), a cura di G. Cospito, G. Francioni, Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, 2 voll., Roma 2007.
Epistolario, 1, gennaio 1906-dicembre 1922, a cura di D. Bidussa, F. Giasi, G. Luzzatto Voghera et al., Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, Roma 2009.
Quaderni del carcere, Edizione anastatica dei manoscritti, a cura di G. Francioni, 18 voll., Roma 2009.
Epistolario, 2, gennaio-novembre 1923, a cura di D. Bidussa, F. Giasi, M.L. Righi, Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, Roma 2011.
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Bibliografia
E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Roma 1974.
Ch. Buci-Glucksmann, Gramsci et l'Etat: pour une theorie materialiste de la philosophie, Paris 1975 (trad. it. Roma 1976).
P. Spriano, Gramsci e Gobetti. Introduzione alla vita e alle opere, Torino 1977.
A. Baldan, Gramsci come storico. Studio sulle fonti dei "Quaderni del carcere", Bari 1978.
G. Galasso, Croce, Gramsci e altri storici, Milano 1978, pp. 116-248.
L. Mangoni, La genesi delle categorie storico-politiche nei "Quaderni del carcere", "Studi storici", 1987, 28, pp. 565-79.
E. Garin, Gramsci nella cultura italiana, in Id., La filosofia come sapere storico, Roma-Bari 1990.
A. Burgio, Gramsci storico. Una lettura dei "Quaderni del carcere", Roma-Bari 2003.
M. Filippini, Gramsci storico. Una lettura dei "Quaderni del carcere", "Historical materialism", 2009, 17, pp. 261-71.
3. LIBRI. L'"ASSOCIAZIONE PER I DIRITTI UMANI" INTERVISTA DONATELLA DI CESARE SUL SUO LIBRO "TORTURA"
[Dal sito www.peridirittiumani.com riprendiamo la seguente intervista del 13 aprile 2017]
"Se lo stato tortura, non abusa solo del potere, ma incrina anche la fiducia dei propri cittadini che, anziche' difesi, vengono inaspettatamente offesi, colpiti nella loro disarmata vulnerabilita'. Lo Stato che tocchi il corpo di un cittadino e' gia' illegittimo. Anche se si tratta di un detenuto".
Tortura e' il titolo del nuovo saggio della filosofa Donatella Di Cesare, edito da Bollati Boringhieri. "Associazione per i Diritti umani" ha rivolto alcune domande all'autrice e la ringrazia molto per il tempo che ci ha dedicato.
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- "Associazione per i Diritti umani": Perche' un approccio filosofico al tema della tortura?
- Donatella Di Cesare: Il mio e' un libro anzitutto politico, o meglio, filosofico-politico. Anche nel passato mi sono occupata di diverse forme di violenza. Fa parte del mio impegno. Per quel che riguarda la tortura, credo che domini il pregiudizio illuministico che la considera semplicemente una forma di "barbarie" oppure una "follia". Ma cosi' si liquida la faccenda e ci si lava le mani, senza capire quello che avviene intorno a noi. Spesso infatti si presume di sapere che cosa sia la tortura – e invece non lo si sa. Percio' ho pensato che fosse necessario, anzi indispensabile, contribuire a un dibattito piu' approfondito. Oggi la tortura assume infatti forme nuove. Negli Stati Uniti c'e' chi, anche tra i pensatori liberal, crede ad esempio che di fronte al terrorismo sia lecito ricorrere alla tortura. I "diritti umani", per quello che ancora significano, vengono così scalfiti. La questione riguarda l'etica e la politica.
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- "Associazione per i Diritti umani": L'esercizio della tortura appartiene alle dittature oppure anche agli Stati liberi?
- Donatella Di Cesare: La tortura si e' democratizzata, e' entrata subdolamente all'interno della democrazia. Apparentemente e' stato abolita; ma esiste una "tortura dopo l'abolizione della tortura". Percio' io la chiamo la "fenice nera". C'e' dunque una democratizzazione della tortura di cui dobbiamo prendere atto. Quasi ovunque la tortura, dichiarata illegale, passa da una parte all'altra della sbarra: da regina della prova viene degradata a oscura e temibile complice del potere. E lo Stato si adegua: mette "fuori legge" la tortura, ma seguita a praticarla, o meglio, a farla praticare sotto banco, in modo piu' o meno nascosto. Come lottare, allora, contro la tortura, se a delinquere e' lo Stato? E se, inoltre, lo Stato nega? Se si rifiuta di ammettere qualsiasi responsabilita', appellandosi alla propria legislazione che la vieta ufficialmente? Soprattutto: se e' lo Stato stesso a trasgredire, chi ne accertera' la colpa? Perche' e' ovvio che, chi ha commesso il reato, si sottrarra' a ogni giudizio. Il problema appare tanto piu' complesso, in quanto il torturatore, che prima agiva alla luce del sole, si nasconde dileguandosi nei meandri dell'apparato statale. E lo Stato necessariamente lo difende, gli offre riparo. Perche' l'aguzzino permette la repressione nel silenzio. Lottare contro la tortura vuol dire cercarne le tracce nell'ombra, sorvegliare gli abusi, denunciare un potere che agisce nella segretezza e che, rischiando costantemente l'illegittimita', non si limita a intimidire, ma reagisce con violenza. Di qui il ruolo determinante svolto dai media e dall'opinione pubblica, insieme alle associazioni come la vostra. Ma sapere non vuol dire sempre potere. E la mole di informazioni accresce persino il senso di impotenza in una lotta il piu' delle volte impari, dove il reo e' quasi sempre lo Stato. Il web ha contribuito al controllo e alla trasparenza. Basti pensare alle schede segrete dei detenuti di Guantanamo rivelate da WikiLeaks. Spesso, pero', i rapporti di forza restano immutati.
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- "Associazione per i Diritti umani": Come si puo' rispondere a chi chiede se sia lecito torturare, ad esempio, un attentatore per salvare vite umane?
- Donatella Di Cesare: E' impossibile rispondere a questa domanda negli spazi ristretti di una intervista. Devo percio' rinviare al libro dove cerco appunto di mostrare che la storiella del ticking bomb e' una storiella che non si e' mai verificata, una fiction sulla base della quale si pretenderebbe di legiferare, di produrre leggi e soprattutto di far passare la tortura come un mezzo lecito contro il terrorismo.
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- "Associazione per i Diritti umani": Da una punto di vista anche psicanalitico, si puo' considerare la tortura un uso del potere di un essere umano nei confronti di un altro, una sorta di delirio di onnipotenza?
- Donatella Di Cesare: No, assolutamente no. Anzi credo che termini come "delirio" siano, in questo contesto, pericolosissimi. La tortura non e' lo scatto di follia di un singolo. E' violenza sistematica, organizzata, metodica; non sfugge, ma resta sotto controllo, e con ferma volonta', con voluttuosa tenacia, torna ad abbattersi sulla vittima. E certo ridurre l'altro alla nuda impotenza da' un senso di illimitato potere. Ma lo scenario della tortura, sebbene ci sia un faccia a faccia tra carnefice e vittima, che io ho cercato di descrivere, e' sempre uno scenario che coinvolge altri, che richiede terzi, che implica il potere.
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- "Associazione per i Diritti umani": Quali sono le caratteristiche della tortura che la rendono peggiore della stessa morte?
- Donatella Di Cesare: Una volta morto, l'altro diventa un ente che, nella sua inerzia, che non fa piu' attrito e su cui non puo' piu' scatenarsi l'inebriato tripudio dell'aguzzino. Uccidere una donna non e' lo stesso che violentarla davanti al marito o farla violentare da fratelli e figli. Per chi e' stato vittima, la tortura significa esperire in vita la propria morte. Ce lo ricorda Jean Amery la cui testimonianza e' davvero imprescindibile e che percio' nel mio libro svolge un ruolo di primo piano.
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- "Associazione per i Diritti umani": Nell'ultimo capitolo del Suo libro lei affronta casi scottanti di attualita', da quello di Giulio Regeni al G8 di Genova, ma anche delle Brigate rosse. E usa il termine "amministrazione" della tortura.
- Donatella Di Cesare: Si' perche' la tortura viene semplicemente amministrata, quasi come una pratica burocratica. Ecco perche' il riconoscimento del "reato di tortura" in Italia sarebbe un traguardo importante. Ma non e' ancora tutto. Perche' dopo sara' necessaria piu' che mai la vigilanza e la riflessione.
4. LIBRI. EMANUELE TREVI PRESENTA "TORTURA" DI DONATELLA DI CESARE
[Dal sito del Corriere della sera (www.corriere.it) riprendiamo la seguente recensione del 7 novembre 2016 dal titolo "Tortura, il crimine che si annida nel cuore di tenebra di ogni potere" e il sommario "Il saggio di Donatella Di Cesare Tortura (Bollati Boringhieri) affronta il tema sotto il profilo filosofico e sottolinea l'esigenza di un reato specifico"]
Allieva di Hans-Georg Gadamer, il padre nobile dell'ermeneutica nel secondo Novecento, Donatella Di Cesare si e' immersa negli anni recenti nelle acque limacciose dei Quaderni neri di Martin Heidegger, alla ricerca di verita' scomode e dirompenti anche all'interno della comunita' di studiosi alla quale appartiene. A un marcato interesse per il totalitarismo e le sue piu' nefaste perversioni si deve il suo ultimo libro, intitolato semplicemente Tortura (Bollati Boringhieri). Come se enunciare questa parola fosse gia' un gesto di sfida, ancora piu' efficace di un titolo come Contro la tortura. Perche' il potere moderno che impiega la tortura come strumento di dominio per prima cosa si impegna con grande scrupolo a negare non solo la cosa, ma la parola stessa.
Capitoli essenziali di questa "crudele scienza del dolore" sono il segreto e il silenzio. Lo scenario ideale e' il sotterraneo, da dove nessun lamento potra' mai raggiungere il mondo esterno. Se la tortura e' un male cosi' tenace, molta della sua forza deriva proprio dall'occultamento e dalla negazione. Vale la pena di guardare in questo buco nero dal punto di vista della filosofia, come fa Donatella Di Cesare? Indubbiamente si', perche' la posta in gioco e' tutt'altro che un'esercitazione accademica su un tema astratto.
Si potrebbe dire che la filosofia e' il vero antidoto della tortura, perche' incalza con la sua esigenza di verita' cio' che il potere vuole rendere opaco, sospeso in un limbo tra l'essere e il non essere, tra la regola e il reato. E poi, la filosofia deve sempre essere una terapia contro i falsi ragionamenti, le illusioni spacciate per conclusioni.
Ebbene, l'argomento piu' diffuso in giustificazione della tortura suona piu' o meno come un quesito filosofico. Sta per scoppiare, in qualche luogo molto popolato della citta', una bomba a orologeria. Ho un prigioniero, un terrorista che sa dove e' collocata la bomba, se lo torturo crollera' e mi permettera' di salvare centinaia, forse migliaia di vite. Ecco una situazione che potrebbe suggerire addirittura il dovere di fare uso della tortura, scongiurando il male maggiore con il male minore. E' un argomento che ha un grande potere: e' immediatamente comprensibile, e capace di orientare efficacemente l'opinione pubblica. E visto che la tortura si annida tanto nella dittatura quanto nella democrazia, l'opinione pubblica assume un rilievo fino a poco tempo fa del tutto inaspettato in un dibattito sulla tortura.
Questo forse e' il punto cruciale dell'indagine di Donatella Di Cesare: non c'e' una forma particolare di governo che in se' e per se' possieda un legame di necessita' con l'esercizio della tortura. Certamente, dal semplice punto di vista quantitativo, le dittature ne fanno un uso maggiore, e la loro negazione e' piu' efficace, tanto che il solo pronunciare la parola tortura puo' diventare un pretesto piu' che sufficiente per entrare nel numero dei torturati. Ma il dilemma della bomba a orologeria e' concepito per una societa' libera, dove le cose non esistono senza consenso e dove il consenso puo' rendere legittime le pratiche piu' scellerate. Questo e' il rischio principale, lo scoglio sul quale puo' infrangersi la fragile imbarcazione di qualsiasi democrazia. E allora, seguendo per sommi capi il ragionamento di Donatella Di Cesare, il primo gesto filosofico sara' quello di smontare l'intero congegno.
Non c'e' nessuna bomba a orologeria e nessun terrorista in quella determinata situazione. Perche' le cose non accadono mai cosi' linearmente come possiamo vederle in una serie televisiva. Magari. Allora saremmo tutti contenti che un Jack Bauer strapazzi un po' quel disgraziato fino a fargli sputare le informazioni che salveranno tutte quelle vite che affollano la stazione della metro o i grandi magazzini nell'ora di punta. Ma nella realta' le cose accadono in maniera incomparabilmente piu' ingarbugliata, e i rapporti di causa ed effetto sono cosi' complessi che la tortura, semplicemente, dal punto di vista puramente pragmatico, non serve a niente.
L'unica cosa vera di quella situazione immaginaria, in fin dei conti, e' che le vite si salvano con le informazioni. Ma le informazioni buone non si ottengono torturando: si comprano, si rubano, si scoprono in modo fortuito, o con l'impiego di sofisticatissime tecnologie. Dunque la filosofia si deve confrontare con questo controsenso, il perdurare nella storia umana di qualcosa che non puo' nemmeno vantare una sua utilita' a chi ne rifiuta l'infamia. Ma interrogarsi sulla natura del potere, di qualsiasi forma di potere, significa prima o poi addentrarsi in questa malefica penombra, in questa terra senza ritorno dove la legge e' amministrata dal fuorilegge, che la distorce a un fine inaudito, insostenibile.
Un personaggio di un romanzo di Graham Green dice che Hitler ha insegnato agli europei che tutti, indipendentemente dal loro ceto, dal loro sesso, dalla loro eta' e dalle loro colpe, sono potenzialmente torturabili. Questa feroce parodia del concetto di uguaglianza e' una delle zone morte della nostra storia, un lascito di cui le nostre societa' non riescono mai a liberarsi una volta per sempre.
5. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Renato Solmi, Lezioni su Kant, Quodlibet, Macerata 2021, pp. 154, euro 14.
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Maestre
- Svetlana Aleksievic, La guerra non ha un volto di donna, Bompiani, Milano 2015, 2017, 2020, pp. 464, euro 13.
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
8. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4121 del 31 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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Numero 4121 del 31 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Paolo Maurensig
2. Aurelio Musi: Antonio Gramsci
3. L'"Associazione per i Diritti umani" intervista Donatella Di Cesare sul suo libro "Tortura"
4. Emanuele Trevi presenta "Tortura" di Donatella Di Cesare
5. Ripetiamo ancora una volta...
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. LUTTI. PAOLO MAURENSIG
E' deceduto Paolo Maurensig, scrittore.
Con gratitudine lo ricordiamo.
2. STORIA. AURELIO MUSI: ANTONIO GRAMSCI
[Da Il Contributo italiano alla storia del pensiero – Storia e Politica (2013) nel sito www.treccani.it]
Tra i maggiori intellettuali italiani della prima meta' del Novecento, Antonio Gramsci fu uno dei fondatori del Partito comunista d'Italia (1921). Per le sue idee, all'avvento del fascismo, venne condannato a piu' di venti anni di carcere. Durante la reclusione, che lo porto' infine alla morte, scrisse un'assidua e amplissima serie di appunti e note, occasionali o programmate, piu' sparse o piu' unitarie, brevi e non brevi, notevoli per l'impegno e la portata della riflessione teorica e storica, in una prospettiva marxistica non scolastica, presentata, e non solo per ragioni di mascheramento imposto dal carcere, soprattutto come "filosofia della prassi". L'eredità intellettuale che egli pote' cosi' lasciare nei suoi 'quaderni carcerari' apparve in tutto il suo rilievo quando nel dopoguerra quei testi furono pubblicati e divennero un punto di riferimento del pensiero del tempo, facendo di lui uno dei massimi rinnovatori della cultura italiana postfascista, non senza una notevole importanza anche sul piano internazionale. In particolare, ebbero un'immediata e rilevante influenza le sue riflessioni sulla storia italiana del Risorgimento e dell'Unita'.
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La vita
Nato ad Ales (Cagliari) il 22 gennaio 1891, Antonio Gramsci dopo il liceo classico frequento' la facolta' di Lettere dell'Universita' di Torino. Iscritto al Partito socialista dal 1913, lavoro' come redattore al "Grido del popolo" e all'"Avanti!", prima di fondare, insieme a Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e Angelo Tasca, il settimanale "L'Ordine nuovo", nel 1919; due anni dopo, partecipo' alla fondazione del Partito comunista d'Italia (PCd'I).
Nel 1922, entrato a far parte dell'Esecutivo del Komintern, Gramsci si trasferi' a Mosca, dove conobbe Julija Schucht, che sarebbe divenuta sua moglie. Nel 1924, fondato il quotidiano "L'Unita'", torno' in Italia come deputato e, nell'agosto dello stesso anno, divenne segretario del PCd'I. Arrestato nel 1926, nel 1928 fu condannato a piu' di venti anni di reclusione, che sconto' prevalentemente nel carcere di Turi (Bari), dove ebbe inizio la stesura dei suoi Quaderni, cui si dedico' fino alla meta' del 1935. Durante il carcere fini' per trovarsi in discussioni e dissensi con il suo stesso partito, allora del tutto condizionato dalla sua obbedienza stalinista. Nel 1934, a causa delle cattive condizioni di salute, era stato trasferito in una clinica di Formia, ottenendo in seguito la liberta' condizionata. Mori' a Roma, nella clinica Quisisana, il 27 aprile 1937.
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Storico europeo e italiano
La biografia intellettuale di Gramsci presenta, fra gli altri, un carattere che, generalmente, viene scarsamente considerato nella vastissima letteratura gramsciana: egli e' stato, infatti, uno storico europeo e italiano al tempo stesso, perche' ha saputo collocarsi in un orizzonte e una sensibilita' internazionali, comuni a molti intellettuali dei primi decenni del XX sec., riflettendo con originalita' sui problemi della storia nazionale. Ci si riferisce qui a un orizzonte in cui il nesso fra storia e vita, tra passato e presente e' stato al centro dell'attenzione e dell'interesse di molti studiosi: basti pensare alla cultura storicistica, a intellettuali come Max Weber ed Ernst Troeltsch, al rinnovamento storiografico prodotto dalla rivista "Annales" in Francia (penso in particolare a Marc Bloch), a Benedetto Croce. Il concetto di vita non e' stato naturalisticamente inteso, ben s'intende, ma profondamente calato nella realta' storica, rivelandosi solo cosi' capace di restituire i suoi molteplici significati, tutti declinati nella sua dimensione spazio-temporale in grado di assumere il posto centrale in una considerazione integrale, priva di steccati disciplinari, della conoscenza umana. Il concetto di storia contemporanea in Croce appartiene precisamente a questo contesto, a questo spirito del tempo in cui il rapporto passato-presente e' trasfigurato dal pensiero dell'attualita' della vita nell'atto in cui riflette su un fatto, un problema, un processo storico. E le categorie, i modelli, le concettualizzazioni non sono astrazioni, ma intimamente calati nella realta' storica che vogliono rappresentare.
Gramsci ha dato un contributo di grande rilievo in questa direzione: la filosofia della prassi e' stato il suo modo di tradurre e interpretare il rapporto tra vita e storia; la formulazione di categorie quali blocco storico, egemonia, rivoluzione passiva, moderno principe e cosi' via ha trovato la sua legittimazione solo nella considerazione storica, a sua volta funzionale all'azione politica.
Gramsci europeo, dunque, ma a partire dalla considerazione della storia italiana, unitariamente intesa dal Medioevo all'Ottocento, che assorbe quasi integralmente la sua attivita' di storico. Il problema politico del Risorgimento e' allora centrale nella prospettiva gramsciana. Il dirigente comunista individua "il blocco storico delle forze conservatrici, cogliendone la chiusura economico-corporativa come prosecuzione di un'antica stratificazione che aveva posto limiti precisi alla funzione svolta da esse nel Risorgimento"; identifica altresi' "gli elementi costitutivi di un nuovo blocco storico che le circostanze della vita italiana nel periodo post-risorgimentale avevano gia' variamente mobilitato sulla scena politica nazionale e che si trattava ora di coordinare in stretta unita' e di rendere consapevoli del loro compito" (Galasso 1978, p. 168).
Se questa e' la caratterizzazione storico-politica del discorso di Gramsci, non appaiono condivisibili quelle interpretazioni che ne prescindono completamente. Un esempio in tale direzione e' l'opera di Alberto Burgio (2003). Egli ritiene che Gramsci si dedicherebbe all'analisi storica solo per capire il funzionamento delle singole formazioni sociali, in particolare di quella capitalistica. L'approccio strutturalista, che considera i concetti gramsciani astrazioni decontestualizzate, induce l'autore a una critica radicale dell'interpretazione storicista. Nei Quaderni sarebbe allora contenuta per Burgio una teoria critica della modernita'.
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Il problema del Risorgimento
Il Quaderno 19, scritto da Gramsci tra il 1934 e il 1935, e' pressoche' interamente dedicato al Risorgimento. A dimostrazione del fatto che egli e' dotato di una robusta coscienza storica, di una straordinaria lucidita' nella progettazione intellettuale e che considera la prospettiva unitaria di lungo periodo fondamentale nella vicenda italiana, e' il punto di partenza dell'analisi: un progetto di ricerca e una proposta di periodizzazione.
Una doppia serie di ricerche. Una sull'eta' del Risorgimento e una seconda sulla precedente storia che ha avuto luogo nella penisola italiana, in quanto ha creato elementi culturali che hanno avuto una ripercussione nell'Eta' del Risorgimento (ripercussione positiva e negativa) e continuano a operare (sia pure come dati ideologici di propaganda) anche nella vita nazionale italiana cosi' come e' stata formata dal Risorgimento. Questa seconda serie dovrebbe essere una raccolta di saggi su quelle epoche della storia europea e mondiale che hanno avuto un riflesso sulla penisola (A. Gramsci, Quaderni del carcere, ed. critica a cura di V. Gerratana, 1975, p. 1959).
Gli esempi a questo riguardo non sono saggi separati, ma formano un itinerario periodizzante: dai significati della parola Italia nei tempi diversi; al passaggio dalla Repubblica all'impero romano che modifica radicalmente "la posizione relativa di Roma e della penisola nell'equilibrio del mondo classico, togliendo all'Italia l'egemonia territoriale e trasferendo la funzione egemonica a una classe imperiale cioe' supernazionale" (p. 1959); al Medioevo o eta' dei Comuni "in cui si costituiscono molecolarmente i nuovi gruppi sociali cittadini, senza che il processo raggiunga la fase piu' alta di maturazione come in Francia, in Ispagna, ecc." (p. 1960); all'eta' del mercantilismo e delle monarchie assolute, che per l'Italia ha una scarsa portata nazionale perche' essa e' soggetta a potenze straniere, "mentre nelle grandi nazioni europee i nuovi gruppi sociali cittadini, inserendosi potentemente nella struttura statale a tendenza unitaria, rinvigoriscono la struttura stessa e l'unitarismo, introducono un nuovo equilibrio nelle forze sociali e si creano le condizioni di uno sviluppo rapidamente progressivo" (p. 1960).
Tutte le questioni trattate – e si ribadisce cosi' la premessa di queste note sul nesso vita-storia – "saranno presentate come viventi e operanti anche nel presente, come forze in movimento, sempre attuali" (p. 1960).
Dopo aver discusso la letteratura sulle origini, Gramsci passa alle interpretazioni del Risorgimento. Una prima serie e' di carattere politico immediato, ideologico e non storico. Gramsci distingue "un gruppo di interpretazioni in senso stretto", da Alfredo Oriani a Mario Missiroli, Piero Gobetti e Guido Dorso, un "gruppo di carattere piu' sostanziale e serio" come quelle di Croce, Arrigo Solmi, Luigi Salvatorelli, le interpretazioni di Curzio Malaparte e Carlo Curcio. Un altro gruppo importante e' costituito dai libri di Gaetano Mosca, Pasquale Turiello, Luigi Zini, Giorgio Arcoleo e gli articoli apparsi sulla "Nuova antologia": e' una letteratura conseguenza della caduta della Destra storica, dell'avvento al potere della Sinistra e delle innovazioni 'di fatto' introdotte nel regime costituzionale per avviarlo a una forma di regime parlamentare.
I caratteri comuni a tutta questa letteratura secondo Gramsci sono i seguenti: la pretesa di trovare un'unita' nazionale, almeno di fatto, da Roma al periodo contemporaneo, riflesso di una "torbida volonta' di credere, un elemento di fanatismo ideologico che deve risanare le debolezze di struttura e impedire un temuto tracollo"; l'eccessiva importanza attribuita agli intellettuali "piccoli borghesi in confronto delle classi economiche arretrate e politicamente incapaci"; la "storia feticistica", per cui "diventano protagonisti della storia personaggi astratti e mitologici" (Quaderni del carcere, cit., pp. 1979-80).
Il problema di ricercare le origini storiche di un evento concreto e circostanziato, la formazione dello Stato moderno italiano nel secolo XIX, viene trasformato in quello di vedere questo Stato, come Unita' o come Nazione o genericamente come Italia, in tutta la storia precedente cosi' come il pollo deve esistere nell'uovo fecondato (p. 1981).
In un altro luogo dello stesso Quaderno, Gramsci stigmatizza la storia come biografia nazionale. Essa scambia il desiderio con la realta', pensa l'Italia come qualcosa di astratto e concreto allo stesso tempo "come la bella matrona delle oleografie popolari, che influiscono piu' che non si creda nella psicologia di certi strati del popolo positivamente e negativamente (ma sempre in modo irrazionale), come la madre di cui gli italiani sono i figli. Con un passaggio che sembra brusco e irrazionale, ma ha indubbiamente efficacia, la biografia della madre si trasforma nella biografia collettiva dei figli buoni, contrapposti ai figli degeneri, deviati, ecc." (p. 2069).
Presentazione doppiamente antistorica: perche' contraddice la realta' e perche' sminuisce la figura e l'originalita' degli uomini del Risorgimento. Ma la critica di Gramsci si abbatte pure su L'Eta' del Risorgimento italiano (1931) di Adolfo Omodeo: un'untuosa santificazione del periodo liberale. Il difetto maggiore di tutte queste interpretazioni e' il loro carattere ideologico: non suscitano forze politiche attuali, non aiutano "le forze in isviluppo a divenire piu' consapevoli di se stesse e quindi piu' concretamente attive e fattive" (pp. 1983-84). Come ha notato Galasso, Gramsci non accetta qui l'interpretazione del Risorgimento in termini di "conquista regia": "egli coglie perfettamente il significato di ammodernamento e di liberazione delle energie nazionali connesso intimamente alla grande pagina di storia vissuta dall'Italia nel secolo XIX" (Galasso 1978, p. 127).
E valuta adeguatamente lo sforzo compiuto dagli uomini del Risorgimento sia verso i nemici esterni sia verso quelli interni che si opponevano all'unificazione.
Non e' possibile vedere in Gramsci sic et simpliciter uno dei tanti revisionisti del Risorgimento, uno degli episodi di quel processo al Risorgimento di cui si e' tanto parlato. Il processo ci sembra, invece, che Gramsci lo faccia non al Risorgimento, e neppure alla soluzione risorgimentale, della cui necessita' e positivita' storica nelle condizioni date egli si rende pienamente conto, bensi' al partito d'azione, da un lato, e alla politica dello Stato italiano unitario, post-risorgimentale, dall'altro lato (Galasso 1978, p. 129).
E' questa posizione che spiega anche l'oscillazione esistente fra la critica all'interpretazione del Risorgimento inteso come "conquista regia" in alcuni luoghi, quelli nei quali viene discussa la letteratura risorgimentale, e la sua sostanziale accettazione in altri. Diventa allora centrale nell'intera riflessione storica di Gramsci "il problema della direzione politica nella formazione e nello sviluppo della nazione e dello Stato moderno in Italia. Tutto il problema della connessione tra le varie correnti politiche del Risorgimento, cioe' dei loro rapporti reciproci e dei loro rapporti con i gruppi sociali omogenei o subordinati esistenti nelle varie sezioni (o settori) storiche del territorio nazionale, si riduce a questo dato di fatto fondamentale: i moderati rappresentavano un gruppo sociale relativamente omogeneo, per cui la loro direzione subi' oscillazioni relativamente limitate (e in ogni caso secondo una linea di sviluppo organicamente progressivo), mentre il cosi' detto Partito d'Azione non si appoggiava specificamente a nessuna classe storica e le oscillazioni subite dai suoi organi dirigenti in ultima analisi si componevano secondo gli interessi dei moderati: cioe' storicamente il Partito d'Azione fu guidato dai moderati" (Quaderni del carcere, cit., p. 2010).
E' questo il punto centrale dell'analisi di Gramsci non solo per il merito e per il contenuto, ma anche per il metodo. Egli infatti, proprio in relazione al rapporto tra moderati e Partito d'azione, precisa il significato di due concetti che usera' largamente nelle sue argomentazioni: gruppo sociale dominante e gruppo sociale dirigente. Il dominio e' esercitato sui gruppi avversari anche con la forza armata, la direzione intellettuale e morale sui gruppi affini e alleati. Ma "un gruppo sociale puo' e anzi deve essere dirigente gia' prima di conquistare il potere governativo (e' questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante, ma deve continuare ad essere anche dirigente. I moderati continuarono a dirigere il Partito d'Azione anche dopo il 1870 e il 1876 e il cosi' detto trasformismo non e' stato che l'espressione parlamentare di questa azione egemonica intellettuale, morale e politica" (pp. 2010-11).
Altro concetto, utilizzato non in astratto, ma per comprendere l'egemonia moderata, e' quello di apparato: cioe' il meccanismo, l'insieme di strumenti di esercizio dell'egemonia che, nel caso dei moderati, furono liberali, cioe' individuali e privati, non mediati da un programma di partito, ma perfettamente adeguati ai gruppi sociali rappresentati "di cui i moderati erano il ceto dirigente, gli intellettuali in senso organico" (p. 2011). I moderati esercitarono un potere di attrazione che il Partito d'azione non poteva avere. Esso sarebbe potuto diventare una forza autonoma solo se fosse riuscito a contrapporsi con "un programma organico di governo che riflettesse le rivendicazioni essenziali delle masse popolari, in primo luogo dei contadini: all'attrazione spontanea esercitata dai moderati avrebbe dovuto contrapporre una resistenza e una controffensiva organizzate secondo un piano" (p. 2013).
Giuseppe Galasso si e' posto la domanda su che cosa rimanga della critica di Gramsci al Partito d'azione. Egli ha individuato una tensione non risolta nel pensiero storico di Gramsci "tra i due poli di un ragionamento strettamente storiografico, da un lato, e di una petizione di principio su una possibilita' non sfruttata dai protagonisti, dall'altro lato" (Galasso 1978, p. 144). Al primo polo c'e' la valutazione positiva, storicistica, del moto risorgimentale, in particolare dell'azione svolta dai moderati soggettivamente e nelle condizioni date. Al secondo polo Gramsci denuncia per principio e condanna l'azione svolta dalla sinistra risorgimentale per "un motivo profondo ed essenziale di insoddisfazione e di ripulsa per tutto il corso preso dalla storia nazionale nel punto che costituisce il centro degli interessi storiografici di Gramsci" (Galasso 1978, p. 144).
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Storia/filosofia, storia/politica
I motivi di questa tensione bipolare si comprendono alla luce della considerazione dei rapporti fra storia e filosofia, filosofia e politica. Gramsci va oltre Croce: egli accetta la sua idea della contemporaneita' della storia, ma prospetta una piu' radicale identita' tra storia e politica realizzata, non fallita. Se il politico e' uno storico che opera nel presente interpretando il passato, allora lo storico e' un politico. Gramsci allarga quindi la portata della formula crociana. Ma bisogna rendersi conto che "quando il Croce parla degli elementi che determinano la contemporaneita' della storia, parla di interessi della vita morale (in cui la politica e' assorbita e risolta) o culturale; quando, invece, ne parla Gramsci, parla di interessi immediati della vita politica e sociale in senso stretto" (Galasso 1978, pp. 147-48).
Se nel discorso storico di Gramsci l'interesse per la politica determina un'innegabile tensione, che spesso resta irrisolta e provoca contraddizioni, oscillazioni, incertezze, va comunque riaffermata, al di la' di essa, "una profonda unita' metodologica e culturale del pensiero di Gramsci, se si tengono presenti i suoi concetti di fondazione scientifica dell'azione politica e di rapporto tra politica e storia. In ultima analisi, quindi, l'intero discorso storico-politico di Gramsci non esce fuori dal quadro del discorso storico e le implicazioni di teoria politica e gli schemi di azione politica che Gramsci ne trae non pretendono e non sono riducibili ad un significato o valore concettuali diversi da quelli dei canoni di ricerca storica che Gramsci pure evince dallo stesso discorso" (Galasso 1978, p. 219).
E' qui dunque il carattere autenticamente rivoluzionario dello storicismo gramsciano e del suo progetto filosofico come "gnoseologia della politica" (Buci-Glucksmann 1975; trad. it. 1976, p. 172). Anche la critica del concetto di ideologia sia come "illusione" nel senso crociano, sia come "sistema di idee" che riproduce la struttura economico-sociale secondo l'interpretazione deterministica, soprattutto di Nikolaj I. Bucharin, si collega al discorso storico-politico che approda al valore attivo delle ideologie. La rifondazione di Gramsci parte dalla critica al positivismo e al meccanicismo nella doppia versione del revisionismo idealistico (Georges Sorel e Croce) e del revisionismo del marxismo ufficiale. Il suo obiettivo e' quello di colmare il vuoto di una reale tradizione ideologica e culturale di massa a partire da una ricognizione puntuale del terreno nazionale, del Risorgimento e della formazione dello Stato unitario. Questa ricognizione e' propedeutica alla lotta contro il blocco storico dominante che ha proseguito l'azione dei moderati vittoriosi nel confronto risorgimentale. Ecco perche' Croce, in quanto chiave intellettuale di volta di questo blocco, diventa l'interlocutore privilegiato di Gramsci.
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Nord e Sud
L'insoddisfazione della linea del meridionalismo classico, che giunge, pur con profonde novita', fino a Francesco Saverio Nitti, e che puo' essere sintetizzata nel mito del buon governo e dell'industrializzazione promossa dall'intervento statale, fu fortemente messa in discussione dai partigiani della 'rivoluzione meridionale': Gaetano Salvemini, Dorso, Gramsci. Pur da posizioni di partenza diverse, – il primo socialista sui generis, il secondo erede e originale interprete del pensiero democratico, il terzo cofondatore del Partito comunista italiano nel 1921 e maggiore esponente del marxismo teorico italiano – essi rivendicarono l'esigenza di una piu' attiva partecipazione delle elites e delle masse per portare a soluzione la questione meridionale.
Per Salvemini solo con una politicizzazione generale delle masse, e cioe' dei contadini meridionali, e con l'identificazione di una strategia di alleanza di classe nel resto del Paese si poteva aggredire la questione meridionale considerata soprattutto una questione di potere. L'analisi piu' originale riguardava proprio quest'ultimo punto. Una grande proprieta' latifondistica, generalmente in mano alla vecchia aristocrazia feudale e alla grande borghesia agraria fusasi con essa, deteneva tanto la maggiore ricchezza quanto l'effettivo potere. Questa classe si era strettamente alleata con il capitalismo settentrionale, garantendo a esso l'appoggio incondizionato della rappresentanza parlamentare meridionale alla sua politica, soprattutto in materia finanziaria e doganale, a cui l'industria settentrionale era legata da un interesse vitale. In cambio i latifondisti meridionali ricevevano carta bianca per la loro azione oppressiva nel Mezzogiorno e pieno sostegno per i loro interessi, che si trattasse sia di contratti agrari sia di dazio sul grano. Dunque, il proletariato rurale meridionale, alleato con il proletariato industriale del Nord, doveva essere il protagonista della sua emancipazione.
Dorso affidava invece alla "borghesia umanistica", al ceto intellettuale, al decentramento e al self government il compito di disfare il blocco agrario meridionale e liberare le masse contadine dal suo potere.
Gramsci, dopo aver criticato il Risorgimento e le modalita' di realizzazione dell'Unita' italiana, identificando entrambi con una "rivoluzione agraria mancata", riprendeva l'indicazione di Salvemini, relativa all'alleanza tra contadini del Sud e operai del Nord, ma con finalita' strategiche completamente diverse. Per Salvemini quell'alleanza doveva servire a fondare una democrazia rurale di piccoli proprietari nel Sud e a liberare la classe operaia settentrionale da una struttura industriale fondata sui monopoli e sul protezionismo: dunque democrazia rurale e spazio alla libera concorrenza interna e internazionale. Per Gramsci quell'alleanza doveva invece servire a distruggere l'intero sistema per costruire il socialismo. Secondo Gramsci il proletariato avrebbe distrutto il blocco agrario meridionale nella misura in cui fosse riuscito, attraverso il suo partito, a organizzare in formazioni autonome e indipendenti masse di contadini poveri. E sarebbe riuscito in tale compito anche in relazione alla sua capacita' di disgregare il blocco intellettuale, armatura flessibile, ma resistentissima del blocco agrario.
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Passato e presente
Qual e' il significato complessivo della meditazione storica di Gramsci?
La meditazione di Gramsci sul Risorgimento e' e vuole essere politica, impostazione cioe' di un discorso sulle forze dominanti nella societa' italiana e su quelle che ad esse si oppongono; una politica costruita scientificamente, ossia sulla critica scientifica di tutto il passato (Galasso 1978, p. 153).
Il presente e' allora critica del passato e suo superamento: decide cio' che e' vivo e cio' che e' morto. L'esaurimento storico si riconosce non da fattori contingenti, "ma deve corrispondere alle componenti di fondo della storia e della tradizione nazionale che sono attive nel momento in cui ci si volge al passato. A questo punto il circolo dei pensieri di Gramsci appare completo. Egli si volge alla storia del Risorgimento perche' non crede in un'azione politica che non scaturisca dalla intelligenza storica; e critica il Risorgimento, non nella prospettiva del processo al Risorgimento alla Missiroli o alla Gobetti, bensi' nella prospettiva di cio' che il presente dimostra non piu' attuale, e quindi da poter essere gettato via, dell'opera delle generazioni precedenti" (Galasso 1978, p. 134).
Il cinquantennio unitario e', da questo punto di vista, la cartina di tornasole del pensiero storico di Gramsci. Il trasformismo e' considerato dal dirigente sardo la continuazione, ma anche il deterioramento dell'azione egemonica dei moderati, che hanno trasformato l'egemonia in dominio, decapitando le elites nemiche. Francesco Crispi e' il vero uomo della nuova borghesia, non l'anticipatore del nazionalfascismo, ma un esponente del Risorgimento che spinge in avanti la societa' italiana. Lucido e' anche il giudizio sul giolittismo: continuita' con Crispi, da un lato, ma piu' larga partecipazione alla vita statale attraverso il parlamento, con un approfondimento del solco tra Nord e Sud del Paese. A cinquant'anni di distanza dall'Unita', l'esaurimento storico per Gramsci e' pienamente evidente: "il mantenimento del blocco industriale-agrario attraverso cinquant'anni di storia italiana unitaria e' esso ad inficiare la soluzione risorgimentale, non gia' una insufficienza intrinseca della soluzione stessa [...] E' il presente a dar luce al passato, ma questa luce va proiettata sull'intero arco storico delle forze in campo, e non soltanto sull'arco della loro funzione di forze dominanti" (Galasso 1978, p. 155).
Alla luce delle precedenti considerazioni appare ancor piu' chiara l'unitarieta' della storia italiana nel senso a essa attribuito da Gramsci. A partire dal comune medievale come fase economico-corporativa dello Stato, la funzione storica della prima borghesia italiana, la funzione direttiva della citta' in epoca comunale, la critica serrata alla retorica degli storici e all'esaltazione della 'liberta'' cittadina. Il cosmopolitismo degli intellettuali si accentua poi nell'epoca della Controriforma, caratterizzata dall'assenza di un moderno Stato-nazione in Italia, anche per il dominio di potenze straniere, a differenza di altre realta' europee. Con queste premesse, il Risorgimento, positivo come soluzione unitaria, mostra tuttavia i limiti di una rivoluzione mancata per le responsabilita' del Partito d'azione, per non aver affrontato la questione agraria, per aver approfondito le distorsioni fra citta' e campagna nel cinquantennio unitario.
"Il programma di Giolitti e dei liberali democratici tendeva a creare nel Nord un blocco urbano di industriali e operai che fosse la base di un sistema protezionistico e rafforzasse l'economia e l'egemonia settentrionale. Il Mezzogiorno era ridotto a un mercato di vendita semicoloniale, a una fonte di risparmio e di imposte ed era tenuto disciplinato con due serie di misure: misure poliziesche di repressione spietata di ogni movimento di massa con gli eccidi periodici di contadini [...]; misure poliziesche-politiche: favori personali al ceto degli intellettuali o paglietta, sotto forma di impieghi nelle pubbliche amministrazioni, di permessi di saccheggio impunito delle amministrazioni locali, di una legislazione ecclesiastica applicata meno rigidamente che altrove" (Quaderni del carcere, cit., pp. 2038-39).
Un ragionamento dunque che va dal presente al passato, perche' la storia e' politica attuale in nuce: "una storia non di ipotesi, ma di realta' che scaturiscono dal conoscere cio' che del passato e' vivo e cio' che e' morto, cio' che puo' essere gettato via e cio' che deve essere conservato" (Galasso 1978, pp. 156-57).
Aver concentrato l'attenzione sui problemi della storia italiana non puo' indurre a dimenticare che Gramsci ci ha lasciato pagine illuminanti su tanti altri temi di storia europea ed extraeuropea, con spunti che meriterebbero oggi ulteriori riprese e approfondimenti. Non si tratta di osservazioni che scaturiscono dall'erudizione, pur straordinaria se si tien conto delle condizioni in cui svolse attivita' intellettuale il dirigente politico. Colpisce soprattutto la formidabile capacita' di intuizione e la sensibilita' a utilizzare la prospettiva comparativa nell'analisi dei processi storici. Basta scorrere l'indice analitico dell'edizione critica dei Quaderni per averne significative conferme.
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Opere
Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio, E. Fubini, Torino 1965.
Socialismo e fascismo. L’Ordine nuovo 1921-1922, Torino 1966.
La costruzione del Partito comunista 1923-1926, Torino 1971.
Quaderni del carcere, Edizione critica dell'Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, 4 voll., Torino 1975.
Cronache torinesi 1913-1917, a cura di S. Caprioglio, Torino 1980.
La citta' futura 1917-1918, a cura di S. Caprioglio, Torino 1982.
Il nostro Marx 1918-1919, a cura di S. Caprioglio, Torino 1984.
L'Ordine Nuovo 1919-1920, a cura di V. Gerratana, A.A. Santucci, Torino 1987.
Lettere 1908-1926, a cura di A.A. Santucci, Torino 1992.
A. Gramsci, T. Schucht, Lettere 1926-1935, a cura di A. Natoli, C. Daniele, Torino 1997.
Quaderni di traduzioni (1929-1932), a cura di G. Cospito, G. Francioni, Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, 2 voll., Roma 2007.
Epistolario, 1, gennaio 1906-dicembre 1922, a cura di D. Bidussa, F. Giasi, G. Luzzatto Voghera et al., Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, Roma 2009.
Quaderni del carcere, Edizione anastatica dei manoscritti, a cura di G. Francioni, 18 voll., Roma 2009.
Epistolario, 2, gennaio-novembre 1923, a cura di D. Bidussa, F. Giasi, M.L. Righi, Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, Roma 2011.
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Bibliografia
E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Roma 1974.
Ch. Buci-Glucksmann, Gramsci et l'Etat: pour une theorie materialiste de la philosophie, Paris 1975 (trad. it. Roma 1976).
P. Spriano, Gramsci e Gobetti. Introduzione alla vita e alle opere, Torino 1977.
A. Baldan, Gramsci come storico. Studio sulle fonti dei "Quaderni del carcere", Bari 1978.
G. Galasso, Croce, Gramsci e altri storici, Milano 1978, pp. 116-248.
L. Mangoni, La genesi delle categorie storico-politiche nei "Quaderni del carcere", "Studi storici", 1987, 28, pp. 565-79.
E. Garin, Gramsci nella cultura italiana, in Id., La filosofia come sapere storico, Roma-Bari 1990.
A. Burgio, Gramsci storico. Una lettura dei "Quaderni del carcere", Roma-Bari 2003.
M. Filippini, Gramsci storico. Una lettura dei "Quaderni del carcere", "Historical materialism", 2009, 17, pp. 261-71.
3. LIBRI. L'"ASSOCIAZIONE PER I DIRITTI UMANI" INTERVISTA DONATELLA DI CESARE SUL SUO LIBRO "TORTURA"
[Dal sito www.peridirittiumani.com riprendiamo la seguente intervista del 13 aprile 2017]
"Se lo stato tortura, non abusa solo del potere, ma incrina anche la fiducia dei propri cittadini che, anziche' difesi, vengono inaspettatamente offesi, colpiti nella loro disarmata vulnerabilita'. Lo Stato che tocchi il corpo di un cittadino e' gia' illegittimo. Anche se si tratta di un detenuto".
Tortura e' il titolo del nuovo saggio della filosofa Donatella Di Cesare, edito da Bollati Boringhieri. "Associazione per i Diritti umani" ha rivolto alcune domande all'autrice e la ringrazia molto per il tempo che ci ha dedicato.
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- "Associazione per i Diritti umani": Perche' un approccio filosofico al tema della tortura?
- Donatella Di Cesare: Il mio e' un libro anzitutto politico, o meglio, filosofico-politico. Anche nel passato mi sono occupata di diverse forme di violenza. Fa parte del mio impegno. Per quel che riguarda la tortura, credo che domini il pregiudizio illuministico che la considera semplicemente una forma di "barbarie" oppure una "follia". Ma cosi' si liquida la faccenda e ci si lava le mani, senza capire quello che avviene intorno a noi. Spesso infatti si presume di sapere che cosa sia la tortura – e invece non lo si sa. Percio' ho pensato che fosse necessario, anzi indispensabile, contribuire a un dibattito piu' approfondito. Oggi la tortura assume infatti forme nuove. Negli Stati Uniti c'e' chi, anche tra i pensatori liberal, crede ad esempio che di fronte al terrorismo sia lecito ricorrere alla tortura. I "diritti umani", per quello che ancora significano, vengono così scalfiti. La questione riguarda l'etica e la politica.
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- "Associazione per i Diritti umani": L'esercizio della tortura appartiene alle dittature oppure anche agli Stati liberi?
- Donatella Di Cesare: La tortura si e' democratizzata, e' entrata subdolamente all'interno della democrazia. Apparentemente e' stato abolita; ma esiste una "tortura dopo l'abolizione della tortura". Percio' io la chiamo la "fenice nera". C'e' dunque una democratizzazione della tortura di cui dobbiamo prendere atto. Quasi ovunque la tortura, dichiarata illegale, passa da una parte all'altra della sbarra: da regina della prova viene degradata a oscura e temibile complice del potere. E lo Stato si adegua: mette "fuori legge" la tortura, ma seguita a praticarla, o meglio, a farla praticare sotto banco, in modo piu' o meno nascosto. Come lottare, allora, contro la tortura, se a delinquere e' lo Stato? E se, inoltre, lo Stato nega? Se si rifiuta di ammettere qualsiasi responsabilita', appellandosi alla propria legislazione che la vieta ufficialmente? Soprattutto: se e' lo Stato stesso a trasgredire, chi ne accertera' la colpa? Perche' e' ovvio che, chi ha commesso il reato, si sottrarra' a ogni giudizio. Il problema appare tanto piu' complesso, in quanto il torturatore, che prima agiva alla luce del sole, si nasconde dileguandosi nei meandri dell'apparato statale. E lo Stato necessariamente lo difende, gli offre riparo. Perche' l'aguzzino permette la repressione nel silenzio. Lottare contro la tortura vuol dire cercarne le tracce nell'ombra, sorvegliare gli abusi, denunciare un potere che agisce nella segretezza e che, rischiando costantemente l'illegittimita', non si limita a intimidire, ma reagisce con violenza. Di qui il ruolo determinante svolto dai media e dall'opinione pubblica, insieme alle associazioni come la vostra. Ma sapere non vuol dire sempre potere. E la mole di informazioni accresce persino il senso di impotenza in una lotta il piu' delle volte impari, dove il reo e' quasi sempre lo Stato. Il web ha contribuito al controllo e alla trasparenza. Basti pensare alle schede segrete dei detenuti di Guantanamo rivelate da WikiLeaks. Spesso, pero', i rapporti di forza restano immutati.
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- "Associazione per i Diritti umani": Come si puo' rispondere a chi chiede se sia lecito torturare, ad esempio, un attentatore per salvare vite umane?
- Donatella Di Cesare: E' impossibile rispondere a questa domanda negli spazi ristretti di una intervista. Devo percio' rinviare al libro dove cerco appunto di mostrare che la storiella del ticking bomb e' una storiella che non si e' mai verificata, una fiction sulla base della quale si pretenderebbe di legiferare, di produrre leggi e soprattutto di far passare la tortura come un mezzo lecito contro il terrorismo.
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- "Associazione per i Diritti umani": Da una punto di vista anche psicanalitico, si puo' considerare la tortura un uso del potere di un essere umano nei confronti di un altro, una sorta di delirio di onnipotenza?
- Donatella Di Cesare: No, assolutamente no. Anzi credo che termini come "delirio" siano, in questo contesto, pericolosissimi. La tortura non e' lo scatto di follia di un singolo. E' violenza sistematica, organizzata, metodica; non sfugge, ma resta sotto controllo, e con ferma volonta', con voluttuosa tenacia, torna ad abbattersi sulla vittima. E certo ridurre l'altro alla nuda impotenza da' un senso di illimitato potere. Ma lo scenario della tortura, sebbene ci sia un faccia a faccia tra carnefice e vittima, che io ho cercato di descrivere, e' sempre uno scenario che coinvolge altri, che richiede terzi, che implica il potere.
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- "Associazione per i Diritti umani": Quali sono le caratteristiche della tortura che la rendono peggiore della stessa morte?
- Donatella Di Cesare: Una volta morto, l'altro diventa un ente che, nella sua inerzia, che non fa piu' attrito e su cui non puo' piu' scatenarsi l'inebriato tripudio dell'aguzzino. Uccidere una donna non e' lo stesso che violentarla davanti al marito o farla violentare da fratelli e figli. Per chi e' stato vittima, la tortura significa esperire in vita la propria morte. Ce lo ricorda Jean Amery la cui testimonianza e' davvero imprescindibile e che percio' nel mio libro svolge un ruolo di primo piano.
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- "Associazione per i Diritti umani": Nell'ultimo capitolo del Suo libro lei affronta casi scottanti di attualita', da quello di Giulio Regeni al G8 di Genova, ma anche delle Brigate rosse. E usa il termine "amministrazione" della tortura.
- Donatella Di Cesare: Si' perche' la tortura viene semplicemente amministrata, quasi come una pratica burocratica. Ecco perche' il riconoscimento del "reato di tortura" in Italia sarebbe un traguardo importante. Ma non e' ancora tutto. Perche' dopo sara' necessaria piu' che mai la vigilanza e la riflessione.
4. LIBRI. EMANUELE TREVI PRESENTA "TORTURA" DI DONATELLA DI CESARE
[Dal sito del Corriere della sera (www.corriere.it) riprendiamo la seguente recensione del 7 novembre 2016 dal titolo "Tortura, il crimine che si annida nel cuore di tenebra di ogni potere" e il sommario "Il saggio di Donatella Di Cesare Tortura (Bollati Boringhieri) affronta il tema sotto il profilo filosofico e sottolinea l'esigenza di un reato specifico"]
Allieva di Hans-Georg Gadamer, il padre nobile dell'ermeneutica nel secondo Novecento, Donatella Di Cesare si e' immersa negli anni recenti nelle acque limacciose dei Quaderni neri di Martin Heidegger, alla ricerca di verita' scomode e dirompenti anche all'interno della comunita' di studiosi alla quale appartiene. A un marcato interesse per il totalitarismo e le sue piu' nefaste perversioni si deve il suo ultimo libro, intitolato semplicemente Tortura (Bollati Boringhieri). Come se enunciare questa parola fosse gia' un gesto di sfida, ancora piu' efficace di un titolo come Contro la tortura. Perche' il potere moderno che impiega la tortura come strumento di dominio per prima cosa si impegna con grande scrupolo a negare non solo la cosa, ma la parola stessa.
Capitoli essenziali di questa "crudele scienza del dolore" sono il segreto e il silenzio. Lo scenario ideale e' il sotterraneo, da dove nessun lamento potra' mai raggiungere il mondo esterno. Se la tortura e' un male cosi' tenace, molta della sua forza deriva proprio dall'occultamento e dalla negazione. Vale la pena di guardare in questo buco nero dal punto di vista della filosofia, come fa Donatella Di Cesare? Indubbiamente si', perche' la posta in gioco e' tutt'altro che un'esercitazione accademica su un tema astratto.
Si potrebbe dire che la filosofia e' il vero antidoto della tortura, perche' incalza con la sua esigenza di verita' cio' che il potere vuole rendere opaco, sospeso in un limbo tra l'essere e il non essere, tra la regola e il reato. E poi, la filosofia deve sempre essere una terapia contro i falsi ragionamenti, le illusioni spacciate per conclusioni.
Ebbene, l'argomento piu' diffuso in giustificazione della tortura suona piu' o meno come un quesito filosofico. Sta per scoppiare, in qualche luogo molto popolato della citta', una bomba a orologeria. Ho un prigioniero, un terrorista che sa dove e' collocata la bomba, se lo torturo crollera' e mi permettera' di salvare centinaia, forse migliaia di vite. Ecco una situazione che potrebbe suggerire addirittura il dovere di fare uso della tortura, scongiurando il male maggiore con il male minore. E' un argomento che ha un grande potere: e' immediatamente comprensibile, e capace di orientare efficacemente l'opinione pubblica. E visto che la tortura si annida tanto nella dittatura quanto nella democrazia, l'opinione pubblica assume un rilievo fino a poco tempo fa del tutto inaspettato in un dibattito sulla tortura.
Questo forse e' il punto cruciale dell'indagine di Donatella Di Cesare: non c'e' una forma particolare di governo che in se' e per se' possieda un legame di necessita' con l'esercizio della tortura. Certamente, dal semplice punto di vista quantitativo, le dittature ne fanno un uso maggiore, e la loro negazione e' piu' efficace, tanto che il solo pronunciare la parola tortura puo' diventare un pretesto piu' che sufficiente per entrare nel numero dei torturati. Ma il dilemma della bomba a orologeria e' concepito per una societa' libera, dove le cose non esistono senza consenso e dove il consenso puo' rendere legittime le pratiche piu' scellerate. Questo e' il rischio principale, lo scoglio sul quale puo' infrangersi la fragile imbarcazione di qualsiasi democrazia. E allora, seguendo per sommi capi il ragionamento di Donatella Di Cesare, il primo gesto filosofico sara' quello di smontare l'intero congegno.
Non c'e' nessuna bomba a orologeria e nessun terrorista in quella determinata situazione. Perche' le cose non accadono mai cosi' linearmente come possiamo vederle in una serie televisiva. Magari. Allora saremmo tutti contenti che un Jack Bauer strapazzi un po' quel disgraziato fino a fargli sputare le informazioni che salveranno tutte quelle vite che affollano la stazione della metro o i grandi magazzini nell'ora di punta. Ma nella realta' le cose accadono in maniera incomparabilmente piu' ingarbugliata, e i rapporti di causa ed effetto sono cosi' complessi che la tortura, semplicemente, dal punto di vista puramente pragmatico, non serve a niente.
L'unica cosa vera di quella situazione immaginaria, in fin dei conti, e' che le vite si salvano con le informazioni. Ma le informazioni buone non si ottengono torturando: si comprano, si rubano, si scoprono in modo fortuito, o con l'impiego di sofisticatissime tecnologie. Dunque la filosofia si deve confrontare con questo controsenso, il perdurare nella storia umana di qualcosa che non puo' nemmeno vantare una sua utilita' a chi ne rifiuta l'infamia. Ma interrogarsi sulla natura del potere, di qualsiasi forma di potere, significa prima o poi addentrarsi in questa malefica penombra, in questa terra senza ritorno dove la legge e' amministrata dal fuorilegge, che la distorce a un fine inaudito, insostenibile.
Un personaggio di un romanzo di Graham Green dice che Hitler ha insegnato agli europei che tutti, indipendentemente dal loro ceto, dal loro sesso, dalla loro eta' e dalle loro colpe, sono potenzialmente torturabili. Questa feroce parodia del concetto di uguaglianza e' una delle zone morte della nostra storia, un lascito di cui le nostre societa' non riescono mai a liberarsi una volta per sempre.
5. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Renato Solmi, Lezioni su Kant, Quodlibet, Macerata 2021, pp. 154, euro 14.
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Maestre
- Svetlana Aleksievic, La guerra non ha un volto di donna, Bompiani, Milano 2015, 2017, 2020, pp. 464, euro 13.
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
8. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4121 del 31 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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