[Nonviolenza] Telegrammi. 4120



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4120 del 30 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Donne de La Comune e Arcilesbica: Difendiamo l'identita' umana e la liberta' di amare. Basta violenze e intimidazioni
2. Paolo Bagnoli: Piero Gobetti
3. Ripetiamo ancora una volta...
4. Alberto Castelli: L'impegno per la pace di Alexander Langer
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. APPELLI. DONNE DE LA COMUNE E ARCILESBICA: DIFENDIAMO L'IDENTITA' UMANA E LA LIBERTA' DI AMARE. BASTA VIOLENZE E INTIMIDAZIONI
[Dalla mailing list delle "Donne in nero" riprendiamo e diffondiamo]

Difendiamo l'identita' umana e la liberta' di amare. Basta violenze e intimidazioni.
Solidarizziamo con Arcilesbica per l'attacco subito a Bologna il 10 maggio 2021 dove la sede de La Comune, presso cui sono ospitate, e' stata imbrattata con scritte volgari ed offensive.
Denunciamo il clima di violenze, minacce e calunnie che scrittrici, giornaliste, esponenti del femminismo radicale, stanno subendo in molti paesi da parte di sostenitori del cosiddetto transfemminismo e del gender fluid, che non tollerano chi, come noi, vuole difendere e affermare le identita' umane, a partire da quella delle donne, da pseudoteorie o leggi statali che invece vogliono cancellarle.
Difendiamo la liberta' delle donne come liberta' di tutte e tutti, inscindibile dal rispetto, dalla dignita' e interezza di ognuna e ognuno.
Siamo per la piena liberta' di scelte sentimentali e relazionali eterosessuali, lesbiche, omosessuali, bisessuali, transessuali nel pieno rispetto reciproco.
Invitiamo tutte le singole, gruppi e forze organizzate a schierarsi con chiarezza. Uniamoci per discutere e per reagire assieme.
Donne de La Comune, Arcilesbica
Per adesioni scrivi nome, cognome, associazione, citta', alla mail: appelloidentitaumana at libero.it

2. MAESTRI. PAOLO BAGNOLI: PIERO GOBETTI
[Da Il Contributo italiano alla storia del pensiero – Storia e Politica (2013) nel sito www.treccani.it]

Nella storia italiana il pensiero di Piero Gobetti, ispiratore dell'antifascismo di matrice liberale, segna uno snodo politico, culturale e civile fondamentale per comprendere problemi e insufficienze della vita nazionale; soprattutto per capire quanto la mancanza del senso concreto della liberta' abbia impedito all'Italia di maturare una coscienza e una mentalita' improntate alla modernita'. La profonda intenzione etica che informa la breve vita di Gobetti rappresenta il filo conduttore lungo il quale si dipana l'esperienza unica, straordinaria e tragica di questo giovane, che costruisce il proprio percorso facendosi modello di quell'Italia moderna il cui vuoto civile e politico, riconducibile al "fallimento della rivoluzione italiana dell'800", egli ritiene causa di un'aspra crisi, risolvibile solo con un passaggio rivoluzionario, ossia con una doppia palingenesi, morale e politica.
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La vita
Piero Gobetti nasce a Torino il 19 giugno 1901, da una famiglia di origine contadina. Studente di notevole intelligenza, gia' durante gli studi al liceo Gioberti progetta con alcuni amici la sua prima rivista, "Energie nove", che inizia a uscire il I novembre 1918. Iscrittosi alla facolta' di Giurisprudenza nel 1922, si laurea con Gioele Solari con una tesi su La filosofia politica di Vittorio Alfieri. Vicino alle posizioni dell'"Unita'" di Gaetano Salvemini e al movimento raccolto attorno alla sua rivista, impone all'attenzione della cultura italiana "Energie nove" per la qualita' dei collaboratori e dei temi trattati. Dopo averne sospeso le pubblicazioni nel febbraio 1920, prendendo le distanze dal 'problemismo' di Salvemini – il quale, contro ogni astrattezza del pensiero, proponeva un metodo di riduzione a problemi concreti, da analizzare in ogni loro parte –, Gobetti segue da vicino l'occupazione delle fabbriche (settembre 1920); si dedica nel frattempo a un impegnativo programma di studi e di riflessione critica ad ampio spettro su temi storici, letterari e filosofici.
Nel gennaio 1921 diviene critico teatrale del quotidiano "L'Ordine nuovo", su invito di Antonio Gramsci che ne e' il direttore. Nel gennaio 1922 annuncia l'uscita di una nuova rivista, "La Rivoluzione liberale", il cui primo numero vede la luce il 12 febbraio; il fine che si propone e' quello di creare una nuova classe dirigente cosciente delle proprie tradizioni storiche e delle esigenze di partecipazione del popolo alla vita dello Stato. Gia' nel maggio dedica un numero al fascismo e, dall'autunno, la lotta al fascismo diviene il motore della rivista.
Nel gennaio 1923 sposa Ada Prospero e il 6 febbraio subisce il primo arresto; nell'aprile fonda la casa editrice Piero Gobetti e il 29 maggio viene nuovamente arrestato.
Nel marzo 1924 pubblica il volume La Rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia. Strenuo e coraggioso oppositore del regime, all'impegno antifascista dedica ogni sua energia; gli viene perquisita l'abitazione e, dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti (10 giugno), prende l'iniziativa di chiedere le dimissioni di Benito Mussolini. A Matteotti dedica il fascicolo del I luglio, e da li' all'autunno lavora alla costituzione di una nuova formazione politica. Il 5 settembre viene aggredito dai fascisti mentre esce di casa, a seguito di un attacco da lui mosso al deputato Carlo Delcroix che aveva provocato una violenta reazione da parte della stampa fascista. Nel dicembre nascono i primi gruppi di amici della rivista in diverse citta' italiane e, nello stesso mese, Gobetti fa uscire il primo numero della rivista letteraria "Il Baretti", che s'impone all'attenzione generale per la qualita' della formula e dei collaboratori.
Dal gennaio 1925 si susseguono i sequestri di "La Rivoluzione liberale", e nel giugno comincia a maturare in Gobetti l'idea di andare in esilio per continuare il proprio lavoro; nel novembre le autorita' gli impongono la rinuncia a qualsiasi attivita' giornalistica ed editoriale, la rivista cessa le pubblicazioni e l'esilio diviene una necessita'. Il 28 dicembre gli nasce l'unico figlio, Paolo, e il 6 febbraio 1926 prende la via di Parigi, ove si ammala gravemente, accudito dagli amici Giuseppe Prezzolini, Luigi Emery e Francesco Saverio Nitti. Muore in clinica il 15 febbraio 1926. Viene sepolto al cimitero del Pere Lachaise, ove ancora oggi riposa.
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L'aridita'
Gobetti concepisce la propria esistenza in quanto pensiero compiuto, e l'idea della compiutezza sovrintende coerentemente (in una sorta di persistenza psicologica irrinunciabile) tutto l'arco della sua breve vita, che lo vede impegnato in una costante riduzione a unita' di ogni aspetto del proprio lavoro.
Per tali motivi non si coglie il significato del gobettismo (come scelta di vita che intreccia l'impegno pubblico con la costruzione della propria interiorita') se non si specifica come sia Gobetti stesso a delineare il 'modello Gobetti': l'avvio di un siffatto processo risiede nella decisione di 'riscattarsi' eticamente dal contesto familiare, vale a dire di autoformarsi consapevolmente. Per Gobetti, infatti, impegnarsi seriamente in un processo educativo significa riscattarsi intellettualmente dall'anonimato morale che caratterizza la propria famiglia, proiettando la propria vita in un ideale per il quale non e' il denaro a conferire dignita' agli esseri umani e la conquista dell'istruzione non rappresenta semplicemente il modo di uscire dalla condizione di inferiorita' sociale che quotidianamente assillava i suoi genitori. In ogni scritto nel quale fa riferimento al suo percorso di formazione e alle origini da cui trae la sua motivazione, troviamo il richiamo al tema dell'aridita', talora chiamata aridezza, concetto che si coniuga, molto spesso, a quelli di volonta' e di solitudine.
L'aridezza e' la chiave per comprendere e riassumere il nucleo alla base della sua formazione e per interpretare il suo percorso; essa costituisce la cifra etica che connota tale nucleo in quanto pilastro edificativo di un progetto di vita morale inteso come pratica operosita'. Una "fondamentale aridezza" e una "inesauribile volonta'" sono le qualita' che egli si riconosce, quelle che ne segnano il percorso esistenziale nella consapevolezza che la vita non dev'essere ridotta solo a una serie di esami e che si ha "bisogno di esami perche' si e' qualcosa" socialmente (L'editore ideale. Frammenti autobiografici con iconografia, 1966, p. 42). Egli scrive ancora di se': "Ho l'anima e l'inquietudine di un barbaro, con la sensibilita' di un cinico; la storia non mi ha dato eredita' di sorta; l'ambiente in cui son vissuto non mi ha offerto comunicazioni; non ha alimentato i miei problemi; non devo nulla a nessuno. Se ho voluto la storia me la sono dovuta creare io; se ho voluto capire ho dovuto vivere; il mio gusto si e' formato per un duro proposito. Ho peccato per amore quasi infantile per la cultura, per la filosofia, bisognava bene che amassi qualcosa con tutta l'oscura violenza nascosta della mia originaria volonta' di vivere [...]. Cinico perche' arido, forte perche' solo e spregiudicato" (p. 42).
L'aridita' consente di costruire la realta' alla luce di un progetto spirituale; di realizzare quel "mondo ideale" che anche Ada condivide nella ricerca espressiva della propria personale compiutezza. L'esplicitazione del rapporto tra intenzione e progetto chiarisce la ragione per la quale tornano spesso nei suoi scritti i temi della solitudine, della forza e del sacrificio. Per Gobetti, infatti, al dovere della coscienza corrisponde la volonta' di stare nella lotta, combattendo con audacia, intolleranza, sacrificio e dedizione.
Il riscatto dall'aridita' si snoda per Gobetti in un contesto storico e territoriale ben preciso: vale a dire, la guerra e il Piemonte. La guerra, cui non ha partecipato per ragioni anagrafiche, gli appare come una chiamata alla maturita' nazionale cui nessuno puo' sottrarsi, e Torino e il Piemonte rappresentano dei veri e propri luoghi morali. E' nel Piemonte, infatti, che i risvolti tipici dell'aridita' hanno un riscontro positivo, essendo una terra capace di coniugare "morale" e "pratica", come dimostrano le figure di Luigi Einaudi (1874-1961) e di Edoardo Giretti (1864-1940).
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L'impegno critico
La figura e l'opera di Gobetti si configurano e si chiariscono, nel loro complesso, nella formula della "rivoluzione liberale"; essa, tuttavia, non e' solo il punto di approdo di un intenso percorso intellettuale e politico, ma il costante riferimento di un'intenzione etica cui egli ispira la sua vita.
Il processo formativo che Gobetti persegue, innestandolo sul "riscatto dell'aridita'", costituisce il paradigma stesso del modello costruttivo della rivoluzione liberale, cui e' affidato il compito di portare l'Italia nell'ambito della "modernita'". Con tale espressione va intesa la razionale acquisizione di una coscienza storica laicamente consapevole e basata su un liberalismo attivo, realizzazione compiuta di una liberta' fondata su valori e opere concrete. Gobetti fa di se stesso il paradigma dell'Italia moderna, ossia dell'Italia della rivoluzione liberale.
La coscienza morale e culturale dello scarto storico nazionale rappresenta l'impulso fondamentale che induce a sentirsi attori del processo storico: il Paese nuovo si forma formando in primo luogo se stessi. Tale constatazione consente di capire come questo impegno per la continua ricerca di un'oggettiva superiorita' etica, perseguito da Gobetti con chiarezza e senza ambiguita', si caratterizzi quale elemento di forte originalita' rispetto ai percorsi, pure animati da nobili ragioni, di tanti giovani intellettuali che si propongono di essere dentro la storia italiana per cambiarla in profondita'. Quello di Gobetti e' un percorso di formazione di tale purezza etica da acquisire un valore pedagogico oggettivo e paradigmatico, configurandosi come valido per la 'rigenerazione' dell'uomo italiano. In cio' Gobetti e' da subito un rivoluzionario per naturale inclinazione della sua intelligenza e della sua sensibilita' alle questioni civili, che caratterizzano come umanesimo integrale il fattore fondante la modernita' da conquistare.
Alla base di tale umanesimo vi sono la concretezza etica, in grado di generare comportamenti esemplari, il valore della liberta' e l'idea di storia che deve informare la politica. Etica, liberta' e storia rappresentano le qualita' 'espressive' dell'uomo che si affida alla ragione e, attraverso la ragione dell'uomo, sorveglia l'azione della politica mediante l'operare della critica. Per Gobetti il giornalismo e' la forma principale dell'esercizio critico. Infatti, mentre il giornalista e' di solito inteso come colui che pratica una scrittura soggettivamente influenzata dai fattori psicologici personali, il critico esprime oggettivita' morale. Il giornalismo generico e' un prodotto descrittivo, quello critico "un atto di volonta'" (lettera a Lionello Fiumi del I gennaio 1919, in Carteggio 1918-1922, 2003, p. 18) che si propone, nell'essenza del suo farsi, di cogliere i contrasti.
La costruzione del proprio profilo di critico e la funzione che in quanto tale e' chiamato a svolgere costituiscono il filo connettivo che lega la prima fase dell'impegno gobettiano, riconducibile, dal punto di vista temporale, alla prima serie della rivista "Energie nove" (novembre 1918 - marzo 1919). In questo periodo, Gobetti getta le basi del proprio pensiero e della propria azione, mentre i percorsi privati e quelli pubblici s'intrecciano. Con la fine di "Energie nove" (febbraio 1920) inizia una nuova fase, in cui egli sviluppera' la missione del critico per sopperire a quell'"assenza di organizzazione" che costituisce il cuore della crisi postbellica (Intermezzo, "Energie nove", 12 febbraio 1920, ora in Scritti politici, cit., p. 181) e per dominare i fatti della storia e conferire loro senso.
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La storia in movimento
E' un dato acquisito dalla storiografia gobettiana che l'occupazione delle fabbriche costitui' un passaggio importante per la maturazione del suo pensiero; non tanto perche' lo porto' alla scoperta del movimento operaio nella sua concretezza di soggetto politico, quanto perche' quegli avvenimenti gli consentirono di mettere a fuoco il problema della rivoluzione in Italia.
Nell'occupazione delle fabbriche, Gobetti intravede in prospettiva "la piu' grande battaglia ideale del secolo" (lettera ad Ada del 7 settembre 1920, in P. Gobetti, A. Gobetti, Nella tua breve esistenza, 1991, p. 376); se cosi' realmente sara', egli non potra' che collocarsi "necessariamente dalla parte che ha piu' religiosita' e volonta' di sacrificio" (p. 376), appunto le qualita' che devono saper dimostrare di possedere gli operai in quanto soggetto autonomo. Il raggiungimento di tale autonomia segnera' anche un cambiamento all'interno del movimento di Ordine nuovo, ossia nella componente politica cui gli operai fanno riferimento, in quanto espressione di una consapevole soggettivita' rivoluzionaria. L'osservazione non e' di poco conto, sia in relazione all'interpretazione che Gobetti da' degli eventi, sia perche' chiarisce la distinzione tra soggetto sociale – gli operai – e soggetto politico – Ordine nuovo –, e rappresenta un significativo indizio del tipo di rapporto che Gobetti sin dagli inizi instaura con il comunismo torinese, di cui e' attento osservatore dall'interno in quanto collaboratore del giornale diretto da Gramsci.
Ricordando i suoi rapporti con Gobetti, Lelio Basso ha corretto un'immagine che lo vuole attratto quasi fatalmente dai comunisti, osservando: "Noi discutemmo profondamente la possibilita' che si iscrivesse lui stesso al PSI a quell'epoca, siccome si pensa sempre a un Gobetti attorno al partito comunista, lui forse pensava viceversa" (Amici di Gobetti, interviste a Lelio Basso e a Pietro Nenni, "Mezzosecolo", 2001-2002, p. 295).
L'auspicio che la classe operaia maturi una funzione di classe dirigente, dimostrando di essere in grado di guidare grandi e complesse realta' industriali e non lasciandosi attrarre da tentazioni collettivistiche, indica come Gobetti non persegua l'idea che la rivoluzione debba sradicare l'Italia dal contesto occidentale nel quale si trova, ma anzi auspichi che essa ve la radichi ben piu' profondamente, nel segno di quella modernita' di cui la stessa cultura industriale e' espressione. Tale convincimento si esplicitera', nel febbraio 1922, nel ritenere che "il tramonto del capitalismo, previsto e predicato dal Marx e' un mito utilissimo, una delle piu' forti molle della storia moderna ma sarebbe ingenuo discuterne come di una verita' scientifica o di un fatto serio. [...] L'Italia non puo' aderire al blocco delle nazioni proletarie, perche' le nazioni proletarie non esistono e la politica si fa con ben altro realismo. L'Italia deve aderire, non politicamente, ma economicamente [...] all'Europa (e all'America) operosa" (Crisi morale e crisi politica, "La Rivoluzione liberale", 19 febbraio 1922, ora in Scritti politici, cit., pp. 245 e 248).
Per Gobetti la rivoluzione italiana sara' possibile solo quando ci sara' una nazione italiana rinnovata moralmente e spiritualmente. Ed egli si interessa al movimento operaio nella sua funzione di critico della politica. Indicativo e' quanto scrive a Santino Caramella l'8 agosto 1920: "Io ho per la politica interesse di studioso. Non ho mirato mai all'azione come tale, ma sempre ad una educazione politica. Credo che avvicinando il mondo degli studi e la realta' pratica [...] ne verra' vantaggio all'uno e all'altra. [...] Tu sai che sono antimarxista e mi pare che il movimento operaio debba andare (e va infatti) per una via che si crea ogni giorno – il socialismo e' il punto di partenza (non il marxismo che non e' sentito) ma il punto di arrivo e' sempre liberalismo, storia; contingenza dolorosa di problemi e di soluzioni che non sono mai in un sistema preconcetto, perche' nascono dalla conciliazione pratica di quel sistema e di tutti gli altri secondo cui pensano gli uomini" (Carteggio, cit., pp. 140-41).
Il socialismo, a suo avviso, e' mancato all'appuntamento della storia. Gobetti contesta la tesi secondo la quale il fallimento del Partito socialista italiano sarebbe dovuto al fatto che esso perseguiva la rivoluzione; al contrario, tale fallimento si deve alle insufficienze rivoluzionarie del partito e alla sua mancata comprensione della propria funzione. Gobetti critica la pratica riformista di Filippo Turati: di fronte al problema italiano ci si doveva porre come ha fatto Matteotti, "l'oppositore piu' intelligente e piu' irriducibile tra i socialisti unitari" (Ho conosciuto Matteotti, "La Rivoluzione liberale", 17 giugno 1924, ora in Scritti politici, cit., p. 707), a cui il I luglio 1924, come gia' accennato, dedica un numero intero di "La Rivoluzione liberale". E due settimane dopo, a testimonianza del suo interesse per il mondo socialista al di la' delle critiche, ospita un articolo di Carlo Rosselli intitolato Liberalismo socialista, che accompagna con una Nota in cui, tra l'altro, scrive che "anche il nostro liberalismo e' socialista se si accetta il bilancio del marxismo e del socialismo da noi offerto piu' volte" ("La Rivoluzione liberale", 15 luglio 1924, ora in Scritti politici, cit., p. 761).
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Il nodo del Risorgimento
Nell'estate del 1921 Gobetti ha ormai elaborato l'idea di liberalismo e ne ha individuato le radici storiche. In tale riflessione, centrale e' l'esame critico che compie del moto risorgimentale, snodo fondamentale per "rifare la nostra cultura" (lettera ad Ada dell'8 settembre 1921, in Nella tua breve esistenza, cit., p. 495). La questione risorgimentale e' essenziale per comprendere le questioni italiane e la riflessione su di esse che e' alla base dell'elaborazione politica di Gobetti e della sua idea di Italia. Nel fallimento del moto risorgimentale affonda le sue radici l'esigenza rivoluzionaria provocata dalla crisi dell'Italia giolittiana – Gobetti, come Salvemini, e' un acerrimo nemico della politica di Giovanni Giolitti – e della sua matrice liberale.
Egli e' convinto del "fallimento della rivoluzione italiana dell'800" (lettera a Giannotto Perelli del 12 dicembre 1920, in Carteggio, cit., p. 183) ed e' interessato alle figure di Giovanni Maria Bertini, Luigi Ornato, Domenico Berti e, soprattutto, Vittorio Alfieri. Il suo lavoro di critica al Risorgimento presuppone un intento di ordine generale espresso, nel congedare la sua prima rivista, quando richiama "il fallimento ideale dell'Italia" (La rivoluzione italiana. Discorso ai collaboratori di "Energie Nove", "L'educazione nazionale", 30 novembre 1920, ora in Scritti politici, cit., p. 187). Ecco perche' la questione del Risorgimento costituisce il corpo centrale dell'elaborazione di Gobetti, poiche' "soltanto se ci sara' chiaro il problema dell'unita' nel nostro Risorgimento, il problema dello Stato e dei suoi fondamenti ideali e pratici, potremo nella realta' imporre la nuova idea" (p. 188).
Il Risorgimento, malgrado la conquista dell'indipendenza, non ha generato un processo autonomo e ha lasciato irrisolta la questione della nazione. Gobetti ritiene che l'essenza "dello Stato moderno come Stato-liberta' dei cittadini" coincida "col concetto di rivoluzione", che e' gia' liberale poiche' "perenne in se stessi il principio della loro attivita' e autorita' morale: la rivoluzione coincide dunque col concetto stesso di funzione del popolo" (La crisi rivoluzionaria dell'Ottocento in Italia, "L'Arduo", 31 maggio 1921, ora in Scritti storici, letterari e filosofici, 1969, p. 165). Ne consegue che le ragioni della rivoluzione liberale risiedono in cio' che il Risorgimento non e' stato, e non tanto come moto politico quanto come processo morale e culturale da parte di cittadini coscienti. Questi, vivificando l'essere della Nazione – ossia il dato unitario che presuppone e invera la nazione medesima – determinano la forma stessa dello Stato quale sintesi di un'iniziativa continua che si concretizza nella liberta', principio ispiratore fondamentale dell'individuo e dei cittadini, del singolo come della societa'. Al Risorgimento e' mancata una "classe di governo" adeguata, ossia un'elite, ed e' questo uno dei temi che caratterizza il pensiero politico di Gobetti. Piu' in generale, poi, all'Italia e' mancata una riforma religiosa, questione che attiene alla liberta' e alla necessita' di una coscienza civile.
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Liberalismo e fascismo
Il tema della liberta' costituisce la linea guida di tutto il pensiero gobettiano. Come egli evidenzia nel Manifesto con cui apre, nel 1922, "La Rivoluzione liberale", tre sono i punti sui quali deve agire la sua iniziativa: "1) la mancanza di una classe dirigente come classe politica; 2) la mancanza di una vita economica moderna, ossia di una classe tecnica progredita [...]; 3) la mancanza di una coscienza e di un diretto esercizio della liberta'" (Manifesto, "La Rivoluzione liberale", 12 febbraio 1922, ora in Scritti politici, cit., p. 229).
Questi tre punti si riconducono alla questione della liberta' e del suo pratico estrinsecarsi, ossia di una "lotta politica aperta" la quale, per esistere, presuppone classi dirigenti liberamente scelte.
Gobetti non definisce il suo liberalismo proprio perche' e' un liberale: pur associando l'aggettivo liberale al sostantivo rivoluzione, qualifica il suo liberalismo come "potenziale", vale a dire come una concezione politico-dottrinaria che aderisce alle iniziative autonomistiche di tipo nuovo, quelle che evidenziano momenti di rottura sociale e politica facendo emergere soggettivita' che animano dialetticamente il quadro nazionale. Il liberalismo gobettiano resta, dunque, dottrinariamente indefinito, benche' si precisi implicitamente nella coincidenza con "le forze rivoluzionarie creative" poiche' e', per sua intima natura, rivoluzionario. Per Gobetti, infatti, "il liberalismo soddisfa l'esigenza conservatrice creando un governo, ma per arricchire la spiritualita' della vita sociale non puo' agire che come forza rivoluzionaria, come opposizione ai falsi realismi, alle idolatrie dei fatti compiuti. La funzione del liberalismo e' mancata il giorno in cui ha dovuto assumere una responsabilita' di governo. Il liberalismo puo' estrinsecare la sua capacita' creativa di uno Stato soltanto attraverso un autonomo processo di disciplina libertaria" (Liberali e conservatori, "La Rivoluzione liberale", 26 marzo 1922, ora in Scritti politici, cit., p. 277).
In un articolo del maggio 1922, Gobetti definisce il fascismo, nelle sue manifestazioni squadristiche, come espressione di un'"insufficienza ideale", testimonianza di "riscossa padronale" e soggetto che "arma gli esasperati della guerra e gli avventurieri della borghesia intellettuale"; esso e' "il termometro della nostra crisi, la misura dell'impotenza del popolo a crearsi uno Stato" (Esperienza liberale, "La Rivoluzione liberale", 28 maggio 1922, ora in Scritti politici, cit., p. 356). Il fascismo rappresenta quindi un epifenomeno dell'equivoco del liberalismo italiano, caratterizzato dall'assenza di ogni preoccupazione ricostruttiva nei confronti dello Stato e chiara espressione della "malattia nazionale", vale a dire di quelle insufficienze morali e ideali che si vanno aggravando sempre piu', in un rapporto perverso tra causa ed effetto. In questo testo Gobetti storicizza il fascismo per quello che e', contro ogni illusione riguardante il suo possibile riassorbimento nei canoni dello Stato liberale e il suo possibile evolversi in canoni di ordine democratico. Scrive infatti: "La guerra ha generato una crisi di orgoglio e una negazione di tutte le misure negli spiriti. Piccoli individui hanno avuto l'illusione, attraverso un'esperienza eccezionale, di difendere e incarnare l'originalita' di un popolo o di un mondo. In realta' nessun partito puo' sostituire lo Stato, a nessun movimento sociale puo' spettare la funzione del coordinamento della volonta' e del rafforzamento della coesione degli spiriti, perche' queste sono funzioni che non hanno organo, e si realizzano per impulsi di lotta e di consenso in un processo tutto immanente" (p. 357).
Il fascismo appare a Gobetti come la risultante politica dello stato morale del Paese, il frutto della sua crisi spirituale e sociale, un fenomeno intrinsecamente antipolitico, motivato da miti dogmatici e anacronistico; e Mussolini, "torbido condottiero di compagnie di ventura", per quanto "rozzo, povero d'idee e' riuscito talvolta, per la robustezza e disinvoltura, l'ostetrico della storia" (Uomini e idee, "La Rivoluzione liberale", 28 maggio 1922, ora in Scritti politici, cit., p. 360).
Il fascismo, quindi, gli conferma la necessita' che la cultura politica subisca un processo di educazione e di rivoluzione e che si attui una prassi in grado di riscattare il Paese da una "immaturita' politica" tale da richiedere "il duro sforzo di una precisa responsabilita' ideale" (Note di politica interna, "La Rivoluzione liberale", 30 luglio 1922, ora in Scritti politici, cit., p. 397).
Anche in questa netta posizione sul fascismo appare evidente come per Gobetti, liberale non schierato in un campo politico-partitico, solo l'assunzione integrale della liberta' (e della dialettica connessa) conferisce moralita' e rinnovamento alla lotta politica democratica. In una nozione ampia di liberta' egli comprende idee, fatti storici e uomini molto diversi ideologicamente tra loro. Tale posizione continua a essere oggi motivo di discussione, cosi' come la questione se egli possa realmente essere definito un liberale per i giudizi positivi espressi sulla Rivoluzione d'ottobre, pur essendo – e piu' volte lo dichiara – ne' comunista, ne' attratto dal comunismo. Il suo pensiero politico, tra i piu' originali del Novecento italiano, ha inoltre pervaso la disputa e le polemiche che si sono via via accese sull'esperienza del Partito d'azione e sul significato della 'cultura azionista'. Il fatto che, a tanti anni dalla morte, la figura e le idee di Gobetti accendano ancora vivaci dibattiti conferma quanto forte sia il suo radicamento nella storia politico-culturale italiana.
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Opere
La filosofia politica di Vittorio Alfieri, Torino 1923.
La frustra teatrale, Milano 1923.
La Rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Bologna 1924 (poi Torino 1948; poi con un saggio introduttivo di G. De Caro, Torino 1965; poi a cura di E. Alessandrone Perona, Torino 1983; poi con un saggio di P. Flores d'Arcais, Torino 1995; poi a cura di E. Sbardella, Roma 1988; poi con prefazione di A. Carioti, Milano 2011).
Paradosso dello spirito russo, e altri scritti sulla rivoluzione russa, Torino 1926.
Risorgimento senza eroi. Studi sul pensiero piemontese nel Risorgimento, Torino 1926.
Opera critica, 2 voll., Torino 1927.
Scritti attuali, prefazione di U. Calosso, Roma 1945.
Antologia della "Rivoluzione liberale", a cura di N. Valeri, Torino 1948.
Coscienza liberale e classe operaia, a cura di P. Spriano, Torino 1951.
Le riviste di Piero Gobetti, a cura di L. Basso, L. Anderlini, Milano 1961.
L'editore ideale. Frammenti autobiografici con iconografia, a cura e con prefazione di F. Antonicelli, Milano 1966.
Scritti politici, a cura di P. Spriano, Torino 1969.
Scritti storici, letterari e filosofici, a cura di P. Spriano, con due note di V. Strada e F. Venturi, Torino 1969.
Gobetti e "La Voce", a cura di G. Prezzolini, Firenze 1971.
Scritti di critica teatrale, a cura e con introduzione di G. Guazzotti, C. Gobetti, Torino 1974.
P. Gobetti, A. Gobetti, Nella tua breve esistenza. Lettere 1908-1926, a cura di E. Alessandrone Perona, Torino 1991.
Al nostro posto. Scritti politici da "La Rivoluzione liberale", con un saggio di L. Einaudi, a cura di P. Costa, A. Riscassi, Arezzo 1996.
Con animo di liberale. Piero Gobetti e i popolari. Carteggi 1918-1926, a cura di B. Gariglio, presentazione di G. De Rosa, Milano 1997.
Dizionario delle idee, a cura di S. Bucchi, Roma 1997.
Scritti sull'arte, a cura di M. De Benedictis, prefazione di R. Crovi, Torino 2000.
Carteggio 1918-1922, a cura di E. Alessandrone Perona, Torino 2003.
Lo scrittoio e il proscenio. Scritti letterari e teatrali, a cura di G. Davico Bonino, con uno scritto di C. Dionisotti, Nardo' 2010.
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Bibliografia
G. Carocci, Piero Gobetti nella storia del pensiero politico, "Belfagor", 1951, 2, pp. 130-48.
P. Bagnoli, Piero Gobetti: cultura e politica in un liberale del Novecento, prefazione di N. Bobbio, Firenze 1984.
U. Morra di Lavriano, Vita di Piero Gobetti, Torino 1984.
N. Bobbio, Italia fedele. Il mondo di Gobetti, Firenze 1986.
G. Spadolini, Gobetti. Un'idea dell'Italia, Milano 1993.
P. Bagnoli, Rosselli, Gobetti e la rivoluzione democratica. Uomini e idee tra liberalismo e socialismo, Scandicci 1996.
P. Bagnoli, Piero Gobetti: una sintesi etico-politica, in E.A. Albertoni, P. Bagnoli, Studi sull'elitismo, Milano 2001, pp. 19-50.
C. Malandrino, Gobetti Piero, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, LVII vol., Roma 2002, ad vocem.
P. Bagnoli, Il metodo della liberta'. Piero Gobetti tra eresia e rivoluzione, Reggio Emilia 2003.
P. Polito, Il liberalismo di Piero Gobetti, Torino 2007.
P. Bagnoli, L'uomo morale e la rivoluzione italiana. Una lettura nuova di Piero Gobetti, Ravenna 2009.
L'autunno delle liberta'. Lettere ad Ada in morte di Piero Gobetti, a cura di B. Gariglio, Torino 2009.
E. Vial, introduzione a P. Gobetti, Liberalisme et revolution antifasciste, ed. E. Vial, Paris 2010, pp. 12-102.
L'Archivio di Piero Gobetti. Tracce di una prodigiosa giovinezza, a cura di S. Barbalato, con contributi di C. Gobetti, E. Alessandrone Perona, M. Scavino, Milano 2010.

3. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...

... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.

4. RECENSIONI. ALBERTO CASTELLI: L'IMPEGNO PER LA PACE DI ALEXANDER LANGER
[Dal sito di "Azione nonviolenta" (www.azionenonviolenta.it) riprendiamo questa recensione di "Alberto Castelli, filosofo della politica e amico del Movimento Nonviolento, del libro "Quei ponti sulla Drina. Idee per un'Europa di pace" (a cura di Sabina Langer ed Edi Rabini, Infinito edizioni, 2020)"]

E' stata recentemente pubblicata una raccolta di scritti di Alexander Langer intitolata Quei ponti sulla Drina. Idee per un'Europa di pace (a cura di Sabina Langer ed Edi Rabini, Infinito edizioni, 2020). Il volume raccoglie alcune riflessioni di Langer, scritte tra il 1991 e il 1995, sulla situazione nei Balcani, sul nazionalismo e sull'integrazione europea. Comprende, inoltre, una prefazione di Paolo Bergamaschi, un'introduzione di Sabina Langer, una postfazione di Adriano Sofri e una breve nota autobiografica di Langer del 1986.
Nel volume si ritrova la passione, l'energia e la lungimiranza dell'impegno pacifista di Langer. In uno dei primi scritti che compongono il volume, intitolato Pace e ordine mondiale, per esempio, egli si schiera programmaticamente a favore di un movimento pacifista che sappia elaborare una strategia di lungo periodo e prevenire i conflitti, non solo mobilitarsi quando la violenza e' ormai scoppiata. Un simile pacifismo, secondo Langer, dovrebbe iniziare dalla lotta per ridimensionare la forza della sovranita' degli stati. Piu' precisamente, egli sostiene che l'obiettivo di un movimento pacifista efficace dovrebbe essere quello di rendere i confini statali permeabili al potere dell'opinione pubblica internazionale, soprattutto su questioni che riguardano ogni abitante del pianeta (come il rispetto dei diritti e l'ecologia). Questo ridimensionamento della sovranita' statale andrebbe sostenuto da autorita' giurisdizionali capaci di porre limiti effettivi agli stati, e di far rispettare le proprie decisioni attraverso la forza di una polizia internazionale.
Langer torna sul tema delle caratteristiche del pacifismo in un breve saggio del 1993 intitolato Pacifismo tifoso, pacifismo dogmatico, pacifismo concreto. Egli appare preoccupato che il pacifismo manchi di concretezza e si limiti a proporre un ideale astratto di armonia. Al contrario, a suo giudizio, il pacifismo dovrebbe essere fondato su una conoscenza precisa della realta' dei conflitti; tenere conto che la vita dei popoli e' complicata, che la forza non puo' esservi semplicemente espunta, e che ogni manicheismo e' fuori luogo. Il pacifismo concreto che Langer ha in mente, insomma, mira alla conciliazione e alla mediazione, non all'affermazione di dogmi ne' a urlare slogan vuoti.
Naturalmente, in questi scritti, Langer non si abbandona a facili speranze sulle possibilita' di un assetto internazionale pacifico e, anzi, e' consapevole dei pericoli che si profilano ben visibili all'orizzonte. Il pericolo maggiore – Langer ne parla in Il demone del nazionalismo del 1991 – e' che riemerga il nazionalismo, con i suoi corredi di fanatismo, xenofobia e perfino razzismo. Tale pericolo, a suo giudizio, non riguarda solo i Balcani, ma anche la stessa Europa che, malgrado il processo di integrazione in atto, fatica ancora a superare le logiche egoiste e a scegliere prospettive davvero lungimiranti. Il demone del nazionalismo, dunque, va combattuto nei Balcani, prima che si espanda al resto del continente. Per farlo, Langer propone di fermare le violenze con un intervento militare (di polizia internazionale); e contestualmente di favorire il dialogo politico tra le parti in lotta, e di aprire ai popoli della ex Jugoslavia la possibilita' concreta di integrarsi nell'Unione Europea, in modo che trovino una casa comune piu' grande delle loro contrapposizioni.
A partire dal 1994, l'attenzione di Langer si concentra sull'Europa. Ormai e' chiaro che nei Balcani il fallimento dei propositi di pace e' profondo, ed egli sembra cercarne le ragioni nella debolezza dell'Europa, nella sua incapacita' di diventare una vera forza di pace. Il tema e' discusso in Il ruolo dell'Europa nella crisi del Kosovo, del 1994, e piu' approfonditamente, in L'Europa muore o rinasce a Sarajevo del 1995. In questi saggi, Langer torna a denunciare la permanenza del nazionalismo, del "sacro egoismo" tra i paesi europei. Soprattutto, egli richiama l'attenzione sul fatto che l'Europa non e' stata in grado di offrire ai popoli balcanici la prospettiva dell'integrazione, dell'accoglienza; non e' stata in grado, insomma, di mettere in pratica i principi democratici e inclusivi che proclama.
Nella postfazione, Adriano Sofri scrive che leggere Quei ponti sulla Drina e' come ripercorrere una tragedia. Una doppia tragedia: quella di Langer e quella della ex Jugoslavia. Sappiamo, infatti, che Langer porra' fine alla sua vita il 3 luglio 1995; pochi giorni dopo (11 luglio 1995) il generale Mladic entrera' a Srebrenica. Non e' pero' in un suicidio, ne' nella strage di innocenti compiuta dall'ennesimo macellaio della storia che consiste la vera sconfitta del pacifismo di Langer. Essa, piuttosto, sta nel fatto che le sue idee per la pace (una polizia internazionale, corpi di pace per favorire il dialogo, un pacifismo concreto) sono state affossate o scippate a chi davvero aveva a cuore la buona sorte dei popoli da parte dei potenti della terra, e applicate nei Balcani in modo distorto. Ogni pratica volta a costruire il dialogo e le condizioni della pace e' stata lasciata cadere; e, soprattutto, alla forza di polizia internazionale immaginata da Langer si e' sostituita la violenza distruttiva dei bombardieri della Nato che, dopo quasi un decennio di guerre sanguinose, hanno soffocato le mire di Milosevic sul Kosovo in un ulteriore bagno di sangue innocente.
La storia ha replicato molto duramente agli sforzi di Langer per la pace e di certo non c'e' da stupirsene, perche' da sempre proprio simili repliche sono riservate a chi si oppone alla brutalita' del secolo. Bisogna saperlo (e di sicuro Langer lo sapeva) e, nonostante tutto, continuare nell'impegno. Alla fine degli anni '70, Norberto Bobbio proponeva l'immagine del gigantesco e infernale meccanismo della guerra. Un meccanismo che non si ferma facilmente, ma contro il quale non si puo' rinunciare a sollevare della polvere nella speranza che un granello si infili nei suoi meandri e lo fermi. Questo ha fatto Langer e questo e' il compito che spetta a chiunque abbia a cuore la civilta'.

5. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Martin Luther King: Un dono d'amore. Sermoni da "La forza di amare" e altri discorsi, Terra Santa, Milano 2018, pp. 320, euro 18.
*
Maestre
- Vandana Shiva, Dalla parte degli ultimi. Una vita per i diritti dei contadini, Slow Food, Bra 2007, pp. 128, euro 13,50.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4120 del 30 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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