[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 94



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 94 del 27 maggio 2021

In questo numero:
1. Aurelio Musi: Storiografia gramsciana
2. Maurizio Torrini: Guido De Ruggiero

1. STORIA. AURELIO MUSI: STORIOGRAFIA GRAMSCIANA
[Da Il Contributo italiano alla storia del pensiero – Storia e Politica (2013) nel sito www.treccani.it]

Il concetto di storiografia gramsciana e' complesso per tre ordini di motivi. In pratica tutti gli storici marxisti italiani, in particolare coloro che hanno organicamente aderito al Partito comunista italiano (PCI), hanno fatto i conti, prima, con l'edizione togliattiana dei Quaderni (6 voll., 1948-1951), poi con l'edizione critica dell'Istituto Gramsci, curata da Valentino Gerratana (3 voll., 1975). In secondo luogo, tra gli storici marxisti vi sono stati coloro che hanno fatto propria integralmente, anche per loro stessa ammissione, la prospettiva gramsciana, e altri che l'hanno integrata in quadri piu' ampi di riferimento e di ispirazione, anche in relazione al loro percorso biografico e culturale. Infine, non sono mancati intellettuali che hanno assunto il pensiero storico di Antonio Gramsci come un insieme di concettualizzazioni assai schematiche, a volte fraintendendone completamente le caratteristiche di fondo.
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Centri di elaborazione storiografica e iniziative culturali di ispirazione gramsciana
Forse e' il caso di partire, per maggiore chiarezza, dalle riviste di ispirazione marxista che hanno costituito veri centri di cultura e di elaborazione storiografica in Italia dagli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale fino al 1989, anno della crisi dei regimi comunisti in Europa.
La prima rivista da prendere in considerazione e' "Societa'", nata per iniziativa di un gruppo di intellettuali fiorentini (Ranuccio Bianchi Bandinelli, Romano Bilenchi, Marta Chiesi, Maria Bianca Gallinaro, Cesare Luporini) nel 1945. La sua esperienza dura diciassette anni e ha come direttori in fasi diverse Luporini, Carlo Muscetta e Gastone Manacorda. La scoperta di Gramsci nella rivista risale ai primi anni Cinquanta, dopo la pubblicazione dei Quaderni, ed e' organicamente precisata in un articolo di Manacorda del 1954 dal titolo Gramsci e l'unita' della cultura. Si presti in particolare attenzione a questo passo tipicamente gramsciano: "La nuova cultura eredita da tutta la storia italiana e dai gruppi in essa storicamente dominanti, meriti e colpe, pregi e difetti: la nuova forza egemone, solo possedendo una piena coscienza del passato, che e' anche suo perche' e' anche presente, potra' adempiere consapevolmente al suo compito".
La rivista vuole valorizzare integralmente la lezione gramsciana del rapporto tra struttura e sovrastruttura, contro ogni determinismo semplicistico e la tendenza a rinviare le questioni della cultura a un momento successivo alla risoluzione dei problemi sia politici sia strutturali.
Altra rivista importante e' "Cronache meridionali". fondata nel 1954 da Mario Alicata, Giorgio Amendola e Francesco De Martino, e chiusa nel 1964. Nella rivista l'affermazione del primato della conoscenza storica nel patrimonio culturale del movimento operaio e' ribadita anche come chiave di lettura dei Quaderni di Gramsci. Egli rappresenta la mediazione teorica per nuovi contenuti e il rinnovamento metodologico della storiografia sul Mezzogiorno. E all'interpretazione gramsciana del Risorgimento e del rapporto Nord-Sud puo' essere ricondotta l'organica pubblicazione sulle pagine della rivista dei classici del meridionalismo. Ancora piu' diretta e' l'influenza di Gramsci sui primi anni di "Studi storici", la rivista dell'Istituto Gramsci.
Due iniziative editoriali di notevole respiro sono in qualche modo collegate al Gramsci storico: la prima risale agli anni Settanta, la Storia d'Italia Einaudi, diretta da Ruggiero Romano e Corrado Vivanti; la seconda e' degli anni Ottanta, la Storia della societa' italiana dell'editore Teti che pubblica anche la rivista comunista "Il calendario del popolo". Nel primo caso l'ispirazione gramsciana e' indiretta, discontinua, si percepisce molto in alcuni saggi, poco in altri; e' integrata in un insieme di riferimenti che vanno dagli orientamenti francesi delle "Annales", al primato delle scienze sociali e politiche nella storiografia angloamericana, al revisionismo crociano. Nella Storia della societa' italiana, diretta da Giovanni Cherubini, Franco Della Peruta, Ettore Lepore, Giorgio Mori, Giuliano Procacci e Rosario Villari, l'ispirazione gramsciana e' assai piu' diretta come si puo' evincere dallo stesso piano dell'opera che sembra riprodurre la periodizzazione di Gramsci: societa' comunale e policentrismo, Rinascimento, un'epoca di transizione, il blocco storico nell'Italia unita.
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Storici gramsciani
In Italia la figura di Gramsci storico e' immediatamente associabile a Emilio Sereni (1907-1977). Antifascista, membro autorevole del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI), nel Comitato centrale del PCI dal 1946 al 1975, senatore, due volte ministro con Alcide De Gasperi, direttore della rivista "Critica marxista", Sereni fu uno dei massimi responsabili della politica culturale del PCI nel secondo dopoguerra e del modo di concepire il rapporto con gli intellettuali vicini al partito. Proprio in quest'ottica, insieme con Palmiro Togliatti, egli contribui' a divulgare gli scritti di Gramsci e a orientarne l'interpretazione della storia italiana. In particolare, la questione contadina, l'idea del Risorgimento come "rivoluzione agraria mancata", la visione strategica dell'alleanza tra classe operaia del Nord e contadini del Sud furono alcuni dei capisaldi della lettura gramsciana di Sereni, che divenne l'interlocutore polemico privilegiato di Rosario Romeo e dei suoi scritti della fine degli anni Cinquanta, poi raccolti nel volume Risorgimento e capitalismo (1959).
Personalita' sui generis, poliglotta, autore di piu' di mille scritti, dirigente politico ma, al tempo stesso, intellettuale finissimo, dotato di una vivacita' culturale unica, non piu' riscontrabile in altri uomini politici del PCI, Sereni fu anche assai attento al profilo teorico del pensiero di Gramsci, in particolare al ruolo delle sovrastrutture e al concetto di formazione economico-sociale. Tra le sue opere piu' importanti Il capitalismo nelle campagne, 1860-1900 (1947), Storia del paesaggio agrario italiano (1961), Capitalismo e mercato nazionale in Italia (1966).
Autore della monumentale Storia dell'Italia moderna in undici volumi e' Giorgio Candeloro (1909-1988). Prese parte alla Resistenza dopo l'8 settembre del 1943, insegno' presso le Universita' di Catania e di Pisa. La sua opera principale, che occupo' l’autore dal 1955 al 1986, analizza il periodo 1700-1950 e trae da Gramsci la sua ispirazione principale, come Candeloro stesso riferisce nella prefazione all'ultimo volume della Storia dell'Italia moderna: "Credo di essere uno studioso e uno scrittore di storia e mi sento marxista e gramsciano come mi sento illuminista per quel tanto che l'illuminismo e il marxismo possono servire per capire la storia dal punto di osservazione di chi vive ormai sul finire del secolo ventesimo".
Segnata dalla partecipazione alla Resistenza e da un'intensa attivita' politica nel Partito comunista, e' anche la biografia di Paolo Spriano (1925-1988). Egli fu partigiano combattente nelle brigate di Giustizia e liberta'. Iscrittosi al Partito comunista nel 1946, fu redattore de "L’Unita'". Insegno' nell'Universita' di Cagliari e all'Universita' di Roma. Nel 1956 visse, come altri intellettuali comunisti, il dramma per l'intervento sovietico in Ungheria, firmando l'appello dei 101 intellettuali comunisti, ma senza lasciare il PCI. I suoi primi lavori di storia furono dedicati al proletariato torinese e al biennio rosso. Reco' contributi di primo piano alla conoscenza del Gramsci politico e giornalista e all'analisi del suo rapporto con Piero Gobetti.
Dall'incontro tra politica e storiografia nacque la sua opera maggiore, la Storia del partito comunista italiano (5 voll., 1967-1975), prima ricostruzione sistematica della storia del PCI dalla fondazione al 1945, condotta su un'accurata indagine archivistica e con apertura metodologica. Le sue opere successive furono dedicate al rapporto tra comunismo italiano e Unione Sovietica: su questo tema scrisse Gramsci in carcere e il partito (1977), che, con equilibrio, affronta uno dei nodi piu' intricati della storia del Partito comunista.
Altra biografia segnata dalla Resistenza nel Bellunese, nelle brigate partigiane di Giustizia e liberta', e' quella di Giuliano Procacci (1926-2008). La sua formazione di storico fu assai ricca e diversificata: allievo di Carlo Morandi a Firenze e di Federico Chabod all'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, svolse ricerche in Francia presso il Centre national de la recherche scientifique, a Milano presso la Fondazione Feltrinelli, a Roma presso l'Istituto storico italiano per l'eta' moderna e contemporanea. Insegno' nelle Universita' di Cagliari, Firenze e Roma. Questo percorso intellettuale spiega i molteplici interessi di Procacci che spaziarono, fra storia moderna e contemporanea, dalla fortuna europea di Niccolo' Machiavelli, alla Francia del XVI sec., al movimento operaio italiano, al socialismo e al comunismo internazionale.
La pubblicazione nel 1968 della Storia degli italiani, l'opera piu' nota di Procacci, fu un evento editoriale di notevole impatto per piu' motivi: per l'anno in cui vide la luce, caratterizzato dal protagonismo delle lotte operaie e studentesche; per la prospettiva adottata dall'autore nel delineare un profilo unitario della storia della penisola; per il modo personale e originale di tradurre nel volume l'ispirazione gramsciana. La Storia degli italiani parte dall'anno Mille e, secondo l'interpretazione gramsciana, attribuisce al cosmopolitismo degli intellettuali, al carattere corporativo della borghesia comunale e all'assenza di cultura nazional-popolare sia lo stato di divisione politica dell'Italia tra Medioevo e prima eta' moderna sia i problemi e le contraddizioni successive. Ma nell'opera di Procacci, che era nata per un pubblico francese, si avverte anche l'influenza della 'nuova storia' delle "Annales" con aperture alla cultura materiale, alle scienze sociali e politiche, alla storia delle mentalita'. Gramsciana e', in certo senso, anche una delle ultime opere di Procacci, Carte d'identita'. Revisionismi, nazionalismi e fondamentalismi nei manuali di storia (2005), che analizza i programmi scolastici di storia in Paesi europei ed extraeuropei secondo la sensibilita' dello storico sardo per le strutture educative e gli apparati ideologici di Stato.
Quasi coetaneo di Procacci e' stato Franco Della Peruta (1924-2012), storico del Risorgimento nell'Universita' statale di Milano, autore di volumi che hanno riguardato soprattutto il contributo della sinistra, nelle sue varie componenti (democratiche, radicali, socialiste, anarchiche), al Risorgimento. Tra le sue opere piu' importanti: Democrazia e socialismo nel Risorgimento (1965), Conservatori, liberali e democratici nel Risorgimento (1989), Realta' e mito nell'Italia dell'Ottocento (1996), L'Italia del Risorgimento. Problemi, momenti e figure (1997), I democratici e la rivoluzione italiana. Dibattiti ideali e contrasti politici all'indomani del 1848 (2004), Societa' e classi popolari nell'Italia dell'800 (2005). Fu lo stesso Della Peruta, in un'intervista a Gianluca Albergoni (pubblicata su "Il Manifesto" del 6 gennaio 2011) a precisare il suo rapporto con Gramsci dichiarando: "Negli anni del secondo dopoguerra si impose la prospettiva analitica di Antonio Gramsci, le cui riflessioni hanno molto giovato alla storiografia, perche' diedero grande impulso agli studi sul Risorgimento, che per l'appunto beneficio' di un rinnovato interesse, impregnato di passione politica".
Della Peruta distingue poi nella prospettiva gramsciana il contributo politico da quello strettamente storiografico, che puo' risultare anche anacronistico: "Si trattava di rintracciare l'origine dei movimenti popolari dell'Italia immediatamente post-risorgimentale, dai movimenti bracciantili degli anni '80 alla nascita del movimento socialista. E poi non va dimenticato che il problema del coinvolgimento delle masse contadine era stato teorizzato da una parte minoritaria dei patrioti, penso in particolare a Pisacane. Che magari avra' commesso degli errori, sara' pure stato velleitario, ma il problema – pur se in termini utopistici – certamente se l'era posto. Aveva, credo, sopravvalutato il potenziale rivoluzionario delle masse contadine, ancora largamente sottoposte all'autorita' morale del clero e non meno fortemente influenzate dal paternalismo dei proprietari terrieri".
Lo storico non ebbe dubbi sul fatto che il Risorgimento fosse stato un fenomeno di masse urbane in un'Italia ancora largamente rurale. Quanto all'interpretazione complessiva, Della Peruta conservo' nei suoi lavori i termini principali della prospettiva gramsciana: il contributo rilevante dei democratici non smentisce la capacita' di direzione politica dei moderati e la sconfitta del Partito d'azione.
A differenza degli storici fin qui considerati, Gastone Manacorda (1916- 2001) ebbe una biografia politica assai piu' travagliata. Negli anni Trenta condivise la prospettiva fascista dell'impero: credette nella guerra d'Etiopia come legittima contrapposizione all'imperialismo delle altre nazioni, secondo sue stesse dichiarazioni. Fu con la guerra di Spagna che Manacorda si avvicino' all'antifascismo stabilendo rapporti di amicizia con Mario Alicata, Carlo Muscetta, Carlo Salinari, Antonello Trombadori, Giuliano Briganti. Ancora Manacorda sottolineo' come fosse importante per lui capire il fascismo attraverso l'analisi della storia del Risorgimento e dell'Italia liberale. Partecipo' quindi alla Resistenza come membro della direzione politico-militare della quarta zona.
Dopo la guerra, Manacorda fu una delle personalita' piu' importanti della politica culturale del Partito comunista italiano. Direttore delle edizioni Rinascita, fu, come gia' scritto, direttore di "Societa'" dal 1950, nel 1954 membro del comitato direttivo dell'Istituto Gramsci: si caratterizzo' sempre per una particolare vocazione all'autonomia e alla critica, come dimostrato dai suoi interventi sulla rivista "Societa'" e al Gramsci. Nel 1956 non firmo' l'appello degli intellettuali, ma espresse la propria adesione, accusando Alicata di "reticenza" nel campo della cultura e rivendicando i "diritti della liberta' della ricerca". Proprio in questa occasione lo storico romano si richiamo' a Gramsci per sottolineare la condizione di autonomia e non subalternita' della ricerca. Nel 1958, al Convegno di studi gramsciani, fu tra i primi a porre l'esigenza di una nuova edizione dei Quaderni del carcere piu' fedele all'ordine cronologico di composizione. Manacorda, insieme con Ernesto Ragionieri, Giuliano Procacci, Rosario Villari e Renato Zangheri, fu tra i fondatori della rivista "Studi storici", che doveva al tempo stesso reagire agli eccessi ideologici del dopoguerra ma non considerarsi neutrale e rilanciare l'ispirazione gramsciana. Diresse la rivista dal 1964 al 1966. Dopo primi studi di storia economica, Manacorda, che aveva insegnato a Napoli e a Roma, si dedico' prevalentemente alla storia del socialismo italiano.
Nella sua biografia intellettuale si avverte l'influenza del Gramsci storico del Risorgimento ma, soprattutto, della riflessione del dirigente politico sardo sui rapporti fra struttura e sovrastruttura e sulla relativa autonomia della seconda rispetto alla prima. Solo cosi' Manacorda ha potuto far convivere la sua adesione al partito comunista con una visione dell'intellettuale non organico, ma critico portatore di materiali, secondo una prospettiva che molto aveva influito nei primi anni dell'esperienza di "Societa'" e che derivava dal pensiero e dall'insegnamento di Delio Cantimori, decisivi nella formazione di Manacorda. Dalla contrapposizione fra due modi di intendere l'intellettuale – organico o specialista – fu originata gran parte dei conflitti e delle incomprensioni che opposero Manacorda ai responsabili della politica culturale del PCI.
Ernesto Ragionieri (1926-1975) uni' l'attivita' accademica, come professore di storia del Risorgimento e storia contemporanea a Firenze, all'attivita' politica come consigliere al Comune di Firenze, membro del Comitato centrale del PCI, e all'attivita' culturale come condirettore di "Studi storici". I suoi studi furono dedicati in prevalenza alla storia del marxismo, alla storia politica e sociale dell'Italia unita, alla cura delle opere di Togliatti. Forse lo scritto piu' compiuto e organico per analizzare i rapporti fra Ragionieri e Gramsci e' l'ultimo, quello dedicato alla storia politica e sociale tra Otto e Novecento, pubblicato nel IV vol. della Storia d'Italia Einaudi. Il punto di partenza di questo saggio riprende la sequenza di domande poste da Gramsci sullo Stato italiano in un articolo apparso su "L'Ordine nuovo" il 7 febbraio 1920: quali sono state le forze economiche e politiche alla base dello Stato italiano? C'e' stato un processo di sviluppo? Quale posto occupa l'Italia nel mondo capitalistico? La guerra imperialistica ha prodotto forze nuove? E che direzione prenderanno le attuali linee di forza della societa' italiana? Ragionieri ritenne che non fossero state date ancora risposte esaurienti alle domande di Gramsci e presento' la sua tesi di fondo: "Cio' che rappresenta l'autentico strappo che il Risorgimento apporta nella storia plurisecolare d'Italia e costituisce, al tempo stesso, la misura piu' autentica dell'incidenza della storia del nostro paese sulla storia universale, e di questa su quella, e' proprio la nascita e la costruzione di uno Stato unitario che, per la prima volta nell'eta' moderna, racchiude nei propri confini, sotto un'unica sovranita' e sotto una stessa legislazione, tutto o quasi tutto il territorio del paese chiamato Italia" (1976, p. 1667).
I momenti cruciali della ricostruzione di Ragionieri si avvalgono del contributo di riflessione dei Quaderni, dei quali lo storico toscano condivise quasi integralmente le posizioni. Si prenda, per es., la nascita del Partito socialista italiano (PSI) e l'elemento di novita' che rappresento' nella storia d'Italia: la funzione unificante di un popolo e di un territorio disperso. Ragionieri cita e condivide un articolo di Gramsci per il "Grido del popolo" del 22 settembre 1917: "Il popolo italiano cinquanta anni fa non esisteva, era solo un'espressione retorica [...] Si e' organizzato, si e' imposta una disciplina, perche' nel suo cuore, nel suo cervello un sentimento nuovo, un'idea nuova era sorta. L'Italia e' diventata un'unita' politica perche' una parte del suo popolo si e' unificata intorno ad un'idea, ad un programma unico. Quest'idea, questo programma unico l'ha dato il socialismo, solo il socialismo" (1976, p. 1786).
A volte Ragionieri coglie uno spunto, un suggerimento di Gramsci per argomentarlo e arricchirlo: cosi' e' a proposito della svolta politica giolittiana: "Cio' che interessa non e' tanto discutere se e a quando si possa retrodatare il momento in cui Giolitti cambia di spalla al suo fucile, per adoperare la nota espressione di Gramsci, che fisso' quel momento al 1913. Il problema vero consiste piuttosto nel determinare che cosa rappresentassero, per restare nell'ambito dell'immagine gramsciana, il fucile e le due spalle nella strategia politica giolittiana; il che equivale, in buona sostanza, a cercare di definire in che cosa fosse effettivamente consistita la svolta giolittiana, se e come avesse esteso le basi di consenso allo Stato unitario, per attrezzarlo, mediante il superamento di tare originarie, al confronto tra le potenze che si stava ormai aprendo nel mondo" (1976, p. 1897).
Ed e' ancora al giudizio di Gramsci sulle elezioni del 1913 come "momento di vita intensamente collettiva" che si richiama Ragionieri per denunciarne il mancato approfondimento. Il metodo di approccio a classici giudizi storiografici e' sempre lo stesso: richiamarli per parzialmente accoglierli nella sostanza, ma per poi approfondirli e andare oltre. Cosi' e' per le definizioni della 'settimana rossa': "rivoluzione senza programma" per Salvemini, "tipico movimento mussoliniano" per Gramsci, che mette in evidenza il rapporto con gli orientamenti affermatisi nel PSI dopo il 1912. Per Ragionieri, "la Settimana Rossa rappresento' insieme il punto piu' alto e la fine di un'intera stagione del sovversivismo in Italia, lasciando il passo a nuove forme di lotta cui le trasformazioni portate dalla grande guerra nel tessuto sociale del paese avrebbero fornito le basi oggettive" (1976, pp. 1971-72).
Sugli intellettuali di fronte alla Prima guerra mondiale, lo storico toscano ne argomenta il fallimento, riprendendo integralmente il giudizio di Gramsci dei Quaderni, in linea, a sua volta, con quello di Croce: gli intellettuali hanno dimenticato che "devono essere governanti e non governati, costruttori di ideologie per governare gli altri e non ciarlatani che si lasciano mordere e avvelenare dalle proprie vipere" (1976, p. 2038). Infine, Ragionieri attribuisce a Gramsci la comprensione piena del ruolo straordinario svolto da Gobetti: "egli seppe introdurre tra gli intellettuali italiani, in un momento in cui tutte le frazioni della classe dominante si raccoglievano intorno al fascismo, la tendenza a comprendere che erano essenzialmente nazionali e portatrici dell'avvenire due forze sociali: il proletariato e i contadini" (1976, p. 2159, in corsivo le parole di Gramsci).
Elio Conti (1925-1986) fu allievo di Carlo Morandi a Firenze e assistente volontario di Gaetano Salvemini. Dal 1958 all'Istituto storico italiano per il Medioevo, ricopri' la cattedra di storia al Magistero di Firenze. Il suo progetto sulla storia fiorentina, teso a identificarne le basi socioeconomiche come paradigmatiche della piu' generale storia dell'Italia moderna, ebbe Gramsci tra i suoi maggiori ispiratori. Negli anni Sessanta Conti si dedico' alla pubblicazione dei volumi sui catasti agrari fiorentini.
Franco De Felice (1937-1997) fu tra i fondatori dell'Istituto Gramsci di Puglia. Egli insegno' storia contemporanea a Bari e a Roma. Il suo primo lavoro su Gramsci fu l'Introduzione alla Questione meridionale del 1966. In seguito pubblico' Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia, 1919-1920 (1971).
E' possibile, in conclusione, identificare alcuni elementi di analogia e di differenza fra i percorsi intellettuali, che non esauriscono la storiografia gramsciana in Italia, ma sono abbastanza rappresentativi. Il nesso tra politica e cultura e' quasi sempre strettissimo: la militanza prima nella Resistenza poi nel PCI e' un tratto comune alle biografie prese in considerazione. Sulla scia di Gramsci il primato della storia politica e' indiscusso, anche se, a partire dagli anni Sessanta, le scienze sociali e politiche entrano con prepotenza negli orientamenti e nei metodi storiografici. I Quaderni del carcere e altri scritti di Gramsci costituiscono una guida sicura per comprendere i problemi della storia italiana, anche se diversi sono i criteri e i metodi di approccio all'opera del sardo. Infine le oscillazioni che spesso si avvertono nel modo di intendere la funzione dell'intellettuale – organico o specialista – sono probabilmente insite nello stesso percorso dei Quaderni.
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Bibliografia
G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, 11 voll., Milano 1956-1986.
P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, 5 voll., Torino 1967-1975.
G. Procacci, Storia degli italiani, Roma-Bari 1968.
E. Ragionieri, La storia politica e sociale, in Storia d'Italia Einaudi, IV vol., Dall'Unita' a oggi, t. 3, Torino 1976.
P. Spriano, Gramsci in carcere e il partito, Roma 1977.
P. Alatri, Le occasioni della storia, Roma 1990.
G. Manacorda, Il movimento reale e la coscienza inquieta. L'Italia liberale e il socialismo e altri scritti tra storia e memoria, a cura di C. Natoli, L. Rapone, B. Tobia, Milano 1992.
A. Musi, Bandiere di carta. Intellettuali e partiti in tre riviste del dopoguerra, Cava de' Tirreni 1996.
"Studi storici", 2003, 44, 3-4, nr. monografico: Gastone Manacorda: storia e politica.
A. Vittoria, Manacorda Gastone, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, LXVIII vol., Roma 2007, ad vocem.
G. Albergoni, Sul Risorgimento, conversazione con Franco della Peruta, "Il Manifesto", 6 gennaio 2011, p. 11.

2. MAESTRI. MAURIZIO TORRINI: GUIDO DE RUGGIERO
[Da Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Storia e Politica (2013) nel sito www.treccani.it]

Storia della filosofia e Storia del liberalismo europeo sono le due opere cui e' legato il nome di Guido De Ruggiero, con filosofia e politica non sempre in lui conciliate. La precoce adesione all'idealismo, piu' gentiliano che crociano, lo spinse a tentare un grande affresco della cultura filosofica che avrebbe dovuto autenticarne il percorso. Sia stato per lo spazio di tempo intercorso tra l'avvio e la conclusione dell'opera – trent'anni – sia stato per la revisione della propria posizione teoretica, quell'opera gli si venne sbriciolando tra le mani. Pubblicata nel 1925, la sua Storia del liberalismo europeo fu invece un invito a resistere, un messaggio rivolto alle generazioni future, personificate nella dedica al figlio neonato, per riprendere, rinnovandolo, il cammino interrotto. Divenne cosi' uno dei testi piu' significativi dell'opposizione culturale al fascismo, e oggi un capitolo imprescindibile per capire quale fu quell'Italia.
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La vita
Ventiquattrenne, Guido De Ruggiero usci' alla ribalta nazionale con La filosofia contemporanea, pubblicata nella Biblioteca di cultura moderna di Laterza nel 1912, largamente ispirata e voluta da Benedetto Croce. Questi, inviandone il manoscritto all'editore, garantiva un "lavoro eccellente", per poi congratularsi con l'autore per aver "fatto un libro quale io lo vagheggiavo: interiorizzato, quintessenziale, epigrammatico". De Ruggiero era nato a Napoli il 23 marzo 1888, quartogenito di una famiglia borghese. La laurea in legge (1910) non ne aveva spenta la passione per la filosofia, alimentata appunto dalla frequentazione di Croce e della sua biblioteca, dov'era stato introdotto dallo zio, l'archeologo Ettore De Ruggiero. Giovanissimo aveva iniziato a collaborare a riviste e a giornali, mentre, sposatosi con Anna Breglia (1913), entrava nei ruoli dell'amministrazione del ministero della Pubblica Istruzione.
Ancora attraverso Croce entro' in contatto con Giovanni Gentile, del quale si proclamo' presto "scolaro", e con Adolfo Omodeo rappresento' l'ala piu' irrequieta e creativa dell'attualismo. Sempre nel 1912 aveva curato l'edizione delle Opere varie di Gottfried Wilhelm von Leibniz nella prestigiosa collana dei Classici della filosofia moderna, sempre di Laterza. All'attivita' filosofica e piu' latamente culturale De Ruggiero comincio' presto ad affiancare quella politica che lo vide legato soprattutto a "Il resto del Carlino" di Mario Missiroli, per il quale fu anche corrispondente da Londra. Un'attivita' che ando' intensificandosi negli anni prossimi alla Prima guerra mondiale, mentre andava gia' disegnando l'opera della sua vita, quella Storia della filosofia, il cui primo volume, La filosofia greca (1918), lo vide correggere le bozze al fronte. Nel dopoguerra la sua intensa attivita' politica e culturale fu in parte raccolta ne Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX (1922), o originalmente rimeditata ne L'impero britannico dopo la guerra (1921), che costituisce la premessa del suo libro piu' significativo La storia del liberalismo europeo (1925).
La ferma opposizione al fascismo, l'adesione al manifesto Croce, la partecipazione ad altre iniziative antifasciste, sancirono nel 1925 la sua rottura con Gentile. Intanto, dopo La filosofia del Cristianesimo (1920), con cui proseguiva la sua Storia della filosofia, De Ruggiero aveva potuto lasciare il poco amato impiego ministeriale per quello desiderato di professore universitario a Messina (1922) e poi al Magistero di Roma (1925), come docente di storia della filosofia.
Spenta ogni possibilita' di libero dibattito politico, si dedico' con alacrita' a completare la Storia con il Rinascimento, Riforma e Controriforma (1930), L'eta' cartesiana (1933), L'eta' dell'illuminismo (1938), Da Vico a Kant (1940), mentre nel 1927 aveva ripreso la collaborazione a "La critica", interrotta nel 1915 per la sua diversa collocazione, rispetto a Croce, sull'intervento dell'Italia in guerra. Collaborazione che sarebbe divenuta meno intensa nel 1938 per un intreccio di dissensi politici e culturali, ma che entrambi non resero esplicita. Dai saggi pubblicati su "La critica" aveva tratto Filosofi del Novecento (1934), che voleva essere un aggiornamento della Filosofia contemporanea di vent'anni prima, dedicato in modo particolare al pensiero europeo del dopoguerra, a cui avrebbe poi aggiunto un capitolo, L'esistenzialismo (1942), successivamente compreso nella seconda edizione (dello stesso anno), insieme a un'appendice sulla psicoanalisi, entrambe aspramente polemiche.
Netta ed esemplare fu la sua opposizione al fascismo: non collaboro' neppure a una delle iniziative culturali variamente articolate, dalla Enciclopedia Italiana a "Primato", mentre sia il giuramento imposto ai professori universitari (1931), sia la tessera del Partito fascista (1940), obbligatoria in quanto ex combattente, appaiono davvero incarnazioni della crociana "dissimulazione onesta". Cosi', quando gli parve d'intravedere nel muro compatto del regime qualche screpolatura, presento' (1941) la seconda edizione della Storia del liberalismo europeo, con le dovute autorizzazioni. Solo un anno dopo "Il popolo d'Italia" si accorse che quel testo, che ando' presto esaurito, non era una semplice storia, ma conservava intatto il suo messaggio politico. Rifiutato l'invito del ministro dell'Educazione nazionale, Giuseppe Bottai, a modificare il suo libro, il I agosto 1942 De Ruggiero fu destituito dall'insegnamento.
Nei mesi che precedettero il crollo del regime De Ruggiero prese iniziative politiche ed entro' in contatto con quel movimento che la polizia fascista bollo' come "liberalsocialista", fase che culmino' con il suo arresto nel giugno del 1943. Liberato dopo il 25 luglio, la sua attivita' riprese intensa nei pochi giorni avanti l'8 settembre, e lo porto' a collaborare con il governo Badoglio in nome della gravita' della situazione del Paese. Da qui la sua nomina a rettore dell'Universita' di Roma e a commissario della Confederazione professionisti e artisti. Scampato, dandosi alla clandestinita', alla repressione nazifascista, nel giugno del 1944 fu designato dal Partito d'azione ministro della Pubblica Istruzione del governo Bonomi, succedendo a Omodeo.
Pochi mesi dopo, lasciato il governo, De Ruggiero torno' ad occuparsi del suo tema, i rapporti fra politica e cultura, sulle colonne del settimanale "La nuova Europa", diretto da Luigi Salvatorelli, una pubblicazione da lui vagheggiata con Mario Vinciguerra e altri sodali gia' prima del crollo del regime. Ne Il ritorno alla ragione (1946) raccolse i saggi piu' significativi pubblicati sulla rivista, tratteggiando un bilancio non solo delle vicende del Paese, ma della propria attivita', ora che gli sembrava giunto il momento di congedarsi dall'impegno diretto, dopo le amare vicende del Partito d'azione. Nel 1947 con Hegel metteva fine alla sua grande Storia della filosofia (nel 1943 era intanto uscita l'Eta' del Romanticismo). I suoi ultimi anni – sarebbe morto improvvisamente il 29 dicembre 1948 – furono dedicati a quella che lui stesso defini' l'"Internazionale della cultura", alla ripresa dei rapporti culturali tra i Paesi usciti dalla guerra, fermamente convinto che da li', dalla cultura, sarebbero potute ripartire la convivenza e la pace. Fu il primo presidente dell'Associazione Italia-URSS.
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Il liberalismo
"Un capitolo importante della resistenza degli 'intellettuali' e della vita culturale fra il 1925 e il 1940". In questi termini Eugenio Garin si accingeva a ripresentare ai lettori la Storia del liberalismo europeo (1962) a quasi quarant'anni dalla prima edizione (1925) nella popolare collana dell'Universale economica di Feltrinelli, ristampata ancora nel 1971. Scritta in meno di un anno, ma frutto di anni di studio, ("quattro", precisava De Ruggiero a Croce), preceduta da L'impero britannico dopo la guerra, la Storia del liberalismo europeo rappresento', prima del lungo inverno del regime fascista, il congedo dell'autore dall'impegnata attivita' giornalistica e insieme il tentativo di porre un fondamento della ripresa futura. Questo spiega il carattere del libro diviso in due parti: una, la parte storica, dedicata alla nascita del liberalismo nelle varie nazioni europee all'indomani della Rivoluzione francese; la seconda, la parte teorica, tesa a delineare i rapporti del liberalismo con i vari problemi e le ideologie concorrenti e contrastanti. Una lunga introduzione dalla fine del Medioevo alla restaurazione ne tratteggiava la preparazione e gli antecedenti.
Si e' detto del precedente volume dedicato quattro anni prima all'Inghilterra, frutto di un soggiorno londinese come corrispondente de "Il resto del Carlino". Opera di storia, non di giornalismo, precisava pero' subito De Ruggiero, ispirata dal contrasto tra l'atteggiamento dei liberali inglesi e di quelli italiani, all'indomani della fine della guerra. Gia' allora gli pareva perduta, da un punto di vista politico, la battaglia liberale in Italia, da quando l'inevitabile "andare incontro ai tempi" del dopoguerra si trasformo' nell'alternante guardare ora al movimento socialista, ora addirittura al fascismo. Con cio' il liberalismo abbandonava il fatto di essere stato prima di tutto un movimento che combatteva i privilegi, che affermava la "propria universalita', la propria attitudine a includere, ad assorbire in se' [...] tutte le forze sociali" (L'impero britannico dopo la guerra, 1921, p. 11). Defunto nella politica, il liberalismo poteva tuttavia vivere nelle coscienze, resuscitare in avvenire. Si trattava per De Ruggiero di fare opera di educazione morale per mostrare "tutto il valore rivoluzionario" della "magica parola 'liberta'', quando non e' soltanto una parola, ma vita, articolazione di pensiero, novita' di spirito, nel considerare gli avvenimenti umani" (p. 13). Non piu' identificabile in un partito, il liberalismo deve caratterizzarsi per un'educazione politica libera e spregiudicata.
Nel 1922 De Ruggiero era ritornato sul tema, pubblicando sulla "Rivoluzione liberale" di Piero Gobetti (e anzi attirandosi una sua precisazione) I presupposti economici del liberalismo. Figlio della rivoluzione industriale, il liberalismo aveva trovato in Inghilterra il terreno ideale di crescita. Individualismo, antistatalismo, liberismo erano state le caratteristiche di quel movimento, il quale, tuttavia, una volta giunto al potere rivide, anche profondamente, quei principi. La nascita del grandi trust, l'accaparramento delle merci, l'espansione commerciale, la crescente pressione delle masse operaie hanno paradossalmente impresso nuova forza a quello Stato che proprio il liberalismo delle origini aveva considerato un ostacolo da abbattere, conferendogli nuova forza e compiti piu' vasti. Il trionfo politico del liberalismo segna cosi' l'inizio della sua decadenza. Il saggio virava poi, un po' bruscamente, sulla situazione italiana. Qui la debolezza, se non proprio l'assenza, di quei fattori economici che in Inghilterra erano stati all'origine del liberalismo era stata compensata dalla passione patriottica risorgimentale. L'abolizione della feudalita', la vendita delle grandi proprieta' terriere aveva costituito per il nostro Paese, e in parte per la Germania meridionale, l'equivalente del processo di industrializzazione inglese. Il problema dell'indipendenza aveva preservato il movimento liberale italiano da esiti conservatori, senza pero' garantire, a unificazione avvenuta, sviluppo e affermazione. Anzi, il successo della Destra, pur benemerita in quel contesto storico, aveva concentrato nello Stato tutta la forza spirituale, etica, della nazione, cosicche', quando venne meno dopo la Prima guerra mondiale la ragione patriottica, il gia' debole liberalismo si trovo' costretto tra le forze conservatrici e reazionarie e quelle popolari. Per motivi diversi anche il liberalismo italiano, dopo quello inglese, e' in una fase di declino, sottolinea De Ruggiero, ma cio' non e' motivo di disperazione. La "fiamma" della liberta' continua ad ardere sotto le ceneri della crisi presente, alimentata nelle coscienze e destinata ad alimentare una nuova stagione.
La lunga introduzione storica della Storia del liberalismo europeo serviva a De Ruggiero a dimostrare come sul limitare del XIX sec. una coscienza liberale europea fosse emersa da forze economiche e culturali diverse. Sara' tuttavia solo l'idealismo tedesco, prima con Immanuel Kant, ma soprattutto con Georg Wilhelm Friedrich Hegel, a trasformare il liberalismo, facendo coincidere la liberta' con la realta' dello spirito. Non si nasce liberi, come pretendeva il giusnaturalismo e come pretendera' Jean-Jacques Rousseau, ma si diviene liberi, quando cioe' la liberta' individuale coincide con l'organizzazione della societa' umana nelle sue forme piu' elevate e complesse, si' che lo Stato appare infine la massima espressione della liberta'. Certo si tratta di uno Stato che il maturo liberalismo, richiedendo nuove funzioni, contribuisce a elevare intellettualmente e moralmente, ma segna anche la separazione tra liberalismo e partito liberale, dato che quello ha impregnato di se' tutti gli schieramenti politici, cosi' come lo Stato stesso e' frutto di ogni forza politica impressionata dai principi liberali. Cio' che in Francia e in Inghilterra si agitava sul terreno politico intorno alla concezione dello Stato si ritrova in Germania formulato nel linguaggio giuridico. Cosi', secondo De Ruggiero, persino un pensatore come Heinrich von Treitschke, comunemente considerato un fiero avversario del liberalismo, poteva trovarvi posto, in quanto rivendicava di fronte al 'panstatismo' hegeliano l'autonomia degli individui garantita da quella amministrativa degli enti locali.
Ciononostante, e' proprio nel tempo della sua massima espansione e riconoscimento che lo Stato liberale ha incrociato due terribili avversari, quali la democrazia e il socialismo. Quella ritiene che l'uguaglianza degli uomini preceda lo Stato e che questo non abbia altro compito che far rispettare e promuovere tale uguaglianza, anche a scapito dell'iniziativa individuale. E' lo Stato che si deve occupare di elargire diritti e benefici senza preoccuparsi di sollecitare e di favorire dall'interno l'elevazione degli individui.
Dall'altra parte il socialismo, che pure De Ruggiero ritiene il piu' grande movimento d'emancipazione dopo la Rivoluzione francese, ha degradato la lotta politica a mera lotta economica. In tal modo, la conquista del potere non rappresenta la vittoria di un partito valida per ogni membro della comunita', ma il trionfo di una classe ai danni dell'altra, senza nessuna coscienza dei doveri generali. Dopo aver identificato il partito con una classe, il socialismo finisce per identificare la classe con lo Stato. Questa forma di lotta, questa degradazione di tutti i valori morali, giuridici, politici, ha travolto pure il ceto medio, rappresentante eletto del liberalismo, costringendolo a regredire da classe generale a classe economica e ad adottare le stesse forme di lotta dell'avversario, considerando lo Stato come terreno di conquista, il governo come un comitato d'affari, l'ordine giuridico come mezzo di potere. Ma, come sara' anche per Croce, per De Ruggiero il liberalismo non poteva morire: in quanto non partito, non setta, ma concezione del mondo prodotta dal pensiero moderno, la "fiamma della liberta'" rimane accesa a onta degli accadimenti politici contingenti. La sua tormentata storia consente al liberalismo di alimentarsi di tutte le opposizioni, di ogni discordia, di ogni provvisoria sopraffazione per trasfigurarsi nello Stato politico per eccellenza. Questa specie di liberalismo eterno, che non guarda all'utile di una parte, o peggio di una classe, ma in quanto risultato di un processo storico tramutatosi in ideale, concerne tutta la vita della collettivita', diviene imperativo morale che riguarda tutti, perche' tutti rispetta e salvaguarda, ideale ed eterno, come lo sono la liberta' e la dignita' dell'uomo.
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Giornalismo e politica
Intensa e precoce fu l'attivita' pubblicistica di De Ruggiero in quell'Italia dove, prima del 1915, grande parte del dibattito culturale e politico passava per riviste e giornali. E soprattutto culturale fu dapprima la sua collaborazione a periodici di vario orientamento: "La critica" di Croce dal 1911, appena ventitreenne, "La voce" di Giuseppe Prezzolini dal 1912 con il viatico dello stesso Croce, affinche' vi si facesse sentire "qualche voce filosofica piu' seria", "Il resto del Carlino" di Missiroli, del quale fu a lungo assiduo collaboratore, contribuendo non poco a diffondere il punto di vista dell'idealismo e dell'attualismo di Croce e Gentile. Anzi, tra i giovani seguaci dei due filosofi fu proprio De Ruggiero il piu' attivamente impegnato.
Grande scalpore fece, nell'aprile del 1911, la sua intervista a Croce, su "Il giornale d'Italia", all'indomani del IV Congresso internazionale di filosofia, che sanci' la rottura tra Croce e Federigo Enriques. Nel 1914 gli articoli pubblicati su "La voce" furono raccolti con il titolo Critica del concetto di cultura per la collana Scuola e vita diretta da Giuseppe Lombardo Radice per l'editore Battiato di Catania. Nello stesso anno e nella stessa sede De Ruggiero pubblicava un altro volumetto, Problemi della vita morale. Altri articoli, di argomento meridionale, andarono a costituire i primi capitoli de Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX. Nel secondo dopoguerra Renzo De Felice ha raccolto gran parte dell'attivita' pubblicistica di De Ruggiero nel volume Scritti politici (1912-1926) (1963), privilegiando quelli di carattere politico.
Incoerenti, contraddittorie, ondivaghe, sono state spesso considerate le posizioni politiche di De Ruggiero, almeno fino all'avvento del fascismo. In realta', il suo fu il percorso di un giovane animato da un'ardente passione filosofica che egli pensava dovesse attuare il rinnovamento del Paese. Una politica elitaria (da qui la sua simpatia per Alfredo Oriani e per Gaetano Mosca) che recuperasse lo slancio del Risorgimento e della Destra (da qui il suo avvicinamento al nazionalismo) contro la degenerazione dell'Italia giolittiana, nella quale il liberalismo faticosamente attinto nella prima fase dello Stato unitario si era trasformato in mero opportunismo in difesa di interessi materiali.
Il suo interventismo – che gli costo' la prima delle tante rotture che ebbe con Croce – fu quasi lo sbocco naturale del suo percorso, lontano e diverso da quello dei nazionalisti, dai quali si era presto staccato, cosi' come dai democratici, dei quali non condivideva l'illusoria fede in un radioso dopoguerra di popoli e Stati pacificati. Proprio la guerra poteva metter fine al generale degrado a cui era giunta la civilta' europea, non in quanto promessa di soluzioni salvifiche, ma in quanto capace di agire nel profondo dell'animo dei combattenti. La guerra, suscitata da uno scontro di forze cieche, materialistiche, esplosione d'interessi egoistici, mette in moto una dinamica d'idee e di sentimenti che crea di continuo nuove forze, nuove attese. L'odio contro i nemici si condensa nella concordia interna, capace di superare le divisioni e i contrasti derivanti da condizioni materiali, economiche e storiche, trasformandole in sentimenti potenti. E' l'idealita' dell'azione che nasce direttamente dalla guerra in grado di rinnovare le coscienze. Attraverso l'azione risorgono i valori negletti, l'eroismo, l'amor di patria, il disinteresse. All'agire per l'agire tutti concorrono, dal piu' umile al piu' avvertito, con il loro entusiasmo riscattano il vuoto delle coscienze. Una visione, si e' detto, sub specie philosophiae, secondo la quale il rinnovamento avrebbe dovuto riverberarsi sul dopoguerra, sui non combattenti, restaurando l'organismo nazionale.
A questa veduta De Ruggiero ispiro' la sua condotta politica una volta smobilitato: il suo antigiolittismo si accentuo' – e questo aggravo' i suoi rapporti con Croce – con i fascisti al posto dei mazzieri dell'anteguerra. L'influenza crescente del partito socialista, dei sindacati, il parallelo sfaldamento del ceto medio, la situazione internazionale infine, lo indussero a considerare il liberalismo come l'unica via d'uscita non immediata beninteso, ma in prospettiva. Il liberalismo, svincolato dalle premesse economiche che ne avevano determinato e caratterizzato la nascita, avrebbe potuto raccogliere le energie, le forze politiche e sindacali suscitate dalla guerra, per un radicale mutamento, e da forza minoritaria ambire a divenire domani maggioranza. A De Ruggiero non interessa fondare un partito, o almeno non ritiene possibile farlo nella situazione del momento. I suoi interventi su giornali e riviste, cosi' come i libri, sono pensati per il domani, mirano a una rivoluzione morale, il cui destinatario, un rinato liberalismo, non si identifica con nessuno dei soggetti politici del presente. E cio' spiega il suo isolamento, la sua singolarita': immerso nelle vicende politiche di quegli anni, egli ne usciva non presentando soluzioni per l'ora, ma preparando un domani, o addirittura un domani l'altro, accompagnandosi, pur senza mai identificarsi, ora con Missiroli, ora con Gobetti, ora con Giovanni Amendola, ora infine con Francesco Saverio Nitti, del quale condivise la netta opposizione al fascismo.
Come riconoscera' Luigi Russo, De Ruggiero fu il primo di tutta la generazione di idealisti crociani e gentiliani che si oppose al fascismo. Egli vi vide subito quella "convulsione anarchica" che minava il Paese, non riassorbibile, ne' riconducibile sui binari della vecchia prassi politica, perche' in esso si combinavano la reazione conservatrice e la mentalita' rivoluzionaria. Era la fine di una classe politica (Giovanni Giolitti, ma anche Antonio Salandra e Luigi Einaudi) che aveva abdicato al proprio compito, mirando tuttavia a mantenere il potere, e che ora era travolta essa stessa. Con il progressivo procedere del fascismo in regime, l'attivita' giornalistica di De Ruggiero vide ristretti i propri spazi: sospeso "Il paese", normalizzato "Il resto del Carlino", i suoi ultimi interventi apparvero su "Il popolo" di Donati, e fra il 1924 e il 1925 sul settimanale satirico "Becco giallo".
Il suo impegno politico-culturale riprese, soprattutto nelle pagine de "La nuova Europa", nel secondo dopoguerra, quando gli incarichi istituzionali gli diedero l'agio di ritornare a cio' che considerava, accanto agli studi filosofici, la propria vocazione. Il ritorno alla ragione intitolo' nel 1946 una raccolta di quegli articoli – chiusa l'esperienza della rivista –, un "riesame critico", scriveva, dei giudizi della sua Storia del liberalismo europeo. Ma Il ritorno alla ragione e' anche un esame di coscienza, per cosi' dire, filosofico, con il quale De Ruggiero cercava una risposta al perche' le speranze e le proposte affidate vent'anni prima a quel suo volume non sembravano piu', neppure a lui, in grado di interpretare il presente, ne' tantomeno di prefigurare il futuro. Quella Seconda guerra mondiale, il razzismo, il nazismo, la guerra civile, la bomba atomica non erano addomesticabili, come gli era parso per la prima guerra, da nessun tipo di idealismo, dimostratosi incapace di svelare nelle ideologie, che stavano a fondamento di quella barbarie, le forze che avevano condotto alla distruzione della ragione. Di qui la resa dei conti con lo storicismo e con Croce, prodotti di un mondo che non esisteva piu' e inetti a progettarne uno nuovo; di qui la discussione su liberal-socialismo e liberalismo sociale. Sul piano piu' propriamente politico, ancora una volta De Ruggiero dovette constatare l'impossibilita' di trovare incarnate in un movimento politico le sue proposte e le sue convinzioni, per cui, quasi a congedo, decise che "ritornando agli studi", avrebbe continuato a servire il Paese "nel modo piu' appropriato".
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Opere
La filosofia contemporanea, Bari 1912.
Critica del concetto di cultura, Catania 1914.
Problemi della vita morale, Catania 1914.
Storia della filosofia, 13 voll., Bari 1918-1948.
L'impero britannico dopo la guerra, Firenze 1921.
Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX, Bari 1922.
Storia del liberalismo europeo, Bari 1925, 1941 (2).
Scritti politici (1912-1926), a cura di R. De Felice, Bologna 1963.
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Bibliografia
G. Calo', L. Salvatorelli, Guido De Ruggiero, Roma 1949.
E. Garin, Guido De Ruggiero, in Id., Intellettuali italiani del XX secolo, Roma 1974, pp. 105-36.
D. Coli Sarfatti, Guido De Ruggiero: cultura e politica, 1910-1922, "Annali dell'Istituto di filosofia dell'Universita' di Firenze", 1979, 1, pp. 359-86.
C. Gily Reda, Guido De Ruggiero. Un ritratto filosofico, Napoli 1981.
R. De Felice, Intellettuali di fronte al fascismo: saggi e note documentarie, Roma 1985.
R. De Felice, De Ruggiero Guido, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, XXXIX vol., Roma 1991, ad vocem.
M.L. Cicalese, L'impegno di un liberale: Guido De Ruggiero tra filosofia e politica, [Grassina, Bagno a Ripoli] 2006.
C. Genna, Guido De Ruggiero e "La Nuova Europa". Tra idealismo e storicismo, Milano 2010.

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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 94 del 27 maggio 2021
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