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[Nonviolenza] Telegrammi. 4117
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4117
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Wed, 26 May 2021 18:47:41 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4117 del 27 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Domenica notte un giovane migrante
2. Daniela Fassini: Picchiato a Ventimiglia, il giovane Musa si e' tolto la vita a Torino
3. Ripetiamo ancora una volta...
4. Jean-Marie Muller: Alternative nonviolente alla guerra
5. Alcuni riferimenti utili
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. L'ORA. DOMENICA NOTTE UN GIOVANE MIGRANTE
Domenica notte un giovane migrante
si e' tolto la vita a Torino
in un cippierre vale a dire
in un campo di concentramento
che da decenni sono stati riaperti in Italia
da governi eredi della follia hitleriana
aveva subito un pestaggio
a Ventimiglia pochi giorni prima
e nel corpo e nell'anima ne recava i segni
ma aveva subito anche la violenza
la piu' vasta dilagante violenza
di uno stato che torna fascista
e che lascia che gli impoveriti
muoiano di fame e di stenti
di uno stato che viola la sua Costituzione
e che perseguita e reclude chi avrebbe diritto
all'accoglienza all'assistenza alla solidarieta'
di uno stato che non e' piu' antifascista
attuando una politica di apartheid
di brutale razzismo
di riduzione in schiavitu'
di strage degli innocenti
*
Si torni alla legalita' repubblicana
che salva le vite
Si torni alla morale comune
che salva le vite
si torni al sentimento di umanita'
che salva le vite
soccorrere accogliere assistere
ogni persona bisognosa di aiuto
ogni essere umano ha diritto
alla vita alla dignita' alla solidarieta'
siamo una sola umanita'
in un unico mondo vivente
salvare le vite
e' il primo dovere
2. DOCUMENTAZIONE. DANIELA FASSINI: PICCHIATO A VENTIMIGLIA IL GIOVANE MUSA SI E' TOLTO LA VITA A TORINO
[Dal sito del quotidiano "Avvenire" riprendiamo questo articolo del 24 maggio 2021, dal titolo "Migranti. Picchiato a Ventimiglia, il giovane Musa si e' tolto la vita a Torino" e il sommario "Il 23enne era in attesa di essere rimpatriato in Guinea: lo scorso 9 maggio era stato aggredito e preso a bastonate da tre persone. Il vescovo Nosiglia: per lui la preghiera della comunita'"]
Era in attesa di essere rimpatriato, Musa Baide, 23 anni, originario della Guinea. Ma non ce l'ha fatta, non riusciva a superare la sua condizione dopo quel terribile pestaggio, a Ventimiglia, due settimane fa. Si e' tolto la vita domenica notte nel Cpr di corso Brunelleschi a Torino.
Si trovava in isolamento per motivi sanitari e si e' impiccato usando le lenzuola in dotazione nella sua camera. Il 23enne era a Torino dopo che aveva subito una aggressione a Ventimiglia lo scorso 9 maggio da tre persone subito identificate e denunciate alla polizia. La polizia di Imperia ci aveva messo meno di 24 ore a individuare le tre persone che lo avevano aggredito e picchiato a bastonate. Meno di 24 ore per raccogliere le testimonianze, per guardare i filmati del circuito di sorveglianza del supermercato e della caserma della Polizia di Frontiera e per identificare e andare a prendere i tre che, nel video amatoriale rimbalzato su centinaia di profili Facebook e altri social, prendevano a bastonate il ragazzo. I tre sono tre italiani, due siciliani originari di Agrigento, di 28 e 39 anni, e uno di 44 anni, originario di Palmi (Reggio Calabria) tutti domiciliati a Ventimiglia.
Per quelle bastonate, per quei cazzotti in testa e in faccia, per quei calci all'addome inflitti quando il ragazzo era gia' a terra sono stati denunciati a piede libero per rispondere del reato di lesioni aggravate.
Il ragazzo, che era irregolare sul territorio nazionale e che era gia' stato espulso dall'Italia, avrebbe tentato di rubare il telefono cellulare a uno dei tre all'interno di un supermercato che si trova nella zona dell'aggressione. Ma altri testimoni raccontano di lui che chiedeva l'elemosina. La reazione non si e' fatta attendere: prima i tre hanno affrontato il ragazzo a male parole poi l'hanno seguito e, raccolti un paio di tubi di plastica dura, lo hanno messo con le spalle al muro e hanno cominciato a picchiarlo. In tanti, sentendo le urla, si sono affacciati dai balconi e alle finestre urlando di lasciar stare il ragazzo ma i tre, nonostante il giovane fosse gia' a terra e non riuscisse a reagire in alcun modo, hanno continuato senza che nessuno li fermasse.
Musa Baide era stato portato in ospedale a Bordighera e dimesso con prognosi di 10 giorni per lesioni e trauma facciale: si sarebbe dovuto nuovamente procedere all'espulsione, ma il suo gesto ha posto fine alla sua difficile vita. La procura di Torino ha avviato degli accertamenti sul caso.
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L'arcivescovo di Torino: dobbiamo farli sentire accolti e sostenuti
"E' un segno molto doloroso. Ho deciso di fare una preghiera particolare per questo fratello. La faremo con la Comunita' di Sant'Egidio lunedi' prossimo. Vogliamo suscitare in tutta la citta' una presa di coscienza dell'impegno che serve per far si' che queste persone si trovino nella condizione di non arrivare a questo punto. Se ci arrivano vuol dire che sono veramente disperate, e' evidente. Dobbiamo dare loro la possibilita' di sentirsi accolte e sostenute", ha dichiarato l'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia.
*
L'accusa del garante: non e' stato seguito in modo corretto
Il migrante suicida al Cpr di Torino non e' stato seguito come la sua situazione richiedeva. Lo sostiene Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della liberta' personale. "Una persona affidata alla responsabilita' pubblica – dice Palma - deve essere presa in carico e trattenuta nei modi che tengano conto della sua specifica situazione, dell'eventuale vulnerabilita' e della sua fragilita'. Questo non e' avvenuto"."A quanto mi risulta su Moussa non e' stato attivato nessun sostegno di natura psicologica" ha aggiunto Gian Luca Vitale, l'avvocato che seguiva il caso del giovane.
3. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
4. MAESTRI. JEAN-MARIE MULLER: ALTERNATIVE NONVIOLENTE ALLA GUERRA
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riprendiamo il capitolo decimo: "Alternative nonviolente alla guerra" (pp. 199-210). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso.
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005; Desarmer les dieux. Le christianisme et l'slam face a' la non-violence, Editions du Relie', Gordes 2009.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' stato membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di seguito riprodotta, che e' stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.serenoregis.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]
La guerra pone alla filosofia un tremendo problema: essa non soltanto contraddice, ma annulla l'esigenza primordiale dell'etica: "non uccidere". Dichiarare la guerra e' dare l'ordine – imperativo – a degli uomini di uccidere altri uomini. "Lo stato di guerra – scrive Emmanuel Levinas – sospende la morale; esso priva le istituzioni e le obbligazioni eterne della loro eternita' e, quindi, annulla nel provvisorio gli imperativi incondizionali. Esso proietta fin dall’inizio la sua ombra sugli atti degli uomini. La guerra non è soltanto una delle prove - la piu' grande tra l'altro - di cui vive la morale. Essa rende irrilevante la morale" (1). La guerra non e' soltanto lo scacco della filosofia, ne e' la negazione e il rinnegamento.
*
Clausewitz e la riflessione sulla guerra
Carl von Clausewitz ci propone una "filosofia della guerra" (2); egli presenta la sua riflessione come una "elaborazione filosofica dell'arte della guerra" (3). Secondo lui, l'essenza della guerra e' di essere un "duello" (4) e "il suo scopo immediato e' di abbattere l'avversario per renderlo incapace di ogni resistenza" (5). La guerra e' dunque lo scontro di due volonta' con i mezzi della violenza, avendo ognuno dei due avversari l'intenzione deliberata di imporre la propria volonta' all'altro.
Ma la guerra nasce da un conflitto politico tra due governi, e dunque il suo obiettivo e' politico. "La guerra – afferma Clausewitz – e' una semplice continuazione della politica con altri mezzi" (6). Dicendo questo, il generale prussiano non voleva dire, come si lascia talvolta intendere, che la politica era gia' guerra, ma, tutto al contrario, che la guerra doveva essere ancora una azione politica. "Se si pensa – egli scrive – che la guerra nasce da un disegno politico, e' naturale che questo motivo centrale da cui e' nata resti la prima considerazione che dettera' la sua condotta" (7). "La guerra – egli precisa ancora – non e' soltanto un atto politico, ma un vero strumento politico, un proseguimento delle relazioni politiche, una realizzazione di queste con altri mezzi. (...) L'intenzione politica e' il fine, mentre la guerra e' il mezzo, e non si puo' concepire il mezzo indipendentemente dal fine" (8). Piu' precisamente, la guerra e' una continuazione della politica con mezzi diversi da quelli della diplomazia: il governo "da' battaglia invece di scrivere delle note diplomatiche" (9). "La condotta della guerra – scrive ancora Clausewitz – e' dunque, nelle sue grandi linee, la politica stessa che impugna la spada invece della penna, senza per questo cessare di pensare secondo le proprie leggi" (10). I nuovi mezzi della guerra non devono essere altro che una "aggiunta", perche' "la guerra stessa non fa cessare le relazioni politiche" (11). In questa prospettiva, Clausewitz pensa che nell'elaborazione dei piani di una guerra, la preoccupazione maggiore dei governi deve essere di "subordinare il punto di vista militare al punto di vista politico" (12).
Ma e' possibile sostenere – come fa Clausewitz – che la guerra e' un semplice mezzo per continuare la politica? In realta', affermando, da una parte, che "la guerra e' un atto di violenza" (13), e, d'altra parte, che "la guerra e' un atto politico" (14), Clausewitz enuncia una contraddizione irreparabile. Infatti, il ricorso alla violenza non significa altro che uno scacco della politica, della quale tutto il progetto e' precisamente costruire e mantenere, anzitutto dentro la polis, ma anche al di fuori delle sue porte, un ordine che non debba nulla alla violenza. La politica e la guerra sono fondamentalmente anti-nomiche (la parola antinomia, dal greco anti e nomos, designa una contraddizione tra due leggi), cioe' le leggi della guerra sono contrarie alle leggi della politica. Del resto, Clausewitz e' consapevole di questa antinomia e parla della "contraddizione che c'e' nella natura della guerra verso gli altri interessi umani, individuali o sociali" (15). Ma allora la guerra non puo' essere una continuazione della politica: essa e' una interruzione della politica. Nel momento stesso della dichiarazione di guerra, la politica cede il terreno alla violenza e questa lo occupera' fino alla fine dello scontro. Nel migliore dei casi, la politica riprendera' i suoi diritti solo al momento dell'armistizio, quando cesseranno di parlare le armi e gli avversari si sederanno per parlare allo stesso tavolo di negoziazione.
Analizzando "il puro concetto teorico della guerra" (16), Clausewitz definisce quella che chiama "la legge degli estremi" (17): in astratto, "la guerra e' un atto di violenza e non c'e' limite alla manifestazione di questa violenza" (18). Ne risulta "un'azione reciproca che, in teoria, deve arrivare agli estremi" (19). Ma, in realta' – afferma Clausewitz – la guerra e' diversa da cio' che dovrebbe essere secondo il suo concetto teorico, perche' la sua condotta dipende essenzialmente dagli uomini e gli uomini non agiscono secondo i principi della logica pura: "La teoria deve tener conto dell'elemento umano" (20). Per questo, con ogni probabilita', la legge della salita fino agli estremi non si riscontrera' applicata nella realta'. "Tutta l'azione di guerra – conclude Clausewitz – cessa cosi' di essere sottomessa alle strette leggi che spingono le forze fino all'estremo" (21). Egli e' contento che sia cosi', altrimenti l'obiettivo politico della guerra si troverebbe "inghiottito dalla legge degli estremi" (22) e "noi avremmo a che fare con una cosa priva di senso e di intenzionalita'" (23). Se la guerra "fosse un atto completo, che niente intralcia, una manifestazione di violenza assoluta, come si potrebbe dedurla dal suo concetto puro, essa prenderebbe il posto della politica nello stesso istante in cui questa la provoca, e la eliminerebbe, e seguirebbe le proprie leggi come qualcosa di assolutamente indipendente dalla politica" (24). Se la legge dell'arrivare fino agli estremi si trovasse applicata nei fatti, si arriverebbe al "parossismo dello sforzo", "si perderebbe allora di vista la discussione delle esigenze politiche, e i mezzi non avrebbero piu' alcun rapporto con il fine" (25).
L'esigenza formulata da Clausewitz di "subordinare il punto di vista militare al punto di vista politico" effettivamente si impone, in linea teorica, per salvare la coerenza della sua teoria della guerra, ma ci possiamo chiedere se, in pratica, quel principio non urti contro piu' ostacoli di quanti egli non ne lasci intendere. Ci si puo' chiedere se, nella realta', la contraddizione oggettiva tra la natura della guerra e quella della politica, e, in altre parole, l'antinomia tra i mezzi (violenti) della guerra e il fine (nonviolento) della politica, non siano piu' forti di quella ricercata coerenza, e se, in definitiva, quale che sia l'intenzione soggettiva degli uomini politici che conducono le operazioni, non sia proprio il punto di vista politico che finisce subordinato al punto di vista militare. Certo, la manifestazione della violenza non e' mai senza limiti, ma non supera forse sempre i limiti entro i quali il punto di vista militare potrebbe essere subordinato al punto di vista politico? Quell'"elemento umano", di cui Clausewitz dice che la teoria deve tener conto, non e' forse la passione molto piu' spesso che la ragione? E la passione non e' forse di natura tale da spingere gli uomini a manifestare la loro violenza ben al di la' dei limiti imposti dalla ragione politica? Certo, Clausewitz non mancherebbe di rifiutare la "guerra totale" con l'argomento che i mezzi militari utilizzati cancellerebbero in quel caso "totalmente" il fine politico che pretende giustificare quella guerra. Ma dal momento che, nella realta', non e' possibile superare la contraddizione tra i mezzi della guerra e il fine della politica, grande e' la probabilita' che, in fin dei conti, i mezzi cancellino il fine. Come minimo, questa probabilita' e' troppo importante perche' non ci domandiamo se non esistano altri mezzi diversi dalla guerra, dei mezzi che siano essi stessi politici, quindi nonviolenti, per proseguire la politica quando la diplomazia ha fallito nel risolvere un conflitto. E senza dubbio si puo' tentare di rispondere a questa domanda appoggiandosi sulla riflessione di Clausewitz.
Quando chiede: "Come si puo' influire sulla probabilita' del successo?", Clausewitz risponde: "Anzitutto, materialmente con gli stessi mezzi che servono a vincere il nemico, cioe' la distruzione delle sue forze militari" (26). Senza dubbio alcuno, la scelta della nonviolenza ci priva totalmente di questi mezzi. Ma Clausewitz espone in seguito "un altro particolare modo di pesare sulla probabilita' di successo senza che vi sia disfatta delle forze armate del nemico, cioe' operazioni che siano in rapporto diretto con la politica" (27). Egli suggerisce che, se noi arriviamo in questo modo a "suscitare delle attivita' politiche in nostro favore", questo vale a "condurci allo scopo molto piu' rapidamente che la disfatta delle forze armate nemiche" (28). Poi, egli pone la "questione di sapere come fare pressione sul dispendio di forza del nemico" e risponde che la soluzione "consiste nell'usura delle sue forze" (29). Precisamente scrive: "Non e' soltanto per fornire una definizione verbale che scegliamo questa espressione, l'usura, ma perche' essa definisce esattamente la cosa ed e' meno figurata di quel che sembri a prima vista. L'idea di usura mediante il combattimento implica un esaurimento graduale delle forze fisiche e della volonta' per mezzo della durata dell'azione" (30).
Alla luce stessa dei principi della teoria di Clausewitz sull'affrontare le forze nemiche, e' possibile qui definire il concetto di una difesa civile fondata sulla strategia della resistenza nonviolenta. Questa strategia, se non puo' pretendere di esaurire le forze fisiche del nemico, puo' darsi l'obiettivo di usurare la sua volonta' politica fino al punto che esso rinunci alla sua impresa. Se qui non puo' essere questione di distruggere le forze nemiche, si tratta pero' di "arrivare alla distruzione delle intenzioni avverse, cioe' arrivare alla pura resistenza, che non mira ad altro che a prolungare la durata dell'azione fino a sfinirvi l'avversario" (31). Se noi concentriamo tutte le nostre risorse in vista di una pura resistenza, "allora la semplice durata del combattimento bastera' poco a poco a ottenere il dispendio di forza del nemico, fino al punto che il suo obiettivo politico non sara' piu' un equivalente adeguato, dunque fino ad un punto in cui dovra' abbandonare la lotta" (32). Si tratta dunque di "perseverare nella durata del combattimento piu' a lungo del nemico, cioe' di esaurirlo" (33).
Con la durata, interviene un altro fattore che ha pure un effetto determinante sull'efficacia di una resistenza popolare: quello dello spazio. L'efficacia di una resistenza e' direttamente proporzionale alla durata dell'azione, ma anche alla sua estensione. Parlando della "guerra del popolo", Clausewitz osserva: "L'azione della resistenza, come il processo di evaporazione nel campo fisico, dipende dall'estensione della superficie esposta" (34). Le forze di repressione, specialmente, potranno tanto piu' difficilmente neutralizzare la resistenza quanto piu' questa sara' estesa: "Lo spirito di resistenza diffuso dappertutto non e' afferrabile in alcun luogo" (35).
Le "operazioni ostili" (36) terminano e la guerra finisce quando la volonta' dell'uno o dell'altro dei due avversari si trova stroncata ed egli decide di firmare la pace. "Non appena i consumi di forza – scrive Clausewitz – diventano cosi' grandi che non corrispondono piu' al valore dell'obiettivo politico, bisognera' abbandonare questo obiettivo e firmare la pace" (37). Allo stesso modo, una resistenza civile nonviolenta deve darsi come strategia il condurre l'avversario a constatare che l'impegno dei suoi soldati e funzionari gli chiede dei dispendi di forza sproporzionati all'obiettivo politico che si e' dato e che, allora, il suo interesse gli impone di negoziare un trattato di pace.
Riferendoci cosi' alle proposizioni di Clausewitz, prendendo da lui molte delle sue formule e applicandole alla strategia della resistenza nonviolenta, non vogliamo assolutamente pretendere che il generale prussiano avrebbe fatto, senza saperlo, un'arringa a favore della difesa nonviolenta. Per lui non c'e' alcun dubbio che "la decisione con le armi" (38) e' la legge suprema dello scontro tra due Stati. Egli afferma: "La soluzione cruenta della crisi, lo sforzo tendente all'annientamento delle forze nemiche e' il figlio legittimo della guerra" (39). Per lui sarebbe un errore di principio "dare la preferenza a una decisione che non comporti effusione di sangue" (40). Se si sceglie questo metodo, lo si fa a rischio che non sia il migliore.
Noi sosteniamo soltanto che molte delle categorie definite da Clausewitz per costruire la sua teoria della guerra permettono di elaborare una teoria coerente e pertinente della difesa civile nonviolenta. E' ovvio che le due teorie restano largamente antagoniste in molti dei loro postulati e delle loro conclusioni. Ma questo, ci sembra, non puo' proibirci i prestiti che abbiamo fatto e le corrispondenze che abbiamo stabilito.
*
La difesa civile nonviolenta (*)
Di per se' il disarmo non offre nessuna soluzione al problema della guerra. In realta', l'armamento non e' la causa delle guerre. Non sono le armi che creano le guerre, ma, al contrario, sono le guerre che creano le armi. Non si tratta dunque di volere sopprimere le armi per sopprimere le guerre, ma si tratta di sopprimere le guerre per potere sopprimere le armi. Ora, non si sopprimeranno le guerre volendo sopprimere i conflitti. Questi, i conflitti, costituiscono la trama stessa della storia degli uomini, delle comunita' e dei popoli. Si sopprimeranno le guerre se si vorranno risolvere i conflitti con dei mezzi diversi dalle armi. Si tratta dunque chiaramente di immaginare degli altri mezzi da quelli dalla violenza per risolvere in modo umano gli inevitabili conflitti umani.
Non si tratta tanto di reclamare il disarmo quanto di creare le condizioni che lo rendono possibile. In questa prospettiva, conviene fissarsi un obiettivo che tenga conto della realta' e della necessita' di creare una dinamica capace di cambiarla. Il concetto di transarmo sembra il piu' appropriato per designare questo obiettivo. Questo concetto esprime l'idea di una transizione nel corso della quale devono essere preparati i mezzi di una difesa civile nonviolenta che apportino delle garanzie analoghe ai mezzi militari senza comportare gli stessi rischi. Mentre la parola "disarmo" non esprime che un rifiuto, la parola "transarmo" vuole tradurre un progetto. Mentre il disarmo evoca una prospettiva negativa il transarmo suggerisce un passo costruttivo. La sicurezza e' un bisogno fondamentale di ogni collettivita' umana, e, nella misura in cui i membri di una societa' hanno il senso che la loro sicurezza esige il possesso di armi capaci di opporsi efficacemente ad un'aggressione, il disarmo non potra' generare in loro che una profonda insicurezza. Prima di potere disarmare, bisogna poter lucidare delle armi diverse da quelle della violenza. Tuttavia, i concetti di transarmo e di disarmo non sono antagonisti, perche' una delle finalita' del processo di transarmo e' di rendere possibili delle misure effettive di disarmo.
Il transarmo (**) mira a creare un'alternativa alla difesa militare, cioe' mira ad organizzare una difesa civile nonviolenta che possa sostituirsi alla difesa armata.
Ma questo non puo' essere che un obiettivo a lungo termine. Prima che la difesa civile nonviolenta possa essere considerata dalla maggioranza della popolazione e dai poteri pubblici come un'alternativa efficace alla difesa armata, il primo obiettivo e' stabilire la sua fattibilita' e di farle acquistare una reale credibilita'.
Clausewitz sottolinea che uno dei fattori che agiscono sulla guerra e' il "teatro delle operazioni", che e' costituito dal "territorio con il suo spazio e con la sua popolazione" (41). Nel quadro della strategia della difesa civile nonviolenta, il teatro delle operazioni e' costituito dalla societa' con le sue istituzioni democratiche e la sua popolazione. In realta', l'invasione e l'occupazione di un territorio non costituiscono gli scopi di un'aggressione; non sono che dei mezzi per stabilire il controllo e il dominio di una societa'. Gli obiettivi piu' probabili che un avversario cerca di raggiungere occupando un territorio sono l'influenza ideologica, il dominio politico e lo sfruttamento economico. Per raggiungere questi obiettivi gli occorre occupare la societa', piu' precisamente gli e' necessario occupare le istituzioni democratiche della societa'. Di conseguenza, le frontiere che un popolo deve difendere per salvaguardare la sua liberta' sono quelle della democrazia. Il territorio la cui integrita' garantisce la sovranita' di una nazione non e' quello della geografia ma quello della democrazia. Ne risulta che, in una societa' democratica, la politica di difesa non deve avere per fondamento la difesa dello stato, ma la difesa dello stato di diritto.
Conviene dunque ricentrare il dibattito sulla difesa attorno ai concetti di democrazia e di cittadinanza. Se l'oggetto della difesa e' la democrazia, l'attore della difesa e' il cittadino, perche' egli e' l'attore della democrazia. Importa dunque riflettere sul rapporto che una societa' democratica deve stabilire tra la difesa e il cittadino. Fino ad oggi, al di la' delle affermazioni retoriche secondo le quali la difesa e' "l'affare di tutti", le nostre societa' non hanno saputo permettere ai cittadini di assumere una responsabilita' effettiva nell'organizzazione della difesa della democrazia contro le aggressioni di cui essa puo' essere l'oggetto, sia che queste vengano dall'interno o dall'esterno. L'ideologia securitaria della dissuasione militare ha avuto come effetto di deresponsabilizzare l'insieme dei cittadini in rapporto ai loro obblighi di difesa. Dal momento che la tecnologia precede, soppianta e finisce per svuotare la riflessione politica e la ricerca strategica, non e' piu' il cittadino che e' l'attore della difesa, ma lo strumento tecnico, la macchina militare, il sistema d'armi.
Importa dunque che i cittadini si riapproprino del ruolo che deve essere il loro nella difesa della democrazia. Per fare partecipare i cittadini alla difesa della societa' non basta voler immettere uno "spirito di difesa" nella popolazione civile, si tratta invece di preparare una vera "strategia di difesa" che possa mobilitare l'insieme dei cittadini in una "difesa civile" della democrazia. Fino ad oggi la sensibilizzazione dei cittadini, compresi i bambini, ai doveri di difesa si e' situata nel quadro stretto dell'organizzazione della difesa militare. Questa restrizione non puo' che ostacolare lo sviluppo di una reale volonta' di difendere le istituzioni che garantiscono il funzionamento della democrazia. Perche' lo spirito di difesa si diffonda realmente nella societa', bisogna civilizzare la difesa e non militarizzare i civili. La mobilitazione dei cittadini potra' essere tanto piu' effettiva e operativa, se i compiti che sono loro proposti saranno nel quadro di istituzioni politiche, amministrative, sociali ed economiche nelle quali essi lavorano quotidianamente. La preparazione della difesa civile si inscrive in totale continuita' ed in perfetta omogeneita' con la vita dei cittadini nelle istituzioni in cui essi esercitano le loro responsabilita' civiche. Lo spirito di difesa che e' loro richiesto si radica direttamente nello spirito civico che anima le loro attivita' quotidiane.
Di fronte ad ogni tentativo di destabilizzazione, di controllo, di dominio, di aggressione o di occupazione della societa' intrapreso da un potere illegittimo, e' dunque essenziale che la resistenza civile dei cittadini si organizzi sul fronte delle istituzioni democratiche che permettono il libero esercizio dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, la cui funzione e' di garantire le liberta' e i diritti di tutti e di ciascuno. E' responsabilita' dei cittadini che esercitano delle funzioni in queste istituzioni di vegliare perche' queste continuino a funzionare secondo le regole della democrazia. Tocca dunque a loro, ai cittadini, di rifiutare ogni sottomissione a qualunque potere illegittimo che, ispirandosi ad una ideologia antidemocratica, tentasse di distogliere queste istituzioni dai loro propri fini.
Obiettivo ultimo di ogni potere illegittimo che voglia prendere il controllo di una societa' e' di ottenere, con mezzi congiunti di persuasione, di pressione, di costrizione, e di repressione, la collaborazione e la complicita' oggettiva dei cittadini, almeno del piu' grande numero di questi. Da questo segue che l'asse centrale di una difesa civile e' l'organizzazione del rifiuto generalizzato, ma selettivo e perfettamente mirato, di questa collaborazione. Si puo' cosi' definire la difesa civile come una politica di difesa della societa' democratica contro ogni tentativo di controllo politico o di occupazione militare, mobilitando l'insieme dei cittadini in una resistenza che coniughi, in maniera preparata ed organizzata, delle azioni nonviolente di non-cooperazione e delle azioni di confronto con ogni potere illegittimo, in modo che questo sia messo nell'incapacita' di raggiungere i suoi obiettivi ideologici, politici ed economici con i quali esso giustifica la sua aggressione.
E' essenziale che l'organizzazione di questa difesa non sia lasciata all'iniziativa individuale. E' compito dei poteri pubblici preparare la difesa civile di tutti gli spazi istituzionali della societa' politica. Occorre dunque che il governo elabori delle istruzioni ufficiali sugli obblighi dei funzionari, qualora essi si trovino in una situazione di crisi acuta in cui debbano fare fronte agli ordini di un potere illegittimo. Queste istruzioni devono sottolineare che le amministrazioni pubbliche hanno un ruolo strategico decisivo nella difesa della democrazia, cioe' il ruolo di privare qualsiasi potere usurpatore dei mezzi esecutivi di cui ha bisogno per mettere in atto la sua politica.
Mentre e' preparata nella societa' politica, la difesa civile deve essere preparata anche in seno alla societa' civile, nel quadro delle varie organizzazioni e associazioni che i cittadini stessi si sono dati per radunarsi secondo le proprie affinita' politiche, sociali, culturali o religiose. Le reti formate da queste associazioni di cittadini, che occupano tutto la spazio sociale del paese, e che comportano principalmente i movimenti politici, i sindacati, i movimenti associativi e le comunita' religiose, devono poter diventare, in una situazione di crisi che metta in pericolo la democrazia, altrettante reti di resistenza. A proposito del ruolo specifico delle associazioni, Alain Refalo scrive: "La responsabilita' civica dei cittadini inseriti nell'ambiente associativo deve prolungarsi nella difesa della societa' civile quando questa e' aggredita. Le associazioni, attrici della democrazia, devono ugualmente essere le attrici della difesa della democrazia" (42).
La messa in opera istituzionale della difesa civile nonviolenta da parte dei poteri pubblici si urta e con ogni probabilita' si urtera' ancora a lungo con molte pesantezze sociologiche. In realta', lo Stato ha prima di tutto bisogno dell'esercito per se stesso, al fine di assicurare la propria autorita', mantenerla e, nel caso, ristabilirla. Se la mistica militare confessa una religione della liberta', la politica militare pratica una religione dell'ordine. D'altra parte, lo Stato ha troppo il culto dell'obbedienza per non provare una forte ripugnanza al fatto che si insegni ai cittadini a rifiutare di obbedire agli ordini illegittimi. A questo proposito Gene Sharp scrive: "E' molto probabile che questa fede nell'onnipotenza della violenza e questa ignoranza della potenza della lotta popolare nonviolenta, siano state perfettamente compatibili con gli interessi delle elites dominanti del passato, le quali non volevano che il popolo prendesse coscienza del proprio potere potenziale" (43).
Cosi', oggi come ieri, la messa in opera della difesa civile nonviolenta resta una vera sfida. Non sarebbe ragionevole attendersi dai poteri pubblici che essi l'organizzino nella stessa maniera in cui organizzano la difesa militare, per mezzo di un processo che sarebbe imposto dall'alto dello Stato al basso della societa'. E' compito anzitutto dei cittadini essere loro stessi convinti che questo e' necessario per la difesa della democrazia, cioe', in definitiva, per la difesa dei loro propri diritti e liberta'. Qui come in altri aspetti, ogni volta che e' anzitutto ed essenzialmente in questione la democrazia, la parola e' anzitutto ai cittadini.
*
Note dell'autore
1. Emmanuel Levinas, Totalite' et infini, op. cit., p. 5; tr. it. cit., di Adriano Dell'Asta, Jaca Book Edizioni, Milano 1982, p. 19.
2. Carl von Clausewitz, De la guerre, Paris, Les Editions de Minuit, 1955, p. 52; tr. it. Della guerra, a cura e traduzione di Gian Enrico Rusconi, Einaudi, Torino 2000.
3. Ibidem, p. 44.
4. Ibidem, p. 51.
5. Ibidem.
6. Ibidem, p. 67.
7. Ibidem, p. 66.
8. Ibidem, p. 67.
9. Ibidem, p. 705.
10. Ibidem, p. 710.
11. Ibidem, p. 703.
12. Ibidem, p. 706.
13. Ibidem, p. 53.
14. Ibidem, p. 66.
15. Ibidem, p. 703.
16. Ibidem, p. 55.
17. Ibidem, p. 58.
18. Ibidem, p. 53.
19. Ibidem.
20. Ibidem, p. 65.
21. Ibidem, p. 58.
22. Ibidem.
23. Ibidem, p. 704.
24. Ibidem, p. 66.
25. Ibidem, p. 678.
26. Ibidem, p. 73.
27. Ibidem.
28. Ibidem, p. 73-74.
29. Ibidem, p. 74.
30. Ibidem.
31. Ibidem, p. 81.
32. Ibidem, p. 75.
33. Ibidem.
34. Ibidem, p. 552.
35. Ibidem, p. 553.
36. Ibidem, p. 70.
37. Ibidem, p. 72.
38. Ibidem, p. 82.
39. Ibidem, p. 83.
40. Ibidem, p. 82.
41. Ibidem, p. 57.
42. Alain Refalo, "Place et role des associations dans une strategie de dissuasions civile", Alternatives non-violentes, n. 72, octobre 1989, p. 28.
43. Gene Sharp, "A la recherche d'une solution au probleme de la guerre", Alternatives non-violentes, n. 34, p. 72.
*
Note supplementari del traduttore
* Conserviamo nella traduzione questa espressione dell'Autore per esprimere il concetto che ora, in Italia, e' prevalentemente denominato "difesa nonarmata e nonviolenta" (n. d. tr.).
** Questo concetto di transarmo presentato da Muller differisce un poco da quello proposto da Johan Galtung e piu' noto in Italia: "Processo di transizione da un modello di difesa fondato su armi di offesa a un modello di difesa che utilizza esclusivamente armi difensive, sino alla loro totale estinzione nel caso della difesa popolare nonviolenta" (Ambiente, sviluppo e attivita' militare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, p. 151; vedi anche pp. 35, 99-115, 132). La nozione di Galtung e' piu' articolata nei passaggi intermedi (n. d. tr.).
5. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Lelio Basso (a cura di), Socialismo o barbarie. La vita e le idee di Rosa Luxemburg, e/o, Roma 2021, pp. 128, euro 8.
*
Riedizioni
- Silvia Zanella, Il futuro del lavoro e' femmina. Come lavoreremo domani, Giunti-Bompiani, Firenze-Milano 2020, Il sole 24 ore, Milano 2021, pp. 218, euro 12,90.
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
8. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4117 del 27 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Sommario di questo numero:
1. Domenica notte un giovane migrante
2. Daniela Fassini: Picchiato a Ventimiglia, il giovane Musa si e' tolto la vita a Torino
3. Ripetiamo ancora una volta...
4. Jean-Marie Muller: Alternative nonviolente alla guerra
5. Alcuni riferimenti utili
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. L'ORA. DOMENICA NOTTE UN GIOVANE MIGRANTE
Domenica notte un giovane migrante
si e' tolto la vita a Torino
in un cippierre vale a dire
in un campo di concentramento
che da decenni sono stati riaperti in Italia
da governi eredi della follia hitleriana
aveva subito un pestaggio
a Ventimiglia pochi giorni prima
e nel corpo e nell'anima ne recava i segni
ma aveva subito anche la violenza
la piu' vasta dilagante violenza
di uno stato che torna fascista
e che lascia che gli impoveriti
muoiano di fame e di stenti
di uno stato che viola la sua Costituzione
e che perseguita e reclude chi avrebbe diritto
all'accoglienza all'assistenza alla solidarieta'
di uno stato che non e' piu' antifascista
attuando una politica di apartheid
di brutale razzismo
di riduzione in schiavitu'
di strage degli innocenti
*
Si torni alla legalita' repubblicana
che salva le vite
Si torni alla morale comune
che salva le vite
si torni al sentimento di umanita'
che salva le vite
soccorrere accogliere assistere
ogni persona bisognosa di aiuto
ogni essere umano ha diritto
alla vita alla dignita' alla solidarieta'
siamo una sola umanita'
in un unico mondo vivente
salvare le vite
e' il primo dovere
2. DOCUMENTAZIONE. DANIELA FASSINI: PICCHIATO A VENTIMIGLIA IL GIOVANE MUSA SI E' TOLTO LA VITA A TORINO
[Dal sito del quotidiano "Avvenire" riprendiamo questo articolo del 24 maggio 2021, dal titolo "Migranti. Picchiato a Ventimiglia, il giovane Musa si e' tolto la vita a Torino" e il sommario "Il 23enne era in attesa di essere rimpatriato in Guinea: lo scorso 9 maggio era stato aggredito e preso a bastonate da tre persone. Il vescovo Nosiglia: per lui la preghiera della comunita'"]
Era in attesa di essere rimpatriato, Musa Baide, 23 anni, originario della Guinea. Ma non ce l'ha fatta, non riusciva a superare la sua condizione dopo quel terribile pestaggio, a Ventimiglia, due settimane fa. Si e' tolto la vita domenica notte nel Cpr di corso Brunelleschi a Torino.
Si trovava in isolamento per motivi sanitari e si e' impiccato usando le lenzuola in dotazione nella sua camera. Il 23enne era a Torino dopo che aveva subito una aggressione a Ventimiglia lo scorso 9 maggio da tre persone subito identificate e denunciate alla polizia. La polizia di Imperia ci aveva messo meno di 24 ore a individuare le tre persone che lo avevano aggredito e picchiato a bastonate. Meno di 24 ore per raccogliere le testimonianze, per guardare i filmati del circuito di sorveglianza del supermercato e della caserma della Polizia di Frontiera e per identificare e andare a prendere i tre che, nel video amatoriale rimbalzato su centinaia di profili Facebook e altri social, prendevano a bastonate il ragazzo. I tre sono tre italiani, due siciliani originari di Agrigento, di 28 e 39 anni, e uno di 44 anni, originario di Palmi (Reggio Calabria) tutti domiciliati a Ventimiglia.
Per quelle bastonate, per quei cazzotti in testa e in faccia, per quei calci all'addome inflitti quando il ragazzo era gia' a terra sono stati denunciati a piede libero per rispondere del reato di lesioni aggravate.
Il ragazzo, che era irregolare sul territorio nazionale e che era gia' stato espulso dall'Italia, avrebbe tentato di rubare il telefono cellulare a uno dei tre all'interno di un supermercato che si trova nella zona dell'aggressione. Ma altri testimoni raccontano di lui che chiedeva l'elemosina. La reazione non si e' fatta attendere: prima i tre hanno affrontato il ragazzo a male parole poi l'hanno seguito e, raccolti un paio di tubi di plastica dura, lo hanno messo con le spalle al muro e hanno cominciato a picchiarlo. In tanti, sentendo le urla, si sono affacciati dai balconi e alle finestre urlando di lasciar stare il ragazzo ma i tre, nonostante il giovane fosse gia' a terra e non riuscisse a reagire in alcun modo, hanno continuato senza che nessuno li fermasse.
Musa Baide era stato portato in ospedale a Bordighera e dimesso con prognosi di 10 giorni per lesioni e trauma facciale: si sarebbe dovuto nuovamente procedere all'espulsione, ma il suo gesto ha posto fine alla sua difficile vita. La procura di Torino ha avviato degli accertamenti sul caso.
*
L'arcivescovo di Torino: dobbiamo farli sentire accolti e sostenuti
"E' un segno molto doloroso. Ho deciso di fare una preghiera particolare per questo fratello. La faremo con la Comunita' di Sant'Egidio lunedi' prossimo. Vogliamo suscitare in tutta la citta' una presa di coscienza dell'impegno che serve per far si' che queste persone si trovino nella condizione di non arrivare a questo punto. Se ci arrivano vuol dire che sono veramente disperate, e' evidente. Dobbiamo dare loro la possibilita' di sentirsi accolte e sostenute", ha dichiarato l'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia.
*
L'accusa del garante: non e' stato seguito in modo corretto
Il migrante suicida al Cpr di Torino non e' stato seguito come la sua situazione richiedeva. Lo sostiene Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della liberta' personale. "Una persona affidata alla responsabilita' pubblica – dice Palma - deve essere presa in carico e trattenuta nei modi che tengano conto della sua specifica situazione, dell'eventuale vulnerabilita' e della sua fragilita'. Questo non e' avvenuto"."A quanto mi risulta su Moussa non e' stato attivato nessun sostegno di natura psicologica" ha aggiunto Gian Luca Vitale, l'avvocato che seguiva il caso del giovane.
3. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
4. MAESTRI. JEAN-MARIE MULLER: ALTERNATIVE NONVIOLENTE ALLA GUERRA
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riprendiamo il capitolo decimo: "Alternative nonviolente alla guerra" (pp. 199-210). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso.
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005; Desarmer les dieux. Le christianisme et l'slam face a' la non-violence, Editions du Relie', Gordes 2009.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' stato membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di seguito riprodotta, che e' stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.serenoregis.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]
La guerra pone alla filosofia un tremendo problema: essa non soltanto contraddice, ma annulla l'esigenza primordiale dell'etica: "non uccidere". Dichiarare la guerra e' dare l'ordine – imperativo – a degli uomini di uccidere altri uomini. "Lo stato di guerra – scrive Emmanuel Levinas – sospende la morale; esso priva le istituzioni e le obbligazioni eterne della loro eternita' e, quindi, annulla nel provvisorio gli imperativi incondizionali. Esso proietta fin dall’inizio la sua ombra sugli atti degli uomini. La guerra non è soltanto una delle prove - la piu' grande tra l'altro - di cui vive la morale. Essa rende irrilevante la morale" (1). La guerra non e' soltanto lo scacco della filosofia, ne e' la negazione e il rinnegamento.
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Clausewitz e la riflessione sulla guerra
Carl von Clausewitz ci propone una "filosofia della guerra" (2); egli presenta la sua riflessione come una "elaborazione filosofica dell'arte della guerra" (3). Secondo lui, l'essenza della guerra e' di essere un "duello" (4) e "il suo scopo immediato e' di abbattere l'avversario per renderlo incapace di ogni resistenza" (5). La guerra e' dunque lo scontro di due volonta' con i mezzi della violenza, avendo ognuno dei due avversari l'intenzione deliberata di imporre la propria volonta' all'altro.
Ma la guerra nasce da un conflitto politico tra due governi, e dunque il suo obiettivo e' politico. "La guerra – afferma Clausewitz – e' una semplice continuazione della politica con altri mezzi" (6). Dicendo questo, il generale prussiano non voleva dire, come si lascia talvolta intendere, che la politica era gia' guerra, ma, tutto al contrario, che la guerra doveva essere ancora una azione politica. "Se si pensa – egli scrive – che la guerra nasce da un disegno politico, e' naturale che questo motivo centrale da cui e' nata resti la prima considerazione che dettera' la sua condotta" (7). "La guerra – egli precisa ancora – non e' soltanto un atto politico, ma un vero strumento politico, un proseguimento delle relazioni politiche, una realizzazione di queste con altri mezzi. (...) L'intenzione politica e' il fine, mentre la guerra e' il mezzo, e non si puo' concepire il mezzo indipendentemente dal fine" (8). Piu' precisamente, la guerra e' una continuazione della politica con mezzi diversi da quelli della diplomazia: il governo "da' battaglia invece di scrivere delle note diplomatiche" (9). "La condotta della guerra – scrive ancora Clausewitz – e' dunque, nelle sue grandi linee, la politica stessa che impugna la spada invece della penna, senza per questo cessare di pensare secondo le proprie leggi" (10). I nuovi mezzi della guerra non devono essere altro che una "aggiunta", perche' "la guerra stessa non fa cessare le relazioni politiche" (11). In questa prospettiva, Clausewitz pensa che nell'elaborazione dei piani di una guerra, la preoccupazione maggiore dei governi deve essere di "subordinare il punto di vista militare al punto di vista politico" (12).
Ma e' possibile sostenere – come fa Clausewitz – che la guerra e' un semplice mezzo per continuare la politica? In realta', affermando, da una parte, che "la guerra e' un atto di violenza" (13), e, d'altra parte, che "la guerra e' un atto politico" (14), Clausewitz enuncia una contraddizione irreparabile. Infatti, il ricorso alla violenza non significa altro che uno scacco della politica, della quale tutto il progetto e' precisamente costruire e mantenere, anzitutto dentro la polis, ma anche al di fuori delle sue porte, un ordine che non debba nulla alla violenza. La politica e la guerra sono fondamentalmente anti-nomiche (la parola antinomia, dal greco anti e nomos, designa una contraddizione tra due leggi), cioe' le leggi della guerra sono contrarie alle leggi della politica. Del resto, Clausewitz e' consapevole di questa antinomia e parla della "contraddizione che c'e' nella natura della guerra verso gli altri interessi umani, individuali o sociali" (15). Ma allora la guerra non puo' essere una continuazione della politica: essa e' una interruzione della politica. Nel momento stesso della dichiarazione di guerra, la politica cede il terreno alla violenza e questa lo occupera' fino alla fine dello scontro. Nel migliore dei casi, la politica riprendera' i suoi diritti solo al momento dell'armistizio, quando cesseranno di parlare le armi e gli avversari si sederanno per parlare allo stesso tavolo di negoziazione.
Analizzando "il puro concetto teorico della guerra" (16), Clausewitz definisce quella che chiama "la legge degli estremi" (17): in astratto, "la guerra e' un atto di violenza e non c'e' limite alla manifestazione di questa violenza" (18). Ne risulta "un'azione reciproca che, in teoria, deve arrivare agli estremi" (19). Ma, in realta' – afferma Clausewitz – la guerra e' diversa da cio' che dovrebbe essere secondo il suo concetto teorico, perche' la sua condotta dipende essenzialmente dagli uomini e gli uomini non agiscono secondo i principi della logica pura: "La teoria deve tener conto dell'elemento umano" (20). Per questo, con ogni probabilita', la legge della salita fino agli estremi non si riscontrera' applicata nella realta'. "Tutta l'azione di guerra – conclude Clausewitz – cessa cosi' di essere sottomessa alle strette leggi che spingono le forze fino all'estremo" (21). Egli e' contento che sia cosi', altrimenti l'obiettivo politico della guerra si troverebbe "inghiottito dalla legge degli estremi" (22) e "noi avremmo a che fare con una cosa priva di senso e di intenzionalita'" (23). Se la guerra "fosse un atto completo, che niente intralcia, una manifestazione di violenza assoluta, come si potrebbe dedurla dal suo concetto puro, essa prenderebbe il posto della politica nello stesso istante in cui questa la provoca, e la eliminerebbe, e seguirebbe le proprie leggi come qualcosa di assolutamente indipendente dalla politica" (24). Se la legge dell'arrivare fino agli estremi si trovasse applicata nei fatti, si arriverebbe al "parossismo dello sforzo", "si perderebbe allora di vista la discussione delle esigenze politiche, e i mezzi non avrebbero piu' alcun rapporto con il fine" (25).
L'esigenza formulata da Clausewitz di "subordinare il punto di vista militare al punto di vista politico" effettivamente si impone, in linea teorica, per salvare la coerenza della sua teoria della guerra, ma ci possiamo chiedere se, in pratica, quel principio non urti contro piu' ostacoli di quanti egli non ne lasci intendere. Ci si puo' chiedere se, nella realta', la contraddizione oggettiva tra la natura della guerra e quella della politica, e, in altre parole, l'antinomia tra i mezzi (violenti) della guerra e il fine (nonviolento) della politica, non siano piu' forti di quella ricercata coerenza, e se, in definitiva, quale che sia l'intenzione soggettiva degli uomini politici che conducono le operazioni, non sia proprio il punto di vista politico che finisce subordinato al punto di vista militare. Certo, la manifestazione della violenza non e' mai senza limiti, ma non supera forse sempre i limiti entro i quali il punto di vista militare potrebbe essere subordinato al punto di vista politico? Quell'"elemento umano", di cui Clausewitz dice che la teoria deve tener conto, non e' forse la passione molto piu' spesso che la ragione? E la passione non e' forse di natura tale da spingere gli uomini a manifestare la loro violenza ben al di la' dei limiti imposti dalla ragione politica? Certo, Clausewitz non mancherebbe di rifiutare la "guerra totale" con l'argomento che i mezzi militari utilizzati cancellerebbero in quel caso "totalmente" il fine politico che pretende giustificare quella guerra. Ma dal momento che, nella realta', non e' possibile superare la contraddizione tra i mezzi della guerra e il fine della politica, grande e' la probabilita' che, in fin dei conti, i mezzi cancellino il fine. Come minimo, questa probabilita' e' troppo importante perche' non ci domandiamo se non esistano altri mezzi diversi dalla guerra, dei mezzi che siano essi stessi politici, quindi nonviolenti, per proseguire la politica quando la diplomazia ha fallito nel risolvere un conflitto. E senza dubbio si puo' tentare di rispondere a questa domanda appoggiandosi sulla riflessione di Clausewitz.
Quando chiede: "Come si puo' influire sulla probabilita' del successo?", Clausewitz risponde: "Anzitutto, materialmente con gli stessi mezzi che servono a vincere il nemico, cioe' la distruzione delle sue forze militari" (26). Senza dubbio alcuno, la scelta della nonviolenza ci priva totalmente di questi mezzi. Ma Clausewitz espone in seguito "un altro particolare modo di pesare sulla probabilita' di successo senza che vi sia disfatta delle forze armate del nemico, cioe' operazioni che siano in rapporto diretto con la politica" (27). Egli suggerisce che, se noi arriviamo in questo modo a "suscitare delle attivita' politiche in nostro favore", questo vale a "condurci allo scopo molto piu' rapidamente che la disfatta delle forze armate nemiche" (28). Poi, egli pone la "questione di sapere come fare pressione sul dispendio di forza del nemico" e risponde che la soluzione "consiste nell'usura delle sue forze" (29). Precisamente scrive: "Non e' soltanto per fornire una definizione verbale che scegliamo questa espressione, l'usura, ma perche' essa definisce esattamente la cosa ed e' meno figurata di quel che sembri a prima vista. L'idea di usura mediante il combattimento implica un esaurimento graduale delle forze fisiche e della volonta' per mezzo della durata dell'azione" (30).
Alla luce stessa dei principi della teoria di Clausewitz sull'affrontare le forze nemiche, e' possibile qui definire il concetto di una difesa civile fondata sulla strategia della resistenza nonviolenta. Questa strategia, se non puo' pretendere di esaurire le forze fisiche del nemico, puo' darsi l'obiettivo di usurare la sua volonta' politica fino al punto che esso rinunci alla sua impresa. Se qui non puo' essere questione di distruggere le forze nemiche, si tratta pero' di "arrivare alla distruzione delle intenzioni avverse, cioe' arrivare alla pura resistenza, che non mira ad altro che a prolungare la durata dell'azione fino a sfinirvi l'avversario" (31). Se noi concentriamo tutte le nostre risorse in vista di una pura resistenza, "allora la semplice durata del combattimento bastera' poco a poco a ottenere il dispendio di forza del nemico, fino al punto che il suo obiettivo politico non sara' piu' un equivalente adeguato, dunque fino ad un punto in cui dovra' abbandonare la lotta" (32). Si tratta dunque di "perseverare nella durata del combattimento piu' a lungo del nemico, cioe' di esaurirlo" (33).
Con la durata, interviene un altro fattore che ha pure un effetto determinante sull'efficacia di una resistenza popolare: quello dello spazio. L'efficacia di una resistenza e' direttamente proporzionale alla durata dell'azione, ma anche alla sua estensione. Parlando della "guerra del popolo", Clausewitz osserva: "L'azione della resistenza, come il processo di evaporazione nel campo fisico, dipende dall'estensione della superficie esposta" (34). Le forze di repressione, specialmente, potranno tanto piu' difficilmente neutralizzare la resistenza quanto piu' questa sara' estesa: "Lo spirito di resistenza diffuso dappertutto non e' afferrabile in alcun luogo" (35).
Le "operazioni ostili" (36) terminano e la guerra finisce quando la volonta' dell'uno o dell'altro dei due avversari si trova stroncata ed egli decide di firmare la pace. "Non appena i consumi di forza – scrive Clausewitz – diventano cosi' grandi che non corrispondono piu' al valore dell'obiettivo politico, bisognera' abbandonare questo obiettivo e firmare la pace" (37). Allo stesso modo, una resistenza civile nonviolenta deve darsi come strategia il condurre l'avversario a constatare che l'impegno dei suoi soldati e funzionari gli chiede dei dispendi di forza sproporzionati all'obiettivo politico che si e' dato e che, allora, il suo interesse gli impone di negoziare un trattato di pace.
Riferendoci cosi' alle proposizioni di Clausewitz, prendendo da lui molte delle sue formule e applicandole alla strategia della resistenza nonviolenta, non vogliamo assolutamente pretendere che il generale prussiano avrebbe fatto, senza saperlo, un'arringa a favore della difesa nonviolenta. Per lui non c'e' alcun dubbio che "la decisione con le armi" (38) e' la legge suprema dello scontro tra due Stati. Egli afferma: "La soluzione cruenta della crisi, lo sforzo tendente all'annientamento delle forze nemiche e' il figlio legittimo della guerra" (39). Per lui sarebbe un errore di principio "dare la preferenza a una decisione che non comporti effusione di sangue" (40). Se si sceglie questo metodo, lo si fa a rischio che non sia il migliore.
Noi sosteniamo soltanto che molte delle categorie definite da Clausewitz per costruire la sua teoria della guerra permettono di elaborare una teoria coerente e pertinente della difesa civile nonviolenta. E' ovvio che le due teorie restano largamente antagoniste in molti dei loro postulati e delle loro conclusioni. Ma questo, ci sembra, non puo' proibirci i prestiti che abbiamo fatto e le corrispondenze che abbiamo stabilito.
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La difesa civile nonviolenta (*)
Di per se' il disarmo non offre nessuna soluzione al problema della guerra. In realta', l'armamento non e' la causa delle guerre. Non sono le armi che creano le guerre, ma, al contrario, sono le guerre che creano le armi. Non si tratta dunque di volere sopprimere le armi per sopprimere le guerre, ma si tratta di sopprimere le guerre per potere sopprimere le armi. Ora, non si sopprimeranno le guerre volendo sopprimere i conflitti. Questi, i conflitti, costituiscono la trama stessa della storia degli uomini, delle comunita' e dei popoli. Si sopprimeranno le guerre se si vorranno risolvere i conflitti con dei mezzi diversi dalle armi. Si tratta dunque chiaramente di immaginare degli altri mezzi da quelli dalla violenza per risolvere in modo umano gli inevitabili conflitti umani.
Non si tratta tanto di reclamare il disarmo quanto di creare le condizioni che lo rendono possibile. In questa prospettiva, conviene fissarsi un obiettivo che tenga conto della realta' e della necessita' di creare una dinamica capace di cambiarla. Il concetto di transarmo sembra il piu' appropriato per designare questo obiettivo. Questo concetto esprime l'idea di una transizione nel corso della quale devono essere preparati i mezzi di una difesa civile nonviolenta che apportino delle garanzie analoghe ai mezzi militari senza comportare gli stessi rischi. Mentre la parola "disarmo" non esprime che un rifiuto, la parola "transarmo" vuole tradurre un progetto. Mentre il disarmo evoca una prospettiva negativa il transarmo suggerisce un passo costruttivo. La sicurezza e' un bisogno fondamentale di ogni collettivita' umana, e, nella misura in cui i membri di una societa' hanno il senso che la loro sicurezza esige il possesso di armi capaci di opporsi efficacemente ad un'aggressione, il disarmo non potra' generare in loro che una profonda insicurezza. Prima di potere disarmare, bisogna poter lucidare delle armi diverse da quelle della violenza. Tuttavia, i concetti di transarmo e di disarmo non sono antagonisti, perche' una delle finalita' del processo di transarmo e' di rendere possibili delle misure effettive di disarmo.
Il transarmo (**) mira a creare un'alternativa alla difesa militare, cioe' mira ad organizzare una difesa civile nonviolenta che possa sostituirsi alla difesa armata.
Ma questo non puo' essere che un obiettivo a lungo termine. Prima che la difesa civile nonviolenta possa essere considerata dalla maggioranza della popolazione e dai poteri pubblici come un'alternativa efficace alla difesa armata, il primo obiettivo e' stabilire la sua fattibilita' e di farle acquistare una reale credibilita'.
Clausewitz sottolinea che uno dei fattori che agiscono sulla guerra e' il "teatro delle operazioni", che e' costituito dal "territorio con il suo spazio e con la sua popolazione" (41). Nel quadro della strategia della difesa civile nonviolenta, il teatro delle operazioni e' costituito dalla societa' con le sue istituzioni democratiche e la sua popolazione. In realta', l'invasione e l'occupazione di un territorio non costituiscono gli scopi di un'aggressione; non sono che dei mezzi per stabilire il controllo e il dominio di una societa'. Gli obiettivi piu' probabili che un avversario cerca di raggiungere occupando un territorio sono l'influenza ideologica, il dominio politico e lo sfruttamento economico. Per raggiungere questi obiettivi gli occorre occupare la societa', piu' precisamente gli e' necessario occupare le istituzioni democratiche della societa'. Di conseguenza, le frontiere che un popolo deve difendere per salvaguardare la sua liberta' sono quelle della democrazia. Il territorio la cui integrita' garantisce la sovranita' di una nazione non e' quello della geografia ma quello della democrazia. Ne risulta che, in una societa' democratica, la politica di difesa non deve avere per fondamento la difesa dello stato, ma la difesa dello stato di diritto.
Conviene dunque ricentrare il dibattito sulla difesa attorno ai concetti di democrazia e di cittadinanza. Se l'oggetto della difesa e' la democrazia, l'attore della difesa e' il cittadino, perche' egli e' l'attore della democrazia. Importa dunque riflettere sul rapporto che una societa' democratica deve stabilire tra la difesa e il cittadino. Fino ad oggi, al di la' delle affermazioni retoriche secondo le quali la difesa e' "l'affare di tutti", le nostre societa' non hanno saputo permettere ai cittadini di assumere una responsabilita' effettiva nell'organizzazione della difesa della democrazia contro le aggressioni di cui essa puo' essere l'oggetto, sia che queste vengano dall'interno o dall'esterno. L'ideologia securitaria della dissuasione militare ha avuto come effetto di deresponsabilizzare l'insieme dei cittadini in rapporto ai loro obblighi di difesa. Dal momento che la tecnologia precede, soppianta e finisce per svuotare la riflessione politica e la ricerca strategica, non e' piu' il cittadino che e' l'attore della difesa, ma lo strumento tecnico, la macchina militare, il sistema d'armi.
Importa dunque che i cittadini si riapproprino del ruolo che deve essere il loro nella difesa della democrazia. Per fare partecipare i cittadini alla difesa della societa' non basta voler immettere uno "spirito di difesa" nella popolazione civile, si tratta invece di preparare una vera "strategia di difesa" che possa mobilitare l'insieme dei cittadini in una "difesa civile" della democrazia. Fino ad oggi la sensibilizzazione dei cittadini, compresi i bambini, ai doveri di difesa si e' situata nel quadro stretto dell'organizzazione della difesa militare. Questa restrizione non puo' che ostacolare lo sviluppo di una reale volonta' di difendere le istituzioni che garantiscono il funzionamento della democrazia. Perche' lo spirito di difesa si diffonda realmente nella societa', bisogna civilizzare la difesa e non militarizzare i civili. La mobilitazione dei cittadini potra' essere tanto piu' effettiva e operativa, se i compiti che sono loro proposti saranno nel quadro di istituzioni politiche, amministrative, sociali ed economiche nelle quali essi lavorano quotidianamente. La preparazione della difesa civile si inscrive in totale continuita' ed in perfetta omogeneita' con la vita dei cittadini nelle istituzioni in cui essi esercitano le loro responsabilita' civiche. Lo spirito di difesa che e' loro richiesto si radica direttamente nello spirito civico che anima le loro attivita' quotidiane.
Di fronte ad ogni tentativo di destabilizzazione, di controllo, di dominio, di aggressione o di occupazione della societa' intrapreso da un potere illegittimo, e' dunque essenziale che la resistenza civile dei cittadini si organizzi sul fronte delle istituzioni democratiche che permettono il libero esercizio dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, la cui funzione e' di garantire le liberta' e i diritti di tutti e di ciascuno. E' responsabilita' dei cittadini che esercitano delle funzioni in queste istituzioni di vegliare perche' queste continuino a funzionare secondo le regole della democrazia. Tocca dunque a loro, ai cittadini, di rifiutare ogni sottomissione a qualunque potere illegittimo che, ispirandosi ad una ideologia antidemocratica, tentasse di distogliere queste istituzioni dai loro propri fini.
Obiettivo ultimo di ogni potere illegittimo che voglia prendere il controllo di una societa' e' di ottenere, con mezzi congiunti di persuasione, di pressione, di costrizione, e di repressione, la collaborazione e la complicita' oggettiva dei cittadini, almeno del piu' grande numero di questi. Da questo segue che l'asse centrale di una difesa civile e' l'organizzazione del rifiuto generalizzato, ma selettivo e perfettamente mirato, di questa collaborazione. Si puo' cosi' definire la difesa civile come una politica di difesa della societa' democratica contro ogni tentativo di controllo politico o di occupazione militare, mobilitando l'insieme dei cittadini in una resistenza che coniughi, in maniera preparata ed organizzata, delle azioni nonviolente di non-cooperazione e delle azioni di confronto con ogni potere illegittimo, in modo che questo sia messo nell'incapacita' di raggiungere i suoi obiettivi ideologici, politici ed economici con i quali esso giustifica la sua aggressione.
E' essenziale che l'organizzazione di questa difesa non sia lasciata all'iniziativa individuale. E' compito dei poteri pubblici preparare la difesa civile di tutti gli spazi istituzionali della societa' politica. Occorre dunque che il governo elabori delle istruzioni ufficiali sugli obblighi dei funzionari, qualora essi si trovino in una situazione di crisi acuta in cui debbano fare fronte agli ordini di un potere illegittimo. Queste istruzioni devono sottolineare che le amministrazioni pubbliche hanno un ruolo strategico decisivo nella difesa della democrazia, cioe' il ruolo di privare qualsiasi potere usurpatore dei mezzi esecutivi di cui ha bisogno per mettere in atto la sua politica.
Mentre e' preparata nella societa' politica, la difesa civile deve essere preparata anche in seno alla societa' civile, nel quadro delle varie organizzazioni e associazioni che i cittadini stessi si sono dati per radunarsi secondo le proprie affinita' politiche, sociali, culturali o religiose. Le reti formate da queste associazioni di cittadini, che occupano tutto la spazio sociale del paese, e che comportano principalmente i movimenti politici, i sindacati, i movimenti associativi e le comunita' religiose, devono poter diventare, in una situazione di crisi che metta in pericolo la democrazia, altrettante reti di resistenza. A proposito del ruolo specifico delle associazioni, Alain Refalo scrive: "La responsabilita' civica dei cittadini inseriti nell'ambiente associativo deve prolungarsi nella difesa della societa' civile quando questa e' aggredita. Le associazioni, attrici della democrazia, devono ugualmente essere le attrici della difesa della democrazia" (42).
La messa in opera istituzionale della difesa civile nonviolenta da parte dei poteri pubblici si urta e con ogni probabilita' si urtera' ancora a lungo con molte pesantezze sociologiche. In realta', lo Stato ha prima di tutto bisogno dell'esercito per se stesso, al fine di assicurare la propria autorita', mantenerla e, nel caso, ristabilirla. Se la mistica militare confessa una religione della liberta', la politica militare pratica una religione dell'ordine. D'altra parte, lo Stato ha troppo il culto dell'obbedienza per non provare una forte ripugnanza al fatto che si insegni ai cittadini a rifiutare di obbedire agli ordini illegittimi. A questo proposito Gene Sharp scrive: "E' molto probabile che questa fede nell'onnipotenza della violenza e questa ignoranza della potenza della lotta popolare nonviolenta, siano state perfettamente compatibili con gli interessi delle elites dominanti del passato, le quali non volevano che il popolo prendesse coscienza del proprio potere potenziale" (43).
Cosi', oggi come ieri, la messa in opera della difesa civile nonviolenta resta una vera sfida. Non sarebbe ragionevole attendersi dai poteri pubblici che essi l'organizzino nella stessa maniera in cui organizzano la difesa militare, per mezzo di un processo che sarebbe imposto dall'alto dello Stato al basso della societa'. E' compito anzitutto dei cittadini essere loro stessi convinti che questo e' necessario per la difesa della democrazia, cioe', in definitiva, per la difesa dei loro propri diritti e liberta'. Qui come in altri aspetti, ogni volta che e' anzitutto ed essenzialmente in questione la democrazia, la parola e' anzitutto ai cittadini.
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Note dell'autore
1. Emmanuel Levinas, Totalite' et infini, op. cit., p. 5; tr. it. cit., di Adriano Dell'Asta, Jaca Book Edizioni, Milano 1982, p. 19.
2. Carl von Clausewitz, De la guerre, Paris, Les Editions de Minuit, 1955, p. 52; tr. it. Della guerra, a cura e traduzione di Gian Enrico Rusconi, Einaudi, Torino 2000.
3. Ibidem, p. 44.
4. Ibidem, p. 51.
5. Ibidem.
6. Ibidem, p. 67.
7. Ibidem, p. 66.
8. Ibidem, p. 67.
9. Ibidem, p. 705.
10. Ibidem, p. 710.
11. Ibidem, p. 703.
12. Ibidem, p. 706.
13. Ibidem, p. 53.
14. Ibidem, p. 66.
15. Ibidem, p. 703.
16. Ibidem, p. 55.
17. Ibidem, p. 58.
18. Ibidem, p. 53.
19. Ibidem.
20. Ibidem, p. 65.
21. Ibidem, p. 58.
22. Ibidem.
23. Ibidem, p. 704.
24. Ibidem, p. 66.
25. Ibidem, p. 678.
26. Ibidem, p. 73.
27. Ibidem.
28. Ibidem, p. 73-74.
29. Ibidem, p. 74.
30. Ibidem.
31. Ibidem, p. 81.
32. Ibidem, p. 75.
33. Ibidem.
34. Ibidem, p. 552.
35. Ibidem, p. 553.
36. Ibidem, p. 70.
37. Ibidem, p. 72.
38. Ibidem, p. 82.
39. Ibidem, p. 83.
40. Ibidem, p. 82.
41. Ibidem, p. 57.
42. Alain Refalo, "Place et role des associations dans une strategie de dissuasions civile", Alternatives non-violentes, n. 72, octobre 1989, p. 28.
43. Gene Sharp, "A la recherche d'une solution au probleme de la guerre", Alternatives non-violentes, n. 34, p. 72.
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Note supplementari del traduttore
* Conserviamo nella traduzione questa espressione dell'Autore per esprimere il concetto che ora, in Italia, e' prevalentemente denominato "difesa nonarmata e nonviolenta" (n. d. tr.).
** Questo concetto di transarmo presentato da Muller differisce un poco da quello proposto da Johan Galtung e piu' noto in Italia: "Processo di transizione da un modello di difesa fondato su armi di offesa a un modello di difesa che utilizza esclusivamente armi difensive, sino alla loro totale estinzione nel caso della difesa popolare nonviolenta" (Ambiente, sviluppo e attivita' militare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, p. 151; vedi anche pp. 35, 99-115, 132). La nozione di Galtung e' piu' articolata nei passaggi intermedi (n. d. tr.).
5. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Lelio Basso (a cura di), Socialismo o barbarie. La vita e le idee di Rosa Luxemburg, e/o, Roma 2021, pp. 128, euro 8.
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Riedizioni
- Silvia Zanella, Il futuro del lavoro e' femmina. Come lavoreremo domani, Giunti-Bompiani, Firenze-Milano 2020, Il sole 24 ore, Milano 2021, pp. 218, euro 12,90.
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
8. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4117 del 27 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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