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[Nonviolenza] Telegrammi. 4091
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4091
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Fri, 30 Apr 2021 18:17:33 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4091 del primo maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Commemorato Alfio Pannega a Viterbo con i versi danteschi ed i canti di lotta che tanto amava
2. Baldassare Pastore: In ricordo di Elena Pulcini. Per una filosofia impegnata di fronte alle sfide del presente
3. Eleonora Cugini presenta "Il diritto della liberta'. Lineamenti per un'eticita' democratica" di Axel Honneth
4. Eleonora Cugini presenta "L'idea di socialismo. Un sogno necessario" di Axel Honneth
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. MEMORIA. COMMEMORATO ALFIO PANNEGA A VITERBO CON I VERSI DANTESCHI ED I CANTI DI LOTTA CHE TANTO AMAVA
La mattina del 30 aprile 2021 presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo si e' svolto un incontro di commemorazione di Alfio Pannega nell'undicesimo anniversario della scomparsa.
L'incontro si e' svolto nel piu' assoluto rispetto delle misure di sicurezza previste dalla vigente normativa per prevenire e contrastare la diffusione del coronavirus.
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Un ricordo
Il responsabile della struttura nonviolenta viterbese ha tenuto un'allocuzione in ricordo dell'indimenticabile amico e compagno di lotte; rievocando alcune delle vicende, esperienze e riflessioni condivise nel corso degli anni e riaffermandone il senso e il valore; concludendo infine che "Alfio Pannega e' stato una persona che molto ha sofferto e molto ha amato la vita, che sempre si e' impegnato per il bene comune, che sempre si e' sentito ed e' stato parte del movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per difendere la vita, la dignita' e i diritti di ogni persona, per la liberazione e la salvezza dell'umanita' tutta, per la salvaguardia dell'intero mondo vivente. E' stato un comunista libertario, un amico della nonviolenza, una persona generosa che mai si arrese e sempre lotto' contro ogni abuso, contro ogni ingiustizia, contro ogni violenza. Valeva per lui il motto che don Milani scrisse su un muro della scuola di Barbiana e che significava 'mi sta a cuore, me ne prendo cura', ed era il contrario dell'infame motto fascista 'me ne frego'. Alfio si prendeva cura di tutti: delle persone, degli animali, delle piante; aveva a cuore il bene delle persone e del mondo. Chi lo ha conosciuto ne prosegua l'impegno nonviolento per il bene comune, e cosi' testimoni e tramandi il suo appello, il suo lascito: a continuare la lotta finche' nessuna persona sia piu' oppressa, sfruttata, umiliata, offesa, denegata nella splendente sua dignita' di essere umano, nell'inalienabile diritto alla vita e alla liberta'; a continuare la lotta affinche' si realizzi la societa' giusta, fraterna e sororale, in cui da ogni persona sia dato a seconda delle sue capacita' e ad persona sia dato a seconda dei suoi bisogni; a continuare la lotta perche' possa inverarsi un'autenticamente civile convivenza fondata sulla piena condivisione del bene e dei beni. Ed anche questa citta' - questa citta' di Viterbo, e questa piu' grande citta' che e' il mondo vivente -, che lui tanto ha amato e difeso, sia orgogliosa di aver avuto un cittadino come lui, e lo prenda ad esempio di come l'umanita' potrebbe e quindi dovrebbe essere: generosa e gentile, fiera e solidale, sobria e accudente, resistente e nonviolenta".
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Alcune poesie e alcuni canti
Sono state poi lette e commentate alcune poesie di Alfio Pannega.
Successivamente sono stati letti alcuni versi della Divina Commedia che Alfio amava declamare, ed infine sommessamente, raccoltamente intonati alcuni dei canti popolari e di lotta da lui amati: Bandiera rossa, Bella ciao, L'Internazionale.
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Un dono e un invito
Alle persone presenti e' stato fatto dono di una raccolta di fotografie di Alfio Pannega realizzate da Mario Onofri, un artista, un amico, un compagno di lotte che ci ha anche lui lasciato alcuni anni fa.
Le persone partecipanti all'incontro hanno rinnovato ancora una volta l'invito alla citta' - alle persone amiche di Alfio come alle istituzioni democratiche, alle associazioni popolari ed ai centri culturali - affinche' si costituisca un "Archivio Alfio Pannega" in cui raccogliere i superstiti documenti che lo riguardano (fotografie, registrazioni audio e video, carte ed oggetti che gli appartennero) affinche' non vadano disperse - e restino invece alle future generazioni - importanti concrete tracce della sua vicenda esistenziale, della sua testimonianza umana.
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Una minima notizia su Alfio Pannega
Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti.
Molte fotografie di Alfio scattate da Mario Onofri, artista visivo profondo e generoso compagno di lotte che gli fu amico e che anche lui ci ha lasciato anni fa, sono disperse tra vari amici di entrambi, ed altre ancora restano inedite nell'immenso, prezioso archivio fotografico di Mario, che tuttora attende curatela e pubblicazione.
Negli ultimi anni il regista ed attore Pietro Benedetti, che gli fu amico, ha sovente con forte empatia rappresentato - sulle scene teatrali, ma soprattutto nelle scuole e nelle piazze, nei luoghi di aggregazione sociale e di impegno politico, di memoria resistente all'ingiuria del tempo e alla violenza dei potenti - un monologo dal titolo "Allora ero giovane pure io" dalle memorie di Alfio ricavato, personalmente interpretandone e facendone cosi' rivivere drammaturgicamente la figura.
La proposta di costituire un "Archivio Alfio Pannega" per raccogliere, preservare e mettere a disposizione della collettivita' le tracce della sua vita e delle sue lotte, e' restata fin qui disattesa.
Alcuni testi commemorativi sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", ad esempio negli "Archivi della nonviolenza in cammino" nn. 56, 57, 58, 60; cfr. anche il fascicolo monografico dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265 ed ancora i "Telegrammi della nonviolenza in cammino" nn. 907-909, 1172, 1260, 1261, 1272, 1401, 1622-1624, 1763, 1971, 2108-2113, 2115, 2329, 2331, 2334-2335, 2476-2477, 2479, 2694, 2833, 3049, 3051-3052, 3369-3373, 3448, 3453, 3515-3517, 3725, 4089-4090, i fascicoli di "Coi piedi per terra" n. 546 e 548-552, e "Voci e volti della nonviolenza" nn. 687-691, 754-755, 881, il fascicolo di "Ogni vittima ha il volto di Abele" n. 170, i fascicoli di "Una persona, un voto" nn. 88-90, 206, 209, i fascicoli de "La domenica della nonviolenza" nn. 420 e 511, i fascicoli de "La nonviolenza contro il razzismo" nn. 202-206, 213, 437-438, 445-446.
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Un appello
Non potremmo concludere queste ricordo senza riproporre un appello che se fosse ancora vivo Alfio condividerebbe toto corde con noi ad impegnarci qui ed oggi contro le piu' flagranti e abominevoli violenze che oggi dobbiamo contrastare. Ripetiamolo una volta di piu'.
1. Occorre opporsi al maschilismo.
La prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera.
Solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'.
Solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
2. Occorre opporsi al razzismo.
- Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro;
- occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
- occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
- occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
3. Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre.
- Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera;
- occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere;
- occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
4. Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi.
Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
2. LUTTI. BALDASSARE PASTORE: IN RICORDO DI ELENA PULCINI. PER UNA FILOSOFIA IMPEGNATA DI FRONTE ALLE SFIDE DEL PRESENTE
[Dal sito www.giustiziainsieme.it riprendiamo questo ricordo]
La scomparsa di Elena Pulcini rappresenta una grave perdita per la cultura filosofica, non solo italiana. Professore ordinario di Filosofia sociale nell'Universita' di Firenze, in pensione dallo scorso primo novembre, Elena Pulcini ha affrontato, nel corso del suo itinerario di ricerca contrassegnato da una vasta produzione, alcune questioni basilari per la comprensione del mondo odierno e dei suoi cambiamenti, coniugando rigore scientifico e impegno civile.
Le analisi e le riflessioni sul soggetto femminile, sull'individualismo moderno, sulle forme del legame sociale, sulla cura, sulla vulnerabilita', sulla responsabilita', sulla crisi ecologica e le sfide globali hanno caratterizzato un percorso di studio profondamente coerente, nel quale la filosofia ha offerto un approccio critico al reale, contaminandosi con altri saperi, quali la psicoanalisi, l'antropologia, la sociologia, la letteratura, e, nel contempo, un deposito di concetti e immagini con cui orientarsi per articolare nuove prospettive. Da questo punto di vista, si puo' ben dire che gli esiti della ricerca di Pulcini, pur non avendo mai tematizzato espressamente questioni riguardanti l'esperienza giuridica, possono fornire un utile bagaglio, a disposizione dei giuristi, per pensare il loro compito in direzione del superamento dell'autoreferezialita' e dell'apertura ad altri discorsi e saperi in un'ottica non riduzionistica.
Elena Pulcini ha visto nella filosofia sociale l'ambito privilegiato per proporre una diagnosi del presente, cogliendone alcuni eventi significativi, e per snidare le aporie, le contraddizioni, gli aspetti degenerativi che lo segnano. L'attenzione alle patologie della societa' contemporanea, intese come sviluppi sbagliati o disturbati che compromettono la promessa, propria della modernita', dell'autorealizzazione degli individui, e' stata una componente centrale dei suoi interessi, cosi' come lo e' stata la rivalutazione delle passioni, in quanto strutture significanti che presuppongono credenze e giudizi, e orientano le scelte, le convinzioni, i valori.
Le passioni non sono forze cieche e irrazionali, ma elementi universali, pur soggette, di volta in volta, a trasformazioni in base ai contesti storici e sociali nelle quali operano. Riflettere sulle passioni permette di gettare luce su cio' che gli esseri umani sono e su cio' che vorrebbero essere, sulle loro aspettative, sul modo in cui vivono e intendono vivere. Questo implica una consapevolezza critica volta a imparare a distinguere, per poterle contrastare, le passioni negative, egoistiche e distruttive (come l'odio, l'invidia, il risentimento) da quelle positive, empatiche, quali leve potenziali di una mobilitazione idonea a superare le due opposte polarita' dell'individualismo illimitato e del comunitarismo endogamico, vere e proprie patologie della contemporaneita'.
Lo sguardo di Pulcini, cosi', si dirige verso le radici emotive dell'etica, verso le motivazioni affettive che ispirano le domande di giustizia e che trovano origine proprio in determinate passioni. Emerge, qui, la considerazione per la funzione delle emozioni, con la dimensione cognitiva e comunicativa che esse presentano, e per i modi di coltivare la loro qualita' etica, facendone un requisito essenziale della sfera morale e sociale (cfr. Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa sociale, Bollati Boringhieri, Torino, 2020). D'altra parte, guardando al diritto come linguaggio dell'interazione, non rappresenta un carattere proprio della giustizia il confrontarsi con le passioni umane?
In Elena Pulcini il bisogno di giustizia, originato dall'esperienza dell'ingiustizia e dal desiderio di combatterla, per far fronte alle diseguaglianze, allo sfruttamento, alla violenza, alla mancanza di riconoscimento, si lega all'urgenza della cura come antidoto all'atomismo, all'indifferenza, all'erosione della relazionalita' intersoggettiva (cfr. L'individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Bollati Boringhieri, Torino, 2001), all'incuria verso il mondo vivente e verso il drammatico stato dell'ambiente naturale, proponendone una reciproca integrazione. La complementarita' tra giustizia e cura puo' trovare un terreno comune nella politica, intesa come "orizzontale azione di concerto", coinvolgimento nella sfera pubblica, sensibilita' al bene collettivo, cooperazione (al di la' di ogni irenica benevolenza) tra individui consapevoli della propria incompiutezza, debolezza, fragilita', e della dipendenza dagli altri. La nozione di vulnerabilita', in questo campo, diviene un fattore critico-decostruttivo, che conduce a revocare in dubbio la rappresentazione del soggetto astratto e autosufficiente, ma anche dinamico, che chiede agli assetti sociali e agli ordinamenti di rilegittimarsi continuamente, interrogandosi sui propri fondamenti ed esiti normativi.
Tra le passioni la paura occupa un posto centrale, a partire dalla sua ambivalenza. Per un verso, infatti, presenta, riprendendo Hobbes, un carattere "produttivo", capace di promuovere la conservazione della vita e l'ordine sociale e politico, garante della sicurezza; per l'altro, e' all'origine di una serie di effetti negativi, che l'eta' contemporanea amplifica, creando una situazione diffusa di insicurezza e di ansia, accresciuta dalla percezione di impotenza generata dalla coscienza della difficile gestione delle sfide di carattere globale riguardanti le catastrofi ecologiche, la crisi finanziaria, le nuove poverta', le migrazioni (che ampliano l'idea di altro nella figura dell'altro distante nello spazio, straniero, sconosciuto), i conflitti etnico-religiosi, le generazioni future (che ampliano l'idea dell'altro nella figura dell'altro distante nel tempo), la deriva incontrollabile dei poteri economici e tecnologici. Si tratta di sfide che, se non governate, tendono a trasformare gli individui in passivi e impotenti spettatori di eventi.
La risposta alla paura legata alle minacce e ai rischi dell'eta' globale, che mostrano la nostra ineludibile condizione di vulnerabilita' (un dato originario, esistenziale, che, comunque, ha bisogno di essere percepito e riconosciuto al fine di entrare nella dinamica dell'interazione) e l'interconnessione di ciascuno con il destino e la vita di tutti gli esseri umani, e' vista nella cura, come pratica sociale implicante l'assunzione della responsabilita' per gli altri (cfr. La cura del mondo. Paura e responsabilita' nell'era globale, Bollati Boringhieri, Torino, 2009). La responsabilita', connessa alla preoccupazione e alla sollecitudine per le sorti dell'umanita' e del pianeta, manifesta la sua operativita' sul piano della costruzione del legame sociale e nel ripensare l'idea di comunita' come dimensione interna e costitutiva dell'individuo, ispirata, con la inevitabile contaminazione tra diversi, al rispetto delle singolarita' e al recupero del riconoscimento solidale.
La proposta della filosofa va nella direzione di re-instaurare una "metamorfosi virtuosa della paura", che ne contrasti la rimozione, individuando la sua funzione propulsiva. La paura, pertanto, diventa la fonte emotiva della responsabilita' che prelude ad una risposta etica. Entra in gioco, a questo riguardo, la facolta' di immaginazione, orientata a produrre un risveglio propositivo della paura, in quanto ci consente di dar conto del male presente e futuro e di prefigurare scenari, riattivando la fiducia nella possibilita' del cambiamento, della trasformazione dell'esistente.
Invero, non puo' non essere evidenziato che molte delle questioni sulle quali si e' concentrata la riflessione di Pulcini toccano il diritto. Tra queste rientrano l'interesse per la convivenza tra persone estranee le une alle altre e per le modalita' dell'essere-in-comune, nonche' l'attenzione alla giustizia: valore che il diritto persegue o promette di perseguire, che e' coessenziale al suo uso e alla sua comprensione, e che coinvolge il pensiero giuridico verso un impegno valutativo e progettuale. L'impegno per la giustizia, anche nella formazione, nell'interpretazione, nell'applicazione imparziale ed equa delle regole giuridiche, si pone come momento cruciale per la realizzazione di quello che – riprendendo la frase di chiusura dell'ultimo libro di Elena Pulcini – "possiamo ancora chiamare, evocando uno slogan forse un po' nostalgico ma quanto mai attuale, un mondo migliore".
3. LIBRI. ELEONORA CUGINI PRESENTA "IL DIRITTO DELLA LIBERTA'. LINEAMENTI PER UN'ETICITA' DEMOCRATICA" DI AXEL HONNETH
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 5, n. 2 (2016)]
Axel Honneth, Il diritto della liberta'. Lineamenti per un'eticita' democratica, Codice Edizioni, 2015, pp. 528.
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In questo lavoro Axel Honneth si propone di "elaborare una
teoria della giustizia come analisi della societa'" (p. XXXVI). Un simile obiettivo nasce dall'insoddisfazione che, secondo l'Autore, all'interno del dibattito filosofico sulla giustizia, segna tanto le posizioni costruttiviste – di derivazione kantiana – che formulano regole da applicare solo esteriormente alla realta', quanto le posizioni di quell'idealismo che si e' sviluppato in seguito alla morte di Hegel, attorno a un'interpretazione conservatrice della sua Filosofia del diritto e che si limitano a una mera descrizione della realta', rintracciandovi connotazioni di razionalita' e necessita' che rendono impossibile qualsiasi critica.
L'elaborazione di una teoria della giustizia, a partire da presupposti strutturali della societa', viene condotta da Honneth con un metodo che egli definisce "ricostruzione normativa" (p. XL) e per il quale fa diretto riferimento proprio all'hegeliana Filosofia del diritto. Questo metodo consiste in una ricostruzione, in quanto mediante l'osservazione e l'analisi della societa' seleziona solo quelle istituzioni e quei valori etici che garantiscono la riproduzione sociale; inoltre tale ricostruzione e' normativa perche' ordina le istituzioni scelte in base alla loro importanza e al loro ruolo nell'applicazione e nella stabilizzazione di quei valori etici socialmente accettati e legittimati. I principi normativi che orientano tale teoria della giustizia, secondo Honneth – che ritiene cosi' di recuperare l'esposizione e il metodo offerti da Hegel nella sfera dell'eticita' della Filosofia del diritto –, vengono elaborati all'interno della societa' stessa e sollecitano quest'ultima a una loro sempre piu' completa realizzazione.
Il metodo della ricostruzione normativa esibisce cosi' anche l'opportunita' di una sua applicazione critica, ma pur sempre di critica immanente, o "ricostruttiva", che non contrappone criteri esterni alle pratiche esistenti: "se cioe', funge da istanza di eticita' cio' che rappresenta valori o ideali mediante un insieme di pratiche istituzionalizzate, allora quegli stessi valori possono anche essere richiamati per criticare le pratiche esistenti in quanto non ancora adeguate sotto il profilo delle loro prestazioni rappresentative" (p. XLIV).
E' a partire da questa impostazione del problema che Honneth puo' dichiarare cosa egli intenda per giustizia: "la liberta' nel senso dell'autonomia dell'individuo" (p. 5) si puo' comprendere solo se viene pensata primariamente come una liberta' sociale, ovvero all'interno di istituzioni concrete di reciproco riconoscimento e scambio per la realizzazione di esigenze vitali.
Lo sforzo di Honneth sta dunque proprio nel ribaltare l'identificazione, avvenuta storicamente, della liberta' con la mera giustizia delle leggi e del diritto, e ricondurre questo rapporto all'identificazione della giustizia con la liberta' sociale del mutuo riconoscimento, della solidarieta' e della cooperazione tanto nella sfera privata quanto in quella economica e politica.
Al centro di tutta la ricca e articolata argomentazione di questo libro possiamo individuare tre nuclei che si sostengono reciprocamente: 1) l'indagine attorno alla giustizia e' un'indagine attorno alla liberta', ma 2) tale indagine deve essere condotta secondo un metodo che, da un lato, non si riduca tutto all'esteriorita' del diritto e, dall'altro, non si ritrovi nell'impasse di legittimare sic et simpliciter lo stato di fatto, anzi, 3) un tale metodo dovra' fornire anche i criteri per una "critica ricostruttiva". Questi tre nuclei sono retti e tenuti assieme da una tesi centrale: la liberta' individuale e' sostenuta, resa possibile ed effettivamente reale solo nella liberta' sociale.
Il volume di Honneth, ricalcando la tripartizione della Filosofia del diritto, nella sua prima parte articola una ricostruzione storico-concettuale della liberta' in negativa, riflessiva e sociale. La seconda parte, che si intitola La possibilita' della liberta', e' dedicata alle applicazioni dei primi due modelli nella liberta' giuridica e nella liberta' morale. Il terzo modello della liberta' sociale si trova nella terza e conclusiva parte del libro intitolata La realta' della liberta', in cui si trova una verifica storico-empirica dei concetti di liberta' elaborati, e si articola in tre sezioni dedicate alle relazioni personali, alle relazioni economiche e alle relazioni politiche.
La liberta' negativa e' il primo modello, nonche' il primo "stadio", di elaborazione della liberta' che si definisce con Hobbes come "assenza di resistenze esterne" (p. 13): in cio' si trova tanto la sua negativita' – in quanto fa dipendere la liberta' da una "decisione priva di impedimenti" – quanto la sua "rivendicazione di una peculiarita' individuale" (p. 18). L'espressione politica di questo concetto di liberta' e' il contrattualismo, il quale prevede un'autolimitazione dell'individuo nel diritto di perseguire illimitatamente i propri scopi, quando cio' dovesse ledere lo stesso e corrispondente diritto di un altro.
La liberta' negativa si riferisce dunque solo all'individuo isolato, "atomizzato", in cui non e' posta in questione la sua capacita' di autodeterminarsi in quanto la causalita' della sua volonta' e' vista solo in una sorta di difesa rispetto all'esterno.
Sorge cosi' nella modernita' il concetto di liberta' riflessiva che "poggia soltanto sull'autorelazione del soggetto; in base a essa, e' libero l'individuo che riesce a relazionarsi con se stesso in modo tale da farsi guidare, nel proprio agire, soltanto dalla propria volonta'" (pp. 25-26). Il riferimento e' all'imperativo categorico kantiano dell'autolegislazione o autodeterminazione (da cui derivano le interpretazioni di Apel e Habermas). Questa concezione della liberta' non puo' prescindere dai partner dell'interazione sociale perche', fondandosi sulla razionalita' e sulla universalizzabilita', trae il suo senso solo dall'idea che ogni soggetto e' un fine in se' (pp. 30-31) e dalla giustificabilita' morale (razionale e universale) delle massime soggettive. Il limite di questa concezione della liberta' e della relativa concezione della giustizia, secondo Honneth, sta nella sua proceduralita': "essa si limita a fissare normativamente le procedure della formazione collettiva della volonta'" (p. 37) e non prende in considerazione "le condizioni sociali che consentirebbero l'esercizio della liberta' a cui si aspira" (p. 42).
E' quest'ultima considerazione che conduce l'argomentazione alla terza sfera della liberta' sociale, che non e' un'alternativa alla liberta' riflessiva, bensi' ne costituisce l'estensione o addirittura il fondamento (come la liberta' riflessiva lo e' per la liberta' negativa). Nella liberta' sociale le condizioni istituzionali, cioe' le dimensioni concrete di liberta' in cui avviene un mutuo riconoscimento e uno stabile soddisfacimento di esigenze vitali, non sono delle aggiunte esteriori al concetto di liberta' ma "un elemento della stessa realizzazione della liberta'" (p. 45).
A questo punto Honneth fa riferimento a Hegel e alla sua categoria del "riconoscimento reciproco", espresso nella formula "essere presso di se' nell'altro", che non solo propone un allargamento della liberta' riflessiva in una liberta' intersoggettiva, ma di quest'ultima, a sua volta, in una liberta' sociale. La tesi di Honneth e' che con la teoria hegeliana del riconoscimento "verrebbe caratterizzata la struttura di una conciliazione non soltanto tra soggetti ma tra liberta' soggettiva e liberta' oggettiva" (p. 53). Il procedimento che permette questa conciliazione e' offerto da Hegel nell'eticita' della Filosofia del diritto. Qui Honneth riconosce a Hegel l'utilizzo del metodo della ricostruzione normativa, in quanto fornisce una teoria della liberta' sociale, secondo cui e' necessario che vi sia prima un ordine sociale "giusto", cioe' legittimato socialmente nella realta', perche' i singoli soggetti possano essere pensati come liberi.
Questa anteriorita' del momento sociale e' pero' da intendersi come un'interrelazione e un reciproco riconoscimento, ovvero: nella liberta' sociale non scompare la liberta' riflessiva. Dunque, in questo senso, le istituzioni non vanno considerate organi atti a reprimere la liberta' ma a favorirla: laddove si verifichi il primo dei due casi appena ipotizzati si cade in quelle che Honneth chiama patologie sociali.
Nella seconda parte (La possibilita' della liberta'), Honneth mostra i limiti e le patologie sociali dell'applicazione dei primi due concetti di liberta' ricostruiti – la liberta' negativa e la liberta' riflessiva – nella liberta' giuridica e nella liberta' morale.
La liberta' giuridica garantisce solo una liberta' negativa perche' permette una "realizzazione puramente privata della volonta'" (p. 87) e in cio' sta il suo stesso limite in quanto, per poter diventare effettuale, necessita di istituzioni intersoggettive o "comunicative" che essa stessa esclude con la sua concezione privatistica dell'individuo, il quale, anzi, corre il rischio di ritirarsi dalla rete delle relazioni sociali esistenti. Quando tale rischio si verifica da' luogo a due forme di patologie sociali: il soggetto a) si concepisce come il mero involucro della "persona giuridica" (pp. 110-115) oppure b) come una personalita' solo conforme al diritto (pp. 115-118). In ultima analisi, la liberta' giuridica ha la caratteristica di rendere solo possibile la liberta', ma non di realizzarla.
La liberta' morale "non ha il carattere di un principio vincolante sanzionato dallo Stato, sicche' ha finito per assumere solo la forma debolmente istituzionalizzata di un modello di orientamento culturale" (p. 120). Tuttavia Honneth riconosce che questa liberta' determina rapporti di reciproco riconoscimento, ma, proprio come la liberta' giuridica, resta confinata nel regno della possibilita' senza realizzazione. Infatti, sebbene la liberta' morale sia indispensabile all'interno della liberta' sociale, perche' permette una verifica soggettiva delle pratiche istituzionalizzate mediante un criterio razionale e universalizzabile, tuttavia, se presa per se stessa, le resta solo il lato "autoesonerante" e conduce alle due patologie sociali del moralismo e del terrorismo.
Nell'ultima parte dedicata alla realta' della liberta', Honneth propone una diagnosi storica utilizzando il metodo della ricostruzione normativa, per fornire delle verifiche empiriche dello sviluppo del concetto di liberta' sociale.
Il punto di partenza e' la sfera dei rapporti privati, dall'amicizia all'amore tra i coniugi fino alla famiglia, per mostrare come, soprattutto in quest'ultima sfera, siano avvenute le realizzazioni piu' soddisfacenti dei principi normativi della solidarieta' e della cooperazione, in seguito a numerose lotte per il riconoscimento volte a rendere i ruoli familiari sempre meno rigidi (p. 233).
Nella seconda sfera dei rapporti economici, Honneth non manifesta lo stesso ottimismo, anzi, qui mostra proprio come oggi, in seguito a numerose lotte per il riconoscimento, si sta assistendo a un'involuzione della dimensione sociale e cooperativa verso l'individualismo, lo sfruttamento crescente e un'assenza sempre maggiore di tutele giuridiche (p. 356).
Nella terza sfera vengono poi indagati i rapporti politici dello Stato democratico. L'analisi di Honneth si concentra soprattutto sul ruolo svolto dai media nella formazione della "volonta' pubblica", il cui potenziale critico e "comunicativo" si e' spento del tutto nella spettacolarizzazione e nella manipolazione della realta' a fini puramente economici. Honneth riconosce con cautela che forse internet per questo puo' rappresentare un'alternativa ai media tradizionali (pp. 430-434).
Cio' che in ultima analisi emerge da questa involuzione nello sviluppo sociale della volonta' pubblica e' la sfiducia e la disaffezione dei cittadini nei confronti delle decisioni politiche, che vengono considerate come orientate a garantire gli interessi di potenti lobby economiche (p. 468).
Honneth riconosce una via d'uscita a questa condizione nelle associazioni civili che operano a livello transnazionale e che esercitano una pressione sui governi al fine di "ridare al mercato capitalistico un ruolo sociale" (p. 469).
Il Diritto della liberta' offre una rara chiarezza nell'esposizione di tesi complesse e una valida argomentazione per i difficili obiettivi che Honneth si e' posto di raggiungere. Il metodo della ricostruzione normativa risulta convincente e, sebbene proceda mediante scelte ed esclusioni dall'infinito materiale offerto a una diagnosi empirica, esse non si possono certo dire arbitrarie. L’elemento di problematicita' dell'impostazione honnethiana risulta essere una qualche debolezza teoretica che rischia di far cedere l'impianto piu' "critico" della ricostruzione normativa per concentrarsi maggiormente su quello della "ricostruzione".
Si potrebbe forse dire che il lettore, alla fine del libro, potrebbe provare un po' di insoddisfazione, perche' tutta la ricognizione offerta, che termina con l'auspicio di un pacifico equilibrio e una vitale reciprocita' tra le tre sfere di liberta', allo stesso tempo mostra anche un forte disincanto rispetto al potenziale normativo della liberta' sociale, a causa del dominante individualismo contemporaneo. Riteniamo che questa insoddisfazione riguardi l'aspetto piu' "critico" e "normativo" della "ricostruzione normativa", che farebbe pensare a una conclusione totalmente diversa rispetto a quella proposta da Honneth, ovvero che proprio nei momenti di interruzione o involuzione nella realizzazione di istituzioni comunicative sorgono nuovi principi normativi per un ulteriore sviluppo del processo della liberta' sociale.
4. LIBRI. ELEONORA CUGINI PRESENTA "L'IDEA DI SOCIALISMO. UN SOGNO NECESSARIO" DI AXEL HONNETH
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 6, n. 1 (2017)]
Axel Honneth, L'idea di socialismo. Un sogno necessario, Feltrinelli, 2016, pp. 160.
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Sono due i motivi che hanno condotto Honneth a scrivere questo libro.
La prima motivazione e' quella di voler "dimostrare che nel socialismo vi e' ancora una scintilla viva" che e' possibile scorgere solo "separando nettamente l'idea guida del socialismo dal suo guscio concettuale, radicato nel terreno del primo industrialismo, e trasporla in un nuovo quadro teorico sociologico" (p. 10).
La seconda motivazione risiede invece nell'intenzione dell'A. di voler dare un compimento al suo precedente lavoro, Il diritto della liberta' (2011, tr. it. 2016), per cosi' rispondere alle numerose critiche ricevute sull'approccio metodologico utilizzato in quel voluminoso studio. La discussione attorno a quel testo fu talmente ampia e articolata, infatti, che le fu dedicato un intero numero monografico della rivista "Critical Horizon", in cui non pochi studiosi accusano Honneth di aver aderito a una prospettiva piu' simile a quella della "destra hegeliana" che alla teoria critica (p. 10).
L'A. e' deciso quindi a offrire ne L'idea di socialismo una rotazione di prospettiva della metodologia della "ricostruzione normativa", che ne Il diritto della liberta' era assunta da un punto di vista interno, per mostrarne ora piuttosto la capacita' di articolare un "ordinamento sociale completamente diverso" (p. 10), che Honneth, per tranquillizzare i suoi critici e non correre il rischio di essere ulteriormente frainteso, chiama "socialismo".
La constatazione di partenza del libro e' che l'indignazione e il malessere oggi cosi' ampiamente diffusi, determinati dalla situazione socio-economica e politica e dalle condizioni del lavoro, sembrano avanzare una critica non ancorata ad alcun obiettivo, cosi' che essa resta ripiegata su se stessa. Secondo l'A. non e' possibile imputare questa mancanza di prospettive future di miglioramento della societa' ne' al crollo dei regimi comunisti, ne' alla repentina trasformazione del nostro tempo storico con l'entrata nella "postmodernita'", ne', infine, a una diffusa concezione feticista e reificata dei rapporti sociali. Honneth e' intenzionato piuttosto a ricercarne le motivazioni all'interno dell'idea stessa di socialismo (capitoli I e II) per poi intraprendere un "tentativo volto a contribuire al rilancio delle idee ormai antiquate attraverso talune innovazioni concettuali" (p. 18) (capitoli III e IV).
Nel capitolo I troviamo una ricostruzione della formazione dell'idea originaria di socialismo. Honneth sostiene che secondo i "primi socialisti" il mercato capitalistico impediva a una larga parte della popolazione di godere le liberta' promesse dalla Rivoluzione francese e cosi' fondano "la loro critica dell'espansione dell'economia di mercato sul fatto che nei suoi fondamenti istituzionali vedono riflessa una concezione della liberta' determinata dal perseguimento di interessi eminentemente privati" (p. 25). Da cio' emerge la contraddizione interna alle istanze della Rivoluzione francese, ossia quella del perseguimento della fraternita', cioe' della cooperazione solidale, mediante una liberta' che e' intesa solo come egoismo privato "qual e' riflesso nei rapporti di concorrenza del mercato capitalistico" (p. 26). Da cio' l'A. desume che il socialismo e' fin dalle origini un "movimento di critica immanente del moderno ordinamento sociale di tipo capitalistico" che intende ripensare la liberta' "in senso meno individualistico, e dunque insistendo con maggior decisione in direzione di una sua applicazione di taglio intersoggettivo" (p. 27). Chi pero' per la prima volta compie un passo concreto nella direzione di stabilire un legame della liberta' individuale alle premesse di una vita in comune di tipo solidale e', secondo Honneth, Marx, che, ricorrendo alla categoria hegeliana dei "bisogni individuali", propone una societa' del riconoscimento e della cooperazione non piu' fondata sull'egoismo privato, in cui cioe' la reciproca dipendenza si manifesti "in modo tale che ogni singolo fine perseguito da un individuo sia inteso sincronicamente quale condizione della realizzabilita' dei fini perseguiti di volta in volta dagli altri individui" (p. 32).
A partire da Marx dunque, i socialisti scardinano il concetto liberale di liberta', che vede negli altri dei "potenziali responsabili della limitazione delle proprie intenzioni d'azione", per riconoscere in essi piuttosto "i partner cooperativi necessari alla loro realizzazione" (p. 37). Honneth, in conclusione, definisce "liberta' sociale" questo concetto di liberta' conquistata dal socialismo ed e' da questa prospettiva "di individualismo olistico" che il movimento socialista avrebbe mosso i suoi primi passi.
Nel secondo capitolo l'A. affronta quelli che a suo avviso sono gli errori concettuali del socialismo e che gli hanno impedito di potersi riformulare come un'idea adeguata anche al nostro mondo contemporaneo. Honneth mette a fuoco tre assunzioni concettuali fondamentali del primo socialismo: 1) per costruire rapporti sociali di solidarieta' e' necessaria la riforma o il superamento rivoluzionario dell'economia capitalistica di mercato, che interpreta le nuove liberta' conquistate come mero perseguimento privato di obiettivi posti individualmente; 2) nonostante lo svuotamento sociale determinato da tale concorrenza e competizione, si e' formato, "all'interno di questa sfera economica, un movimento proletario di opposizione" che mira alla creazione di un'economia cooperativa e di cui il socialismo e' l'organo riflessivo; 3) "tale organo mira ad accelerare quel processo storico che condurra' necessariamente a una riorganizzazione cooperativa dell'insieme dei rapporti di produzione" (p. 47).
Da queste tre assunzioni, secondo l'A., emerge che l'idea originaria del socialismo e' profondamente radicata nell'epoca storica in cui nasce, che e' quella del primo industrialismo, e che essa da una condizione storica unica e determinata abbia tratto indebitamente "la conclusione per cui vi sarebbe un unico ordinamento desiderabile per tutte le societa' future" (p. 66). In conclusione, dunque, paradossalmente "nel socialismo a causa del quadro teoretico che discende da uno dei discorsi propri della Rivoluzione industriale, alla forza produttiva normativa dell'idea di liberta' sociale viene impedito di realizzare effettivamente i potenziali a essa immanenti" (p. 71).
Nel terzo capitolo, l'A. intende proporre una rielaborazione delle concezioni che il socialismo ha dello sviluppo storico. Per farlo prende le mosse da Marx, facendo emergere come egli abbia fatto coincidere il capitalismo esclusivamente con il mercato e rileva che mediante questa equiparazione cosi' stringente "non e' stato piu' possibile pensare alla forma economica socialista alternativa se non come a una economia completamente libera dal mercato" (p. 77). Secondo Honneth e' necessario che il socialismo revochi tale equiparazione per cercare invece all'interno della societa' capitalistica "lo spazio per progettare forme alternative di utilizzo del mercato" (p. 78). Questa ricerca, spiega l'A. rifacendosi abbondantemente a Dewey, e' incompatibile con l'idea di una necessita' storica e si conduce piuttosto secondo un metodo che egli definisce "sperimentalismo". Honneth traduce questa metodologia nel linguaggio hegeliano della filosofia dello spirito oggettivo e afferma che "anche per Hegel, si potrebbe dire, i miglioramenti all'interno della sfera del sociale derivano sempre dai passi in avanti compiuti nel superamento delle barriere che si contrappongono a una comunicazione libera tra i membri della societa', il cui obiettivo e' di esplorare e stabilire nel modo piu' razionale possibile le regole della loro convivenza" (p. 83). In conclusione Honneth propone un socialismo rinnovato che si presenti come un "avvocato difensore di tutte quelle imprese pratico-politiche" il cui intento e' quello di estendere la liberta' sociale all'interno del settore economico (p. 93). Nel far questo il socialismo non deve scegliere come proprio rappresentante "delle soggettivita' in rivolta, ma piuttosto dei miglioramenti oggettivi, ne' dei movimenti sociali, ma piuttosto delle conquiste istituzionali" (p. 95). Honneth sostiene qui due tesi che egli stesso considera difficilmente conciliabili con l'idea originaria di socialismo: la possibilita' di un "socialismo di mercato" (p. 96) e un processo di formazione della volonta' democratica dove anche il citoyen abbia un ruolo sociale.
E' a questo punto che, nell'ultimo capitolo, l'A. si chiede perche' i socialisti non abbiano mai intrapreso lo sforzo di applicare il nuovo concetto di liberta' sociale anche ad altre sfere oltre a quella economica (p. 99). Il socialismo tradizionale, secondo l'A., non tenne conto della differenziazione delle sfere sociali – quella privata, quella della formazione della volonta' politica e quella economica – e non prese neppure in considerazione il fatto che esse "potessero essere esaminate dal punto di vista della realizzazione della liberta' sociale" (p. 112). Riducendo tutto a un "imperativo economico", l'A. spiega che i socialisti in questo modo non riconobbero "la differenziazione funzionale" che si andava dispiegando nelle societa' moderne, ovvero non riconobbero a ogni sfera una "logica di funzionamento propria e autonoma perche' quanto accadeva al loro interno sarebbe dovuto essere determinato sempre da principi di orientamento economico" (p. 112). Nella sua proposta di rinnovamento e rilancio del socialismo, Honneth afferma allora che esso dovrebbe tenere in considerazione tutte e tre le sfere sociali – quella privata, quella della formazione della volonta' politica e quella economica – come ambiti dove "devono dominare le condizioni per essere l'uno-per-l'altro in modo spontaneo e perche' vi siano dei rapporti di liberta' sociale" (p. 114). Per spiegare ulteriormente il modello di una societa' organizzata secondo una "differenza funzionale", l'A. ricorre ancora una volta a Hegel e all'utilizzo che egli ha fatto dell'immagine dell'organismo vivente: tale immagine chiarisce in che senso un "socialismo rinnovato" debba occuparsi tanto dei "sottosistemi gia' differenziati dalla teoria sociale classica" quanto della loro interdipendenza (p. 116) nel raggiungere l'obiettivo comune di una totalita' sovraordinata. Questa immagine "che il socialismo dovrebbe oggi assumere come modello di una societa' liberata" e' "una forma di vita democratica" e "ha il vantaggio, rispetto all'antiquata visione socialista del futuro, di essere all'altezza dell'ostinazione normativa dei diversi ambiti funzionali, senza pero' abbandonare con cio' la speranza in una totalita' giusta" (p. 117).
L'argomentazione di Honneth e' senza dubbio molto acuta e di grande interesse. Tuttavia l'intenzione dell'A. di offrire la prospettiva critica della metodologia della "ricostruzione normativa" non risulta qui pienamente riuscita, perche' tale prospettiva sembra andare piu' nella direzione di uno sperimentalismo storico o di un pragmatismo a' la Dewey, invece che offrire una metodologia critica soddisfacente sia in ambito teorico che in ambito pratico-sociale. Lo sforzo di pensare una liberta' sociale che tenga insieme l'elemento individuale e quello collettivo e' sicuramente un'impresa gigantesca sia dal punto di vista teoretico, quanto dal punto di vista politico come anche da quello storico. Questi tre piani si intrecciano, nella ricostruzione honnethiana, in maniera molto fluida e stringente, senza pero' che nessuno dei tre ne risulti approfondito e ripensato fino in fondo. Il prudente e a tratti paternalistico "socialismo rinnovato" di Honneth sembra, dunque, carente proprio dell'elemento dialettico e negativo che e' invece necessario per il punto di vista critico.
Lungi dall'essere "l'ultima occasione" (p. 133) per avere una speranza nel futuro, il libro di Honneth offre comunque numerosi spunti e occasioni di riflessione sullo svuotamento degli obiettivi sociali per realizzare una societa' giusta.
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Classici
- Karl Marx, Il capitale, Utet, Torino 1974-1987, Mondadori, Milano 2009, 3 voll. per pp. 1116 + 682 + 1232. A cura di Aurelio Macchioro e Bruno Maffi.
- Karl Marx, Il capitale, Newton Compton, Roma 1970, 1996, pp. 1536. A cura di Eugenio Sbardella.
- Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito comunista, Editori Riuniti, Roma 1947, 1974, pp. 120. Introduzione di Palmiro Togliatti. A cura di Franco Ferri.
- Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito Comunista, Einaudi, Torino 1948, Mondadori, Milano 1978, pp. 336. A cura di Emma Cantimori Mezzomonti.
- Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista. Seguito da "In memoria del Manifesto dei comunisti" di Antonio Labriola, Newton Compton, Roma 1973, 1994, pp. 98. Introduzione di Umberto Cerroni. Traduzione di Antonio Labriola.
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
7. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4091 del primo maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Numero 4091 del primo maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Commemorato Alfio Pannega a Viterbo con i versi danteschi ed i canti di lotta che tanto amava
2. Baldassare Pastore: In ricordo di Elena Pulcini. Per una filosofia impegnata di fronte alle sfide del presente
3. Eleonora Cugini presenta "Il diritto della liberta'. Lineamenti per un'eticita' democratica" di Axel Honneth
4. Eleonora Cugini presenta "L'idea di socialismo. Un sogno necessario" di Axel Honneth
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. MEMORIA. COMMEMORATO ALFIO PANNEGA A VITERBO CON I VERSI DANTESCHI ED I CANTI DI LOTTA CHE TANTO AMAVA
La mattina del 30 aprile 2021 presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo si e' svolto un incontro di commemorazione di Alfio Pannega nell'undicesimo anniversario della scomparsa.
L'incontro si e' svolto nel piu' assoluto rispetto delle misure di sicurezza previste dalla vigente normativa per prevenire e contrastare la diffusione del coronavirus.
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Un ricordo
Il responsabile della struttura nonviolenta viterbese ha tenuto un'allocuzione in ricordo dell'indimenticabile amico e compagno di lotte; rievocando alcune delle vicende, esperienze e riflessioni condivise nel corso degli anni e riaffermandone il senso e il valore; concludendo infine che "Alfio Pannega e' stato una persona che molto ha sofferto e molto ha amato la vita, che sempre si e' impegnato per il bene comune, che sempre si e' sentito ed e' stato parte del movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per difendere la vita, la dignita' e i diritti di ogni persona, per la liberazione e la salvezza dell'umanita' tutta, per la salvaguardia dell'intero mondo vivente. E' stato un comunista libertario, un amico della nonviolenza, una persona generosa che mai si arrese e sempre lotto' contro ogni abuso, contro ogni ingiustizia, contro ogni violenza. Valeva per lui il motto che don Milani scrisse su un muro della scuola di Barbiana e che significava 'mi sta a cuore, me ne prendo cura', ed era il contrario dell'infame motto fascista 'me ne frego'. Alfio si prendeva cura di tutti: delle persone, degli animali, delle piante; aveva a cuore il bene delle persone e del mondo. Chi lo ha conosciuto ne prosegua l'impegno nonviolento per il bene comune, e cosi' testimoni e tramandi il suo appello, il suo lascito: a continuare la lotta finche' nessuna persona sia piu' oppressa, sfruttata, umiliata, offesa, denegata nella splendente sua dignita' di essere umano, nell'inalienabile diritto alla vita e alla liberta'; a continuare la lotta affinche' si realizzi la societa' giusta, fraterna e sororale, in cui da ogni persona sia dato a seconda delle sue capacita' e ad persona sia dato a seconda dei suoi bisogni; a continuare la lotta perche' possa inverarsi un'autenticamente civile convivenza fondata sulla piena condivisione del bene e dei beni. Ed anche questa citta' - questa citta' di Viterbo, e questa piu' grande citta' che e' il mondo vivente -, che lui tanto ha amato e difeso, sia orgogliosa di aver avuto un cittadino come lui, e lo prenda ad esempio di come l'umanita' potrebbe e quindi dovrebbe essere: generosa e gentile, fiera e solidale, sobria e accudente, resistente e nonviolenta".
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Alcune poesie e alcuni canti
Sono state poi lette e commentate alcune poesie di Alfio Pannega.
Successivamente sono stati letti alcuni versi della Divina Commedia che Alfio amava declamare, ed infine sommessamente, raccoltamente intonati alcuni dei canti popolari e di lotta da lui amati: Bandiera rossa, Bella ciao, L'Internazionale.
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Un dono e un invito
Alle persone presenti e' stato fatto dono di una raccolta di fotografie di Alfio Pannega realizzate da Mario Onofri, un artista, un amico, un compagno di lotte che ci ha anche lui lasciato alcuni anni fa.
Le persone partecipanti all'incontro hanno rinnovato ancora una volta l'invito alla citta' - alle persone amiche di Alfio come alle istituzioni democratiche, alle associazioni popolari ed ai centri culturali - affinche' si costituisca un "Archivio Alfio Pannega" in cui raccogliere i superstiti documenti che lo riguardano (fotografie, registrazioni audio e video, carte ed oggetti che gli appartennero) affinche' non vadano disperse - e restino invece alle future generazioni - importanti concrete tracce della sua vicenda esistenziale, della sua testimonianza umana.
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Una minima notizia su Alfio Pannega
Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti.
Molte fotografie di Alfio scattate da Mario Onofri, artista visivo profondo e generoso compagno di lotte che gli fu amico e che anche lui ci ha lasciato anni fa, sono disperse tra vari amici di entrambi, ed altre ancora restano inedite nell'immenso, prezioso archivio fotografico di Mario, che tuttora attende curatela e pubblicazione.
Negli ultimi anni il regista ed attore Pietro Benedetti, che gli fu amico, ha sovente con forte empatia rappresentato - sulle scene teatrali, ma soprattutto nelle scuole e nelle piazze, nei luoghi di aggregazione sociale e di impegno politico, di memoria resistente all'ingiuria del tempo e alla violenza dei potenti - un monologo dal titolo "Allora ero giovane pure io" dalle memorie di Alfio ricavato, personalmente interpretandone e facendone cosi' rivivere drammaturgicamente la figura.
La proposta di costituire un "Archivio Alfio Pannega" per raccogliere, preservare e mettere a disposizione della collettivita' le tracce della sua vita e delle sue lotte, e' restata fin qui disattesa.
Alcuni testi commemorativi sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", ad esempio negli "Archivi della nonviolenza in cammino" nn. 56, 57, 58, 60; cfr. anche il fascicolo monografico dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265 ed ancora i "Telegrammi della nonviolenza in cammino" nn. 907-909, 1172, 1260, 1261, 1272, 1401, 1622-1624, 1763, 1971, 2108-2113, 2115, 2329, 2331, 2334-2335, 2476-2477, 2479, 2694, 2833, 3049, 3051-3052, 3369-3373, 3448, 3453, 3515-3517, 3725, 4089-4090, i fascicoli di "Coi piedi per terra" n. 546 e 548-552, e "Voci e volti della nonviolenza" nn. 687-691, 754-755, 881, il fascicolo di "Ogni vittima ha il volto di Abele" n. 170, i fascicoli di "Una persona, un voto" nn. 88-90, 206, 209, i fascicoli de "La domenica della nonviolenza" nn. 420 e 511, i fascicoli de "La nonviolenza contro il razzismo" nn. 202-206, 213, 437-438, 445-446.
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Un appello
Non potremmo concludere queste ricordo senza riproporre un appello che se fosse ancora vivo Alfio condividerebbe toto corde con noi ad impegnarci qui ed oggi contro le piu' flagranti e abominevoli violenze che oggi dobbiamo contrastare. Ripetiamolo una volta di piu'.
1. Occorre opporsi al maschilismo.
La prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera.
Solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'.
Solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
2. Occorre opporsi al razzismo.
- Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro;
- occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
- occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
- occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
3. Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre.
- Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera;
- occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere;
- occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
4. Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi.
Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
2. LUTTI. BALDASSARE PASTORE: IN RICORDO DI ELENA PULCINI. PER UNA FILOSOFIA IMPEGNATA DI FRONTE ALLE SFIDE DEL PRESENTE
[Dal sito www.giustiziainsieme.it riprendiamo questo ricordo]
La scomparsa di Elena Pulcini rappresenta una grave perdita per la cultura filosofica, non solo italiana. Professore ordinario di Filosofia sociale nell'Universita' di Firenze, in pensione dallo scorso primo novembre, Elena Pulcini ha affrontato, nel corso del suo itinerario di ricerca contrassegnato da una vasta produzione, alcune questioni basilari per la comprensione del mondo odierno e dei suoi cambiamenti, coniugando rigore scientifico e impegno civile.
Le analisi e le riflessioni sul soggetto femminile, sull'individualismo moderno, sulle forme del legame sociale, sulla cura, sulla vulnerabilita', sulla responsabilita', sulla crisi ecologica e le sfide globali hanno caratterizzato un percorso di studio profondamente coerente, nel quale la filosofia ha offerto un approccio critico al reale, contaminandosi con altri saperi, quali la psicoanalisi, l'antropologia, la sociologia, la letteratura, e, nel contempo, un deposito di concetti e immagini con cui orientarsi per articolare nuove prospettive. Da questo punto di vista, si puo' ben dire che gli esiti della ricerca di Pulcini, pur non avendo mai tematizzato espressamente questioni riguardanti l'esperienza giuridica, possono fornire un utile bagaglio, a disposizione dei giuristi, per pensare il loro compito in direzione del superamento dell'autoreferezialita' e dell'apertura ad altri discorsi e saperi in un'ottica non riduzionistica.
Elena Pulcini ha visto nella filosofia sociale l'ambito privilegiato per proporre una diagnosi del presente, cogliendone alcuni eventi significativi, e per snidare le aporie, le contraddizioni, gli aspetti degenerativi che lo segnano. L'attenzione alle patologie della societa' contemporanea, intese come sviluppi sbagliati o disturbati che compromettono la promessa, propria della modernita', dell'autorealizzazione degli individui, e' stata una componente centrale dei suoi interessi, cosi' come lo e' stata la rivalutazione delle passioni, in quanto strutture significanti che presuppongono credenze e giudizi, e orientano le scelte, le convinzioni, i valori.
Le passioni non sono forze cieche e irrazionali, ma elementi universali, pur soggette, di volta in volta, a trasformazioni in base ai contesti storici e sociali nelle quali operano. Riflettere sulle passioni permette di gettare luce su cio' che gli esseri umani sono e su cio' che vorrebbero essere, sulle loro aspettative, sul modo in cui vivono e intendono vivere. Questo implica una consapevolezza critica volta a imparare a distinguere, per poterle contrastare, le passioni negative, egoistiche e distruttive (come l'odio, l'invidia, il risentimento) da quelle positive, empatiche, quali leve potenziali di una mobilitazione idonea a superare le due opposte polarita' dell'individualismo illimitato e del comunitarismo endogamico, vere e proprie patologie della contemporaneita'.
Lo sguardo di Pulcini, cosi', si dirige verso le radici emotive dell'etica, verso le motivazioni affettive che ispirano le domande di giustizia e che trovano origine proprio in determinate passioni. Emerge, qui, la considerazione per la funzione delle emozioni, con la dimensione cognitiva e comunicativa che esse presentano, e per i modi di coltivare la loro qualita' etica, facendone un requisito essenziale della sfera morale e sociale (cfr. Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa sociale, Bollati Boringhieri, Torino, 2020). D'altra parte, guardando al diritto come linguaggio dell'interazione, non rappresenta un carattere proprio della giustizia il confrontarsi con le passioni umane?
In Elena Pulcini il bisogno di giustizia, originato dall'esperienza dell'ingiustizia e dal desiderio di combatterla, per far fronte alle diseguaglianze, allo sfruttamento, alla violenza, alla mancanza di riconoscimento, si lega all'urgenza della cura come antidoto all'atomismo, all'indifferenza, all'erosione della relazionalita' intersoggettiva (cfr. L'individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Bollati Boringhieri, Torino, 2001), all'incuria verso il mondo vivente e verso il drammatico stato dell'ambiente naturale, proponendone una reciproca integrazione. La complementarita' tra giustizia e cura puo' trovare un terreno comune nella politica, intesa come "orizzontale azione di concerto", coinvolgimento nella sfera pubblica, sensibilita' al bene collettivo, cooperazione (al di la' di ogni irenica benevolenza) tra individui consapevoli della propria incompiutezza, debolezza, fragilita', e della dipendenza dagli altri. La nozione di vulnerabilita', in questo campo, diviene un fattore critico-decostruttivo, che conduce a revocare in dubbio la rappresentazione del soggetto astratto e autosufficiente, ma anche dinamico, che chiede agli assetti sociali e agli ordinamenti di rilegittimarsi continuamente, interrogandosi sui propri fondamenti ed esiti normativi.
Tra le passioni la paura occupa un posto centrale, a partire dalla sua ambivalenza. Per un verso, infatti, presenta, riprendendo Hobbes, un carattere "produttivo", capace di promuovere la conservazione della vita e l'ordine sociale e politico, garante della sicurezza; per l'altro, e' all'origine di una serie di effetti negativi, che l'eta' contemporanea amplifica, creando una situazione diffusa di insicurezza e di ansia, accresciuta dalla percezione di impotenza generata dalla coscienza della difficile gestione delle sfide di carattere globale riguardanti le catastrofi ecologiche, la crisi finanziaria, le nuove poverta', le migrazioni (che ampliano l'idea di altro nella figura dell'altro distante nello spazio, straniero, sconosciuto), i conflitti etnico-religiosi, le generazioni future (che ampliano l'idea dell'altro nella figura dell'altro distante nel tempo), la deriva incontrollabile dei poteri economici e tecnologici. Si tratta di sfide che, se non governate, tendono a trasformare gli individui in passivi e impotenti spettatori di eventi.
La risposta alla paura legata alle minacce e ai rischi dell'eta' globale, che mostrano la nostra ineludibile condizione di vulnerabilita' (un dato originario, esistenziale, che, comunque, ha bisogno di essere percepito e riconosciuto al fine di entrare nella dinamica dell'interazione) e l'interconnessione di ciascuno con il destino e la vita di tutti gli esseri umani, e' vista nella cura, come pratica sociale implicante l'assunzione della responsabilita' per gli altri (cfr. La cura del mondo. Paura e responsabilita' nell'era globale, Bollati Boringhieri, Torino, 2009). La responsabilita', connessa alla preoccupazione e alla sollecitudine per le sorti dell'umanita' e del pianeta, manifesta la sua operativita' sul piano della costruzione del legame sociale e nel ripensare l'idea di comunita' come dimensione interna e costitutiva dell'individuo, ispirata, con la inevitabile contaminazione tra diversi, al rispetto delle singolarita' e al recupero del riconoscimento solidale.
La proposta della filosofa va nella direzione di re-instaurare una "metamorfosi virtuosa della paura", che ne contrasti la rimozione, individuando la sua funzione propulsiva. La paura, pertanto, diventa la fonte emotiva della responsabilita' che prelude ad una risposta etica. Entra in gioco, a questo riguardo, la facolta' di immaginazione, orientata a produrre un risveglio propositivo della paura, in quanto ci consente di dar conto del male presente e futuro e di prefigurare scenari, riattivando la fiducia nella possibilita' del cambiamento, della trasformazione dell'esistente.
Invero, non puo' non essere evidenziato che molte delle questioni sulle quali si e' concentrata la riflessione di Pulcini toccano il diritto. Tra queste rientrano l'interesse per la convivenza tra persone estranee le une alle altre e per le modalita' dell'essere-in-comune, nonche' l'attenzione alla giustizia: valore che il diritto persegue o promette di perseguire, che e' coessenziale al suo uso e alla sua comprensione, e che coinvolge il pensiero giuridico verso un impegno valutativo e progettuale. L'impegno per la giustizia, anche nella formazione, nell'interpretazione, nell'applicazione imparziale ed equa delle regole giuridiche, si pone come momento cruciale per la realizzazione di quello che – riprendendo la frase di chiusura dell'ultimo libro di Elena Pulcini – "possiamo ancora chiamare, evocando uno slogan forse un po' nostalgico ma quanto mai attuale, un mondo migliore".
3. LIBRI. ELEONORA CUGINI PRESENTA "IL DIRITTO DELLA LIBERTA'. LINEAMENTI PER UN'ETICITA' DEMOCRATICA" DI AXEL HONNETH
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 5, n. 2 (2016)]
Axel Honneth, Il diritto della liberta'. Lineamenti per un'eticita' democratica, Codice Edizioni, 2015, pp. 528.
*
In questo lavoro Axel Honneth si propone di "elaborare una
teoria della giustizia come analisi della societa'" (p. XXXVI). Un simile obiettivo nasce dall'insoddisfazione che, secondo l'Autore, all'interno del dibattito filosofico sulla giustizia, segna tanto le posizioni costruttiviste – di derivazione kantiana – che formulano regole da applicare solo esteriormente alla realta', quanto le posizioni di quell'idealismo che si e' sviluppato in seguito alla morte di Hegel, attorno a un'interpretazione conservatrice della sua Filosofia del diritto e che si limitano a una mera descrizione della realta', rintracciandovi connotazioni di razionalita' e necessita' che rendono impossibile qualsiasi critica.
L'elaborazione di una teoria della giustizia, a partire da presupposti strutturali della societa', viene condotta da Honneth con un metodo che egli definisce "ricostruzione normativa" (p. XL) e per il quale fa diretto riferimento proprio all'hegeliana Filosofia del diritto. Questo metodo consiste in una ricostruzione, in quanto mediante l'osservazione e l'analisi della societa' seleziona solo quelle istituzioni e quei valori etici che garantiscono la riproduzione sociale; inoltre tale ricostruzione e' normativa perche' ordina le istituzioni scelte in base alla loro importanza e al loro ruolo nell'applicazione e nella stabilizzazione di quei valori etici socialmente accettati e legittimati. I principi normativi che orientano tale teoria della giustizia, secondo Honneth – che ritiene cosi' di recuperare l'esposizione e il metodo offerti da Hegel nella sfera dell'eticita' della Filosofia del diritto –, vengono elaborati all'interno della societa' stessa e sollecitano quest'ultima a una loro sempre piu' completa realizzazione.
Il metodo della ricostruzione normativa esibisce cosi' anche l'opportunita' di una sua applicazione critica, ma pur sempre di critica immanente, o "ricostruttiva", che non contrappone criteri esterni alle pratiche esistenti: "se cioe', funge da istanza di eticita' cio' che rappresenta valori o ideali mediante un insieme di pratiche istituzionalizzate, allora quegli stessi valori possono anche essere richiamati per criticare le pratiche esistenti in quanto non ancora adeguate sotto il profilo delle loro prestazioni rappresentative" (p. XLIV).
E' a partire da questa impostazione del problema che Honneth puo' dichiarare cosa egli intenda per giustizia: "la liberta' nel senso dell'autonomia dell'individuo" (p. 5) si puo' comprendere solo se viene pensata primariamente come una liberta' sociale, ovvero all'interno di istituzioni concrete di reciproco riconoscimento e scambio per la realizzazione di esigenze vitali.
Lo sforzo di Honneth sta dunque proprio nel ribaltare l'identificazione, avvenuta storicamente, della liberta' con la mera giustizia delle leggi e del diritto, e ricondurre questo rapporto all'identificazione della giustizia con la liberta' sociale del mutuo riconoscimento, della solidarieta' e della cooperazione tanto nella sfera privata quanto in quella economica e politica.
Al centro di tutta la ricca e articolata argomentazione di questo libro possiamo individuare tre nuclei che si sostengono reciprocamente: 1) l'indagine attorno alla giustizia e' un'indagine attorno alla liberta', ma 2) tale indagine deve essere condotta secondo un metodo che, da un lato, non si riduca tutto all'esteriorita' del diritto e, dall'altro, non si ritrovi nell'impasse di legittimare sic et simpliciter lo stato di fatto, anzi, 3) un tale metodo dovra' fornire anche i criteri per una "critica ricostruttiva". Questi tre nuclei sono retti e tenuti assieme da una tesi centrale: la liberta' individuale e' sostenuta, resa possibile ed effettivamente reale solo nella liberta' sociale.
Il volume di Honneth, ricalcando la tripartizione della Filosofia del diritto, nella sua prima parte articola una ricostruzione storico-concettuale della liberta' in negativa, riflessiva e sociale. La seconda parte, che si intitola La possibilita' della liberta', e' dedicata alle applicazioni dei primi due modelli nella liberta' giuridica e nella liberta' morale. Il terzo modello della liberta' sociale si trova nella terza e conclusiva parte del libro intitolata La realta' della liberta', in cui si trova una verifica storico-empirica dei concetti di liberta' elaborati, e si articola in tre sezioni dedicate alle relazioni personali, alle relazioni economiche e alle relazioni politiche.
La liberta' negativa e' il primo modello, nonche' il primo "stadio", di elaborazione della liberta' che si definisce con Hobbes come "assenza di resistenze esterne" (p. 13): in cio' si trova tanto la sua negativita' – in quanto fa dipendere la liberta' da una "decisione priva di impedimenti" – quanto la sua "rivendicazione di una peculiarita' individuale" (p. 18). L'espressione politica di questo concetto di liberta' e' il contrattualismo, il quale prevede un'autolimitazione dell'individuo nel diritto di perseguire illimitatamente i propri scopi, quando cio' dovesse ledere lo stesso e corrispondente diritto di un altro.
La liberta' negativa si riferisce dunque solo all'individuo isolato, "atomizzato", in cui non e' posta in questione la sua capacita' di autodeterminarsi in quanto la causalita' della sua volonta' e' vista solo in una sorta di difesa rispetto all'esterno.
Sorge cosi' nella modernita' il concetto di liberta' riflessiva che "poggia soltanto sull'autorelazione del soggetto; in base a essa, e' libero l'individuo che riesce a relazionarsi con se stesso in modo tale da farsi guidare, nel proprio agire, soltanto dalla propria volonta'" (pp. 25-26). Il riferimento e' all'imperativo categorico kantiano dell'autolegislazione o autodeterminazione (da cui derivano le interpretazioni di Apel e Habermas). Questa concezione della liberta' non puo' prescindere dai partner dell'interazione sociale perche', fondandosi sulla razionalita' e sulla universalizzabilita', trae il suo senso solo dall'idea che ogni soggetto e' un fine in se' (pp. 30-31) e dalla giustificabilita' morale (razionale e universale) delle massime soggettive. Il limite di questa concezione della liberta' e della relativa concezione della giustizia, secondo Honneth, sta nella sua proceduralita': "essa si limita a fissare normativamente le procedure della formazione collettiva della volonta'" (p. 37) e non prende in considerazione "le condizioni sociali che consentirebbero l'esercizio della liberta' a cui si aspira" (p. 42).
E' quest'ultima considerazione che conduce l'argomentazione alla terza sfera della liberta' sociale, che non e' un'alternativa alla liberta' riflessiva, bensi' ne costituisce l'estensione o addirittura il fondamento (come la liberta' riflessiva lo e' per la liberta' negativa). Nella liberta' sociale le condizioni istituzionali, cioe' le dimensioni concrete di liberta' in cui avviene un mutuo riconoscimento e uno stabile soddisfacimento di esigenze vitali, non sono delle aggiunte esteriori al concetto di liberta' ma "un elemento della stessa realizzazione della liberta'" (p. 45).
A questo punto Honneth fa riferimento a Hegel e alla sua categoria del "riconoscimento reciproco", espresso nella formula "essere presso di se' nell'altro", che non solo propone un allargamento della liberta' riflessiva in una liberta' intersoggettiva, ma di quest'ultima, a sua volta, in una liberta' sociale. La tesi di Honneth e' che con la teoria hegeliana del riconoscimento "verrebbe caratterizzata la struttura di una conciliazione non soltanto tra soggetti ma tra liberta' soggettiva e liberta' oggettiva" (p. 53). Il procedimento che permette questa conciliazione e' offerto da Hegel nell'eticita' della Filosofia del diritto. Qui Honneth riconosce a Hegel l'utilizzo del metodo della ricostruzione normativa, in quanto fornisce una teoria della liberta' sociale, secondo cui e' necessario che vi sia prima un ordine sociale "giusto", cioe' legittimato socialmente nella realta', perche' i singoli soggetti possano essere pensati come liberi.
Questa anteriorita' del momento sociale e' pero' da intendersi come un'interrelazione e un reciproco riconoscimento, ovvero: nella liberta' sociale non scompare la liberta' riflessiva. Dunque, in questo senso, le istituzioni non vanno considerate organi atti a reprimere la liberta' ma a favorirla: laddove si verifichi il primo dei due casi appena ipotizzati si cade in quelle che Honneth chiama patologie sociali.
Nella seconda parte (La possibilita' della liberta'), Honneth mostra i limiti e le patologie sociali dell'applicazione dei primi due concetti di liberta' ricostruiti – la liberta' negativa e la liberta' riflessiva – nella liberta' giuridica e nella liberta' morale.
La liberta' giuridica garantisce solo una liberta' negativa perche' permette una "realizzazione puramente privata della volonta'" (p. 87) e in cio' sta il suo stesso limite in quanto, per poter diventare effettuale, necessita di istituzioni intersoggettive o "comunicative" che essa stessa esclude con la sua concezione privatistica dell'individuo, il quale, anzi, corre il rischio di ritirarsi dalla rete delle relazioni sociali esistenti. Quando tale rischio si verifica da' luogo a due forme di patologie sociali: il soggetto a) si concepisce come il mero involucro della "persona giuridica" (pp. 110-115) oppure b) come una personalita' solo conforme al diritto (pp. 115-118). In ultima analisi, la liberta' giuridica ha la caratteristica di rendere solo possibile la liberta', ma non di realizzarla.
La liberta' morale "non ha il carattere di un principio vincolante sanzionato dallo Stato, sicche' ha finito per assumere solo la forma debolmente istituzionalizzata di un modello di orientamento culturale" (p. 120). Tuttavia Honneth riconosce che questa liberta' determina rapporti di reciproco riconoscimento, ma, proprio come la liberta' giuridica, resta confinata nel regno della possibilita' senza realizzazione. Infatti, sebbene la liberta' morale sia indispensabile all'interno della liberta' sociale, perche' permette una verifica soggettiva delle pratiche istituzionalizzate mediante un criterio razionale e universalizzabile, tuttavia, se presa per se stessa, le resta solo il lato "autoesonerante" e conduce alle due patologie sociali del moralismo e del terrorismo.
Nell'ultima parte dedicata alla realta' della liberta', Honneth propone una diagnosi storica utilizzando il metodo della ricostruzione normativa, per fornire delle verifiche empiriche dello sviluppo del concetto di liberta' sociale.
Il punto di partenza e' la sfera dei rapporti privati, dall'amicizia all'amore tra i coniugi fino alla famiglia, per mostrare come, soprattutto in quest'ultima sfera, siano avvenute le realizzazioni piu' soddisfacenti dei principi normativi della solidarieta' e della cooperazione, in seguito a numerose lotte per il riconoscimento volte a rendere i ruoli familiari sempre meno rigidi (p. 233).
Nella seconda sfera dei rapporti economici, Honneth non manifesta lo stesso ottimismo, anzi, qui mostra proprio come oggi, in seguito a numerose lotte per il riconoscimento, si sta assistendo a un'involuzione della dimensione sociale e cooperativa verso l'individualismo, lo sfruttamento crescente e un'assenza sempre maggiore di tutele giuridiche (p. 356).
Nella terza sfera vengono poi indagati i rapporti politici dello Stato democratico. L'analisi di Honneth si concentra soprattutto sul ruolo svolto dai media nella formazione della "volonta' pubblica", il cui potenziale critico e "comunicativo" si e' spento del tutto nella spettacolarizzazione e nella manipolazione della realta' a fini puramente economici. Honneth riconosce con cautela che forse internet per questo puo' rappresentare un'alternativa ai media tradizionali (pp. 430-434).
Cio' che in ultima analisi emerge da questa involuzione nello sviluppo sociale della volonta' pubblica e' la sfiducia e la disaffezione dei cittadini nei confronti delle decisioni politiche, che vengono considerate come orientate a garantire gli interessi di potenti lobby economiche (p. 468).
Honneth riconosce una via d'uscita a questa condizione nelle associazioni civili che operano a livello transnazionale e che esercitano una pressione sui governi al fine di "ridare al mercato capitalistico un ruolo sociale" (p. 469).
Il Diritto della liberta' offre una rara chiarezza nell'esposizione di tesi complesse e una valida argomentazione per i difficili obiettivi che Honneth si e' posto di raggiungere. Il metodo della ricostruzione normativa risulta convincente e, sebbene proceda mediante scelte ed esclusioni dall'infinito materiale offerto a una diagnosi empirica, esse non si possono certo dire arbitrarie. L’elemento di problematicita' dell'impostazione honnethiana risulta essere una qualche debolezza teoretica che rischia di far cedere l'impianto piu' "critico" della ricostruzione normativa per concentrarsi maggiormente su quello della "ricostruzione".
Si potrebbe forse dire che il lettore, alla fine del libro, potrebbe provare un po' di insoddisfazione, perche' tutta la ricognizione offerta, che termina con l'auspicio di un pacifico equilibrio e una vitale reciprocita' tra le tre sfere di liberta', allo stesso tempo mostra anche un forte disincanto rispetto al potenziale normativo della liberta' sociale, a causa del dominante individualismo contemporaneo. Riteniamo che questa insoddisfazione riguardi l'aspetto piu' "critico" e "normativo" della "ricostruzione normativa", che farebbe pensare a una conclusione totalmente diversa rispetto a quella proposta da Honneth, ovvero che proprio nei momenti di interruzione o involuzione nella realizzazione di istituzioni comunicative sorgono nuovi principi normativi per un ulteriore sviluppo del processo della liberta' sociale.
4. LIBRI. ELEONORA CUGINI PRESENTA "L'IDEA DI SOCIALISMO. UN SOGNO NECESSARIO" DI AXEL HONNETH
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 6, n. 1 (2017)]
Axel Honneth, L'idea di socialismo. Un sogno necessario, Feltrinelli, 2016, pp. 160.
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Sono due i motivi che hanno condotto Honneth a scrivere questo libro.
La prima motivazione e' quella di voler "dimostrare che nel socialismo vi e' ancora una scintilla viva" che e' possibile scorgere solo "separando nettamente l'idea guida del socialismo dal suo guscio concettuale, radicato nel terreno del primo industrialismo, e trasporla in un nuovo quadro teorico sociologico" (p. 10).
La seconda motivazione risiede invece nell'intenzione dell'A. di voler dare un compimento al suo precedente lavoro, Il diritto della liberta' (2011, tr. it. 2016), per cosi' rispondere alle numerose critiche ricevute sull'approccio metodologico utilizzato in quel voluminoso studio. La discussione attorno a quel testo fu talmente ampia e articolata, infatti, che le fu dedicato un intero numero monografico della rivista "Critical Horizon", in cui non pochi studiosi accusano Honneth di aver aderito a una prospettiva piu' simile a quella della "destra hegeliana" che alla teoria critica (p. 10).
L'A. e' deciso quindi a offrire ne L'idea di socialismo una rotazione di prospettiva della metodologia della "ricostruzione normativa", che ne Il diritto della liberta' era assunta da un punto di vista interno, per mostrarne ora piuttosto la capacita' di articolare un "ordinamento sociale completamente diverso" (p. 10), che Honneth, per tranquillizzare i suoi critici e non correre il rischio di essere ulteriormente frainteso, chiama "socialismo".
La constatazione di partenza del libro e' che l'indignazione e il malessere oggi cosi' ampiamente diffusi, determinati dalla situazione socio-economica e politica e dalle condizioni del lavoro, sembrano avanzare una critica non ancorata ad alcun obiettivo, cosi' che essa resta ripiegata su se stessa. Secondo l'A. non e' possibile imputare questa mancanza di prospettive future di miglioramento della societa' ne' al crollo dei regimi comunisti, ne' alla repentina trasformazione del nostro tempo storico con l'entrata nella "postmodernita'", ne', infine, a una diffusa concezione feticista e reificata dei rapporti sociali. Honneth e' intenzionato piuttosto a ricercarne le motivazioni all'interno dell'idea stessa di socialismo (capitoli I e II) per poi intraprendere un "tentativo volto a contribuire al rilancio delle idee ormai antiquate attraverso talune innovazioni concettuali" (p. 18) (capitoli III e IV).
Nel capitolo I troviamo una ricostruzione della formazione dell'idea originaria di socialismo. Honneth sostiene che secondo i "primi socialisti" il mercato capitalistico impediva a una larga parte della popolazione di godere le liberta' promesse dalla Rivoluzione francese e cosi' fondano "la loro critica dell'espansione dell'economia di mercato sul fatto che nei suoi fondamenti istituzionali vedono riflessa una concezione della liberta' determinata dal perseguimento di interessi eminentemente privati" (p. 25). Da cio' emerge la contraddizione interna alle istanze della Rivoluzione francese, ossia quella del perseguimento della fraternita', cioe' della cooperazione solidale, mediante una liberta' che e' intesa solo come egoismo privato "qual e' riflesso nei rapporti di concorrenza del mercato capitalistico" (p. 26). Da cio' l'A. desume che il socialismo e' fin dalle origini un "movimento di critica immanente del moderno ordinamento sociale di tipo capitalistico" che intende ripensare la liberta' "in senso meno individualistico, e dunque insistendo con maggior decisione in direzione di una sua applicazione di taglio intersoggettivo" (p. 27). Chi pero' per la prima volta compie un passo concreto nella direzione di stabilire un legame della liberta' individuale alle premesse di una vita in comune di tipo solidale e', secondo Honneth, Marx, che, ricorrendo alla categoria hegeliana dei "bisogni individuali", propone una societa' del riconoscimento e della cooperazione non piu' fondata sull'egoismo privato, in cui cioe' la reciproca dipendenza si manifesti "in modo tale che ogni singolo fine perseguito da un individuo sia inteso sincronicamente quale condizione della realizzabilita' dei fini perseguiti di volta in volta dagli altri individui" (p. 32).
A partire da Marx dunque, i socialisti scardinano il concetto liberale di liberta', che vede negli altri dei "potenziali responsabili della limitazione delle proprie intenzioni d'azione", per riconoscere in essi piuttosto "i partner cooperativi necessari alla loro realizzazione" (p. 37). Honneth, in conclusione, definisce "liberta' sociale" questo concetto di liberta' conquistata dal socialismo ed e' da questa prospettiva "di individualismo olistico" che il movimento socialista avrebbe mosso i suoi primi passi.
Nel secondo capitolo l'A. affronta quelli che a suo avviso sono gli errori concettuali del socialismo e che gli hanno impedito di potersi riformulare come un'idea adeguata anche al nostro mondo contemporaneo. Honneth mette a fuoco tre assunzioni concettuali fondamentali del primo socialismo: 1) per costruire rapporti sociali di solidarieta' e' necessaria la riforma o il superamento rivoluzionario dell'economia capitalistica di mercato, che interpreta le nuove liberta' conquistate come mero perseguimento privato di obiettivi posti individualmente; 2) nonostante lo svuotamento sociale determinato da tale concorrenza e competizione, si e' formato, "all'interno di questa sfera economica, un movimento proletario di opposizione" che mira alla creazione di un'economia cooperativa e di cui il socialismo e' l'organo riflessivo; 3) "tale organo mira ad accelerare quel processo storico che condurra' necessariamente a una riorganizzazione cooperativa dell'insieme dei rapporti di produzione" (p. 47).
Da queste tre assunzioni, secondo l'A., emerge che l'idea originaria del socialismo e' profondamente radicata nell'epoca storica in cui nasce, che e' quella del primo industrialismo, e che essa da una condizione storica unica e determinata abbia tratto indebitamente "la conclusione per cui vi sarebbe un unico ordinamento desiderabile per tutte le societa' future" (p. 66). In conclusione, dunque, paradossalmente "nel socialismo a causa del quadro teoretico che discende da uno dei discorsi propri della Rivoluzione industriale, alla forza produttiva normativa dell'idea di liberta' sociale viene impedito di realizzare effettivamente i potenziali a essa immanenti" (p. 71).
Nel terzo capitolo, l'A. intende proporre una rielaborazione delle concezioni che il socialismo ha dello sviluppo storico. Per farlo prende le mosse da Marx, facendo emergere come egli abbia fatto coincidere il capitalismo esclusivamente con il mercato e rileva che mediante questa equiparazione cosi' stringente "non e' stato piu' possibile pensare alla forma economica socialista alternativa se non come a una economia completamente libera dal mercato" (p. 77). Secondo Honneth e' necessario che il socialismo revochi tale equiparazione per cercare invece all'interno della societa' capitalistica "lo spazio per progettare forme alternative di utilizzo del mercato" (p. 78). Questa ricerca, spiega l'A. rifacendosi abbondantemente a Dewey, e' incompatibile con l'idea di una necessita' storica e si conduce piuttosto secondo un metodo che egli definisce "sperimentalismo". Honneth traduce questa metodologia nel linguaggio hegeliano della filosofia dello spirito oggettivo e afferma che "anche per Hegel, si potrebbe dire, i miglioramenti all'interno della sfera del sociale derivano sempre dai passi in avanti compiuti nel superamento delle barriere che si contrappongono a una comunicazione libera tra i membri della societa', il cui obiettivo e' di esplorare e stabilire nel modo piu' razionale possibile le regole della loro convivenza" (p. 83). In conclusione Honneth propone un socialismo rinnovato che si presenti come un "avvocato difensore di tutte quelle imprese pratico-politiche" il cui intento e' quello di estendere la liberta' sociale all'interno del settore economico (p. 93). Nel far questo il socialismo non deve scegliere come proprio rappresentante "delle soggettivita' in rivolta, ma piuttosto dei miglioramenti oggettivi, ne' dei movimenti sociali, ma piuttosto delle conquiste istituzionali" (p. 95). Honneth sostiene qui due tesi che egli stesso considera difficilmente conciliabili con l'idea originaria di socialismo: la possibilita' di un "socialismo di mercato" (p. 96) e un processo di formazione della volonta' democratica dove anche il citoyen abbia un ruolo sociale.
E' a questo punto che, nell'ultimo capitolo, l'A. si chiede perche' i socialisti non abbiano mai intrapreso lo sforzo di applicare il nuovo concetto di liberta' sociale anche ad altre sfere oltre a quella economica (p. 99). Il socialismo tradizionale, secondo l'A., non tenne conto della differenziazione delle sfere sociali – quella privata, quella della formazione della volonta' politica e quella economica – e non prese neppure in considerazione il fatto che esse "potessero essere esaminate dal punto di vista della realizzazione della liberta' sociale" (p. 112). Riducendo tutto a un "imperativo economico", l'A. spiega che i socialisti in questo modo non riconobbero "la differenziazione funzionale" che si andava dispiegando nelle societa' moderne, ovvero non riconobbero a ogni sfera una "logica di funzionamento propria e autonoma perche' quanto accadeva al loro interno sarebbe dovuto essere determinato sempre da principi di orientamento economico" (p. 112). Nella sua proposta di rinnovamento e rilancio del socialismo, Honneth afferma allora che esso dovrebbe tenere in considerazione tutte e tre le sfere sociali – quella privata, quella della formazione della volonta' politica e quella economica – come ambiti dove "devono dominare le condizioni per essere l'uno-per-l'altro in modo spontaneo e perche' vi siano dei rapporti di liberta' sociale" (p. 114). Per spiegare ulteriormente il modello di una societa' organizzata secondo una "differenza funzionale", l'A. ricorre ancora una volta a Hegel e all'utilizzo che egli ha fatto dell'immagine dell'organismo vivente: tale immagine chiarisce in che senso un "socialismo rinnovato" debba occuparsi tanto dei "sottosistemi gia' differenziati dalla teoria sociale classica" quanto della loro interdipendenza (p. 116) nel raggiungere l'obiettivo comune di una totalita' sovraordinata. Questa immagine "che il socialismo dovrebbe oggi assumere come modello di una societa' liberata" e' "una forma di vita democratica" e "ha il vantaggio, rispetto all'antiquata visione socialista del futuro, di essere all'altezza dell'ostinazione normativa dei diversi ambiti funzionali, senza pero' abbandonare con cio' la speranza in una totalita' giusta" (p. 117).
L'argomentazione di Honneth e' senza dubbio molto acuta e di grande interesse. Tuttavia l'intenzione dell'A. di offrire la prospettiva critica della metodologia della "ricostruzione normativa" non risulta qui pienamente riuscita, perche' tale prospettiva sembra andare piu' nella direzione di uno sperimentalismo storico o di un pragmatismo a' la Dewey, invece che offrire una metodologia critica soddisfacente sia in ambito teorico che in ambito pratico-sociale. Lo sforzo di pensare una liberta' sociale che tenga insieme l'elemento individuale e quello collettivo e' sicuramente un'impresa gigantesca sia dal punto di vista teoretico, quanto dal punto di vista politico come anche da quello storico. Questi tre piani si intrecciano, nella ricostruzione honnethiana, in maniera molto fluida e stringente, senza pero' che nessuno dei tre ne risulti approfondito e ripensato fino in fondo. Il prudente e a tratti paternalistico "socialismo rinnovato" di Honneth sembra, dunque, carente proprio dell'elemento dialettico e negativo che e' invece necessario per il punto di vista critico.
Lungi dall'essere "l'ultima occasione" (p. 133) per avere una speranza nel futuro, il libro di Honneth offre comunque numerosi spunti e occasioni di riflessione sullo svuotamento degli obiettivi sociali per realizzare una societa' giusta.
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Classici
- Karl Marx, Il capitale, Utet, Torino 1974-1987, Mondadori, Milano 2009, 3 voll. per pp. 1116 + 682 + 1232. A cura di Aurelio Macchioro e Bruno Maffi.
- Karl Marx, Il capitale, Newton Compton, Roma 1970, 1996, pp. 1536. A cura di Eugenio Sbardella.
- Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito comunista, Editori Riuniti, Roma 1947, 1974, pp. 120. Introduzione di Palmiro Togliatti. A cura di Franco Ferri.
- Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito Comunista, Einaudi, Torino 1948, Mondadori, Milano 1978, pp. 336. A cura di Emma Cantimori Mezzomonti.
- Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista. Seguito da "In memoria del Manifesto dei comunisti" di Antonio Labriola, Newton Compton, Roma 1973, 1994, pp. 98. Introduzione di Umberto Cerroni. Traduzione di Antonio Labriola.
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
7. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4091 del primo maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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